6. La rabbia di Uriel
Una vibrazione intensa mi scuote e spalanco gli occhi, restando in ascolto. Provo a muovermi e il corpo mi restituisce una fastidiosa sensazione di dolore. Tuttavia, non posso esitare. La percezione è chiara, un Trono ha annunciato la sua presenza sulla Terra e non è lontano. Non posso permettermi un altro scontro vicino a Sara. La cerco con lo sguardo e la vedo dormire, la sua anima è presente, di nuovo connessa al corpo, anche se non si è ancora svegliata.
Mi metto a sedere e cerco il cellulare per controllare l'ora.
«Dannazione!», mugugno a denti stretti.
Ormai è notte, ma non mi sono ancora ripreso del tutto e devono esserne consapevoli anche i miei fratelli; non posso dargli torto, anch'io approfitterei del momento per attaccare e aumentare le possibilità di vittoria.
Un ultimo sguardo a lei ed esco. Non vorrei lasciarla sola, tuttavia, andando in contro all'Angelo la terrò più al sicuro. Seguo l'emanazione del potere che si espande nell'aria, inoltrandomi nel parco. Non si è ancora aperta la stagione turistica, per fortuna, almeno non si vedono umani in giro a quest'ora.
Mi guardo intorno con circospezione, lo sento vicino, anche se non si palesa. Cosa starà aspettando?
Un dubbio mi si insinua nella mente, il pensiero di essere caduto in un tranello infantile mi rallenta il passo, sempre di più. Se avesse solo voluto allontanarmi da Sara?
«Ti aspettavo».
La voce decisa e baritonale del Trono spezza il silenzio e guida i miei occhi sulla sua figura. Da molto non lo incontravo e non posso negare l'emozione, il nostro legame fraterno era profondo.
«Melahel».
Le sue labbra si tendono appena, accennando un sorriso, che si dissolve in un'espressione disgustata nello squadrarmi da testa a piedi, mentre un baluginio attraversa le sue iridi di ghiaccio.
«Quel corpo non ti rende giustizia», dichiara con rammarico.
«A Sara piace», sogghigno.
Non riesco a evitarlo, come non riesco ad allontanare il ricordo del suo imbarazzo innanzi alla mia nudità, sfacciata, la prima volta che la feci mia.
«Sarebbe la donna che ti ha corrotto?», chiede a denti stretti, mentre i capelli ramati ondeggiano incorniciandogli il viso dai lineamenti spigolosi, decisi come il suo spirito.
Povero Melahel, così legato a me. Scuoto il capo, rassegnato, consapevole che sarebbe inutile parlare, cercare di spiegargli, poiché non potrebbe capire.
«Non mi ha corrotto, mi ha solo amato».
«Basta!»
Uno scatto ed è già su di me, a malapena blocco il fendente contrastando con l'avambraccio il suo. L'impatto è doloroso, le ossa scricchiolano sotto il peso della sua forza e sono costretto a indietreggiare. Non mi resta che estrarre il pugnale, tenendo lo sguardo fisso su di lui; aspetto a richiamare il potere, perché non mi posso permettere errori e questo corpo ha un limite, che ho già sfiorato per oggi.
«La spada», mi esorta, quasi bruciasse dal desiderio di misurarsi ancora con me.
«A tempo debito».
Non deve aver gradito la risposta, poiché torna subito all'attacco. Le lame si incontrano, mentre fermo il colpo diagonale a una spanna dalla mia spalla, per poi farlo scivolare oltre scostandomi dal lato opposto. Cerco di mantenere una certa distanza, così da potermi difendere. I suoi attacchi mi incalzano, poi rallenta e, infine, riprende con enfasi. Non possiamo continuare in eterno, il rischio di essere visti dagli umani è alto e, soprattutto, comincio ad accusare troppo la stanchezza, il respiro affannato lo dimostra. Approfitto di un attimo per studiare il posto, ringraziando di poter ancora vedere al buio. All'ennesima serie di colpi, realizzo che Melahel sta combattendo seguendo uno schema preciso e non al pieno delle sue forze.
«Hai bisogno di una pausa, maestro?», mi sbeffeggia sorridendo, eppure è quasi un gesto d'affetto.
Molte volte gli ho rivolto le medesime parole per spronarlo a continuare l'allenamento, forse per questo ricambio il sorriso.
«Ricordavo un allievo più preparato e letale, in realtà. Mi sto quasi annoiando».
I sui occhi brillano un istante di soddisfazione e quel lampo sembra aprirmi la mente.
«Dannazione!», impreco rabbioso, serrando la presa sull'arma. «Dimmi che non lo hai fatto».
Melahel resta impassibile, anche i suoi capelli si acquietano, trovando pace sulle spalle scoperte.
Come tutti i Troni veste solo le insegne del suo Coro Celeste, perché non teme armi e le uniche in grado di nuocergli non potrebbero essere fermate da alcuna protezione. È quel disegno a catturare la mia attenzione, il simbolo del primo Trono che marchia la placca scintillante.
«Ho ricevuto un ordine preciso», mi richiama Melahel con tono più greve.
La rabbia sta divorando la paura, eppure mi sforzo di non cedere.
«Uccidermi».
«No, cercare di salvarti», replica con prontezza.
Ci crede davvero e leggo speranza nei suoi occhi, ma non voglio sapere quale sarebbe il prezzo da pagare. Scuoto il capo, serrando la presa sull'elsa.
«Vehuiah ti rivuole al suo fianco, nonostante l'opposizione di Michael», rivela con più concitazione, protendendosi in avanti.
«Non mi sorprende il suo disaccordo», sibilo, pensando all'Arcangelo.
Ciononostante, il ricordo degli occhi ametista di Vehuiah irrompe con prepotenza e sono costretto a socchiudere un istante le palpebre. Da quanto mi sono privato della dolcezza del suo sguardo, forse il più caro tra i fratelli, anche tra i Serafini miei pari.
«Però ha capitolato ed è questo che conta».
«Perché?», domando diffidente.
Conosco troppo bene Michael, più di chiunque altro. È la sua occasione per riprendersi ciò che ha perduto senza troppi sforzi e non se la lascerebbe mai scappare.
«Perché ha compreso che non è tua la colpa...»
«Non provare nemmeno a dirlo!» lo ammonisco, intuendo il finale della frase.
«Non puoi negare l'evidenza», ribatte sicuro. «Per questo Michael ha stabilito di agire in questo modo».
Spalanco gli occhi innanzi alla certezza della spietata strategia di mio fratello, celata agli altri con maestria.
«Stolti», dico digrignando i denti. «Vi siete fatti usare, perché l'unico esito ch'egli ha previsto è la mia morte, incurante delle vostre».
«No...»
«Taci!», tuono a gran voce e riemerge dal profondo la natura del timbro angelico, che scava nel corpo di Sebastiano in modo doloroso. «Chi hai mandato da Sara?».
«Aniel».
Forse sono ancora in tempo, la Potestà ha la brutta abitudine di parlare troppo, ma stavolta potrebbe volgere a mio vantaggio.
«Libera il passaggio, Melahel. Non te lo chiederò una seconda volta».
Il Trono alza la guardia e si mette in posizione di difesa.
«Non ti permetterò di gettare quest'occasione per un'insulsa donna», dichiara risoluto.
«Non è un'insulsa donna, è la mia donna», ringhio.
«Umana, è soltanto un'umana e tu un Serafino. È follia!».
«Dimentichi che ero passato al Coro degli Arcangeli da molto», gli rammento, però è il ticchettio del tempo, che inesorabile scorre, a occupare i miei pensieri e a incalzare senza sosta. Non posso esitare oltre.
«Altra follia che ti ha visto compagno di Michael e che nessuno si spiega. Perché?», termina gridando, con gli occhi che implorano spiegazioni a lungo attese, desiderate e taciute.
«Troverai da te le risposte», sancisco atono, liberando il fuoco che arde feroce in me. «Noroni bajihie pasahasa Oiada! Das tarinuta mireca OL tahila dodasa tolahame caosago Homida: das berinu orocahe QUARE: Micama! Bial' Oiad; aisaro toxa das ivame aai Balatima. Zodacare od Zodameranu!*».
«Uriel...» sussurra, incredulo, prima ch'io concluda.
«Odo cicale Qaa!**».
L'ultima risorsa degli Angeli, la magia di Dio che col suo potere può tutto e concessa solo alla Gerarchia Suprema. Eoni sono trascorsi dall'ultima volta che vi ho fatto appello, eppure, è meno distruttiva per questo corpo del potere della mia spada.
Forse ha ragione Sara e anch'io ho un cuore, perché lo sento spezzarsi di nuovo, consapevole che una parte di esso non tornerà mai più, proprio come il mio amato allievo.
Melahel spalanca le labbra dai contorni delicati, ancora rosee, nel tentativo di urlare, ma la sua voce è già stata incatenata dal processo di distruzione, che rapido si espande nella sua manifestazione. Lo osservo disgregarsi davanti a me e fissarmi disperato per il traditore che sono, almeno per lui; si dissolve nel nulla di una nebbia candida, che evapora verso l'alto trasportata dal vento Celeste.
Cos'ho fatto?
Sara, devo pensare a lei o sarà stato tutto inutile. Mi ridesto dal torpore che mi stava assalendo, muovendo qualche passo verso la via del ritorno. Tuttavia, le gambe cedono e mi ritrovo ginocchia a terra, ansimante. Mi ero illuso che Sebastiano potesse reggere. Stupido!
Padre, dimmi perché posso usare ancora il tuo potere, se sono un Caduto? Parlami!
Niente, solo il silenzio a ricordarmi che sto per perdere l'unica cosa che ha davvero riportato luce nella mia esistenza. Proprio come allora... Luce...
No, non posso perdere anche lei.
Le dita affondano nel terreno, la terra si insinua sotto le unghie, fastidiosa, mentre cerco le forze per rialzarmi. Un profondo respiro, seguito da un altro e poi riesco.
Sono di nuovo in piedi, ancora quel fuoco che brucia in me e grida di non fermarmi.
Aspettami, Sara. Sto arrivando.
*Estratto della XIV Chiave Enochiana: «O Voi Figli della Furia, Figli del Giusto, che sedete su ventiquattro Seggi, affliggendo tutte le creature della Terra con la vecchiaia, che avete sotto di voi milleseicentotrentasei. Ecco la Voce di Dio! La Promessa di Colui che è chiamato tra voi Furia o Estrema Giustizia. Muovetevi e mostratevi».
** Estratto della XIV Chiave Enochiana: «Schiudete i Misteri della Vostra Creazione».
Eccomi qui! Spero che il capitolo vi piaccia, sono in fase "mille dubbi" e ansia da prestazione.
Una piccola spiegazione!
Le Chiavi Enochiane sono state canalizzate da J. Dee così come l'Enochiano, detto appunto la lingua degli Angeli, con rispettivo alfabeto. Io ho utilizzato la traslitterazione fonetica di Crowley.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top