Atena

Il vento continuava a soffiare, tagliente come una lama contro la mia pelle, mentre il sentiero si snodava tra le rocce e le ombre lunghe delle montagne.

Avevo lasciato la maschera ai piedi della capanna, una reliquia inutile che non poteva darmi ciò che cercavo.

Ogni passo mi avvicinava all'Olimpo, ma dentro di me c'era un tumulto che cresceva, una voce che non riuscivo a ignorare.

Mi chiedeva se stessi facendo la cosa giusta, se il mio ritorno avrebbe davvero portato qualcosa oltre alla sofferenza.

Dietro di me, la signora camminava lenta, il suo passo leggero ma costante, come se non temesse il gelo o le asperità del terreno.

Il suo silenzio era opprimente, ma sapevo che avrebbe parlato quando avesse voluto. Non era una guida, ma un'ombra che si insinuava nei miei pensieri.

«Ti fermi spesso a guardare il cielo» disse infine, la sua voce ruvida che spezzò la quiete.

Mi voltai verso di lei, stringendo i pugni.

«È difficile non farlo. L'Olimpo è lassù. Non lo avevo mai guardato da così lontano.»

La signora ridacchiò, un suono basso e tagliente.

«E ora che lo vedi dall'esterno, cos'è che provi? Speranza? O rabbia?»

Abbassai lo sguardo, il respiro che si condensava nell'aria fredda. «Non lo so. Forse entrambe.»

«Entrambe, dici? Non è la speranza che ti muove, bambina, ma la rabbia. La speranza è per i deboli. Per quelli che non sanno cosa fare della propria sofferenza.»

Sofferenza.

Quella parola mi colpì come un pugno nello stomaco.

Non volevo darle ragione, ma sapevo che era vero.

Da quando ero fuggita, non avevo fatto altro che rimuginare su ciò che avevo perso.

Il mio volto.

Il mio posto tra gli Dei. Sirio.

Sirio.

Il suo nome mi bruciava in gola, un veleno che non riuscivo a sputare.

«E cosa dovrei fare?» chiesi, voltandomi verso di lei. La mia voce era più forte, più decisa.

«Cosa vuoi da me?»

«Non è una questione di ciò che voglio io» rispose la signora, i suoi occhi scuri che sembravano scrutarmi fino in fondo all'anima.

«È una questione di ciò che vuoi tu. Mi sembri una guerriera che ha perso la sua spada.

Vaghi, confusa, cercando risposte dove non ce ne sono. Ma sai già la verità, Atena. Sai cosa devi fare.»

«E quale sarebbe questa verità?»

Lei rise piano, scuotendo la testa.

«La vendetta, ovviamente. Sei una guerriera, no? La guerra è nel tuo sangue, non è vero? E allora, perché stai cercando di negarlo? Ti hanno tolto tutto. Hanno calpestato ciò che eri, ti hanno lasciata a marcire nella tua stessa vergogna. E tu li lasci fare? Dove è finita la Dea che si ergeva fiera sul campo di battaglia?»

Non risposi. Sentivo il cuore battere forte, e la sua voce risuonava come un martello che colpiva le mie convinzioni, frantumandole.

«Sirio ti ha abbandonata»

continuò lei, avvicinandosi di un passo.

«Ti ha giurato amore eterno, ma dov'era quando avevi bisogno di lui? Dov'è ora, mentre tu soffri e lui si crogiola nel suo orgoglio? Sai già la risposta, bambina. Lui non ti merita.»

«Non è così semplice» dissi, ma la mia voce tremava.

«Non è mai semplice» rispose la signora, la sua espressione improvvisamente seria.

«Ma è necessario. Sai cosa ti hanno tolto. Sai chi ti ha tradito. E sai cosa devi fare. Torna all'Olimpo, ma non come quella che eri. Torna come la vendicatrice. Mostra loro che Atena non si piega, che non si lascia distruggere. Fai vedere a tutti di cosa sei capace.»

Le sue parole erano come veleno che si diffondeva nelle mie vene.

Volevo respingerle, ma sapevo che una parte di me le desiderava.

Desiderava il potere, la rivalsa, la possibilità di mostrare al mondo che non ero stata sconfitta.

«E se fallissi?» sussurrai, abbassando lo sguardo.

La signora sorrise, un sorriso freddo e tagliente.

«Non fallirai. Perché la vendetta non conosce sconfitta. È un'arma che si nutre della tua forza, e tu ne hai in abbondanza. Falliresti solo se scegliessi di perdonare.»

Perdonare. La parola mi sembrava estranea, un concetto debole e insensato. Non potevo perdonare. Non volevo.

Fissai la strada davanti a me, la lunga salita verso l'Olimpo che si stagliava all'orizzonte. Era ancora lontano, ma non abbastanza.

Ogni passo mi avvicinava alla mia vecchia vita, ma non avrei permesso che mi accogliessero come prima.

Non ero più la Dea della saggezza.

Non ero più una guida per gli altri.

Ora ero una fiamma pronta a bruciare tutto ciò che si frapponeva tra me e la giustizia.

«Sai qual è il bello della vendetta?» disse la signora mentre riprendevamo a camminare.

«No» risposi, la voce piatta.

«Che è l'unica cosa che non delude mai.»

Quelle parole mi seguirono mentre avanzavo, il mio cuore che batteva con una determinazione nuova.

Non c'era più esitazione.

Non c'era più dubbio.

Tornavo all'Olimpo. Non per cercare perdono. Non per cercare Sirio.

Tornavo per distruggere.

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