3. Sarà un nuovo inizio? 🔞

Un dardo di luce sfibra dalle imposte semichiuse, serpeggia tra le mie ciglia, imbrattato di rugiada e brezza del mattino.

Un brivido mi attraversa.

Sono nuda, le lenzuola incollate sulla pelle, il suo odore addosso.

I suoi morsi vividi sulla cute chiara, le sue unghie ancora impresse nella carne.

Un marchio, il sigillo della bestia, del suo amore lento, violento, brutale, bestiale.

Lui non ama, lui mangia e strappa, ricuce e lenisce.

Domina.

Azzanna e...

Apro gli occhi, di lui nessuna traccia, se ne è andato.

Azzanna e... sparisce.

I suoi gemiti riecheggiano nella mia mente, mentre si muove veloce dentro di me, mentre il suo orgasmo si riversa nel mio ventre e scivola sulla mia carne, mentre la mia intimità pulsa intorno al suo membro, scossa dalle vibrazioni dell'orgasmo.

La voglia di lui ritorna furente.

Cerco di ignorarla e mi alzo.

Oggi è il primo giorno della mia rinascita.

Vado via, scappo da lui, da quest'amore malato che mi trafigge e mi ustiona.

Guardo l'ora sul display del telefono, sono le sette, ancora un'ora, soltanto un'ora, e la mia agonia avrà, finalmente, fine.

Dopo aver fatto una doccia ed essermi preparata con cura, raggiungo mia madre in cucina per la colazione.

È bella e sorridente, come sempre.

Lei sa tutto, ha assistito al mio crollo emotivo dopo la rottura con Kevin, mi è stata accanto, ha cercato una giustificazione razionale al suo comportamento.

Ma io sapevo, so, che non c'è nessuna giustificazione.

Voleva soltanto farmi del male, voleva uccidermi, e ci è riuscito.

Kevin mi ha ucciso, ha preso tutto di me e lo ha accortocciato tra le mani.

Mi ha accartocciato, come cartapesta.

"Buongiorno, tesoro".

Sospiro.

"Buongiorno, mamma".

È stata lei a propormi di andare all'università, l'abbiamo scelta insieme.

È un'università privata, il campus è piccolo, ma ben organizzato.

La scorsa estate siamo andate a visitarla.

Le aule sono grandi e ben equipaggiate, c'è la mensa, l'infermeria, un convitto, e poi la cosa che adoro più di tutto, una grande biblioteca che conta migliaia di testi, anche prime edizioni.

Il campus è immerso nel verde, grandi giardini alberati si estendono tutt'intorno alla struttura, che svetta solitaria alle porte della città.

Poco distante dalla biblioteca, c'è un bar, affiancato da una libreria che funge anche da copisteria.

Nell'esatto momento in cui ho visto quel posto mi sono sentita in pace, mi è sembrato il luogo adatto in cui ricominciare a vivere, in cui avrei potuto dimenticarmi di lui.

"Come ti senti?" chiede mia madre, in tono premuroso, passandomi una brioche appena sfornata.

"Sto bene".

Le sorrido, un sorriso sghembo, flebile.

"Finisci di fare colazione, io porto le valigie in macchina".

Annuisco, mentre lei si allontana.

Anche se non mi va, mi costringo a terminare questa dannata brioche.

È molto dolce, così mi verso una tazza di caffè amaro e lo bevo in un sorso.

Non voglio ammetterlo, ma sono tesa, nervosa.

Il pensiero di lasciare la mia casa e la mia mamma per diversi mesi mi spaventa.

Mi sento come un funambolo che barcolla su una catena appesa sulle fronde dell'abisso.

Mi faccio forza, autoconvincendomi che sia una reazione naturale.

Il cambiamento spaventa, l'ignoto incute timore.

Mi stampo l'immagine della grande biblioteca nella mente per rincuorarmi, poi mi alzo, sono pronta.

Il mio addio al passato ha inizio, mentre la mamma rientra, illuminando tutta la casa con il suo sorriso.

"Pronta?" domanda, gentile.

Annuisco ancora.

"Hai preso tutto quello che ti serve?".

Faccio mente locale.

"Sì, credo di sì".

Ci avviamo verso il salotto, ma improvvisamente si ferma.

La guardo.

Ora il suo sorriso è cambiato, non è più premuroso e gentile, sembra... mortificato.

"Mentre tu indossi la giacca io...".

Corrugo la fronte.

Non capisco.

Che succede?

Faccio di nuovo mente locale, forse ho dimenticato qualcosa.

No, ho preso tutto.

Allora perché mi sta guardando così?

Come se avesse paura di parlare.

"Tutto bene, mamma?" chiedo, preoccupata.

"Sì... metti la giacca, arrivo tra un attimo" dice ed esce di nuovo fuori.

La osservo mentre si dilegua dietro al portone d'ingresso.

Ha un'aria strana.

Forse è triste a causa della mia partenza, non ci siamo mai separate per più di un mese e tutte le volte c'era Carola con me.

Forse è questo che la turba, teme per la mia incolumità.

Sorrido intenerita.

Anch'io non voglio lasciarla, ma ho deciso che almeno un week end al mese tornerò a casa.

Prendo il telefono, che avevo dimenticato sul tavolo della cucina, e lo infilo nella tracolla, poi raggiungo la mamma, la nostra macchina è già in moto e occupa parte del viale d'ingresso.

Mi fermo un istante sulla soglia, mentre vedo mia madre aggiungere altre valigie nel bagagliaio.

Le osservo con attenzione, quelle valigie non sono nostre, non sono mie.

Sposto lo sguardo di fronte a me e noto che il portone di Carola è aperto.

Uno strano presentimento comincia ad annodarmi lo stomaco.

Quei bagagli, il comportamento strano di mia madre, quel portone aperto...

Il vuoto mi attraversa e comincia a rimbombare nelle orecchie, intorno a me tutto diventa più veloce, frenetico, sgranato.

Il cuore prende a martellare sterno e tempie e quel portone vuoto si riempie della sua figura.

Kevin.

Mi guarda.

Lo guardo.

Mi scruta immobile, fissando le sue iridi nelle mie.

Quegli occhi grandi fanno razzia di ogni parte di me, poi si assottigliano e mi pugnalano ingiuriosi.

Riesco a scorgerla anche da lontano la tigre silenziosa che alberga in lui.

È meschina, perfida, spietata.

Furba.

È pronta a sbranare, a rifocillarsi di anime e sentimenti.

A fatica recupero la lucidità quasi perduta.

Non gli darò la soddisfazione di vedermi turbata.

Ricambio il suo sguardo e sorrido sarcastica, poi mi avvio verso la macchina.

Lui mi segue, dilapidando la distanza che ci separa in tre passi ed entriamo in macchina insieme.

Sbatto lo sportello.

Sbatte lo sportello.

Mia madre sobbalza, non ci aveva visto arrivare.

Lei lo sapeva, sapeva che c'era anche lui, perché non mi ha detto nulla?

Spero soltanto che la sua destinazione sia diversa dalla mia.

"Già in macchina, ragazzi?" esclama mia madre.

Non le diamo nessuna risposta.

La sento sospirare.

Percepisco la sua angoscia.

"Vado a prendere la borsa e partiamo" afferma, prima di chiudere il cofano con un colpo secco.

Restiamo soli.

Silenzio.

Il suo profumo mi stordisce, il suo respiro mi scava dentro.

È muto.

Non parla, poi riprende a fissarmi.

"La smetti!" lo rimprovero.

Lui mi guarda perverso.

Sospiro e mi volto verso il finestrino, ma lui agguanta il mio mento e mi costringe a voltarmi nella sua direzione.

"Cosa vuoi da me, Kevin?" sputo, arrabbiata.

Le sue iridi si spostano sul mio collo, poi scosta i capelli, svelando il segno dei suoi baci sulla mia pelle candida.

"Lo scoprirai presto...".

Mi manca il respiro.

Chiudo gli occhi, sento le sue dita risalire dal collo fino alle labbra.

"Molto presto..." sussurra, mentre il resto del mondo si perde nel suo tocco degenerato.

Immorale.

Vizioso.

Traviato.







Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top