𝟏.𝟏 "Il jackpot del destino"



𝟏.𝟏

𝑳𝒐𝒗𝒆𝒓𝒔 𝒃𝒚 𝒄𝒉𝒂𝒏𝒄𝒆
(Amanti per caso)

Attenzione: presenza di molti "pov" differenti.

Un noto imprenditore annuncia, nelle proprie volontà, che darà la propria fortuna al primo nipote che si sposerà e avrà un figlio... Ed è questo che spinge Catherine ad organizzare una serata al "buio" per suo figlio Lucas con una vecchia conoscenza, dei tempi del college. D'altra parte, anche Geraldine farà incontrare sua figlia con un medico...

Jacob

"Oh, tesoro. Ti trovo bene." si complimentò sorridendo all'altra, sedute sul divano.

"Grazie, cara... Anche tu." sobbalzò lentamente. "Ci dispiace molto per la vostra perdita e di non essere stati lì a sostenervi in quel momento."

Alzai gli occhi al cielo mentre sistemavo il nodo della cravatta, cercando di contenere l'ansia che mi attanagliava lo stomaco.

"Non importa."

"Siamo desolati." aggiunse l'altro, mentre mia madre mostrava un'espressione afflitta e stringeva la mano di mio padre.

Li fissai celando la mia ilarità, dato che eravamo lì per uno scopo diverso.

"E dov'è Glenna? Non è a casa?"

"È nella sua stanza che legge. Appena ha saputo che sareste venuti, anzi che Jacob sarebbe venuto era fuori di sé dalla gioia. Povera ragazza, quando il fidanzamento è stato interrotto, non è più voluta uscire dalla sua camera!" affermò rivolgendomi uno sguardo spaventato. "Stava quasi per impazzire. Era orribile vederla in quello stato..."

Ridacchiai e mi piegai per prendere il bicchiere, ma improvvisamente il lampadario cominciò ad oscillare.
Mi sporsi per osservare l'increspatura dell'acqua contro il vetro, poi alzai il naso verso il soffitto con sgomento.

"Sta arrivando!"

"Chi sta arrivando? Un elefante?" dissi ironicamente, mentre i miei genitori spalancarono la bocca fulminandomi.

Improvvisamente una donna racchiusa in un striminzito tubino appariscente scese le scale e mi scrutò come fossi un insetto da schiacciare. Le ragguardevoli dimensioni del suo bacino, o del corpo in sé, riempivano pienamente quel tessuto facendola somigliare a un barile. 

Letteralmente.

Il sorriso mi morì sulle labbra e avrei desiderato sparire in una voragine, fino agli strati più profondi della terra.

"Elefante?" si indicò. "Tu hai osato chiamarmi elefante?"

Scossi la testa per accennare un "no", dato che la mia facoltà di parlare era andata a farsi friggere. I presenti guardavano la scena stupefatti.

"Mi ha dato dell'elefante?!" scese le scale con la stessa grazia di un martello pneumatico. "Come ti sei permesso!? E tu somigli a un orrendo topo!" Mi mossi convulsamente sulla poltrona mentre si piegava verso il mio volto, mostrando il pugno chiuso e pronto a colpirmi. "Brutto idiota! Ripetimelo in faccia se hai il coraggio!"

"Glenna cara, calmati. Quale elefante? Elefan-..." provò a dire mia madre incrinando la voce, mentre la donna ruotava il viso nella sua direzione come una bambola posseduta.

"Glenna..." Le suggerí di rimando papà.

"Glenna. Glenna. In realtà, voleva dire Glenna."

"Infatti. E hai sentito elefante? Ma dai." Continuai con le mani tese mentre i suoi tratti si distendevano piano e le spuntava addirittura un sorriso. "Suona un po' come elefante?" rilassai le spalle mentre il cuore martellava nel petto. "Ma ho detto Glenna... e se anche l'ho pensato, ti chiedo scusa." Mi sorrise, tanto che credevo le si fosse bloccata la mascella in quella posizione.

"Tesoro, hai frainteso. Ha di certo detto Glenna." confermò anche la madre, dando una gomitata al marito.

"Glenna! Ha detto Glenna!" concordò.

Si girò verso di me, puntandomi addosso uno sguardo pacifico, ben lungi da quello di prima dove credevo che fosse arrivata la mia ora.

"Scusami per il malinteso. Di solito non reagisco così, ma di recente il mio cuore si è spezzato. Cercherò di essere più calma d'ora in poi."

Non so quale fosse la sua intenzione o se mi avesse spaccato davvero la faccia, ma preferii non sfidare la sorte.

Sollevai le mani. "Per la mia salut..." poi mi corressi. "Volevo dire, sono d'accordo."

"Quindi, ti va di cominciare dall'inizio?" nella stanza non si sentì volare una mosca, ma non mi stupiva visto l'instabilità del suo carattere. "Ciao, sono Glenna." ci scambiammo una stretta di mano.

"Jacob."

Mi regalò un ultimo sguardo prima di sedersi con un tonfo sulla poltrona di fianco.

"Ho quasi causato il nostro primo malinteso, papà."

"L'ho visto." rispose a denti stretti.

Lei, intanto, mi fissava affascinata sorreggendosi il mento con una mano, mentre trattenevo a tutti i costi una smorfia di disgusto.

Davvero era "lei" la donna che sarei stato costretto a sposare?

Il solo pensiero mi mise i brividi.












Lucas

Alla fine, ero caduto in quella trappola e nonostante non avessi voglia di assecondare l'ossessione di mia madre, avevo dato la mia parola. Sarei andato a quell'appuntamento e avrei incontrato una donna che dai tempi del college non avevo più frequentato. In tardo pomeriggio rientrai dall'ufficio e mi feci una doccia per rendermi presentabile.

Non conoscevo nessun particolare della donna, ma mi auguravo caldamente che la descrizione corrispondesse alle parole di mia madre. L'avrei vista direttamente al tavolo di un ristorante, speravo una sola volta. Il matrimonio non era una prerogativa della mia vita.

Scelsi minuziosamente l'abbigliamento, anche se in realtà la mia scelta si ponderava su uno stile classico ed elegante. Dopotutto quella donna diabolica aveva prenotato in uno dei ristoranti lussuosi di New York.

Dovevo solo farsì che si annoiasse e girasse i tacchi, poi sarei stato libero dai miei obblighi per la famiglia e per la questione dell'eredità.













Amybeth

Nonostante i miei sforzi di convincerla che la mia decisione era definitiva e non intendevo trovarmi nessun marito, lei mi aveva organizzato una serata romantica. Avrei incontrato quel dottore, aveva concordato tutto alle mie spalle e la mia voglia di andarci era scesa al di sotto dello zero nel tardo pomeriggio.

Visto che aveva giocato al 'cupido' estromettendomi da quella decisione, ero decisa a fargliela pagare. Afferrai con stizza una camicia bianca - sì, al diavolo la femminilità - e cominciai ad abbottonarla bottone per bottone con stizza.

"Amy, cos'è questo look?" chiese Kyla facendo capolino dal corridoio, mentre abbassavo il colletto e stiravo le pieghe che si erano create. "Indosserai questo per la cena?"

"Sì, cosa c'è di sbagliato?"

Inarcò un sopracciglio squadrandomi dall'alto verso il basso. "Non è adatto ad una cena. Troppo largo, troppo sciatto e sportivo. Sembra che tu debba correre una maratona." girò il pollice verso il basso come se fossimo in un'arena. "Il tuo senso della moda fa schifo!"

"Ma che cosa dici, sciocca?"

"Toglietelo! Conciata così non andrai da nessuna parte." Ordinò, per poi infilare la testa nell'armadio alla ricerca di qualcos'altro.

"Kyla, smettila! Esci fuori. Non ho bisogno dei tuoi consigli."

In fondo ero comoda e non m'importava ciò che avrebbe pensato quell'uomo, quando mi avrebbe visto. Pregavo mentalmente che sarebbe scappato a gambe levate di fronte alla mia trasandatezza e pessimo gusto nel vestire.

"Sorellina, guarda questo?!" alzai il viso, vedendole tra le mani un abito elegante e scollato, proprio il tipo che non avrei indossato. "Dici che non è il tuo stile, eppure hai tutti questi abiti." Roteai gli occhi e sospirai pesantemente. "Grazie a Dio, tua sorella è un'esperta di moda. Vieni con me." Mi prese la mano ed esortò a seguirla.

"E dove?" la bloccai.

"È tutto sotto controllo, Amy. Sarai così bella che il dottore non potrà staccarti gli occhi di dosso. Te lo garantisco."

"Oh, Kyla..." sbuffai mentre mi trascinava con sé fino alla sua cabina armadio.

Spalancai gli occhi nel vedere la quantità industriale di abiti che possedeva, aveva svaligiato interi negozi d'abbigliamento probabilmente.

Mi girava la testa.

Più che principessa, avrei voluto essere una strega brutta e rachitica, così mia madre non avrebbe avuto tutta quell'ossessione di farmi sposare con il primo che le capitasse a tiro.

"AB, l'importante è avere fiducia."

"Sono d'accordo." sbattei le mani contro i fianchi ormai rassegnata al mio destino infausto, e sgranai le palpebre quando mi agitò sotto il naso un reggiseno troppo provocante per i miei gusti. Cercai di strapparglielo dalle mani, ma invano. "Non essere sciocca, non lo indosserò."

"Forse il dottore ti farà una piccola visita." sussurrò ammiccando nella mia direzione.

"Se si azzarda a provarci gli spezzo il collo." dichiarai agitandole un dito in faccia.

"Come vuoi. Non lo metterai."

Sospirai un'altra volta alzando gli occhi al cielo. "Oh, Dio!"

Perché dovevo finirci io in questa situazione...

Dopo poco scelse un vestito rosa confetto, ero inguardabile, non s'intonava assolutamente al mio incarnato pallido o ai capelli rossi. Me lo appoggiò addosso osservandolo attentamente.

"Troppo lungo, insipido."

Poi ne pescò un altro, nero come il carbone.

"Troppo corto, mi si vedono le gambe..."

E un altro, di tre colori differenti.

"Troppe strisce. Sembro un quadro di Picasso." puntellai le mani sui fianchi e lei sbuffò.

"E di questo che ne pensi?" Afferrò un'altra gruccia, e come gli altri me lo pose addosso. 

Io a quella serata nemmeno volevo presentarmi. Era soltanto una perdita di tempo ed energia, non avrei indossato niente che potesse piacere a quel dottore.

"Dai, muoviti." Mi esortò a scendere, guidandomi saldamente con la mano per evitare che inciampassi.

"Piano, Kyla. Rallenta." 

Nostra madre era felice e si fermò vicino alle scale, aveva un sorriso sornione stampato sulle labbra. Il mio piano di darle un dispiacere e farla rimpiangere di avermi infilato in questa situazione era fallito. 

"Brava, Kyla." squittì emozionata mentre mettevo il piede sull'ultimo scalino e mi riversavo i capelli sulle spalle scoperte. "Hai fatto un miracolo! E' proprio splendida tua sorella. Lo sapevo, sei la migliore..." La guardai seccata, i lineamenti contratti e la fronte corrugata. "Perché questa faccia tesoro?" mi chiese avvicinandosi e accarezzandomi il viso con dolcezza. "Guardati, Amybeth, sei così bella."

"Grazie, mamma. Adesso devo andare." dissi, pettinandomi i capelli con la mano e muovendo un passo verso l'ingresso.

"Aspetta Amy. Per favore, non dire sciocchezze e comportati bene." Portò le mani all'angolo delle labbra per alzarmi i bordi e increspai un sorriso, anche se sembrava così innaturale da fare concorrenza all'espressione apatica di una bambola assassina. "Sorridi un po'. Sii gentile, culturale..." distolsi lo sguardo. "Un secondo... non dirgli che sei senza lavoro, altrimenti penserà che sei interessata ai suoi soldi. Avrà già avuto a che fare con una donna con la nostra situazione finanziaria."

"Mamma, perché dovrei dirgli una bugia?"

"Era una mia tattica. Ognuno di noi ha le proprie esigenze e sto solo cercando di migliorare il tuo profilo economico."

"Ma in questo caso, sono io la merce che stai vendendo." le feci notare bruscamente, guardandola negli occhi.

"Sì... ma ora vai. Non vorrai farlo aspettare?" mi spinse gentilmente con una mano dietro la schiena, facendomi strada fino alla porta d'ingresso.

Dovevo stare attenta a non scivolare a causa dei tacchi, e più che una donna sofisticata ed elegante, somigliavo a un pinguino con la scoliosi.

"Mamma?" Mi girai nuovamente.

"Cosa c'è, tesoro?"

"Se non mi piace questo ragazzo, non mi costringerai a rivederlo ancora! Vero? L'hai promesso!"

"Prima di tutto, vediamo come andrà il primo incontro." rispose sorridendomi.

"Mamma, non hai qualche foto di lui?"

"Lui ti ha vista. Ho dato una tua foto a sua madre dieci anni fa."

"Non è possibile!" sbottai portandomi una mano alla fronte mentre Kyla sghignazzava ferma alla soglia. "Allora sembravo un ragazzo, avevo i baffi e i denti storti."

"Eri così carina anche da ragazzo e nonostante tutto ha accettato di incontrarti. Niente gli potrebbe impedire di farti la proposta di matrimonio, dopo averti visto con i baffi e la macchinetta."

"La mamma ha ragione."

"Vostra madre ha sempre ragione." ribadì con determinazione, prendendomi per le spalle. "Non tenerci sulle spine e scrivici un messaggio." mi alzò il pollice contro il viso. "Se va tutto bene mi mandi uno smile, e capirò immediatamente." Sbuffai. "Dai, cara. Sarà sicuramente un trionfo."

"Prima di tornare, non dimenticare di scattare qualche foto." mi ricordò Kyla emozionata e su di giri.

"Va bene, Ky, va bene." dopo essermi voltata verso la strada, ancora illuminata dalle ultimi luci del giorno, spostai il viso tirato su quello di mia madre. "Mamma?" mormorai.

"Sì, cara?"

"Il nome del ristorante?"

"Dio, te l'ho ripetuto un centinaio di volte. Basta, un locale italiano." scossi il capo. "E il nome dell'uomo è Lucas Andrews."
Poi si infilò la mano nella camicia tirandone fuori una spilla e me l'appuntò sul petto. "Bene, ora puoi andare, tesoro."

"Mamma, potresti almeno darmi una foto di lui, almeno potrò riconoscerlo."

"Amybeth..."

"Non capisco perché non puoi darmi una foto? Sicuramente è brutto e-!"

"Vai."

"Va bene." risposi dando le spalle ad entrambe e aggrappandomi automaticamente al muro mentre scendevo quella dannata scarpata. "Com'era il suo nome?" pensai, mentre stringevo la borsetta nelle mani. "Lucas Andrews... Basta."

Cosa poteva capitare di più orribile?














Lucas

Controllai l'orologio sul polso prima di dirigermi verso la porta d'ingresso.

"Lucas?" mi sentii chiamare mentre sfioravo la maniglia, e voltandomi vidi mia madre venuta a sincerarsi se avessi rispettato il nostro accordo.

"Stai andando?" si fermò di fronte a me mentre infilavo le mani nelle tasche.

"Sì, mamma."

"Ho prenotato al Basta. Il tuo ristorante preferito." sussurrò strofinando la mano sulla mia giacca.

"Okay."

"Aspetteremo buone notizie."

"Davvero? Io non mi farei illusioni."

"Siamo ottimisti." Mormorò e mi strinse in un abbraccio affettuoso. "Lo sai che ti vogliamo bene."

"Lo so, mamma."

"Vogliamo solo la tua felicità."

Le lasciai un bacio sulla fronte, e mi guardò speranzosa, poi mi chiusi la porta alle spalle.

L'autista era appoggiato alla portiera e stava parlando animatamente con qualcuno, poi staccò e infilò il cellulare nella tasca interna e si girò, tirandosi leggermente la giacca.

"Sei ancora qui? Non sei tornato a casa?" domandai mentre mi avvicinavo a passo svelto.

"La porterò dovunque desideri. Sono a sua disposizione."

Mi fermai. "Non serve, andrò da solo. Hai la giornata libera."

Si appoggiò alla portiera con il fianco. "Uhm, deve incontrare una ragazza... Ora capisco." Lo fissai sorpreso, non so perché avesse quell'espressione ammiccante stampata sulla faccia. "Beh, se le serve qualcosa mi chiami a qualsiasi orario."

"Non preoccuparti." Risposi, poi m'infilai in auto e partii, lasciandomi alle spalle il patio.


***

"Buonasera, signor Zumann." un uomo in giacca e cravatta, con fra le mani un blocchetto mi fermò appena varcai l'entrata.

Gli feci un cenno con la testa.
"Le abbiamo riservato un tavolo per due."

"Sì, sto aspettando una ragazza. Per favore, l'accompagni al tavolo quando arriverà."

"Certo, sarà fatto."

Lo superai e mi inoltrai fra gli altri tavoli.








Amybeth

Accidenti! Finirò per fare ritardo e darò sicuramente una brutta impressione.

Questi erano i pensieri che si confondevano nel cervello insieme al rumore dei tacchi sull'asfalto. Cercai di correre più in fretta, anche se quelle scarpe mi rendevano difficile essere naturale ed elegante. Scesi il marciapiede e attraversai la strada, mentre una macchina per poco non mi investiva strappandomi un urlo di terrore, mentre appoggiavo la mano sul cofano.

Sospirai sollevata mentre i capelli mi erano finiti davanti al volto.

"Stai bene?" fu la domanda che mi rivolse la ragazza castana alla guida mentre tendevo la mano in avanti, agitandola contro il muso della sua macchina.

"Sì, sì, scusami tanto." mi affrettai a dire, mentre raggiungevo il marciapiede dalla parte opposta lasciando la macchina dietro di me ferma nel bel mezzo della strada.

Sì, Amybeth l'ultima cosa che ti mancherebbe è finire all'altro mondo.

Entrai immediatamente venendo subito accolta da un gentiluomo, vestito di tutto punto. Gli feci un sorriso cordiale, stringendo la borsetta fra le dita.

"Signorina, ha la prenotazione?" mi domandò mentre mi avvicinavo a lui, scrutando incuriosita i vari tavoli che abbellivano la sala.

"Io..." chinai lo sguardo per riflettere, strofinandomi il collo. Com'era? Com'era il suo cognome? Possibile che l'avessi dimenticato durante il tragitto? "Lucas..."

"Lucas Zumann?" mi suggerí l'uomo, gettando un'occhiata alla lista. Sorrisi. "Il signor Zumann è appena arrivato. Venga che la conduco al tavolo."

"Grazie." dissi seguendo il cameriere e piegando la testa mentre pregavo mentalmente di riuscire a raggiungere il tavolo senza incespicare con quei maledetti tacchi. Sembrava che tutti i presenti mi stessero osservando come fossi un'attrice da red carpet, quando invece ero solo un'equilibrista che non sapeva muovere un passo senza zoppicare.

"Signor Zumann, la sua ospite è arrivata." disse il cameriere all'uomo, che non avevo osato inquadrare.

"Sì, grazie." fu la sua risposta coincisa. A quel punto, guardai dritto davanti a me e lo vidi, spalancando leggermente le labbra, e restando per un attimo immobile di fronte a quell'uomo fasciato in un abito blu, con le mani poste rigidamente sul tavolo e l'espressione seria e imperturbabile.

Mi avvicinai piano ancora stordita, e si mise in piedi a sua volta, allungandomi la mano.

"Ciao. Quanto tempo."

Gli diedi la mano quasi senza rendermene conto, ammaliata dalla sua presenza.

Alzai gli occhi, osservai il suo mento privo di qualsiasi peluria e la profonda massa di capelli ricci, che gli sfioravano appena la fronte, ribelli e indomiti.

"Non stare in piedi, siediti."

Gli sorrisi grata della sua gentilezza e cercai di sedermi, ma nel farlo stavo per scivolare se non mi avesse afferrato il braccio. Stavolta i nostri occhi erano a un palmo di distanza, potevo vedere le sfumature verdi che baluginavano nei suoi occhi e restai inerme a scrutarli.

"Stai bene?" chiese lui.

Scossi il capo e deglutii un fiotto di saliva.

I suoi occhi, Amybeth.

Abbozzò un sorriso. "Siediti, ti prego."

Mi aiutò a sedermi poi prese posto di fronte a me, mentre riversavo l'ansia nei lunghi sospiri che traevo.

Cercai di ritrovare il contegno e mettermi a mio agio, mentre mi strofinavo il lobo dell'orecchio.

Oh, beh, è molto meglio di quanto avrei potuto immaginare... Chi l'avrebbe mai detto? Davvero ha questo aspetto?

L'osservai e mi dissi di ridere, cercare di essere adorabile.

Una smorfia mi curvò la bocca, strofinandomi la mano sulla nuca.

Ma se rido troppo, crederà che sono pazza. Distolsi lo sguardo, puntandolo altrove. Mi piace troppo, mamma.

Mi sorrise di rimando e piegai la testa mentre sentivo le guance prendere calore.

"Oh Dio... gli piaccio?" pensai, inclinando la testa mentre continuavo a giocherellare con il pendente.

Improvvisamente uno dei camerieri si avvicinò, portandoci la brochure. Lui l'aprì immediatamente scorrendo con gli occhi il contenuto.

"Vuoi dello champagne?"

"Preferisco di no." gli risposi, dopo un attimo di esitazione.

"Davvero?" alzò un sopracciglio. "Perché?"

"Non mi piace bere prima di mangiare."

Sarebbe più corretto dire che non reggo l'alcol.

"Ho capito." Aveva l'aria amareggiata.

Mi rivolsi al cameriere. "Può portare qualcosa di analcolico, magari un cocktail alla frutta?"

L'uomo annuì.

"E per lei signore, il solito?"

"Sì."

Chiusi gli occhi e strinsi le labbra.

Mi chiedo come appaia con il camice bianco. Dio, avrei dovuto fare la facoltà di medicina.

Lo scrutai con la coda dell'occhio mentre sistemava il colletto della camicia.

Sarebbe fantastico. Un tipo come lui oltre che bello anche inteliggente. Quando torno a casa, bacerò i piedi a quella donna.



Lucas

Distolsi lo sguardo dalla ragazza che mi trovavo di fronte e mi faceva dei sorrisi strani e indecifrabili.

"Decisamente non è il mio tipo. È così palese. È più fiduciosa e sicura di sé, probabilmente da quando studiava a  Parigi. Ora sembra una donna.

Continuai a guardarla per cogliere una somiglianza con la persona che ricordavo, ma lei era talmente diversa da sembrare un'altra persona.

"Sei molto cambiata rispetto a dieci anni fa."

"Molto meglio. Sono contenta che quella fase sia passata. Non mi manca."

M'incuriosiva. "Raccontami un po' di te."

Mi sorrise, fissandomi per un po'. "Bene."

Il cameriere ci interruppe portandoci i cocktail e la prima portata, prima di allontanarsi per servire gli altri clienti.

"Così hai studiato a Parigi."

Mi guardò, stava deglutendo un boccone di cibo, quando tossí rumorosamente tappandosi la bocca. L'afferrai per il braccio, mentre bevve in unico sorso l'intero cocktail verde.

"Stai bene?"

Smise di bere e slegai il contatto con la sua mano, mentre appoggiava il bicchiere in un tonfo.

"Cos'è questo? Ha un sapore strano." si portò la mano alla bocca.

"Se vuoi ordino qualcos'altro." alzai il dito per richiamare il cameriere e intanto la tenevo d'occhio.

"No, il prossimo potrebbe essere peggio." strillò e abbassai il braccio. "Questo è abbastanza buono, non importa."

La squadrai, piegando la testa. "Okay."

"Dov'eravamo rimasti?" domandò.

"Parlavamo dei tuoi studi a Parigi."

Lei fece un cenno con la mano. "Potresti dire..."

"Potresti dire?" Ripetei sorridente.

Sembrava piuttosto a disagio e accaldata, mentre si muoveva la cascata di capelli rossi da una spalla all'altra.

"Ancora?" chiese il cameriere piegandosi per portare via il bicchiere, ma lei lo bloccò. "Aspetti, non l'ho ancora finito." e ne tracannò un altro sotto lo sguardo sorpreso dell'uomo. "Un altro, la prego." Poi mi rivolse di nuovo l'attenzione. "Okay, voglio essere onesta con te..."

"Dimmi."

"Mia madre ha esagerato. Ha organizzato quest'incontro e mi ha costretto a venire qui contro la mia volontà."

"Eccellente! Siamo nella stessa situazione. Ora posso tirare un sospiro di sollievo! Non devo pensare a come uscire da questa situazione senza offenderti." Il sorriso di lei si distorse in una smorfia, e annuì. "È impossibile che accada qualcosa fra di noi."

Era amarezza e delusione quello che avevo letto sul suo viso?

Appena il cameriere portò un altro bicchiere, l'agguantò dal vassoio e gli sussurrò un "grazie" sbrigativo.

"Non fraintendermi. Sei una ragazza dolce e con un cuore puro, e spero che questa opinione sia reciproca."

"Non preoccuparti. Scusami." rispose asciugandosi la bocca con il dorso della mano. "Sono d'accordo con te."

"Perfetto."

"Andiamo via? Saltiamo la cena... Su, andiamocene. Non sarà un problema?"

"Non avere fretta. Prima mangiamo, poi andremo via."

"No." insisté, bevendo un altro sorso. "È meglio andarcene."

Avevo la netta sensazione che avesse alte aspettative riguardo al nostro incontro.

"Come preferisci." Mi piegai verso di lei. "Grazie per aver capito. Quando hai detto che volevi essere sincera, anch'io avrei voluto." Mi mostrò il pollice. "Davvero non ti dispiace?" Annuì, riprendendo a bere.

Alzai un dito. "Cameriere."

Si guardò intorno muovendosi sulla sedia mentre si sventolava con la mano il viso.

"Non fa caldo qui?"

Corrugai la fronte. "No, io sto bene."

"Perché all'improvviso..." si strofinò il collo e spostò lo sguardo sul cameriere allungandogli il bicchiere con difficoltà. "Può portarmene un altro?"

"Un altro?"

"Soltanto uno..." Cantilenò indicando la quantità con indice e pollice.

"Okay..."

Dopo un po', persi il conto di quanti drink si era tracannata. Continuava a ridacchiare e agitare le mani per aria, tanto da attirare l'attenzione dei tavoli vicini. Mi passò il bicchiere e bevvi un sorso nascondendo un sorrisetto.

La scrutai, l'espressione brilla era un eufemismo. Probabilmente non riusciva a distinguere nemmeno i lineamenti di chi ci circondava.

"Sono così annoiata." le scappò una risatina. "Ora mi alzo! E me ne vado." tentò di alzarsi dalla sedia barcollando e inciampò sul gradino finendo a terra.

"Stai bene?" chiesi perplesso, guardandola mentre si sollevava e si girava per farmi un cenno con il dito.

"Tutto a posto." annunciò, spostandosi i capelli dal viso. L'affiancai afferrandole il braccio. Non riusciva a stare in piedi senza barcollare. "Sto bene..." ripeté, con addosso tutti gli occhi dei presenti.

Maledetto il giorno in cui ho dato retta a mia madre. Accidenti...

"Su, andiamo." sussurrai, guidandola attraverso i tavoli, ponendo l'altra mano sul suo fianco. Nel tragitto non faceva altro che sciorinare discorsi senza senso, disturbando gli altri tavoli ed ero costretto a scusarmi.

Improvvisamente mi bloccai.

"Hai la macchina?" domandai, ma non mi degnò di una risposta. "Stupida domanda." rise di gusto, coprendosi le labbra con la borsetta. "Come saresti in grado di guidare in questo stato? Non importa, andiamo, guiderò io."

Insieme oltrepassammo le porte del locale per raggiungere la mia auto.






***

Accese lo stereo a tutto volume, lasciandosi catturare dal ritmo grazie anche all'alcol che le circolava nelle vene. L'osservavo divertito, mentre tenevo d'occhio la strada.

"Dottore... ammetto che hai una bella macchina lussuosa. Posso chiedere, quant'è lo stipendio di un medico?" chiese sporgendosi verso di me.

"Dottore? Che dottore?"

"Sì, è quello che ti ho chiesto. Sei un dottore." ripeté, abbandonandosi sul poggiatesta mentre si portava la mano alle labbra. Poi si rialzò cercando di tirare la cerniera del vestito. "Perché fa così caldo! Soffoco."

"Aspetta, stai ferma!"

"Apri il finestrino." mi ordinò.

"Aspetta! Non essere sciocca. Non farlo..." ripetei, tenendo d'occhio la strada.

"Lo farò invece, se non apri il finestrino."

Allungai una mano nella sua direzione mentre colpiva il tettuccio apribile con le mani sopra le nostre teste. "Stai ferma, adesso te lo apro."

"Apri, voglio divertirmi!"

Le presi le mani per impedirle di distruggermi la macchina.
"Okay, aspetta! Te lo apro."

Stava diventando ingestibile e capricciosa. Premetti il pulsante ed esultò come una bambina.

Scattò in piedi sul sedile sgusciando fuori, agitandosi e ruotando le braccia, mentre si lasciava cullare dal vento.

"New York sei ai miei piedi!" strillò a pieni polmoni. "Sai una cosa, dovresti unirti a me." e continuò a ballare su un'improvvisata pista da ballo.

"Dove?"

"Quassù!"

"E chi guiderebbe la macchina?"

"Non ha importanza."

Continuava a ridere, a divertirsi, barcollando da una parte all'altra eccitata come una bambina al parco giochi.

"Faresti meglio a scendere!" le consigliai, mentre lei mi ignorava. "Dai, scendi."

Nonostante il mio consiglio, continuò imperterrita a ballare. Non ero seccato per il suo comportamento sconsiderato, avrebbero potuto farci una multa, ma lei se ne sarebbe fregata altamente.

"Vieni su!"

"Siediti, potresti cadere."

"Dai, vieni su per favore!" continuò a saltellare, ormai ogni fibra del suo corpo gridava prepotentemente a una notte di brio e divertimento.


***


Il posto grondava di corpi e sudore, una musica assordante e ai massimi decibel ci investí totalmente al nostro ingresso. La pista diventò improvvisamente il suo palcoscenico, costringendomi ad assecondarla in un contesto passionale e senza alcun freno. Con la musica alta e la sala immersa in un'atmosfera cupa, rischiarata dalle luci psideliche, mi sentii afferrare per le spalle e venire trascinato sul palco. I suoi capelli mi ondeggiavano sotto il naso e mi sorrideva come rapita, togliendomi la giacca. Ondeggiavo insieme a lei, con i nasi a pochi centimetri e i suoi sorrisi sfrontati.

Una scintilla d'energia e passione sfrenata annullò totalmente il nostro cervello, spingendoci oltre ogni limite.

Dopo qualche ora, eravamo seduti su un divanetto in pelle e avevo la testa riversa sullo schienale, mentre lei era al mio fianco con i suoi fiammeggianti capelli rossi e tra le mani l'ennesimo drink.

"Per esempio," iniziò, con aria scanzonata tirandomi l'orecchio. "Se volessi prendere un appuntamento, te lo dirò in un orecchio. Se volessi prendere un appuntamento, ma non né ho bisogno." Poi si accostò più a me. "Posso vederti senza appuntamento?"

Annuii con un sorriso. "Sì, se questo è ciò che vuoi."

Improvvisamente, mi indicò un punto della sala. "Ti piace quella ragazza?" Guardai incuriosito e sbatté il bicchiere sul tavolo. "Siete tutti uguali voi uomini!" mi urlò contro, mentre si alzava barcollante, ma prontamente l'afferrai per il braccio facendola ricadere al mio fianco.

"Non mi piace quella ragazza, calmati."

Slegò bruscamente il contatto.

"Perché non potremmo?" si avvicinò guardandomi negli occhi e la spinsi sul mio petto abbracciandola. "Perché non puoi? Potremmo stare bene... Penso che in qualche modo potrebbe funzionare."

Si spostò da me sbuffando e cercò di andarsene, ma le strinsi la mano.

"Aspetta." Scattai in piedi mentre lei mi guardava socchiudendo un po' gli occhi assonnata. "Ti accompagno."

Ridacchiò. "Wow... grande, ma non guardare lì..." indicò una direzione. "Oppure da quell'altra parte."

***

Mi fermai nel corridoio dell'hotel della mia famiglia in cui ci eravamo rifugiati, ruotando e ridendo senza sosta, mentre gettava la testa all'indietro.

"Il mondo gira... e gira." Poi si rialzò arpionando le mani attorno al mio collo e fissai una targa verde.

"Uscita d'emergenza?"

"Uscita d'emergenza! Devo uscire da qui immediatamente!" Si lasciò cadere all'indietro canticchiando qualcosa d'incomprensibile alle mie orecchie.

Le indicai qualcosa sul muro. "Guarda..."

"E chi è?" Domandò.

"Mio zio." Risposi.

"Zio?"

"Zio, zio apri. Dobbiamo parlare."

Camminai a passo svelto verso una schiera di porte, mentre dondolava i piedi su e giù nascondendo il viso nell'incavo del mio collo.

"40." Poi si voltò verso quella opposta. "409... qui!"

"Va bene."

"Ok?" Si girò.

"Ho la card."

"Ah, sei così... forte."

"Apri..."

Mi tastò la giacca e tirò fuori dalla tasca la card dandomi dei pugni leggeri sul petto mentre mi chinavo per fargliela strisciare.

"Non riesco ad aprire..." Bofonchiò rumorosamente.

"Non è questa la carta?" Chiesi confuso.

"No, è quella di credito." Poi urlò senza freni nel bel mezzo di un corridoio deserto mentre la porta si apriva.

"Che stai facendo?"

"Aperta! Aspetta, aspetta!" Esultò mentre varcando la soglia con lei fra le braccia a mo' di sposa.




























***

Mi svegliai placidamente, ero frastornato, mentre le luci del primo mattino penetravano nella camera illuminandola. Spalancai gli occhi faticosamente mentre sentivo la vibrazione del cellulare sul comodino.

Non mi mossi da quella posizione, ignorando chi mi stesse chiamando, ma improvvisamente mi resi conto che tra quelle lenzuola non ero solo.

Piegai la testa e notai degli inconfondibili capelli rossi che mi solleticavano il petto, mentre la sua mano era posata su quest'ultimo.

Mi sollevai piano ed ero nudo.
Una consapevolezza mi colpí come una sberla, scacciando via l'intorpidimento iniziale. Abbandonai la testa sul cuscino, guardandomi intorno e mi resi conto di aver perso molti pezzi.

Sgusciai via dalle lenzuola, togliendo quelle mani dal mio corpo e lei si girò dall'altra parte, continuando a dormire.

Oh, no... Cosa diamine era successo?

Infilai i vestiti della serata precedente e presi il cellulare, notando che avevo inserito la modalità silenzioso e che stava squillando in quel momento.

Mi portai una mano alla fronte e mi voltai per guardare la ragazza con cui probabilmente era capitata più di una sbornia o di una serata in discoteca.

"Sì, mamma?" risposi, con il cellulare premuto all'orecchio.

"Lucas? Tu e Shannon non vi siete incontrati ieri?"

"Che vuoi dire?"

Sospirò. "Ha avuto un incidente d'auto ieri mentre ti stava raggiungendo. Ma quando è arrivata al locale non c'eri più. Perché non l'hai aspettata? Ti ha anche chiamato, ma non hai risposto."

Restai immobile smettendo di armeggiare con il bottone del pantalone. "Mamma, sei sicura?"

"Certo. Shannon è proprio qui di fronte a me e me l'ha detto." parlò a denti stretti.

Sgranai gli occhi. "Un attimo? Shannon è con te." mi strofinai la mano sulla faccia. "Mamma, dille che la chiamerò più tardi, okay?"

Staccai la chiamata mentre stava ancora parlando, e fissai inebetito la ragazza dai capelli rossi, ancora nel mondo dei sogni.

"Se Shannon è con mia madre, chi è questa ragazza?" mi dissi con il respiro che cozzava fra i denti e la consapevolezza di aver fatto qualcosa per cui me ne sarei pentito. "Non ci credo." sussurrai fra me, stringendomi i capelli fra le dita. "Cos'hai fatto Lucas? Sei un imbecille. Cos'hai fatto?"

Lucas cosa accidenti hai combinato?!

Afferrai la giacca, recuperai le scarpe dal pavimento e scesi di fretta le scale.

Ero in guai seri.













Amybeth

Quando spalancai gli occhi, sopprimendo uno sbadiglio, la realtà mi si abbatté addosso come un treno in corsa. Sgranai gli occhi e mi sollevai piano, non riconoscendo quelle lenzuola e quell'appartanento.

Come c'ero finita lì? Perché avevo solo una confusione spaventosa nel cervello?

Mi drizzai, c'era qualcosa che mi sfuggiva e che mi faceva battere il cuore all'impazzata. E quando mi affacciai, notando il ricciolo al piano di sotto mi sfuggí un urlo assordante, che avrebbe potuto frantumare i vetri.

"Cosa ci faccio qui?! Dove sono?!" mi alzai furibonda, coprendomi il petto con il lenzuolo, mentre lui alzava lo sguardo abbottonandosi la sua dannata camicia.

"Cosa stai facendo?" mi rimproverò. "Smettila di urlare tanto. Calmati!"

Mi spostai i capelli dalla faccia. "Cosa ci faccio qui? Perché sono qui!? Questa è una camera d'hotel e non dovrei essere qui." gli urlai contro, appoggiando le mani sulla ringhiera.

"Non lo so." rispose, puntando lo sguardo alla finestra.

Allora, io e lui...

"Mi hai fatto questo?" mi portai la mano alla fronte, mi girava la testa per le tante informazioni che mi rivoltavano il cervello.

"Smettila di urlare."

"Mi hai portato qui! Non ci posso credere..." corsi verso il letto con i nervi a fior di pelle. "Non ricordo nulla! Che cosa mi hai fatto, spudorato! Dí qualcosa! O ti uccido!" gli lanciai addosso un cuscino.

"Ma che..." bofonchiò, mentre gli tiravo un altro cuscino addosso. "Cosa mi hai fatto! Dimmi la verità!"

"Cosa fai? Non ho fatto niente." Alzò le mani in segno di resa.

"Dimmi la verità!" Stava sistemando le scarpe quando gli lanciai addosso un altro cuscino, che afferrò con una mano gettandolo sul pavimento.

Tirò un sospiro. "Cosa avrei potuto farti? E se avessi fatto qualcosa, credo che lo ricorderei." sventolò le mani per aria. "Non ricordo nulla perché non ho fatto nulla."

"Sei sicuro? Sicuro?" gli ripetei, lanciando un altro cuscino che parò.

Roteò gli occhi. "Sono sicuro. Calmati."

Sistemai il vestito. "Anche io vorrei ricordare, ma non ci riesco."

"Ma perché siamo venuti qui? Che follia è mai questa?"

"Non lo so." corsi giù per le scale, con la cerniera abbassata, e il volto contratto in una smorfia di palese disgusto.

Si avvicinò a me, con la camicia ancora aperta. "Dimentichiamoci di questa notte, okay?

"Certo." gli feci un cenno con la mano, spostando i capelli dal viso.

"Perfetto." abbassai la testa ancora sconvolta mentre lui si infilava la giacca. "Siamo entrambi d'accordo, dopo questo io e te..."

"No! Impossibile... Tu ed io?" gli feci notare, girando la faccia dalla parte opposta.

"Si, si... Sono totalmente d'accordo." stirai le pieghe del vestito. "Non ci vedremo mai più."

Non me lo feci ripetere una seconda volta e aprii subito la porta, uscendo nel corridoio con lui di fianco. Non mi azzardai a guardarlo in faccia, mentre percorrevamo gli ultimi tratti prima che le nostre strade si separassero.

Amybeth, è giusto così.

"Non ricordo come siamo venuti qui." disse lui, sistemando il colletto della camicia con smania.

"Sì! È stata pura follia." feci una smorfia, senza degnarlo di uno sguardo.

"Penso lo stesso." rispose, mentre ci fermavamo alla fine del corridoio.

"Comunque."

"È stato un piacere." aggiunse, stringendo la mia mano.

"Spero di non incontrarti mai più comunque." dissi ancora, sorridendogli.

"Addio per sempre." fece anche lui, facendomi un cenno con la mano mentre mi allontanai velocemente nella direzione opposta.

Dovevo assolutamente dimenticare.

Affrettai il passo. "È stato così vergognoso! Come hai potuto farlo Amybeth? Come?" premetti il pulsante dell'ascensore, poi un altro pensiero mi saltò nella testa. Chinai la testa in direzione della borsa. "Mia madre..."
Afferrai il cellulare e me lo portai davanti agli occhi. "48 chiamate perse! Mia madre mi ucciderà!" gettai il cellulare con noncuranza e alzai gli occhi, portandomi la mano alla fronte. "Ma chi sei Amybeth? Chi diamine sei? Sbrigati, accidenti!"















Risata malefica... riesco solo a dire "cosa avranno combinato Amy e Lucas?" e naturalmente le teorie sono ben accette. Inoltre nel cast è entrata anche Glenna (alias Tillie di Anne with an E) e udite udite anche Shannon questa volta prenderà parte alla storia...

Sono curiosa di sapere le vostre opinioni in merito a ciò che è successo alla famigerata cena.

Sono pronta ai vostri scleri, e naturalmente appuntamento ai prossimi capitoli per saperne di più sulle prossime dinamiche...

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