1.Cambiare Pagina

Non c'è niente da spiegare, c'è chi cambia pagina e vive e chi invece continua a rileggersi il finale per capire dove ha sbagliato.

La sveglia sul mio comodino suona da cinque minuti ininterrottamente, sembra un grillo saltellante che fa su e giù aspettando che mi alzi per cliccare quel maledetto bottone e mettere fine al mio sonno, iniziando una nuova giornata. Come se non bastasse, il cellulare sotto il mio morbido cuscino ha iniziato a vibrare. Se questi aggeggi moderni non la smettono di ricordarmi quanto sono in ritardo, uno di questi giorni mi scoppierà la testa.

«Buongiorno, Naty. Credo che tu sia un tantino in ritardo!» dice dall'altra parte il mio futuro marito.

«Lo so, lo so, hai perfettamente ragione! Come sempre, direi» dico annusando il mazzolino di fiori di lavanda sul mio comodino.

«Che hai? Non dirmi che non ti senti all'altezza per il tuo nuovo ruolo?»

Vorrei che non mi conoscesse così bene da leggere i miei pensieri. Stefano è il mio attuale fidanzato, stiamo insieme da circa otto anni e questa estate mi ha chiesto di sposarlo. Se fosse stato per lui, lo saremmo già, ma per via dei suoi impegni e dei lavori di ristrutturazione della nostra casa, abbiamo preferito sposarci il prossimo anno, in modo tale da poter programmare le nostre nozze come una vera favola.

«In realtà sai bene che mi spaventano i nuovi inizi.
I cambiamenti non sono fatti per le persone ansiose e paranoiche come me. Un nuovo ufficio, un nuovo ruolo per l'azienda, le tante responsabilità che mi sono state affidate mi faranno impazzire più del dovuto.»

«È proprio per questo che Marco ha pensato di affiancarti un'assistente. Non devi avere nessuna paura, io so bene quanto vali.»

Stefano è la mia persona e, nonostante i nostri lavori ci tengano separati per giorni, basta una sua chiamata di incoraggiamento per farmi cambiare umore. Lui lavora all'incirca un'ora dall'azienda di Marco, nonché suo caro amico d'infanzia. Stefano lavora in banca e aspira a diventare direttore di una filiale rinomata di Roma. Credo tanto che il suo duro lavoro un giorno verrà ripagato.

È stato lui a propormi a Marco, proprietario della Graphic Designer di Roma, mostrandogli i miei disegni.
Così occupavo il mio tempo quando gestivo gli appuntamenti del centro estetico di cui ero dipendente. Mi divertivo a creare loghi per i prodotti estetici che vi erano in negozio, finché un giorno Stefano li ha rubati e mostrati a Marco. Non ero per niente contenta, non volevo che lui decidesse per me e per il mio futuro. So che la sua famiglia ha conoscenze molto rinomate e non volevo vincere facile solo per essere la fidanzata di qualcuno, quando in giro ci sono molte più persone preparate di me e magari anche con una laurea in quel settore che meritavano molto più di me, che mi divertivo a scarabocchiare. Ma per Stefano erano solo mie paranoie: se Marco era rimasto stupito dalla mia creatività, non c'era raccomandazione che tenesse. Se hai talento, nessun titolo può essere paragonato a tale. Non sono mai stata d'accordo con questo suo pensiero, ma Marco non era il tipo che si faceva raggirare e davvero ha creduto in me, facendomi frequentare, come il resto degli altri dipendenti, corsi di formazione per imparare a lavorare sulle grafiche digitali.

Quando ebbi finalmente il mio contratto di lavoro, decisi di trasferirmi in un appartamento tutto mio, che dista poco dalla sede, visto che sono una ritardataria cronica. Solo così mi ero convinta che, se dovevo cambiare pagina, avrei dovuto iniziare a riscrivere le pagine della mia vita: un appartamento solo per me, un nuovo lavoro, una nuova Natalia. Da quel giorno sono passati già tre lunghi anni fatti di alti e bassi, ma di tante soddisfazioni. Ma certe cose non cambiano, e una di quelle sono i miei ritardi mattutini. L'insonnia mi gioca brutti scherzi e per questo mi ritrovo sempre in ritardo. Prima o poi dovrò trasferirmi direttamente nel mio ufficio, solo così eviterò ritardi.

Il mio smartwatch mi segnala che sono già le sette. La mia folta chioma di color rame oggi sembra più indomabile del solito. Uso qualche trucchetto che mi hanno insegnato le mie ex colleghe del centro di bellezza e raccolgo la mia chioma in uno chignon, cercando di mettere qualche forcina per tenerli a posto. La mia pelle candida, di un colore simile a quello di Casper, mi permette di avere sempre un aspetto assonnato, così applico un filo di trucco e tanto mascara per esaltare i miei occhi azzurri. Mi do un'altra sistemata alle guance e infilo un tailleur nero, il mio colore preferito.

Mi dirigo giù al palazzo e, prima di prendere la mia umile Citroën nera, passo da Mario, il fioraio sotto casa, e prendo un mazzolino di lavanda da portare con me in ufficio. L'odore che emana mi fa tranquillizzare dal mio nuovo ruolo, o almeno lo spero. Marco ha provveduto a far spostare le mie cose dal mio vecchio ufficio. Gli avevo chiesto esplicitamente di non disturbare nessuno, lo avrei potuto fare benissimo da sola, non voglio che gli altri si scomodino per me, ma come suo solito non mi ha dato ascolto, dicendomi che mi faccio sempre mille problemi.

Appena metto piede nell'edificio, saluto alla reception Flora, la perla dell'azienda. Senza di lei siamo tutti persi qui.

Per me, Flora è una donna multitasking, la macchina di questo edificio. Hai un problema? Flora sa come risolverlo. Gestisce lei i nostri appuntamenti, e le altre aziende fanno a gara per accaparrarsela nelle loro sedi. Marco, senza di lei, non ricorderebbe nemmeno un appuntamento, né uno dei suoi tanti contratti firmati con tanti zeri con le aziende di grandi marchi. Marco si fida ciecamente di lei, tanto da affidarle le chiavi di questa grande azienda.

«Buongiorno, signorina Preziosi. Nel suo ufficio...» Alzo una mano per interromperla. So che qui tutti usano toni formali, ma ci conosciamo tutti da tanto tempo. «La prego, mi chiami semplicemente Natalia.» Annuisce e mi sfoggia uno dei suoi bellissimi sorrisi che riserva per ogni dipendente o cliente che varca le grandi porte di questo edificio. Un giorno mi dovrà spiegare come fa ad essere di buon umore a quest'ora del mattino.

Sono già le otto in punto. Non sono riuscita a fare nemmeno colazione e tantomeno a passare a salutare Marco nel suo ufficio. Presumo che l'assistente sia già ad attendermi. Non vorrei che pensasse male di me: è solo il primo giorno e presentarmi in ritardo non sarebbe proprio un bel esempio. Apro la porta del mio ufficio con mano tremante per colpa della mia maledetta ansia che non tarda mai a raggiungermi, soprattutto nei momenti meno opportuni. Una fragranza speziata mescolata a delle note di agrumi, che adoro, mi arriva dritta alle narici, facendomi quasi venire il capogiro. Distratta a ricordare quale sia il nome del profumo, non mi accorgo della figura davanti ai miei occhi.

«Buongiorno, signorina Preziosi,» dice allungandomi la
mano.

Per poco non mi viene un colpo. Lui chi diavolo è?

«Mi scusi, ma noi qui non riceviamo senza appuntamento!» dico in tono arrogante, sorprendendomi di me stessa per i toni.

«Non credo che abbia bisogno di prendere un appuntamento col suo nuovo assistente!»

Vorrei chiedergli di ripetere l'ultima frase. Le mie guance sono diventate rosse dall'imbarazzo e posso sentire il calore. Vorrei davvero trovare le parole giuste per scusarmi, ma non riesco a mettere in fila due parole.

«Mi scusi, ma pensavo che fosse stata avvisata del mio arrivo, non è così vero?»

Era già difficile gestire un ufficio tutto mio, ora devo fare anche da "capo" a questo tizio.

«Per le formalità, io sono Duncan Smith,» dice stringendomi la mano.

Bene, vorrei urlare, ma non benissimo.

Ero pronta ad imbattermi in qualche donna col fisico statuario, i capelli biondo platino con le unghie e le labbra laccate di rosso, che tutti i giorni mi avrebbe ricordato di mettere la sveglia un'ora prima per rendermi presentabile. Ma di certo non ero pronta a rapportarmi con un uomo dotato, devo ammettere, di tanto charme. E dannazione, quel profumo mi fa venire il capogiro, ma quanto ne avrà spruzzato? Lo vedo fissarmi accigliato, mentre noto il suo corpo fasciato in un abito nero con una camicia dello stesso colore aperta sul davanti, mostrando il suo petto marmoreo. Farà sicuramente palestra.

«Tutto bene? Vuole che apra le finestre? Il suo viso è diventato pallido.»

«Mi scusi, ma non sono stata avvisata del suo arrivo,» dico cercando di allontanarmi e raggiungere la mia scrivania, che sembra lontana come un faro in mezzo al mare.

Prende posto alla mia destra, sedendosi con nonchalance alla sua postazione, mentre io sono tesa come una corda di violino.

Cerco di rompere il ghiaccio parlandogli del nostro sistema di lavoro. Tenere a bada la mia ansia è molto difficile. Credo sia bipolare: alterno giorni in cui dalla troppa ansia non riesco a tenere la lingua a freno, ad altri in cui non riesco a dire una parola, chiudendomi in un mutismo selettivo.

Maledetta me per aver passato quel concorso. Se fossi arrivata anche seconda, ora non sarei passata al livello successivo e non sarei qui a dividere l'ufficio con questo tizio che non smette di sorridere mentre parlo, sembra che si stia prendendo gioco di me.

«Le dispiace dirmi cosa c'è di tanto divertente mentre le mostro il sistema lavorativo?» chiedo sul punto di una crisi isterica.

«Mi scusi per la sfacciataggine, ma non crede che prima di affidarmi a lei, Marco mi abbia fatto passare un test? E per giunta spiegandomi per filo e per segno ciò che avrei dovuto svolgere al suo fianco.»

Di' qualcosa, Natalia, maledizione!

Si alza sporgendosi sulla mia scrivania. «Se non fosse per la targa che meritatamente Marco ha pensato per lei, non si è nemmeno presentata!»dice toccando la targhetta color oro con su scritto il mio nome.

Il suono di un piccolo aggeggio che Marco ha posizionato in ogni ufficio lampeggia di colore giallo, avvisandoci che la nostra pausa pranzo è appena iniziata. Per mia fortuna, posso sgattaiolare via da questa conversazione.

Ritorna al suo posto mentre io mi appresto a mettere il mio PC in standby. Lo vedo sistemare dei file nelle cartelle come se fosse a conoscenza di ogni cosa. Dovrò chiedere a Marco quanto è preparato il mio assistente, perché sembra conoscere questo posto meglio di me.

I suoi occhi neri fissano ogni mio movimento fino a seguirmi alla porta. Una ciocca di capelli gli ricade su di essi, distraendolo mentre la tira indietro, e io ne approfitto per uscire dai suoi occhi che sembrano radar e sgattaiolo fuori.

Richiudo la porta alle mie spalle con fatica, sento dei passi venire dietro di me.

«Signorina Preziosi, la prego non scappi!»

Cosa vorrà ora il signorino so-tutto-io...

«Sarebbe così gentile da indicarmi dove vi state dirigendo per la pausa pranzo? È pur sempre il mio primo giorno e lei è il capo!» dice beffeggiandosi ancora una volta di me.

«Io non sono il suo capo!» puntualizzo stizzita.

«Di sicuro non lo sono io!» ribatte con un mezzo sorriso falso sulle labbra.

Si sta prendendo gioco di me...

«Appena esce dall'edificio, alla sua sinistra c'è un bar che è anche una tavola calda. È lì che tutti i colleghi si riuniscono per la pausa pranzo.»

«Una tavola calda? Un po' mediocre per dipendenti di questa portata, non trova?»

Cerco di non cadere nelle sue provocazioni, fingendo di non aver udito le sue ultime parole.

«Le ricordo che la pausa pranzo dura all'incirca un'ora. Ci vediamo dopo.»

Appena metto piede fuori dall'edificio, l'odore dello smog mi assale le narici. Roma è una cappa di fumo e auto in code chilometriche; per me è una piccola America troppo caotica. Entro nel ristorante e prendo posto al mio tavolo riservato. Ovviamente l'ultimo tavolo a destra, dove c'è la vetrata, in modo che possa guardare fuori dalla finestra. Di solito scelgo sempre posti che abbiano finestre, o quelli più isolati. Soffro di attacchi di panico e non riesco a stare in mezzo a tanta gente; al solo pensiero mi manca già l'aria.

Sistemo la borsa sulla sedia e il rumore del campanello della porta d'ingresso richiama la mia attenzione.

Eccolo qui!

Lo vedo un po' spaesato, come se stesse cercando qualcuno.

Perché sta guardando nella mia direzione?

Abbasso lo sguardo sul menù per non farmi notare. Non ho intenzione di condividere anche la pausa pranzo con lui; è già opprimente averlo nel mio ufficio. Lo guardo prendere finalmente posto, cercando di non farmi notare. Amicca un sorriso smagliante alla cameriera, che subito ricambia. Ordina un cheeseburger con doppia porzione di patatine e un caffè lungo macchiato, direbbe da vero americano. Chissà da dove proviene, visto il suo cognome straniero.

Un'ora dopo, finita la pausa pranzo, rientro in ufficio. Sento vibrare il cellulare: mi è appena arrivato un messaggio da parte di Stefano. Mi avvisa che questo weekend sarà a Milano per lavoro, quindi significa che passerò un weekend in totale solitudine.
Il mio cambio d'umore non tarda ad arrivare. Non voglio restare senza di lui proprio ora che sono nel pieno di questo cambio radicale. Averlo vicino mi rassicura ed ogni cosa sembra meno pesante di quello che pare. Da quando vivo da sola, pensavo che avremmo trovato un po' di tempo per noi, visto che ho casa libera. Ma non è stato così, anzi ci vediamo molto meno. Stefano è troppo preso dal suo lavoro, ed è un maniaco del controllo, soprattutto con le sue ambizioni.

Mi siedo alla mia postazione, invio dei file sul computer di Smith che dovrà mettere in ordine per me, ne approfitto visto che non è ancora rientrato.

Dopo circa dieci minuti rientra in ufficio, silenziosamente prende posto. Ho preferito mandargli un file direttamente dal computer, piuttosto che spiegargli di persona cosa deve fare. Visto che sembra così saputello, saprà sicuramente cavarsela da solo.

Non mi va di dirgli cosa mi occorre, non vorrei essere troppo esigente. Posso benissimo cavarmela da sola. Lo vedo concentrato sul portatile, da non sentire a malapena nemmeno il suo respiro. Per quasi due ore non si sente una mosca volare in ufficio. So di avere dei problemi nel relazionarmi con le persone, ma forse dovrei sforzarmi, almeno un po'. L'arroganza non fa parte del mio carattere, e nemmeno la presunzione. Forse dovrei solo abbassare le barriere. Se lui è qui ci sarà un motivo, e sicuramente Marco sa ciò che fa. Questo nuovo ruolo non posso portarlo avanti da sola senza un braccio destro, nel mio caso "Duncan Smith".

«La giornata sta per terminare. Come le è sembrato il suo primo giorno?» dico con un filo di voce spezzando il silenzio.

Alza il capo dal computer, sembra quasi stupito nel sentire la mia voce. L'espressione sorpresa sul suo viso ne è la prova, forse sono stata troppo diretta.

«Con un po' d'impegno possiamo fare un ottimo lavoro di squadra, se lei me lo permetterà.»

«Mi dispiace per prima,» dico ammettendo.

«Non si faccia troppi problemi. Io sono convinto che mi divertirò molto in questo ufficio!»

Che diavolo vorrà dire?

La giornata lavorativa sta per terminare, il sole sta iniziando a tramontare. Come mio solito, tolgo le scarpe lasciandole sotto alla scrivania, cercando di non farmi notare da lui. Inizio a togliere le forcine dai capelli che hanno iniziato a farmi pulsare le tempie. Do un'occhiata a Smith che sembra non notare i miei movimenti.

Apro le tendine dell'ufficio e mi perdo a guardare fuori dalla finestra, come ogni pomeriggio. Mi perdo nell'infinito del cielo azzurro dove mi piace pensare a lei, ripercorrendo dei ricordi che custodisco segretamente nel mio cuore, dove nessuno a parte noi conosce. È solo così che riesco ad appagare la mia ansia.

Sento i suoi occhi scrutarmi profondamente, sento il suo odore troppo forte e troppo vicino.

Ma quando si è alzato? Avevo quasi dimenticato che ci fosse anche lui.

Appena volto lo sguardo verso di lui, mi sorride.

Sento le guance andare a fuoco e mi maledico per questo. Sembro una stupida ragazzina, sarebbe meglio se si allontanasse.

«Il tuo lavoro è terminato,» dico spezzando quella connessione di sguardi.

Duncan fa un passo indietro, si sistema la giacca ed esce dall'ufficio frettolosamente senza salutarmi.

Nessuno gli ha insegnato le buone maniere?

Appena arrivo nel mio appartamento, vorrei tirare un urlo per essere sopravvissuta a questa lunga giornata, a questo nuovo inizio che mi spaventa e non tiene a freno la mia ansia per le troppe responsabilità. Ma appena i miei occhi incrociano i suoi mi sento finalmente a casa, al sicuro. Stefano è di spalle, affacciato sul terrazzino. Ha riposto la giacca sul divano, indossa una semplice camicia bianca e dei pantaloni blu. La luna gli illumina il viso rendendolo perfetto per me.

Mi chiedo ancora cosa ho fatto per meritarmelo. Passiamo la notte insieme, spogliandoci dai nostri impegni, rifugiandoci uno nel corpo dell'altro.


***Spazio autrice ***
Salve a tutte!! Sono nuova di zecca, amo molto leggere e non ho mai provato a scrivere una storia.
So bene di non essere molto brava, ma ho una storia da raccontarvi e voglio provarci.
Mi scuso per gli errori, ma è davvero la mia prima volta.
Buona lettura e spero che la storia vi possa piacere.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top