9. Bugie e verità
Mi sentivo strana e per la terza volta mi sciacquai la faccia con l'acqua fredda, mentre le parole di Uriel mi riecheggiavano in testa in un turbinio confuso. Mi asciugai e rimasi a osservare l'immagine riflessa nello specchio: ero io, eppure faticavo a riconoscermi. I capelli erano ancora arruffati per l'impeto del mio Angelo e il sonno inquieto, la pelle aveva ripreso il suo colorito chiaro, soltanto un lieve rossore sulle guance permaneva a ricordo dello scontro cui avevo assistito. Le occhiaie accennate, invece, testimoniavano il mio stato interiore. Passai le dita sulle labbra, soffermandomi su di loro.
Lucifero.
Di tutto ciò che avevo ascoltato la sera prima lui era in qualche modo protagonista, un filo che pareva collegare così tante cose e che, ancor più, riportava a Uriel. Non mi turbava sapere che al mio fianco avevo uno dei Serafini più potenti, almeno da quanto avevo appreso, ma mi faceva infuriare il fatto di essere stata presa in giro dalla mia stessa fede. Michael che sconfigge il drago, che vince il male e scaccia il Diavolo...
Bugie.
Quante me ne avevano raccontate e in quante avevo creduto ciecamente?
Avevo bisogno di altre risposte e le avrei cercate, ma non in quel momento, non davanti alla sofferenza e al bisogno della creatura che più amavo al mondo. Non lo avevo mai visto così fragile, nonostante tutto si era sempre imposto un certo contegno, incatenato a una parte scelta per lui. Adesso era libero e stava sperimentando il reale significato della parola libertà. Si era aggrappato a me, aveva detto che ero la sua luce, proprio come anticipatomi da Lucifero.
Ancora lui.
Erano stati creati insieme, per primi. Il nome di ogni Angelo ha un significato che riporta al suo compito, ma quale era quello di Lucifero? Lo avevano privato del suo nome e, per me, era stata una vera e propria crudeltà. Avevano proibito che fosse pronunciato e, dunque, ricordato. Avevano condannato tutto ciò che era stato prima della caduta all'oblio.
«Che succede?»
La voce profonda di Uriel mi fece sussultare e mi ritrovai tra le sue braccia. Mi resi conto di aver stretto con tale forza e per un tempo indefinito il bordo del lavandino, da avere male alle mani e alle articolazioni delle dita.
«Niente», mormorai.
«Non mentire, Sara».
Un déjà-vu. Sembrava passata una vita, invece erano solo pochi giorni. La sera in cui aveva scelto me, avevamo avuto uno scambio molto simile, però stavolta non poteva leggermi dentro ed era quindi una mia scelta condividere o meno con lui i miei pensieri.
Trasalii, colta alla sprovvista dal morso di Uriel, che mi provocò dei brividi d'eccitazione; risalì con la lingua il collo fino a lambirmi l'orecchio. Aveva ritrovato il solito atteggiamento, ciononostante, il suo comportamento dopo quella confessione era un tarlo nella mia mente. Avevamo fatto l'amore, eppure, c'erano stati momenti in cui avevo avuto l'impressione che cercasse altro, che fosse in realtà lontano o immerso in qualche ricordo, che mi guardasse e vedesse non so chi. Non aveva ceduto alla passione travolgente che ben conoscevo, non si era mostrato affamato del mio corpo; piuttosto, sembrava cercare un'unione così profonda da portare i nostri respiri, le nostre anime a fondersi in un'estasi dal sapore mistico, impregnata di una dolcezza che non gli conoscevo affatto.
Mi voltai per tuffarmi nell'oro dei suoi occhi.
«Usciamo a fare due passi?» gli chiesi, ottenendo un'espressione incerta come risposta. «Ho bisogno di respirare e di prendere un po' d'aria».
Inclinò il capo di lato e gli sorrisi, emulandone il gesto e lasciando che mi studiasse.
«Per favore», insistei, sentendone davvero la necessità.
«Perché?»
Sospirai. Sapeva essere esasperante e dovergli spiegare ogni questione umana era snervante, soprattutto quando io per prima brancolavo nel caos.
«Non lo so il perché!», sbottai spingendolo indietro. «Ho bisogno di spazio, di aria. È come se questa stanza diventasse più piccola a ogni respiro», sputai fuori d'un fiato.
Stavo perdendo il controllo e Uriel che mi tratteneva dai polsi non mi era d'aiuto. Tentai di liberarmi, ma ogni strattone gli faceva serrare di più la presa.
«Lasciami!» urlai e la sorpresa gli si dipinse in volto. «Ho bisogno di spazio, è tutto troppo piccolo...» Non provai neppure a frenare le lacrime e lui mi liberò, lasciando che gli scivolassi via dalle mani. «Troppo piccolo... Io sono troppo piccola».
Mi accasciai sul pavimento, coprendomi la faccia per nascondermi. Cosa mi stava succedendo? Io non ero così. Ero emotiva e non potevo negarlo, ma ero sull'orlo di una crisi isterica e non riuscivo a fermarmi. Non ero all'altezza della situazione e se da una parte la ragione mi sussurrava che era normale, che nessun essere umano avrebbe potuto esserlo, dall'altra una voce urlava di vergognarmi per una tale debolezza. Uriel mi abbracciò con dolcezza e mi cullò, accarezzandomi la schiena. Non mi aspettavo tanta comprensione, non da lui che affrontava gli eventi e i problemi di petto, col suo sorriso tagliente da sbruffone.
«Usciamo», mi sussurrò con tono greve.
Era preoccupato, ne ebbi conferma appena mi rimisi in piedi e ne incrociai lo sguardo.
«Troppo piccolo?», mi domandò e mi limitai ad annuire. «Ti senti troppo piccola?» Di nuovo risposi con un cenno d'assenso e il suo pomo d'Adamo scattò. «Hai l'impressione che il tuo corpo sia troppo piccolo?», proseguì più cauto, incerto addirittura.
«N-Non lo so... sì. Credo si possa dire così».
Mi prese per mano e ci incamminammo, senza aggiungere altro. Una volta fuori, rimasi estasiata dai colori e respirai a pieni polmoni i profumi della primavera inoltrata, della resina pungente dei sempreverde che si mescolava ai fiori più dolci, sotto lo sguardo vigile del mio Angelo. Mi guardai attorno, sporgendomi curiosa dal parapetto del piano terrazzato del residence, oltrepassando la strada lastricata di porfido che vi correva sotto, per finire a rimirare il parco alberato dell'hotel di fronte.
«È stupendo», esclamai, sentendomi rinata.
Il peso che mi opprimeva si era dissolto e, per quanto mi rendessi conto dell'assurdità, accantonai ogni logica per godermi quegli istanti.
«Stai meglio?»
La voce angosciata di Uriel mi spinse a voltarmi. In lui scorsi timori di cui non conoscevo l'origine.
«Sì, adesso sto bene», lo rassicurai e lui accennò un sorriso sollevato.
«Sicura di avermi detto tutto?», mi incalzò poi, avvicinandosi.
«Su cosa?»
«Il tuo incontro con Lucifero».
Affilai lo sguardo, mentre il sangue mi ribolliva nelle vene.
«Qual è il suo nome?» chiesi senza indugio.
Uriel s'irrigidì, i suoi muscoli si contrassero all'unisono portandolo ad alzare le spalle e il suo sguardo s'incupì.
«Non posso...»
«Sì che puoi», lo interruppi, posandogli le mani sul petto. «Sei libero, hai scelto di esserlo e quello che avete fatto... Lo avete privato di ciò che è. Sai anche tu che è ingiusto e spietato».
«Sara, tu non capisci...»
«No, non capisco, hai ragione. Ma penso a te, a quanto male ti farebbe questo e penso a lui, a ciò che ho visto nei suoi occhi e non posso...», scossi la testa con forza, «non posso accettarlo. Voglio conoscere il suo nome e ricordarlo».
«Blasfema», tuonò qualcuno alle spalle del mio Angelo.
Uriel si girò di scatto, parandosi davanti a me per proteggermi.
«Eppure non sono sorpreso. È da te, in fondo».
«Cosa fai qui?» rispose Uriel, non commentando le parole di scherno appena ricevute.
Mi sporsi oltre il suo braccio, con il quale mi tratteneva dietro la schiena, e restai allibita. Un giovane uomo ci fissava altero, le braccia incrociate mettevano in evidenza i muscoli del petto e i bicipiti, stretti in una camicia bianca di alta sartoria, come i pantaloni grigi che gli calzavano perfetti. Riportai l'attenzione al viso, caratterizzato dalla mascella pronunciata e spigolosa, le labbra non troppo carnose e gli occhi di un blu così intenso e brillante da sembrare finto, di certo non umano; a completare il quadro, boccoli biondi gli cadevano composti sulle spalle. Era umano, ne ero sicura, tuttavia era avvolto da un'aura eterea splendente.
«Stai calmo, Uriel, non sono qui per combattere con te», dichiarò con un timbro cristallino e un sorrisetto beffardo.
«Non avevo dubbi, non hai abbastanza coraggio», lo provocò con aria di sfida e trasudando astio.
«Diciamo che non sono così stupido», replicò con un'alzata di spalle.
«Sara, va' dentro», mi ordinò Uriel, con il suo tono più profondo e imperativo.
Non volevo lasciarlo solo, però lo scontro a cui avevo assistito mi aveva fatto capire che sarei stata un impedimento per lui.
«Non serve», mi bloccò lo sconosciuto. «Da quanto ho sentito, le hai già raccontato ogni cosa o, comunque, ben più del consentito». Mi scoccò un'occhiata glaciale che mi inchiodò sul posto dopo appena un passo, scossa da un brivido. «O, forse, non proprio tutto...»
Si incamminò tranquillo verso i tavolini, sistemati all'ombra di alcuni alberi. L'ondeggiare delle foglie creava un particolare gioco di luci sui ripiani, rendendo ancor più evanescente la figura del nuovo giunto. Guardai Uriel per capire cosa fare e realizzai che la sua preoccupazione era stata sovrastata dalla rabbia che provava per il fratello. D'improvviso, mi tornarono alla mente dettagli della sera prima, alcune sue reazioni e si fece strada un'idea sull'identità di quell'Angelo che, era evidente ormai, lui odiava e il sentimento doveva essere reciproco.
Fortuna che sosteneva di non avere un cuore! Lo aveva eccome, come poteva negarlo?
Altalenai lo sguardo tra loro, poi compresi il mio errore: non aveva un cuore, perché era andato in pezzi per la perdita di Lucifero. Quanto profondo doveva essere il legame tra due Serafini, tra le prime due creature di Dio? Una stretta allo stomaco accompagnò una dolorosa fitta al petto: avevo il cuore gonfio di un dolore inspiegabile, non mio, ma così intenso da portarmi a pensare di non poterlo contenere, che potesse scoppiarmi da un momento all'altro.
Come si poteva sopravvivere a una simile perdita? Forse il mio Angelo aveva trovato l'unico modo possibile, rinunciando al proprio cuore e negando ogni sentimento, ogni emozione che non implicasse il suo compito. Ciononostante, era riuscito a trovare un posto per me, mi aveva permesso di entrare nella sua esistenza ed era riuscito anche ad amarmi.
«Te lo chiedo per l'ultima volta: cosa ci fai qui, Michael?»
A quanto pare è sceso in campo anche Michael,mentre Sara è nel bel mezzo del caos. Uriel è stato interrotto, chissà cosa lo preoccupava...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento e non abbiate timore, siate sinceri. Se poi avete voglia, lasciate anche una stellina 😉
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