4.Da sola per la città
La prima cosa che la lettura insegna,e come stare da soli.
Questa mattina farò tutto il possibile per non arrivare tardi in ufficio.
Vista la mia recente e scarsa puntualità, ieri sera ho deciso di mettere la sveglia un'ora prima.
Voglio mostrare che posso farcela, almeno l'ultimo giorno della settimana.
Il pensiero di passare il weekend in completa solitudine non è il massimo, specialmente dopo la litigata di ieri. Stefano non si è preoccupato nemmeno di salutarmi, aumentando la rabbia in me e facendo passare in secondo piano il senso di mancanza. Devo sforzarmi esageratamente per non pensare a tutte le stronzate che ha detto.
Da lui non mi aspettavo un discorso del genere. Conosce bene la dinamica dei fatti e soprattutto è consapevole di come sono fatta. Solo perché lui è abituato a essere circondato di gente, non vuol dire che tutti siano suoi amici. Io a differenza sua, non sono abituata a frequentare gente solo per fare numero, io credo nell'amicizia, in quel sentimento che non ha bisogno di parole ma di fatti, di gesti.
Senza la sincerità, il rispetto reciproco e la comprensione, si è soli anche in mezzo a un miliardo di persone.
Inspiro ed espiro cercando di recuperare la calma, mandando via tutti quei pensieri negativi. Inizio a prepararmi, prima che la mia mente riprenda a perdersi verso luoghi oscuri.
Sistemo i capelli alla meglio e guardandomi allo specchio, miglioro il tono del viso con una crema colorata e un velo di cipria. Infoltisco le ciglia con del mascara e idrato le labbra con un balsamo colorato. Oggi non voglio osare, voglio essere il più semplice possibile.
Prendo dall'armadio un tailleur nero in abbinamento al mio umore, ed estraggo dal porta gioie l'anello di fidanzamento che Stefano mi ha donato quando mi ha fatto la proposta.
Non lo metto spesso. Preferisco indossarlo quando lui non c'è. Per me è un modo per sentirlo più vicino.
Mi do un'ultima occhiata allo specchio e mi affretto a uscire, pronta a fare tappa da Mario e poi dritta in azienda.
Mi complimento con me stessa per il largo anticipo. Sono le sette e trenta e sto già salendo le scale verso gli uffici.
Entro nell'atrio e come tutti i giorni c'è Flora alla reception a darmi il buongiorno.
«Buongiorno, signorina Preziosi.»
Mi schiarisco la voce, guardandola vagamente di traverso. Ero stata chiara sulle formalità.
«Buongiorno anche a te, Flora »
«Scusami Natalia, è difficile cambiare le vecchie abitudini.» dice, intuendo il mio dissentire. Nonostante ciò però, ho come la sensazione che voglia mantenere ugualmente una certa distanza da me. Spero di sbagliarmi.
«Ho fatto recapitare al tuo assistente un comunicato da parte di Marco.» avvisa, mentre sto per andare via.
Annuisco e la saluto, dirigendomi nel mio ufficio.
Vista la mia scarsa puntualità, non ho mai avuto occasione di capire se Duncan fosse un tipo puntuale, preciso, o se fosse un tipo abituato ad arrivare con netto anticipo, un po' come Stefano.
Mi divertirei molto se oggi facesse tardi, così potrei smontare la sua aura di perfezione.
Apro la porta e ancora una volta mi frega. Con mia enorme sorpresa lui è già qui, superando ogni mia aspettativa. Non mi sbagliavo su di lui, è un fottuto maniaco del controllo.
Noto che si accorge della mia presenza, ma continua a guardare fuori dalla finestra sorseggiando il suo caffè con calma.
L'odore si espande in tutta la stanza provocandomi una sensazione di nausea non appena raggiunge le mie narici.
Noto la sua giacca posata sulla sedia e lui indossa una camicia bianca di seta, talmente leggera da poter intravedere le sue spalle muscolose.
Le sue gambe sono fasciate da un pantalone nero classico, che gli evidenzia il punto vita in un modo divino.
Deglutisco più volte, sentendo la bocca inaridirsi. Mi obbligo a scacciare via dalla mia testa dei pensieri alquanto strani e insoliti per una come me.
Che diavolo mi prende?
Distolgo subito lo sguardo, rivolgendolo dall'altra parte dell'ufficio non appena si volta a guardarmi.
«Buongiorno signorina Preziosi»
Ricambio il saluto e prendo posto. Duncan si avvicina porgendomi una cartella.
«Volevo informarle che Marco, ha chiesto di farle avere queste da completare per lunedì, le aspetta un lungo weekend.» dice, il suo tono vagamente derisorio.
«Bene» dico, alzando la voce un po' troppo. Mi sento furiosa.
Duncan resta lì a fissarmi e io mi sento sempre più attratta dai suoi occhi. Una ciocca di capelli gli ricade sul viso rendendolo tremendamente, sfacciato, donandogli un' aria da stronzo, bello e dannato.
«Suppongo che questa sia una punizione per i suoi innumerevoli ritardi non trova ?» dice presuntuoso.
Alzo lentamente lo sguardo dalla cartella, guardando lui in malo modo, con gli occhi ridotti a una fessura.
«Visto che passerà il weekend in completa solitudine potrà dare il meglio di sé.» continua, mettendo il dito nella piaga.
«Chi ti credi di essere, mh?» dico, mandando all'aria le formalità. Tipi come lui vanno trattati per quelli che sono: gentaglia.
Duncan continua a guardarmi impassibile, divertito, pronto a mettere altra legna ad ardere sul fuoco della mia ira.
«Ora ti metti anche a origliare? Chi sei? Sei uno stalker? Uno psicopatico?»domando.
«Signorina Preziosi, dovrebbe moderare i toni, lo sa?» dice sarcastico.
«Io non ho nulla da moderare, piuttosto lei pensi a farsi gli affari propri. Mi ha parlato per ore di lavoro di squadra e okey, ammetto che le poteva capitare di meglio come dirigente, ma di certo io non vado a fare la spia o a mettere zizzania con il capo!»dico risentita.
La sua risata rimbomba per tutta la stanza.
«Natalia, mi faccia il piacere. Ammetta a sé stessa che non vede l'ora che io commetta qualche errore per farmi cacciare a calci nel culo dal suo ufficio.»dice tornando al suo posto.
Non ho intenzione di aprire un dibattito con lui, sarebbe inutile. Dopotutto si dice che chi tace acconsente e lui tutti i torti non ha, la sua presenza mi disturba.
Passiamo quasi quattro ore in silenzio, ognuno intento a svolgere il proprio compito.
L' aria nell'ufficio si è fatta pesante più del dovuto e io non vedo l'ora che arrivi la pausa pranzo; ho bisogno che lui vada via da qui dentro.
Controllo più volte il cellulare, sperando di trovare un messaggio o una chiamata da parte di Stefano, ma ogni volta resto delusa. Preferisce sparire invece di ammettere di avere torto e chiedere scusa.
Mi chiedo spesso se sono davvero così importante per lui. Nonostante mi dimostri il suo amore, non mi sembra che si impegni più di tanto a rendermi partecipe della sua vita. Il suo poco dialogare nelle situazioni da chiarire mi fa impazzire. Come possiamo riappacificarci senza parlare?
Pensa sempre a zittirmi col sesso, credendo che basti qualche orgasmo per risolvere tutto. Preferirei che pensasse a spogliarmi l'anima, invece che a togliermi i vestiti.
Finalmente è arrivata la pausa pranzo e attendo con ansia che Duncan apra quella porta e vada via. Io mi godrò l'ora di spacco da sola e in santa pace.
Duncan si avvia alla porta e posso intravedere Flora che lo attende quasi impaziente di godere del suo tempo. Se potessi glielo metterei accanto per tutto il giorno.
Mi decido a dare uno sguardo alla cartella che Marco mi ha fatto ricapitare e devo dire che è davvero un bel po' di lavoro extra. Sono davvero esausta, questa settimana è stata emotivamente tosta e così sarà un weekend infernale. Non mi aspettavo niente di eclatante visto che Stefano non c'è, ma passarlo a lavorare non è il massimo.
Tolgo le scarpe e finalmente posso tirare un sospiro di sollievo. Quando lui non c'è, mi sento meno tesa; credo che non mi abituerò mai all'idea di averlo nel mio ufficio. Colgo l'occasione di questa pace per mettermi già all'opera sul lavoro. Lego i capelli è apro le tende per fare entrare più luce.
Sposto un po' di roba dalla scrivania e mi siedo su di essa con le gambe incrociate e inizio a dare il via alla mia creatività, non deluderò Marco.
Dopo quasi mezz'ora la mia vista sembra risentirne, ma finalmente posso dire di essere soddisfatta di me stessa. Anche se mi manca ancora tanto per finire il tutto, ho smaltito gran parte dei progetti.
Guardo l'ora e mancano solo dieci minuti per lo scadere della pausa e ne approfitto per lasciare tutto e sdraiarmi un attimo.
«È questo che mi intriga di lei, il suo perdersi nella solitudine»
La sua voce calda mi fa sussultare, trattengo un urlo a stento. Sono davvero spaventata. Mi domando quando diavolo è rientrato perché non l'ho sentito. Mi alzo di scatto sistemando la camicetta sgualcita.
«Non si usa bussare?» mi volto a guardarlo in malo modo.
«Le ricordo che questo è anche il mio ufficio »
Resto in silenzio, mentre lui rimane lì fermo immobile a fissarmi.
Credo che non abbia nessuna intenzione di sedersi al suo posto.
«Programmi per questo weekend?» dice allargando un piccolo sorriso, sfottendomi ancora.
«Beh, me lo dica lei, visto che ha origliato la conversazione con il mio fidanzato.» dico, enfatizzando sulla parola fidanzato
«Non è colpa mia! Avete sbraitato come bestie, tutta l'azienda ha assistito al vostro litigio, i fatti vostri sono ormai di pubblico dominio.»
Giuro che mi sta facendo imbestialire.
«Quindi sa che passerò l'intero weekend da sola e soprattutto a lavorare, quindi... ora cosa vuole che le dica ?»
«Dovrebbe imparare a gestire la rabbia è trasformarla in forza per affrontare certe situazioni»
«Tu»dico puntandogli un dito contro «devi smetterla di darmi consigli non richiesti!»
«Non mi sembra di averle dato il permesso di darmi del tu! Le ho già detto di moderare i toni. Perché non si calma e ragioniamo come delle persone civili.» dici come se stesse parlando con una malata di mente.
«Io non ho niente da dire!» urlo nervosa, stizzita.
«Forse il suo fidanzato non aveva tutti i torti quando le ha praticamente detto che lei è una persona sola.»
La sua espressione saccente mi fa prudere le mani. Vorrei tanto atterragli un paio di schiaffi su quel bel visino di cui non è degno.
«Cosa? Ma come si permette? E anche se fosse quale sarebbe il problema? Non le riguarda. » dico ricacciando indietro le lacrime. Non mi mostrerò debole.
«Il problema sta che il suo fidanzato non crede che lei sia sola per scelta, ma perché ritiene che lei non sia capace di stringere rapporti e questo la fa infuriare e si scaglia contro di me perché così le conviene.»
Sto impazzendo, questo tipo è snervante. È qui da solo una settimana e mi sta facendo già esplodere la testa. Lui non sa un bel niente di me e della mia relazione con Stefano e delle mie amicizie passate, eppure continua a emettere sentenze.
«Anche io sono una persona sola per mia scelta, a differenza degli altri che fingono di esserlo.» ammette.
Sto per mandarlo al diavolo.
È stato rude e cattivo la sua lingua biforcuta mi sta facendo uscire il fumo dai capelli. Mi costa dover ammettere che ha fatto proprio centro con il suo discorso, e forse ha ragione, per questo mi fa più male, perché tutto ciò è vero.
Non faccio in tempo a formulare quello che avrei da dirgli, che lo vedo infilare la giacca senza aggiungere altro, come se non fosse interessato a cosa potrei rispondere,come se quello che mi ha appena detto fosse un suo diritto. Si avvicina alla porta e io non riesco a dire nient'altro, mi guarda per qualche secondo dritto negli occhi e va via senza salutare.
Vaffanculo stronzo!
Vorrei urlargli le peggio parole, ma le mie labbra sembrano incollate.
Dopo circa dieci minuti dalla sua uscita di scena fuori luogo, sono ancora qui a fissare la porta come una cretina che non ha saputo difendersi da un uomo che non mi conosce per niente.
Rimetto le scarpe ai piedi, e vado via anch'io, prima che impazzisca qui dentro.
Sono furiosa, e Stefano non mi ha nemmeno mandato un messaggio per sapere come sto.
Una volta tornata nel mio appartamento mi libero da tutti gli indumenti e sdraiandomi sul divano do un altro sguardo al cellulare, sperando di avere sue notizie, ma rimanendo ancora una volta a mani vuote, decido di chiamarlo io.
Dopo vari squilli senza risposta, si degna di farsi vivo.
«Ehi tesoro che sorpresa sentire la tua voce.» dice allegro, anche troppo.
Sento delle risate di sottofondo e la cosa non mi piace.
«Con chi sei?» domando schietta, senza perdere altro tempo.
«Sono con dei colleghi di lavoro e le nostre rispettive segretarie. Siamo in un locale del centro e c'è davvero tanto caos non so se riesci a sentirmi.» dice precisino come al solito.
Vorrei rispondergli che lo sento forte e chiaro, ma mi maledico per aver pensato a lui per tutto questo tempo, mentre se la sta spassando senza scrupoli. Chiudo la telefonata e lancio il telefono sul divano con stizza.
Vaffanculo! Il mio assistente aveva ragione!
Guardo l'ora e sono solo le nove di sera e non ho intenzione di deprimermi qui da sola. Mi cambio velocemente lasciando da parte gli abiti formali.
Indosso un jeans nero, con una maglia a mezza manica bianca.
Prendo una giacca di pelle nera, tolgo i tacchi e infilo delle scarpette da ginnastica bianche, prendo la borsa ed esco.
Mi fermo in un bar in piazza e anche se sono sola questa sera, qui a Roma non potrei mai esserlo del tutto.
Roma è sempre caotica, siamo nella capitale e il venerdi sera i bar e le piazze sono strapiene di turisti e gente del posto.
Entro nel bar all'angolo, e ordino da bere.
Mi siedo su una poltroncina in fondo.
Mentre i sorrisi e le chiacchiere di coppie di fidanzati o amici mi ricordano quanto io sia davvero sola, mi domando: è davvero una scelta la mia? O e come dice lo stronzo?
Ho quasi finito di bere il mio mojito quando il cameriere, mi serve un bicchiere di vino rosso.
«Mi scusi ci deve essere un'errore, io non ho ordinato del vino.»
Il cameriere sembra sicuro che sia per me e lascia il calice sul mio tavolo.
L'odore fruttato mi ricorda un profumo in particolare. Di solito preferisco bere del vino bianco, ma a questo punto porto il calice alle labbra e ne sorseggio un po'.
«Signorina Preziosi, sapevo che sarebbe stato di suo gradimento»
Per poco non mi strozzo con il vino, sputando per tutta la sala.
Ma che cazzo! Sto perdendo ogni briciolo di sanità mentale? È un'allucinazione o lui è veramente qui? È una persecuzione!
Duncan si siede al mio tavolo con nonchalance, come se gli avessi chiesto io di accomodarsi. Strafottente, sorseggia il suo vino, ignorando la mia espressione furiosa.
«Non pensavo di trovarla qui sembra quasi mi stia pedinando»dico in tutta onestà.
«Lei crede nel destino?»domanda, abbassando lo sguardo, schiudendo lentamente le labbra.
«Non ho una risposta chiara da darle al momento.»dico sincera e confusa soprattutto.
«Non mi aspettavo di trovarla qui stasera, in un posto così affollato. La immaginavo chiusa nelle quattro mura di casa con musica in sottofondo mentre si dedicava alle sue grafiche.» ammette appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Di certo nemmeno io pensavo di trovarla qui. La immaginavo a cena con qualche bella donna magari della nostra azienda.»dico nervosa, maledicendomi per la frase appena detta. Sono certa che sfrutterà le mie parole a suo favore.
Perché non sto mai zitta?
«Forse non le ancora chiaro che io sono davvero solo a differenza sua.»dice stupendomi, lasciando lo sguardo nel vuoto, come se stesse pensando a qualcosa di non molto piacevole.
«Cosa vuole insinuare?»dico cercando di risultare calma.
Duncan mi ridacchia in faccia, tornando il solito stronzo di sempre.
«E poi io amo i posti come questi, sono una persona semplice. Lei non mi conosce affatto!. »aggiungo, come a volermi giustificare più per la discussione del pomeriggio che di questa sera.
Ci fissiamo per qualche istante, lo vedo allungare un braccio e sfiorarmi la mano.
Il suo tocco mi fa rabbrividire,sento una strana sensazione e questo non mi piace, mi fa quasi paura.
Cerco di tirare via il braccio, ma Duncan mi tiene ferma mentre osserva i miei tatuaggi come un critico d'arte.
«Non pensavo che avesse dei tatuaggi,
io ne sono molto affascinato.
Posso chiederle cosa rappresenta questo che ha sul polso? » domanda. Mi sento di nuovo a disagio, pare voglia scrutarmi nell'anima.
Lo guardo seccata, non gli dirò affatto i significati dei miei tatuaggi. Credo che siano cose troppo intime da raccontare a uno sconosciuto. Men che meno a uno stronzo.
«Chi possiede la chiave del suo lucchetto?»continua a perlustrare il mio braccio, indicando il lucchetto tatuato sul mio polso.
Non mi va di parlarne, mi fa male farlo e lui non è la persona giusta con cui sfogarsi.
Non voglio che le persone vedano la mia parte più fragile, soprattutto uno come lui. Userebbe di certo queste informazioni per pugnalarmi alle spalle.
«Non vuole dirmelo?» dice, mentre io continuo a serrare le labbra e a fingere di non sentire.
«Spero che la chiave di questo lucchetto la tenga qualcuno alla sua altezza e non una persona qualunque.»commenta serio, con un'espressione a tratti ammaliatrice. Muove le dita della mano sul mio braccio, provocandomi delle scosse elettriche lungo la spina dorsale.
«Credo sia arrivato il momento di andare via.»dico posando il bicchiere e infilando la giacca di pelle, pronta a battere in ritirata.
«Di già?» domanda sarcastico, soddisfatto di avermi messa ancora in difficoltà.
«Sì! È tardi e poi non vorrei rischiare che qualcuno riferisca a Marco che sono in giro per Roma e possa pensare che non prendo sul serio il mio lavoro!» continuo parlando a raffica, senza prendere fiato; mettendo in piedi una scusa misera solo per tenerlo a debita distanza.
Vado via da lui più un fretta che posso, prima che possa sferrare l'ennesima provocazione.
Raggiungo i gradini di piazza di Spagna e solo quando raggiungo quello più alto mi rendo conto che stavo correndo. Respiro profondamente cercando di controllare il fiatone e mi perdo ad ammirare le luci della città.
Finalmente l'ossigeno circola di nuovo nei miei polmoni. Adesso sono al sicuro, nessuno, nemmeno Duncan, potrà cercare di sfiorare la mia anima.
Sono al sicuro, con me stessa e nessuno più.
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