25. Riflessioni
N/A: il capitolo non mi fa impazzire per come l'ho scritto, ma spero che sia ancora sulla soglia della decenza.
"[...] you feel like you are worthless, and that your day has come
The misery eats you alive until you come undone
You feel like there is nowhere left to call your home tonight
[...]"
Traduzione (alla buona):
"Ti senti come se fossi inutile e che il tuo giorno sia arrivato
La miseria ti mangia vivo fino a che non sarai finito
Ti senti come se non ci fosse nulla da chiamare casa tua stanotte"
da "Let It Burn"
dei Citizien Soldiers.
Izuku si perse a fissarsi allo specchio, come ogni mattina, ritrovandosi a osservare la pallida ombra di sé stesso.
Occhi vuoti e vitrei, viso pallido e inespressivo, segni di occhiaie attorno le cavità oculari, figura incurvata dal peso del mondo portato sulle spalle...
Era quel sé stesso che aveva abbandonato e ritrovato grazie a Shoto.
Era da più di una settimana che le angherie e le malizie continuavano ad essere dette a gran voce a scuola, non lasciando pace a Shoto.
Il bicolore non sembrava calcolarli, lasciava che le parole gli entrassero da un orecchio ed uscissero dall'altro.
Solamente si premurava di stare con Izuku, il quale si sentiva tremendamente in colpa perché percepiva che c'era qualcosa di strano nell'amico.
Shoto a tratti sembrava perso nei pensieri, altre volte era fin troppo attaccato alla realtà. Alcune volte pareva la solita statua di ghiaccio, in altre sul punto di aprirsi e crollare.
Midoriya perciò si era fermamente convinto che le stranezze trovate nell'amico erano date dal dolore nascosto e dal ribrezzo che con ogni probabilità provava per lui, perché si era finalmente pentito di essergli diventato amico.
Il verdolino lo aveva previsto tempo prima, nella infermeria della scuola, la prima volta che avevano parlato: stargli vicino procurava solamente grane.
Era uno iellatore, lo aveva sempre saputo.
Era solo un Deku portatore di sciagure, ecco.
Non aveve alcuno scopo per cui stare sulla terra.
Ormai, non sapeva neppure più se era davvero una persona.
Un umano era quel che era perché aveva certe caratteristiche fisiche, ovvio, ma anche perché aveva un'anima, dei sogni, dei desideri, degli affetti.
Izuku, però, si sentiva più simile ad un guscio senza noce all'interno, un contenitore svuotato, una persona privata dell'essere... una persona, appunto.
Non si sentiva più di appartenere a qualcosa.
E forse era stupido e forse era illogico il come ed il quando l'essere una persona gli era stato strappato via, ma era capitato.
E non sapeva come riprenderselo indietro.
E, forse, neppure voleva.
In fondo, era stanco di combattere contro colossali mulini a vento. Era una battaglia impari e che portava al medesimo doloroso risultato, sempre e comunque.
Izuku ormai era un funnambolo che camminava a passo felpato in bilico fra due mondi, indeciso da che parte stare: vita o morte?
Ragione, moralità ed emozioni litigavano e non gli permettevano di prendere serenamente una decisione.
Perciò si era deciso a lasciare che fossero il mondo, il suo corpo e i suoi impulsi a guidarlo e a suggerigli la strada.
Perciò mangiava i piatti cucinati con affetto dalla madre, beveva, dormiva, per quello che i tormenti gli permettevano, e faceva il bravo studente come il suo lato responsabile suggeriva.
Ma d'altro canto cercava di rigettare se pensava di star mangiando troppo (senza ancora esserci davvero riuscito), si recideva la pelle trovando il carminio del sangue più bello della trasparenza delle lacrime sul cuscino, riascoltava e prendeva in parola gli insulti e i "suggerimenti" dei bulli.
Quindi si poteva dire che il piccolo funnambolo stava già pendendo da un lato.
E lasciava all'oscuro del pericoloso equilibrio precario sul quale si trovava e della macabra scelta che stava facendo l'elemento che, a pensarci bene, l'aveva posto in quella situazione.
Cioè Shoto Todoroki.
E questi era troppo preso da altri problemi, ben più comunemente adolescenziali rispetto a quelli del verdolino, per realmente accorgersi di quell'enorme disastro imminente.
D'altronde, aveva passato un'intera settimana a riflettere ed analizzare da un punto di vista più oggettivo possibile i suoi sentimenti, cosa già difficile di suo.
Figurarsi se doveva mettersi ad analizzare quell'accozzaglia confusa di emozioni che provava in presenza di Izuku Midoriya.
Quel qualcuno che anni prima era stata una mano d'aiuto tesagli in un momento di sconforto e così era stato anche quando si erano incontrati quell'anno scolastico, anche se la seconda volta la cosa era stata più reciproca.
Fin da quando erano andati in vacanza insieme si era domandato come mai fosse sempre così particolare, come mai sentisse quella sorta di benessere misto ad un pizzico di ansia.
Perciò, dopo un'attenta settimana di psicoanalasi, era arrivato alla conclusione che quello che provava era amore.
Era proprio quella particolare emozione che implicava un'attrazione sia carnale sia mentale che vedevano come fulcro, nel caso del bicolore, il verdolino lentigginoso.
E gli ci era voluto relativamente poco per capire che non era sbagliato amare Izuku Midoriya, che non era malato lui ad amare un altro ragazzo, come pareva proclamare a gran voce più di mezzo mondo.
Ci aveva messo un'ora profonda di riflessioni per capire che, alla fine della fiera, essere gay o, comunque, provare attrazione per qualcuno dello stesso sesso non era un'eresia.
Infondo, come spesso proclamava la sorella quando guardava storie rosa, «quando un amore é vero, non ci possono essere di mezzo delle cose come le etiche o le convenzioni, perché l'amore non conosce limiti.».
E Shoto aveva preso ad appoggiare totalmente ma silenziosamente Fuyumi in quella sua affermazione, perché lo stava sperimentando sulla propria pelle.
Ma ora che aveva capito che lo amava, il problema rimaneva se dirglielo o meno.
Shoto voleva confessarglielo perché era certo che non poteva vivere con simile peso nel petto: non volela lacercarsi l'animo perché doveva mantenere anche nell'intimità un simile segreto.
Almeno, non voleva tenerlo nascosto al destinatario di simile sentimento.
Non sapeva se Izuku ricambiava, misericordia, non sapeva neppure se al verdolino interessassero i ragazzi in quel modo!
Sperava solamente che Izuku dimostrasse la sua solita gentilezza, che secondo lui il mondo non era degno di ricevere, e che non lo allontanasse o lo etichettasse. Il secondo gesto era meno probabile, ma ciò controbilanciava il primo, una ipotesi monito di perenne di paura.
Ovviamente, glielo avrebbe voluto dire in modo adeguato, speciale, intimo, ma non sapeva quando quel momento si sarebbe palesato, se mai ci sarebbe ipoteticamente stato.
Anche perché Izuku gli era parso così distante negli ultimi tempi e aveva il timore che si stesse sentendo in colpa per quello che gli dicevano a scuola.
Ma Shoto avrebbe voluto dirgli "candidamente" che del giudizio degli altri se ne infischiava completamente perché per lui valeva solo Izuku.
Come si può facilmente intuire, Shoto non aveva abbastanza sfacciataggine da dirglielo (o esprimergli alcunché) e si limitava a stargli vicino, provando a farlo ridere e sorrdere; scoprendo che suddette azioni stavano diventando man mano più difficili.
Ciò non portava che ad alimentare il suo lato insicuro, che gli urlava che mai sarebbe stato abbastanza per il verdolino, perché solo chi sarebbe stato capace di confortare e strappare risate a Midoriya poteva avere la possibilità di ricevere il suo amore.
Anche il bicolore stesso sapeva di star ingigantendo e teatralizzando la cosa, ma quello che provava per il verdolino era così forte che gli sembrava impossibile non concepirlo che in quel modo.
E mentre Shoto idealizzava il suo amore come solo certi antichi poeti sapevano magistralmente fare, Izuku lasciava che il suo sangue macchiasse il lavandino del bagno di casa.
Perché quello che provava era così forte che doveva essere esternato. Peccato che nel suo caso non fosse amore per un altro, ma solo odio per sé stesso e arrendevolezza verso il mondo attorno.
Un binomio che può portare all'assoluta disgregazione di una persona.
N/A: preparativi gente, il peggio deve ancora venire~
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