31. Ricordo-monito indelebile
[N/A: comunque, ho iniziato una nuova storia totalmente ironica e piena di stereotipi di tutta Italia; "Casa Vargas- Le regioni d'Italia]
[...]
"I've been stuck in a cage with my doubt
I
've tried forever getting out on my own
But every time I do this my way
I get caught in the lies of the enemy"
[…]
Traduzione (alla buona):
"Sono intrappolato in una gabbia con il mio dubbio
Ho sempre provato ad uscire da solo
Ma ogni volta che lo faccio a modo mio
Vengo catturato nelle bugie dei nemici"
-da "On My Own"
degli Ashes Remain
A quelle parole il cervello di Izuku andò in totale blackout per qualche secondo.
Non sapeva che pensare, perché pensare, come pensare... semplicemente, ebbe un vuoto totale di qualche frazione di secondo, giusto il minimo per assimilare che quelle parole erano veritiere.
Volle dire qualcosa, visibilmente si sforzò, ma uscì solo un suono strozzato dalla bocca di Izuku, preso di contropiede dalla confessione.
Shoto pensò di aver detto la cazzata del secolo, quello che lo avrebbe portato al ripudio da parte del migliore amico, della sua cotta.
Invece, Izuku si voltò totalmente verso i due ragazzi e scese dalla ringhiera con un piccolo salto. Senza perdersi in parole si fiondò sul bicolore, quasi dando una spallata al biondino nel processo, stringendolo forte a sé.
Shoto ricambiò la stretta, sentendo finalmente il suo cuore tornare a battere normalmente, mentre percepiva il corpo di Izuku, tremante, contro il proprio.
Lo tenne stretto a sé, sorreggendolo, sentendo come l'altro si arpionasse a lui per aggrapparsi, per venire sorretto, mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance lentigginose.
Anche se il suo battito cardiaco era tornato stabile, gli pareva di avere il cuore in frantumi.
Tutta quella situazione era assurda. Izuku che si provava a suicidare perché si riteneva un peso quando era una benedizione: non ci riusciva a credere!
E percepiva fin nella più recondita parte di sé tutto il dolore, tutta la tristezza, che Izuku aveva dentro, mentre provava a liberarla a forza di lacrime e singhiozzi.
Il respiro di Izuku si fece man mano più flebile, fino a diventare leggero quanto un battito di farfalla, sentendosi al sicuro fra le braccia di Shoto, crollando a dormire.
Era troppo stanco, troppo provato dalla depressione che lo aveva consumato in quei giorni.
Shoto, ovviamente, se ne accorse e lo sorresse meglio quando lo sentì scivolare nel mondo dei sogni, chinandosi per farlo appoggiare a terra.
Si mise seduto a sua volta, diventando da "materasso" ad Izuku, per quanto il suo petto potesse essere comodo per poggiarci su la testa e dormire.
Katsuki rimase lì, fermo, impietrito dalla scena.
Gli dei, sicuramente, da sopra di lui stavano sghignazzando apertamente, godendosi il suo dolore.
Però, quello stesso dolore era leggermente smorzato dalla consapevolezza, giusto quel tanto che bastava per capire, in parte, i propri sbagli e arrendersi.
Ci avrebbe messo tempo, poco ma sicuro, per togliersi dal cuore Izuku, il suo desiderio da quando aveva quattro anni circa, ma ci sarebbe riuscito.
Aveva 14 anni, per la miseria!
Aveva davanti una vita per ricucire quella ferita che, in quel momento, sanguinava e lo sconquassava a tal punto da mandarlo sull'orlo delle lacrime.
L'orgoglio prese il sopravvento e mise a sfregarsi gli occhi con furia, tirando un po' su col naso.
Quel rumore richiamò l'attenzione di Shoto, che rivolse un'occhiataccia carica di puro astio verso il biondino.
L'espressione rimase dura, anche davanti alla più che visibile disperazione che pervadeva Bakugou. Se la meritava, pensava Shoto, se la meritava tutta per essere una delle cause maggiori del tentato suicidio di Izuku.
Era in buona parte colpa del biondo se il verdolino, anche nel sonno, pareva spossato e stanco.
<So che non servirà ad un emerito cazzo, ma… ti chiedo scusa.> esordì Katsuki, fissando dritto negli occhi l'altro, la fierezza a riscorrergli nelle vene.
<Esatto, non serve ad una minchia.> asserì Shoto, continuando a fissarlo con puro odio, stringendosi a sé Izuku, con l'irrazionale timore che glielo potesse sottrarre e ferire.
<Ma…> riprese Bakugou, fermandosi a metà nel gesto di zittirlo <… voglio provare a rimediare ai miei sbagli, almeno all'ultimo fatto. Oggi é venerdì e farò tutto quello che posso per cancellare la diceria che c'è su di te, così lunedì non sarai più preso di mira.>
Shoto alzò le sopracciglia, in miscredenza.
Katsuki gli ricambiò uno sguardo più serio della morte e spiegò: <Se aiuterà Izuku a non sentirsi più uno sbaglio unico, se lo potrà anche solo minimamente aiutare a non tentare più il suicidio o chissà cos'altro... Lo farò.>
Shoto annuì, quasi a dargli l'ok di procedere con quel piano.
Poi Katsuki, a passi pesanti e calcolati, si diresse verso la porta, ponderando tanti dei torti fatti e pentendosene.
É anche vero che chi causa il suo stesso male debba piangere di sé stesso. E il biondino, poco ma sicuro, non si sarebbe fatto sopraffare dalle lacrime per sé stesso.
Mai.
Forse solo qualche goccia, una volta arrivato a casa.
Chiuse con decisione la porta dietro di sé, a confinare tutto quello successo, lasciando Izuku sul tetto con chi si meritava, e ri-iniziare col piede giusto ed essere migliore.
Quando la porta si chiuse con clangore, Shoto si strinse d'istinto Izuku più a sé, il rumore del respiro del verdolino da tranquillizzante sui suoi nervi.
Ma neanche troppo.
Izuku, comunque, era svenuto dalla spossatezza e non era di per certo una cosa buona. Dovevano andare dalla signora Masai al più presto possibile.
Shoto mise le braccia sotto le ginocchia e sulla schiena di Izuku, sollevandosi piano, spingendosi l'amato contro il proprio corpo.
La testa di Izuku poggiava sul suo petto come se fosse un cuscino naturale.
Al bicolore sarebbe andato benissimo averlo fra le braccia tutta la vita, ma non aveva dei bicipiti da palestrato e, anche se Izuku era una piuma, i suoi chili li pesava tutti.
E poi da incoscienti le persone pesano più che da sveglie.
Perciò si diresse in fretta verso la porta per il tetto, aprendola a fatica con ambedue le mani occupate, scendendo le scale di fretta (anche rischiando di cadere per colpa di un piede messo male).
La signora Masai era ancora al terzo piano, davanti le scale, con in mano l'acqua ossigenata presa dal laboratorio di scienze, il volto dipinto d'apprensione.
Appena vide Todoroki con fra le braccia Midoriya spalancò gli occhi e iniziò a scendere le scale pure lei di fretta. Quel verdolino era come un nipotino, un po' come tutte quelle giovani e tristi anime pie che negli anni di lavoro le avevano pure tenuto compagnia; quando venivano da lei.
Il bigliettino che le aveva fatto leggere Shoto l'aveva preoccupata e non poco e già vederlo era stato un sollievo, ma il fatto che fosse svenuto non era un buon segno.
Arrivati in infermieria ordinò a Shoto di appoggiarlo sul lettino infondo la stanza, lo stesso dove il verdolino si era seduto quando il bicolore era venuto lì la prima volta, mentre lei poggiava l'acqua ossigenata sul comodino lì vicino e andava a recuperare batuffoli di cotone e bende.
Poi ritornò in fretta al letto, dove Shoto la guardava a metà fra il preoccupato e il confuso.
La donna lo fece scostare dal fianco di Izuku e gli afferrò la manica della divisa, arrotolandola in fretta.
Quando la trovò decorata da tagli corti ed orizzontali non ne fu così sorpresa, se lo aspettava, per quello aveva portato lì vicino il necessario per trattare bene ferite di quel calibro, ma non fece meno male.
Non era piacevole vedere come uno era arrivato ad odiarsi a tal punto da distruggersi da solo, a giocare con la propria vita e rischiare di buttarla via perché gli andava bene in quel modo.
Non volle guardare il viso di Shoto, doveva concentrarsi su Izuku. Le consolazioni e il conforto erano secondari.
Ad occhio nudo capì quali fossero i tagli più recenti, "Fatti solo stamattina… Neanche prima di farla finita volevi darti pace?", e iniziò a bagnarli con dell'acqua ossigenata, vedendo che, nonostante la leggera crosta, dalla ferita si sprigionavano piccole bollicine.
Per quello che poteva, voleva prevenire peggioramenti del taglio a causa di infezioni.
E mentre procedeva ad avvolgere la benda attorno al braccio del verdolino, si accorse dei singhiozzi che emetteva l'altro, ancora affianco al letto.
Masai ancora non lo guardò, lasciando che si potesse sfogare senza venire giudicato apertamente.
A Shoto non avrebbe fatto la differenza essere guardato o meno dall'infermiera, tanto era concentrato su quei tagli e sul volto spossato del verdolino.
E si permise di piangere perché non ce la faceva più, poteva essere debole finché Izuku era addormentato, e disperarsi.
Perché aveva dovuto essere così stupido e cieco da non accorgersi prima di quel dolore che Izuku aveva dentro perché si preoccupava per lui?
L'aveva salvato, certo, quello era quello che contava di più, ma sicuranente alcune di quelle cicatrici sarebbero rimaste per sempre sulle braccia di Izuku, come ricordo dell'odio che aveva provato per sé stesso.
E l'immagine di quelle ferite, rosse e diffuse per tutto il braccio, sarebbe rimasta impressa nella mente di Shoto come monito dei suoi errori nei confronti di chi amava.
N/A: sorry per il ritardo.
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