Prologo
Erano gli anni di Elvis, e nemmeno lui, che si era sempre visto semplicemente alla guida di un camion, aveva immaginato tanto per il suo futuro.
Esattamente come me e Niyol.
Tutti lo stavano aspettando, il grande Elvis; tutti attendavano colui che avrebbe sconvolto la musica, ormai stantia e troppo lenta.
Davvero tutti, inconsapevolmente, aspettavano il rock 'n roll, ma nessuno sapeva quando realmente sarebbe avvenuto tale cambiamento.
Come io, che lo aspettavo senza saperlo e, soprattutto, senza sapere quando sarebbe arrivato. Niyol.
Ricordo ancora il giorno in cui lo ascoltammo distrattamente alla radio e ci innamorammo, catturati, della sua voce, del suo stile così innovativo, del suo brio folle... e ricordo anche quanto fummo sconvolti dal suo movimento impertinente del bacino, che lo aveva reso poi tanto famoso, quando lo vedemmo per la prima volta con i nostri occhi.
Lo ricordo perché quegli stessi anni furono i nostri, miei e dell'uomo che fu tutto per me. Ma lo ricordo soprattutto perché quella voce così ammaliante, profonda e calda, quella di Elvis, fu la nostra guida, la colonna sonora per la nostra storia d'amore. Fu il suo pretesto per cantarmi ciò che provava e ciò che non riusciva a dirmi.
Eravamo consapevoli del fatto che dovesse succedere, tra noi, prima o poi, nello stesso modo in cui Elvis credeva di avere qualcosa di nuovo, tra le mani, quando iniziò a crederci sul serio nella musica.
Ma se per lui fu chiaro subito, noi, invece, desistemmo tanto, io soprattutto. Ero convinto che sarebbe stato impossibile renderlo possibile, quel noi, e ci pensò proprio Elvis, a volte, a sussurrarmi conforto e coraggio, e a indurci a continuare nonostante immaginassimo già la fine. La triste fine. La nostra.
Non fu solo Elvis a venirci in aiuto, ma Niyol a crederci, a insistere, a farsi trovare anche quando avevo smesso di cercarlo. Elvis tifava per noi senza saperlo, ma era Niyol a combattere.
Così per un po' mentre lui diveniva il re del rock 'n roll, noi vincevamo contro la sorte.
Per un po'. Poi arrivarono i Beatles. Eh, sì, tocca che ti parli anche di quei quattro matti. Anche loro sono stato importanti.
Non ne so precisamente il motivo, ma quando faccio questo tipo di associazione – abbastanza stupida, lo ammetto – sorrido senza sapermi trattenere; anche adesso che sto scrivendo, ahimé, sono costretto a farlo. E forse lo faccio, indignato da me stesso, perché nonostante sia tanto in collera col Destino, ho qualcosa per cui ringraziarlo; o forse perché semplicemente mi diverte associare un incontro tanto importante, a noi, che nella nostra vita non abbiamo rivoluzionato poi così tanto, nonostante gli anni, se non noi stessi – e anche nel modo sbagliato.
Poi però sento sempre giungere quell'attimo in cui mi rendo conto di un particolare che stona fra noi e quei due ragazzi – tre con Elvis – con la voglia di strafare; un particolare che ogni volta mi fa pensare che sarebbe stato meglio non averlo notato.
La nota, che fa stonare un pensiero così dolce, affabile e romantico, è la più acuta, quella che riesce a spezzare l'armonia di tutto uno spartito.
Perché l'anno del primo incontro fra John e Paul, il 1957, fu anche l'anno in cui lo abbandonai. Fu l'anno in cui non lo scelsi. Il loro inizio fu la nostra fine.
Paul McCartney e John Lennon si incontravano, per la prima volta, e noi ci dicevamo addio, per l'ultima volta.
E fu destino. Lo è stato sempre.
***
La musica. Un tassello fondamentale.
Anche se faccio tutti questi esempi di grandi personalità, a quell'epoca avevo sempre pensato troppo poco alla musicalità della vita; un disonore, lo ammetto, perché Niyol mi rimproverava sempre questa mia mancanza, e lo faceva con la sua voce, che è ancora indelebile nella mia mente, usando queste parole: 'La musica è un Arte e quest'ultima è in parole povere vita, essenza. E noi che noi siamo solo comuni spettatori pronti a morire d'infarto per una nuova meraviglia, non possiamo non vivere d'Arte, capisci?" e come potevo io, da inesperto, colpevole, dargli torto?
Fidatevi di queste parole: se lo ascoltavi parlare, Niyol, ti convinceva a fare anche l'azione più pericolosa, la più sconsiderata. Ammaliava le persone con la sua naturalezza, con la sua passione apparentemente placida ma animata, fomentata come l'istinto di un animale a caccia. Puro. Era un puro travestito da lupo malizioso. E io amavo l'uomo e il suo costume.
Avrei fatto di tutto per lui, allo stesso modo in cui lui, in cambio, mi donava tutto ciò che aveva di se stesso; eppure arrivò il giorno in cui quel tutto, io, non lo feci né per lui né per noi.
Niyol mi ha dato tutto ciò che ho ancora con me ma che non mi basta, perché ciò che vorrei è semplicemente, unicamente lui.
Mi diede, però, senza nemmeno saperlo, il suono di una vita, come fosse una colonna da ascoltare in eterno, come grazie e punizione al contempo.
La musicalità di parecchie cose, in realtà: come il suono del mattino non più in solitudine, quello di un sorriso a spezzare la malinconia e quello di un rumore quando tutto sembra giusto, ma in realtà non lo è affatto; come il suono di una sigaretta aspirata e quello delle anche che ondeggiano e scricchiolano con un'armoniosa sincronia; ma mi ha regalato soprattutto il suono più bello, che sento ancora sulla pelle e nel cuore: quello di un'assenza, una sensazione che non avevo mai percepito e che lui mi fece provare, e mi fa provare tuttora, dolorosamente.
Mi diedi tutta la vita che avevo sprecato, ecco, sì, mi diede la possibilità di viverla e di farlo accompagnato dalla musica, e con la musica c'era anche lui; e con la musica non ci fu più lui. Mi fece iniziare a vivere davvero a ritmo di una danza cantata silenziosamente da lui, e da chi inconsapevolmente ci sosteneva, tentando invano di insegnarmi ad ancheggiare come faceva Elvis. Non ci riuscì, eppure glielo avevo detto.
Il suono della vita, già, non sapete cos'è? È quello che un uomo o una donna che ama dona incondizionatamente all'altro, senza chiedere nulla in cambia. Niyol diede a me stesso tutto ciò che cercavo, come per Elvis che, alla fine, quasi per gioco, dopo una serata sprecata con vani tentativi di stupire chi lo ascoltava da ore, aveva trovato il suo stile cantando That's all right sulle note improvvisate e poi divenute il suo arrangiamento di tutta una carriera.
Ecco sì, Niyol fu il mio, di arrangiamento, e quando ci incontrammo, in quel locale, non era nemmeno la prima volta, ma fu decisamente la battuta d'inizio. Come quella di una strofa, la nota bassa prima di tutto il resto, quella irrilevante, alla quale nessuno dà mai troppo peso, ma che quando si perde non si recupera più, mai, rovinando un'intera canzone; fu un momento, il nostro, avvenuto prima di tutto ciò che potesse rivelarsi importante, decisivo.
La nostra storia fu la battuta d'inizio di una canzone di Elvis. Ormai perduta, dimenticata. A cui penso soltanto io.
Fu. Fu. Fu. Ecco, sì: fu.
Era il 1954 quando tutto ebbe veramente inizio per noi e per Elvis e perdurò fino al 1957, quando iniziò l'era dei Beatles e in cui Nyol uscì dalla mia vita. Ma la musica è rimasta. C'è tuttora a sussurrarmi tutti i ricordi che piano sbiadiscono.
Per non dimenticarlo, voglio scriverlo in questo diario.
La storia che voglio ricordare è quella che sono stato costretto a nascondere, quella che vorrei urlare tutti i giorni, quella che non fa soffrire solo me, ma anche la donna che ho sposato. Te.
Tra le pagine di questo quaderno c'è un Lion J. Payne che si fa del male, di propria coscienza, per ricordare tutto ciò che è successo e che mai accadrà di nuovo; qui, ci sono io che faccio delle parole la mia prigione e dell'immaginazione il ricordo dell'unico uomo che ho amato nella mia vita da codardo.
Scrivo di lui, ma parlo con te dicendoti tutto ciò che non ti ho mai detto ma che hai sempre saputo.
Perdonami. Lo chiederò fino a quando avrò fiato, ma in silenzio, con le parole, le uniche che mi sono rimaste assieme ai ricordi; perché il grande rimpianto è di non averlo detto a lui, all'unica persona alla quale avevo promesso tutto e per la quale non riuscii nemmeno a svestirmi della mia codardia. E non voglio commettere lo stesso errore. Non con te, che non meritavi una vita al fianco di un uomo a metà.
Perdona un uomo che ti chiederà scusa per tante cose, ma mai per aver amato un altro uomo.
Emily, anche se dici spesso che non hai nulla da perdonarmi, io so che ti devo tutto.
Ti devo una vita vissuta a metà a causa di una conseguenza, la mia; perché senza Niyol sono sempre stato la metà di quell'universo che avevo tutto, unito e forte solo quando ero insieme a lui e lo sai, moglie mia, a metà non sono mai riuscito ad amarti come avrei dovuto.
Prometto che d'ora in avanti il mio discorso avrà un senso logico o quanto meno cronologico. Ammetto che se mi dovesse accadere di nuovo è soltanto perché molte situazioni, ad oggi, mi pare abbiano un senso soltanto se associate ad altre che magari distano dalla prima un paio di anni, ma una storia ha senso se si comincia dall'inizio, perciò, sì, è da lì che partiremo ora.
Perché devi sapere le ragioni della tua sfortuna. Quella che ti ha fatto sposare un uomo a metà.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top