Cap. I

Giovedí 7 dicembre

Era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui Denise aveva deciso di camminare per la città, da sola con i suoi pensieri.
Non lo faceva spesso, soprattutto non le piaceva essere notata da sguardi indiscreti, una ragazza da sola per la città che vagava senza una meta fissa e con uno sguardo perso, non dava certo un'idea rassicurante.
Non tanto per ciò che le sarebbe potuto capitare, tanto che per ciò che la gente avrebbe potuto pensare di lei.

L'inverno non era mai stata la sua stagione preferita, non amava il freddo, lo aveva sempre paragonato a un essere infelice, qualcuno che con il semplice fatto di esistere era riuscito ad esprimere il suo stato d'animo, cosa che a Denise non riusciva per nulla bene.
Lei pensava che dai suoi grandi occhi marroni non trapelasse nessun sentimento, che la gioia non le si leggesse in faccia, ma ancor peggio che nessuno si accorgesse di quanto si sentisse sola, distrutta e odiasse il mondo intero.

Indossava un maglioncino senza giacca consapevole dei pensieri che la gente si facesse su di lei passandole di fianco.
A dire il vero si sentiva sempre inadatta, debole e particolarmente fuori luogo in ogni situazione.
Mentre cercando di non cadere si teneva concentrata sulla scalinata che stava scendendo, due signore l'avevano superata e con fare molto maleducato avevano confabulato tra di loro un «Ma come fa!» molto scortese.
Non potevano sapere i pensieri che passavano in testa a una ragazza di quasi diciannove anni, quando le sembrava di avere il mondo in mano, ma di non essere adatta a sfruttarne l'occasione o peggio ancora, di non meritarselo.
Denise era sempre cosí, aveva bisogno dell'aria fredda e pulita che si respirava fuori da casa sua per schiarirsi i pensieri, ma non lo avrebbe mai detto a due vecchie comare.
Non aveva cambiato nemmeno espressione, era rimasta fredda e impassibile quasi a voler dimostrare a sè stessa che la tesi sulla quale aveva puntato tutto la sua esistenza, fosse reale; lei non provava sentimenti.
In compenso però la sua andatura era leggermente aumentata, quasi a voler star dietro a tutti i pensieri che la precedevano.

Le stradine del suo paese, potevano essere suddivise in due gruppi; lei le definiva le stradine "dei ricchi" e quelle "dei poveri".
Quelle "dei ricchi" erano tutte lisce con marciapiedi enormi e strade a quattro corsie; quelle "dei poveri" avevano vicoli stretti, strade fatte in pietra sempre in salita o in discesa.
Ovviamente non tutti i ricchi abitavano nella parte ricca della città e non tutti i poveri abitavano nella parte povera, semplicemente la città sembrava divisa in due, una parte moderna e una molto antica.
Ed era proprio per questo che lei si sentiva parte integrante di questa città, era certa di appartenerle proprio perché anche lei si sentiva divisa in due e se avesse dovuto scegliere un posto in cui vivere, non avrebbe scelto altro che quella città.
Lei credeva di possedere una parte "ricca", piena, da scoprire e per stupire, la quale però non mostrava quasi mai, la paura ad aprirsi era troppa e a pochi era concesso questo privilegio.
La parte "povera" invece, era quel lato oscuro che racchiudeva tutti suoi difetti, dalla sua permalosità alla sua timidezza, era la parte che non mostrava mai a nessuno.
Non mostrando nè l'una, nè l'altra, alla fine si ritrovava ad accontentarsi di coloro che capivano meglio il suo modo di essere e di relazionarsi, anche se in fin dei conti, non chiedeva di meglio, solo avrebbe voluto pretendere di più da sé stessa.
Fin da piccola aveva capito i suoi limiti e per anni li aveva portati dentro di sé cercando di conviverci.

Scendendo la stradina di pietre, lo sguardo di Denise si era leggermente ammorbidito, vedendo finalmente l'unica cosa che effettivamente riusciva sempre a calmarla.
Attraverso la rete verde che costeggiava la strada dalla parte sinistra, anche lui sembrava felice di vederla, o almeno queste erano le sue illusioni.
Credeva addirittura di aver notato le sue onde muoversi sempre piú forte, non facendo caso che la sua mente potesse essere condizionata da un'impressione fortemente desiderata.
Amava il mare piú di quanto amasse sé stessa, lo considerava il suo migliore amico e un porto sicuro.
Le bastava vederlo per sentirsi semplicemente più gratificata.

Scendeva sempre più in fretta i pochi gradini che le erano rimasti e dopo una breve rotazione a sinistra, era riuscita a posare il primo piede sulla sabbia asciutta.
Aveva percorso i pochi metri che la separavano dalla riva con un sorriso beffardo, sicura che chiunque l'avesse vista, l'avrebbe presa per matta.
Ma lei matta, in fondo, sapeva di esserlo.

Arrivata quasi sulla riva, a pochi centimetri di distanza per non bagnarsi, si era tolta le scarpe e i calzini, aveva alzato la parte inferiori dei pantaloni a mo di risvoltino che tanto ormai andava di moda e si era avvicinata all'acqua inalandone l'odore salato che le pungeva il viso come una serie di piccoli aghi.
Il vento infatti, tipico delle zone di mare in periodi invernali, era troppo forte, ma lei comunque credeva veramente che ogni cosa che appartenesse a quella distesa d'acqua immensa, fosse uno spettacolo che donasse alla vita un sapore migliore per affrontarla.
Era convinta che madre Flora le avesse regalato tutta la natura per deliziare i suoi occhi.
Per lei era l'immenso ed era la sensazione più forte che avesse mai provato.
Come si potesse provare un sentimento così forte verso un unico luogo, ancora non era riuscita a spiegarselo, ma per lei quel punto esatto in cui il cielo incontrava il mare, l'azzurro che diventava sempre più scuro e il sentirsi così piccola in confronto a tutto questo, bastava a dimostrarle che in realtà non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte.
Poi con un movimento quasi impercettibile si era lasciata andare, abbandonandosi completamente sulla riva.
Si era sdraiata proprio lí con il fianco sinistro rivolto verso il mare, la testa piegata in quella direzione, i lunghi capelli che le cadevano morbidi sul seno e sulle spalle, le braccia lungo i fianchi e infine i piedi immersi nella sabbia fredda.
A vederla da lontano poteva quasi sembrare una dea, ma Denise sembrava non farci caso, sembrava non accorgersi di quanta bellezza poteva mostrare al mondo.
I mille pensieri nella sua testa all'improvviso avevano ripreso forma, tutto aveva taciuto per un momento, ma poi aveva ripreso ad urlare dentro di lei.
Sembrava quasi che scoppiassero tutti insieme e Denise non sapeva quale fosse quello più importante.
Da dove poteva cominciare se nemmeno lei lo voleva veramente?
Quale poteva risolvere se più e più volte aveva provato a fermare quell'orda potente accompagnata da paranoie e mille perché, ma alla fine si era ritrovata sempre allo stesso punto?

E come sempre, inconsapevole che di problemi nella sua vita ne esistevano veramente pochi e non erano poi nemmeno così terribili come credesse, iniziò a pensare alle persone che circondavano la sua vita e che nel bene e nel male le erano sempre rimaste affianco.

Prima fra tutti, Kelly, la sua unica amica.
Quando pensava alle persone che le erano affianco, lei era sempre al primo posto.
Denise restava stupita dal fatto che quella semplice ragazza avesse deciso di sua spontanea volontà di accompagnarla nel suo percorso, anche se non era costretta da legami di sangue.
Per questo, dopo molti anni insieme, Denise era quasi riuscita del tutto ad aprirsi con lei.
Ovviamente non le aveva raccontato dei suoi problemi e dei suoi pensieri, ma sentiva di potersi fidare veramente ed era quasi più leggera quando le era affianco.
La considerava una sorella maggiore, la persona che più stimava fra i suoi coetanei, addirittura più di sé stessa.

La donna che invece era il suo modello da seguire, non poteva che essere sua madre.
Nonostante fosse petulante, assillante e sempre troppo apprensiva con i figli, le voleva un bene immenso.
Era l'unica in famiglia che era sempre dalla sua parte, forse per la poca differenza di età che passava da madre a figlia, erano legate anche piú del dovuto e molte volte Denise si era trovata a parlare con lei per essere consigliata su questioni che la premevano.
Era consapevole del fatto che sua madre avesse sofferto molto, più di ogni membro della famiglia, ma non le era mai stata vicino per i problemi che andavano a crearsi in casa, sicura del fatto che la causa fosse sua madre.
Non poteva capire come facesse a sopportare gli atteggiamenti insensati di suo padre, come poteva perdonarlo ogni volta e come poteva lasciare quell'uomo vicino ai suoi figli.
Dava la colpa a lei e fremeva di rabbia dentro sè, ma un giorno non troppo lontano, avrebbe capito la verità e se ne sarebbe pentita.

Oltre al padre che lei non considerava proprio tale e sul quale non si era mai soffermata a pensare per evitare che la rabbia salisse, la sua famiglia concludeva con gli ultimi due componenti, i più piccoli.
Un fratello e una sorella gemelli.
Lei adorava quei due marmocchi in particolar modo Lorenzo perché Matilde crescendo aveva ripreso il carattere del padre.
Erano due furie e anche se cercava di nasconderlo perchè non avrebbe mai voluto essere gelosa dei suoi stessi fratelli, erano i più coccolati della casa.
Ora arrivati all'età dell'adolescenza, a causa della loro infanzia non esattamente felice colmata poi da vari giocattoli che comunque non avrebbero mai potuto sostituire l'amore di un genitore, erano diventati isterici, si vestivano sempre di nero e continuavano a ripetere frasi senza senso, quali «odio il mondo», «la mia vita fa schifo»...
Erano patetici e Denise avrebbe tanto voluto tirargli due sberle se solo non ci fosse passata anche lei, chiusa sempre nella sua camera.
Credeva addirittura che quell'età per lei fosse finita, non si rendeva conto dei pensieri negativi che si portava dietro, sempre pronti a ricordarle chi fosse e i suoi limiti, non si rendeva conto che c'era ancora dentro.
Ma comunque essendo la maggiore cercava di aiutare sua madre a gestire quella casa, si sentiva responsabile delle azioni di tutti e cercava di dare il buon esempio ai suoi fratelli più piccoli.
Non pensava potesse esistere famiglia peggiore della sua.

Poi prese a pensare che presto avrebbe compiuto diciannove anni chiedendosi ancora una volta cosa se ne potesse fare.
Era nata il giorno di San Valentino e questo non le causava altro che problemi, ogni volta che un ragazzo le faceva un regalo, lei pensava fosse per il suo compleanno e non per festeggiare un giorno speciale come quello dedicato all'amore e dichiarare una cotta nascosta.
Molto spesso poi si era ritrovata ad essere definita una dea dell'amore, anche se la cosa le sembrava assurda.
Aveva ragionato su quel fatto per diversi anni non proprio indifferente al tema e credendosi veramente capace di risolvere i problemi amorosi o di intravedere degli sguardi complici, quasi come una fonte di saggezza.
Osservando infatti, aveva il dono di cogliere sguardi intensi e di leggere fra le righe di amori desiderati.
Si soffermava spesso anche a pensare a quegli sguardi così teneri e pieni di aspettative che Denise quasi ci vedeva un mondo dentro.
Riusciva a coglierli anche in persone non effettivamente fidanzate, riusciva a vedere un semplice colpo di fulmine che scoppiava negli occhi di due giovani persone.
Si diceva che l'impresa era fatta e alcuni giorni dopo le sue teorie venivano verificate.
Nonostante questa dote, non riusciva comunque a cogliere le occhiate che veniva lanciate a lei credendo sempre di essersi sbagliata e accantonando il problema.
Anche quando alcuni avevano la sfacciataggine di invitarla a uscire o di chiederle il numero, lei comunque credeva che in realtà lo facessero per arrivare a uno scopo a lei ignoto, credeva che si stesse illudendo e fuggiva via insicura di sé stessa incapace di dare una risposta e facendo la figura di una persona veramente molto strana.
Tranne una volta, dopo varie insistenze aveva acconsentito ad uscire con un ragazzo, il quale poi era diventato il suo fidanzato.
Una storia troppo travagliata, i ricordi le facevano ancora male e nonostante non si fosse innamorata, aveva giurato a sé stessa di non farlo mai.
In fondo anche Cupido era il dio dell'amore e anche lui non si era mai innamorato.
A lei bastava stare in un angolo, a ridere con Kelly.
Inoltre si sentiva esclusa da molti suoi coetani che non l'avevano mai invitata alle loro feste di compleanno o non avevano mai provato solo a parlarle.
In realtà i due sessi la temevano; i maschi avevano paura della sua bellezza o peggio ancora di un rifiuto, mentre le femmine la pensavano glaciale, impassibile e pronta a criticare ogni cosa.
Denise aveva un cuore buono, ma fuori metteva un corazza così spessa da farla sembrare ciò che non era.
Forse aveva capito che il mondo è brutto troppo presto, prima ancora di farne parte o forse aveva attribuito una serie di episodi alla vita comune, non sapeva che le cose potevano essere diverse.
Non si fidava di nessuno, aveva paura delle persone, paura del loro potere e della loro vita perfetta che a lei non era stata concessa.
Inoltre considerava tutti falsi, vedeva le maschere che indossavano e non voleva contribuire al loro gioco.
Secondo lei tutti avevano qualcosa da nascondere e non mostravano chi erano in realtà.
Sua madre le diceva spesso che era complicata, ma lei era ben contenta di essere diversa dalle pecore con cui aveva a che fare ogni giorno.

Fu distratta dal sole in lontananza che si specchiava a filo nell'acqua, un sole di un arancione fortissimo, tale da modificare addirittura il colore del cielo e che aveva fermato tutti i pensieri strani nella sua testa, aveva messo da parte suo padre, i litigi, le paranoie, le preoccupazioni e anche l'esame di maturità che era spuntato come un fungo nella sua mente, era semplicemente rimasta lí a godersi lo spettacolo pensando che esisteva solo Denise, il mare e un cielo immenso.

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