6. Christian

La mia sveglia suona alle sette e mezza precise riportandomi alla veglia con la delicatezza di una catapulta.

Ho passato una notte insonne e, dopo l'incontro con Kevin, non ho chiuso occhio fino alle sei del mattino, quando il mio corpo ha ceduto per la stanchezza.

Ho rifiutato la proposta di passare la notte con lui perché sapevo che saremmo finiti a fare l'amore fino al mattino.

Non che non lo desiderassi.

Sento ancora la sua bocca addosso e le sue mani che mi cercano disperatamente, ma non potevo, mi sto già facendo male accettando quelle carezze e lasciandomi trasportare dal desiderio.

Non capisco perché continua a cercarmi se non prova niente per me.

Forse vuole ancora prendersi gioco di me, vuole farmi del male.

Eppure intuisco sofferenza nelle sue parole, angoscia nel suo sguardo, tristezza in quella voce roca che mi fa impazzire e mi eccita.

Perché dovrebbe stare lontano da me?

Ho il presentimento che mi stia nascondendo qualcosa, che abbia mentito, che dietro al suo comportamento ci sia qualcos'altro.

Ma cosa?

È sempre stato così taciturno ed enigmatico.

Cosa mai potrebbe nascondere?

Cosa o chi gli impedirebbe di stare con me, di amarmi?

È assurdo.

Kevin è assurdo e incomprensibile.

Con questi pensieri che affollano la mia mente comincio a vestirmi per andare a lezione.

Se solo avessi avuto modo di capire quello che pensava, di entrare nella sua mente e carpirne il contenuto.

Ma con lui è impossibile, lo è sempre stato.

Mi avvicino allo specchio e pettino i capelli, il mio collo è pieno dei segni che i suoi baci hanno lasciato questa notte e anche il polso e leggermente arrossato, quello libero dalla fasciatura.

Cazzo!

Devo trovare un modo per coprire i succhiotti che mi macchiano il collo.

Vado nel mio armadietto e, dopo aver frugato un paio di minuti, trovo un foulard azzurro, non so cosa ci faccia tra le mie cose, non ricordo di aver mai avuto un foulard come questo, forse la mamma l'avrà messo per sbaglio nella mia valigia.

Ricaccio indietro questi pensieri inutili e lo attorciglio intorno al mio collo, poi controllo nuovamente allo specchio se i lividi lasciati da quei baci furiosi si vedono ancora; no per fortuna.

Sorrido soddisfatta, poi passo al trucco.

Questo è un giorno speciale, è il mio primo giorno di università, e voglio essere bella e apparire in ordine.

Passo una sottile linea di eyeliner intorno agli occhi e allungo le ciglia con il mascara, poi metto il rossetto, una tinta labbra a lunga durata così posso fare colazione senza sembrare un clown subito dopo, è un po'più scuro di quello che uso di solito, un rosso tendente al prugna, ma mi piace molto il modo in cui mi gonfia le labbra, le fa sembrare più carnose.

Spruzzo un soffio di profumo e indosso le sneakers, tolgo i capelli dal viso portandoli indietro con una mano e prendo la borsa.

Voglio andare al bar a fare colazione, ma vorrei aspettare Marta e proporle di venire con me, solo che di lei non c'è traccia.

Decido di aspettarla qualche minuto, così rifaccio il mio letto e apro la finestra per arieggiare la stanza.

Mi soffermo ad osservare il plesso che si stanzia innanzi a me, il dormitorio maschile.

Chissà qual'è la camera di Kevin?

Sospiro frustrata per la mia incapacità di non pensarlo per almeno dieci minuti, quando, dalla finestra di fronte alla mia, una figura prestante attira la mia attenzione.

Un ragazzo è affacciato alla finestra, mi guarda e sorride.

È a torso nudo, la distanza che ci separa non è molta tanto che riesco a scorgere il suo corpo tonico e definito.

Ha i capelli chiari, ma da qui non riesco a vedere il colore dei suoi occhi.

Continua a sorridere e alza una mano in segno di saluto, mentre io divento piccola per l'imbarazzo.

Cazzo, deve essersi accorto che lo stavo guardando!

Presa dal panico mi abbasso sotto la soglia e mi avvio gattonando verso il mio letto, lontano da quella dannata finestra.

Che vergogna!

Avrà pensato che gli stessi facendo una radiografia.

Proprio in quel momento entra Marta, vestita, ma con un'asciugamano che le avvolge i capelli.

"Selene?".

La guardo dal basso verso l'alto.

"Che stai facendo?" chiede, costernata.

"Niente!" rispondo e mi rimetto in piedi.

"Ti stavo aspettando per andare a fare colazione".

Lei libera la chioma rossa dall'asciugamano e comincia a tamponare i capelli con la spuma.

"E perché gattonavi?" domanda, trattenendo un risolino divertito.

"Non stavo gattonando... sono caduta e..." mento, ma lei annuisce noncurante e accende il phon, mentre io controllo la finestra con la coda dell'occhio.

Noto con sollievo che il ragazzo non c'è più.

Marta impiega una decina di minuti per prepararsi e poi prende la borsa.

"Dai andiamo, ma non in mensa, andiamo alla caffetteria, lì ci sono i ragazzi più fighi dell'università" afferma, facendomi l'occhiolino.

Sbuffo seccata ma la seguo e un quarto d'ora dopo siamo sedute ai tavolini dell'unico bar dell'università.
Lei ordina un caffè, io faccio lo stesso e cominciamo a parlare del più e del meno.

Mi ritorna in mente Carmen e i nostri pomeriggi al solito bar in centro e sorrido.

"Non vedo l'ora di visitare la palestra" dice Marta, entusiasta.

"La palestra?" chiedo dubbiosa.

Non mi ricordavo ci fosse la palestra quando siamo venute in visita con la mamma.

"Sì, hanno aperto la palestra e le piscine nel mese di settembre, così la nostra squadra può allenarsi direttamente al campus" continua, come se io fossi al corrente a cosa si riferisse.

"Squadra?" domandò ancora, incerta.

"La nostra squadra di calcio, Selene, ma non sai niente?" mi prende in giro e ride.

"Oh" mormoro, divertita dalla sua spontaneità.

"E tu come sai tutte queste cose?".

"Mio cugino studia qui, è al terzo anno di ingegneria".

Annuisco, mentre una giovane cameriera ci lascia i caffè sul tavolo.

Mi chiedo dove sia Kevin, anche lui oggi comincia le lezioni, solo adesso mi rendo conto che non so neanche quale corso frequenta.

"Qual è la tua facoltà?" le chiedo, cambiando argomento.

"Ho scelto scrittura, tu?".

"Lettere" dico, osservando un paio di ragazzi che si dirigono nella nostra direzione.

"Che bello! Allora avremmo senz'altro qualche corso in comune!" esulta lei, mentre un ragazzo la afferra dalle spalle, facendola sobbalzare.

Osservo il ragazzo al suo fianco.

Merda!

È il tizio della finestra.

Le mie guance diventano un fuoco, mentre lui sorride sfacciato.

"Ettore!" urla Marta, felice, e abbraccia il giovane che adesso la cinge per la vita, poi saluta l'altro con meno entusiasmo.

"Ciao, Christian!".

"Buogiorno, cuginetta" asserisce lui, serio "Non ci presenti la tua amica?".

Lei sorride imbarazzata.

"Certo, che maleducata! Lei è Selene" afferma e si riaggrappa al collo di Ettore.

Lui la bacia e poi siedono al nostro tavolo.

"È un vero piacere, Selene" dice Christian, assottigliando lo sguardo e puntandolo sulle mie labbra.

Mi pento all'istante di aver indossato quel rossetto appariscente, poi alzo lo sguardo e lo vedo, Kevin, appoggiato ad una colonna antica in stile gotico.

Sta fumando una sigaretta e mi guarda, mi scruta, mi morde.

I nostri occhi restano incollati all'infinito.

Ha lo sguardo cupo e nero, freddo come il ghiaccio.

Conosco quello sguardo, non promette niente di buono.

Tira una boccata e sputa il fumo.

Indossa la giacca di pelle e un paio di jeans neri strappati.

Mi perdo in quella visione, ci sguazzo, lo ammiro.

Quanto è figo!

Le persone vicino a me parlano, qualcuno mi fa una domanda, ma non lo sento, non lo vedo, in questo momento la mia mente vola alla notte precedente, ai nostri corpi avvinghiati, alla passione violenta che mi graffia l'anima e il corpo appena quegli occhi si posano su di me.

Sento la risposta immediata della mia intimità al solo pensiero, mentre lui non smette di fissarmi.

Le sue iridi mi forgiano, mi plasmano, mi compongono e ricompongono.

Sono creta fusa sotto quelle pupille di fuoco e il mio cuore batte, galoppa, gira come il motore di un'auto da corsa e raggiunge i trecento all'ora.

Una sensazione di calore mi pervade.

Ho caldo.

Sto sudando.

Lui stringe i denti e serra la mascella.

Cerco di recuperare il respiro che mi sta rubando con un solo sguardo, poi spegne la sigaretta in un posacenere e se ne va, mentre io, ancora sconvolta, cerco di ritrovare l'orientamento perduto.

Di recuperare la ragione.

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