12. Sbronza lunare

Al mio risveglio Kevin non c'è.
Allungo un braccio e, ancora con gli occhi chiusi, tasto le lenzuola.
Ma di lui nessuna traccia.

Dov'è finito?
Perché se n'è andato?

Mi metto seduta e poggio la schiena alla testiera del letto, stringo il cuscino tra le braccia, mentre le immagini della notte scorsa si susseguono nella mia mente in un cortometraggio indecente.

Kevin su di me.
Kevin dietro di me.
Kevin sotto di me.

Kevin dentro di me da ogni angolazione possibile.

Le mie mani che esplorano ogni centimetro della sua pelle scura, la sua bocca che morde famelica ogni millimetro della mia.

Brividi lasciati dai suoi graffi sulla carne, segni indelebili di un amore brutale e sporco.

Le nostre mani ricercavano all'unisono i nostri corpi sudati, i nostri respiri si fondevano l'uno nell'altro, le nostre lingue si aggrovigliavano in un nodo di piacere reciproco.

Lo sento ancora spingere dentro di me spietato e lascivo, sento la presenza della sua invasione violenta nel mio grembo.

Kevin non è mai stato delicato quando facciamo l'amore, non è romantico, non mi sussurra parole dolci.
Al contrario mi guida e mi domina, impartendo dei veri e propri ordini.
Mi rende schiava delle sue massime, dettate con quella voce sensuale e gli occhi ammalianti.

Lui si prende tutto di me, ma lo fa con gli occhi e con le mani, con i suoi sospiri e le parole sporche, che bisbiglia mentre si inoltra a fondo dentro di me.

È lento, meticoloso e metodico, molto attento a dare piacere più che a riceverne.

Mi sono accorta che gode come un matto quando anch'io gli solco la pelle con le unghie, lasciandogli addosso dei graffi, oppure se lo mordo dietro al collo e sulla schiena.

È molto sensibile in quei punti.

Quello che mi sconvolge è che alcune volte brama il dolore più del piacere, come se il dolore fosse l'unica cosa in grado di soddisfare pienamente la belva che alberga in lui, il mostro che governa la sua anima.

Sospiro frustrata e stringo le palpebre affranta.

Abbiamo già fatto l'amore tre volte in pochi giorni, ma ancora non mi ha detto il motivo che, dopo il suo risveglio dal coma, l'ha spinto a lasciarmi in quel modo così crudele.

Sono ancora nuda e comincio sentire freddo, in realtà mi accorgo solo adesso della temperatura così bassa all'interno della stanza.

Mi alzo dal letto e cerco qualcosa di caldo da mettere addosso nel mio armadio.

Siamo quasi alla fine di ottobre, l'inverno è alle porte e si confonde con la neve e gli alberi spogli che punteggiano i suoi occhi assenti.

Trovo una tuta sportiva azzurra, con delle graziose stelline disegnate sulle maniche e sui pantaloni, mentre sul davanti della felpa c'è impressa una stampa che ritrae una mezzaluna.

È molto infantile e assomiglia ad un pigiama, ma sembra abbastanza calda, così la metto. Ricordo di averla acquistata un paio d'anni prima durante una vacanza in Toscana con la mamma. Non ho idea però di cosa mi abbia spinto a comprarla visto che non l'ho mai indossata.

Mia madre l'avrà sicuramente trovata in un angolo remoto del mio armadio e l'avrà aggiunta in valigia insieme agli altri vestiti.

Vado in bagno per lavare i denti e mi sistemo i capelli in una crocchia disordinata.

Sono molto lunghi, arrivano fino al fondoschiena, però mi piacciono molto, li porto di questa lunghezza sin da quando ero bambina.

Allora Carmen mi chiedeva sempre come facessi a sopportarli, soprattutto con il caldo estivo, ma per me non sono mai stati un problema.

Mi do un'ultima occhiata allo specchio, poi inspiro aria per farmi coraggio.

Voglio andare a cercalo perché mi è venuto il dubbio che possa aver fatto un altro dei suoi terribili incubi.

Il fatto di non ritrovarmelo accanto dopo aver fatto l'amore mi turba, non è mai accaduto che si comportasse così prima del suo incidente.

Una fitta di rimorso mi assale il petto ripensando a quel giorno.

È stata colpa mia se Kevin è ritornato indietro e quell'auto l'ha investito.
È stata colpa mia se lui è cambiato così tanto nei miei confronti.

Mi ama, lo sento dentro che prova qualcosa per me, ma la dolcezza nel suo sguardo è completamente svanita, cedendo il passo ad una cupa scia di perversione.

Kevin mi nasconde qualcosa che va oltre il passato doloroso che abbiamo condiviso, qualcosa di più abietto e meschino, qualcosa che forse è riemerso nella sua mente a causa del terribile trauma che ha subito.

Apro la porta per uscire, però mi rendo conto che non ho la minima idea di dove possa essersi andato a cacciare, così la richiudo. Forse è ritornato in camera sua, ma l'idea di andare nel plesso che ospita il convitto maschile non mi attrae molto.

Anche se sicuramente la maggior parte dei ragazzi sarà ritornata a casa per il week end, potrei sempre incontrare qualcuno.

Impensierita e con la mente altrove apro la finestra per far cambiare aria alla stanza.
Mi affaccio, per vedere se riesco a scorgerlo dentro una delle finestre del dormitorio maschile che si allungano davanti a me, ma niente.

È tutto buio, anche perché è ancora molto presto, sta facendo giorno in questo momento.

Rifletto qualche minuto, forse sarebbe meglio aspettarlo in camera nel caso decidesse di ritornare, poi, all'improvviso, qualcosa attira la mia attenzione.

Mi sporgo ancora di più per accertarmi che non sia uno scherzo della mia immaginazione, ma constato con sorpresa che quello che sento è reale.

Qualcuno sta suonando il violino e io so perfettamente chi è questo qualcuno.

La melodia mi arriva in un eco lontano e sommesso, ma proviene dall'esterno, ne sono certa.

Kevin è fuori, da qualche parte, a suonare il suo violino.

Non riesco a distinguere bene le note, ma sembra una melodia triste.

Senza pensarci apro la porta, faccio le scale di corsa e mi catapulto fuori, all'aperto.

Aguzzo l'udito, nel tentativo di individuare la direzione di quel suono lontano e, quando la intercetto, decido di seguire la scia di note che mi avrebbe condotto da lui.

Ad ogni passo il suono si fa più distinto e, man mano che proseguo la melodia che sta suonando si fa più vicina e chiara.

Faccio ancora qualche passo, poi lo vedo.

È al limitare del giardino, seduto sotto un ulivo che sembra cullarlo con i suoi rami bassi e curati.

Sta eseguendo la Sonata al chiaro di Luna, di Beethoven, una canzone che conosco bene e che gli ho sentito suonare molte volte durante gli anni del conservatorio, che ha abbandonato all'ultimo anno.

Nessuno di noi sa perché ha smesso di frequentarlo, neanche Carola.

Mi avvicino con discrezione, poi mi fermo a pochi metri da lui e lo guardo.

È bellissimo, ma sprigiona un'aura triste, contaminata da un tormento latente che a me non può nascondere.

Lo conosco, so quello che ha passato e i traumi che ha subito.

La nostra infanzia negata, gli incubi, il dolore e quello choc impossibile da superare, soprattutto per lui che aveva visto Alessandro morire sotto i suoi occhi.

Eppure non ne parla mai, trattiene tutto dentro, si rifuggia nel mutismo, come se tacere cancellasse il terribile passato che abbiamo vissuto.

Tuttavia c'è qualcos'altro che lo turba, insieme ai mostri del nostro passato, qualcosa che, probabilmente, riguarda soltanto lui.

"Per quanto tempo vuoi restare ancora lì impalata, Selene?".

La sua voce roca e sensuale provoca un sussulto nel mio petto, riportandomi alla realtà.

Da quanto tempo lo sto fissando sperduta tra i miei pensieri?

Sbatto le palpebre confusa e fisso gli occhi nei suoi che adesso mi guardano... divertiti?

"Scusami, io... ho sentito la musica, cioè mi sono svegliata e...".

Perché sto balbettando?

"Ho visto che non c'eri, poi... ho aperto la finestra e ti ho sentito e...".

Cristo santo sembro una cretina!

Ma perché?

Ogni volta che mi trovo in sua presenza la mia lucidità decide di abbandonarmi.

Lui mi lancia un sorriso tenero e io mi sciolgo.

"Vieni qui!" afferma dolce, indicando il punto accanto a lui.

Non me lo faccio ripetere due volte e lo raggiungo, mentre lui ripone il violino nella custodia.

Sono proprio una sottona, cazzo!

Mi siedo al suo fianco e l'odore della sua colonia mi avvolge tutta, ma non devo lasciarmi distrarre da quel profumo maledetto, da quegli occhi maledetti, da quella bocca maledetta e da quei bicipiti maledetti.

Così mi metto un po' distante, di modo che posso guardarlo in faccia.

Adesso che ne ho l'occasione vorrei cogliere la palla al balzo per parlare con lui, per riuscire a capire qualcosa in tutto quel delirio.

Lui, dal canto suo, affina quelle iridi fiabesche e le aggancia alle mie con sospetto.

"Ti mancavo già, Sailor Moon?" afferma, strafottente.

Noto che sta fissando il mio abbigliamento, soffermandosi su ogni disegno ritratto sulla stoffa.

Arrossisco, perfettamente conscia del fatto che quello che indosso sia un po' infantile, ma decido di non dare importanza alla cosa o l'imbarazzo avrebbe raggiunto livelli cosmici.

"Era triste la canzone che stavi suonando..." esordisco, con voce tremante, spezzando il silenzio.

Sono nervosa e lui sembra essersene accorto.

Lui non risponde e afferra la mia mano.

"Vieni più vicino" ordina, perentorio.

Vorrei rifiutare ma proprio non ci riesco e così eccomi, spalmata sul suo petto, mentre il suo odore e il suo respiro non smettono di stordirmi.

"È molto buffa la felpa che indossi".

Arrossisco ancora, imbarazzata.

"Scommetto che adesso sei arrossita!" continua lui.

Non mi vede perché la mia testa è poggiata sul suo petto e lui mi sta accarezzando i capelli con il palmo della mano.

"No" mento.

Lui sospira.

"Hai avuto un altro dei tuoi incubi?" azzardo, dopo qualche altro minuto di silenzio e il suo cuore aumenta i battiti.

"No" sussurra.

A quel punto sollevo la testa verso di lui e lo guardo negli occhi.

"Hai appena detto una grossa bugia" lo rimprovero.

Lui continua a guardarmi con la sua aria indecifrabile.

"Anche tu, Sailor Moon" e sfiora la mia guancia con il pollice, provocandomi una scarica di brividi lungo la spina dorsale.

"Apriti con me, Kevin, cosa sta succedendo?" chiedo, ignorando le sue ultime parole.

"Chi ti costringe a starmi lontano? Cosa ti fa stare così male?" insisto, imperterrita.

Lo sento irrigidirsi e lo scruto preoccupata, mentre si passa una mano sul volto afflitto.

"Smettila con tutte queste domande, Selene!" mi redarguisce.

"Perché? Perché non parli con me?".

Lui sospira, sembra nervoso.

"Non c'è niente di cui parlare" afferma, brusco.

Restiamo in silenzio, uno di fronte all'altra, a smarrirci occhi negli occhi, per diverso tempo.

Le lacrime mi pungono sulle ciglia ma le trattengo, non voglio che lui veda quanto sono vulnerabile in questo momento.

Sempre.

"Mi hai spezzato il cuore, Kevin" sussurro, con voce rotta.

Sento le lacrime bagnarmi le gote perché i miei sforzi di rimandarle indietro non sono serviti a nulla.

Ci sono.

Quelle lacrime ci sono sempre state.

C'erano quando eravamo piccoli, c'erano quando lui ha rischiato di morire, c'erano quando mi ha lasciato e ci sono ancora adesso.

Riprendo fiato perché il pianto mi sommerge impedendomi di respirare.

"Io ti amo" mormoro a fil di voce, l'ho detto così piano che dubito che lui l'abbia sentito.

Mi guarda triste, i suoi occhi sono lucidi e velati di malinconia, sono sofferenti e doloranti, poi mi attira tra le sue braccia.

Raccoglie le mie lacrime con l'indice, poi afferra la mia mano e se la porta sul cuore.

"Non mi piace vederti piangere" asserisce dolce, ma autoritario, sfiorandomi il naso con un dito, poi si china a sfiorarlo con le labbra.

"Lo sai che secondo uno studio tedesco la luna aumenterebbe il consumo di alcol?" afferma all'improvviso.

Cosa sta dicendo?

Alzo la testa e incontro i suoi occhi magnetici e deleteri.

"Durante la luna piena sono tutti più propensi ad ubriacarsi" continua con un mezzo sorriso.

Gli lancio un'occhiata stranita, stregata da quel sorriso illegale.

"Davvero?".

Lui annuisce mentre la sua bocca scivola sulla mia.

"Questo è l'effetto che hai su di me, tu sei la mia sbronza lunare, quando sono insieme a te non ci capisco più niente, tutto scompare..." sussurra suadente sulle mie labbra.

Sembra il Diavolo che tenta di sedurre una vergine.

"Ci sei solo tu" conclude, poi mi bacia, raccogliendo il sapore salato delle mie lacrime sulla sua lingua.

Mi da uno dei suoi baci furiosi, uno di quelli che strappa ansimi, sospiri e gemiti, mentre tutto, intorno a noi, si dissolve in una nube bianca.

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