96. Agente sotto copertura
Ogni giorno in ospedale è diverso. Ci sono giorni in cui tutti corrono e giorni in cui ogni cosa va a rallentatore. Questi ultimo sono i giorni che preferisco perché vuol dire che non c'è nessuna emergenza particolare o vite in pericolo. Sono momenti in cui possiamo concederci un caffè in più o scambiare qualche battuta di troppo. Ma difficilmente non si pensa a ciò che ci circonda realmente. A parte semplici casi di patologie facilmente curabili, ci sono anche casi gravi. Forse i medici sono abituati a questo ma io ancora no e vedere persone non farcela o bambini malati mi mette una grande tristezza.
Da un po' di tempo sto pensando di fare qualcosa per aiutare queste persone a sorridere nonostante tutto. Penso a quella ragazza, Melissa, che lavorava in quell'ospedale pediatrico a Londra. Mi piaceva quello che faceva. Faceva divertire quei bambini ed era stupendo. Magari un giorno riuscirò a farlo anche io. Per adesso mi limito a fare visita ogni tanto a Victoria, nel tempo libero. E' una bambina sui dodici anni, incredibilmente espansiva, parla sempre ed ha sempre una risposta a tutto. Mi fa ridere spesso. La sua condizione non è grave, ma si ammala facilmente e quindi è spesso qui per dei controlli.
"Come va oggi?"- domando poggiando la mia cartella sul mobile vicino alla porta. Lei alza il viso per guardarmi e, rallegrando il mio cuore, il suo viso si apre in un sorriso.
"Come al solito. Mamma parla col dottore."
"L'ho vista all'ingresso."- annuisco. –"Come stai?"
"Sto bene. Sono caduta mentre giocavo con i miei amici e mi sono sbucciata un ginocchio."- ruota gli occhi al cielo. – "Mamma esagera come sempre."- ridacchio mentre la fisso incrociare le braccia al petto seduta sul lettino della stanza che è praticamente sua ormai.
"Lo sai perché."
"Si ma non sto morendo, mi sono solo sbucciata un ginocchio."- forse se fossi nei suoi panni sarei stizzita e stufa anche io della sua situazione.
"La ferita potrebbe infettarsi e peggiorare. Su di te più che in chiunque altro. Tua madre si preoccupa per te."- le spiego per l'ennesima volta sedendomi accanto a lei. Ma non la convinco più. Lei si sente forte, lo è moralmente, ma non altrettanto fisicamente. Ruota nuovamente gli occhi al cielo prima di giocare con la fasciatura disinfettata sul ginocchio.
"Tu?"- chiede poi cambiando argomento.
"Io?"
"Si tu, come va col tuo ragazzo play-boy."- alza e abbassa le sopracciglia in maniera sospetta.
"Non è un play-boy."- la rimprovero scherzosamente.
"L'ho visto quando ti è venuto a prendere l'ultima volta! E' il tipo a cui tutte sbavano dietro."
"Ma dai.."
"Dovresti stare attenta. Potrebbero rubartelo, tipo io."- mi provoca cercando una reazione da me. So che sta scherzando ma comunque non mi preoccupo di una dodicenne.
"Ah, non posso competere con te."- mi fingo vinta. Accanto a me sento una piccola risata che viene poi coperta dai passi di due figure sulla porta. Jennis, la madre, è appena arrivata con il Dr. Clark. E' una giovane donna, appena di qualche anno più grande di me. Ha avuto Victoria da giovane e il padre le ha abbandonate. Troppo immaturo per avere una figlia.
Da quel che Jennis mi ha raccontato durante le visite di routine, questo non le pesa. Loro due stanno benissimo, anche se la preoccupa il fatto che magari Vic abbia bisogno di una figura paterna. Per adesso sembra che non ne senta comunque la mancanza. Chissà che fine ha fatto quell'uomo.
"Puoi tornare a casa Victoria, sei sana come un pesce."- annuncia Clark.
"Te lo avevo detto!"- si sbraccia Vic contro sua madre che come ogni volta ruota gli occhi al cielo alla presunzione della figlia. Hanno le stesse abitudini, forse non se ne accorgono.
"Andiamo."- gesticola Jennis avviandosi alla porta. –"Ciao Talìta, Dr. Clark."
"Ciao."
Vic agita la mano verso di me in segno di saluto, che ricambio. Non vedo l'ora di incontrarla un'altra volta. Questo è egoistico, ovviamente non voglio che stia male solo per rivederla qui. Magari dovrei chiedere il loro indirizzo. Le due figure scompaiono lungo il corridoio.
"Ti ho detto mille volte di non affezionarti ai pazienti."- mi rimprovera pacato il Dr. Clark afferrando la mia cartella sul mobile per dare un'occhiata ai miei appunti.
"Non ci riesco."- sbuffo per l'ennesima volta.
"Devi riuscirci."
"Non tutti i pazienti muoiono."- rispondo pur sapendo che è un mio superiore. Da un po' ho capito che molti qui seguono questa filosofia. I dottori non devono affezionarsi ai pazienti così non c'è il rischio di restarci male se non ce la fanno. Io penso sia una cosa stupida. Penso che il rapporto dottore/ paziente sia fondamentale. Deve costruirsi un rapporto di fiducia e fare il possibile per loro. Questo è quello che mi è stato insegnato e che condivido letteralmente. A volte penso che Clark sia senza cuore.
"Come vuoi, io ti ho avvertita."- scrolla le spalle. Forse se fosse trent'anni più vecchio lo rispetterei, ma è un dottore da appena un paio d'anni e non è molto più grande di me. Questo me lo fa odiare ancora di più. Crede di essere così perfetto. – "Avverti i tuoi colleghi che lo stage ricomincerà tra mezz'ora. Davanti al mio studio puntuali."- avvisa composto porgendomi la cartella con aria di sufficienza, poi scompare anche lui lungo il corridoio e io mi trattengo dall'urlargli contro che razza di idiota sia.
***
Quando finalmente torno a casa un sospiro di sollievo lascia la mia bocca nel momento esatto in cui mollo il cappotto sulla spalliera del divano. Pregusto già una cena di cibo cinese perché non ho per niente voglia di cucinare. Il Dr. Clark ha il potere di rovinarmi le giornate con solo una parola. Afferro il cellulare per chiamare Harry e chiedergli se è d'accordo per il cinese ma noto la luce della nostra stanza accesa.
Aggrotto le sopracciglia e osservo l'orologio, mi chiedo come mai sia già tornato. Sono appena le otto di sera.
"Harry?"
Chiamo avvicinandomi alla stanza. Una vena di timore mi fa preoccupare e se ci fosse qualcuno in casa? O forse ho solo dimenticato di spegnere la luce prima di andare via. Non per forza devo pensare male.
"Harry?"
"Tal, vieni."- risponde proprio lui. Sospiro rilassandomi. Non credevo di star trattenendo il fiato. Raggiungo la soglia trovandolo piegato sulla scrivania con il computer acceso. Da donna quale sono non posso fare a meno di notare che è a torso nudo, con ancora in dosso i suoi pantaloni eleganti da ufficio. La camicia e la giacca poco elegantemente gettate ai piedi del letto.
"Come mai sei già a casa?"- chiedo.
"Ho finito prima di compilare quelle cartacce."- ridacchia portando lo sguardo su di me. – "E poi mi mancavi."- arrossisco impercettibilmente ancora sensibile ai suoi complimenti. Illuminato dall'abatjour il suo viso appare più definito e i suoi zigomi, i suoi muscoli emergono in evidenza. – "Perché mi guardi così?"- quasi scoppia a ridere.
"Victoria ha ragione."- scuoto la testa divertita.
"Victoria?"- domanda aggrottando le sopracciglia.
"Quella bambina che ti faceva il filo in ospedale qualche settimana fa."- spiego.
"Quella che non teneva mai la bocca chiusa?"
"Si, lei."- confermo avvicinandomi alla scrivania e sedendomi sopra di essa in modo da poterlo guardare in viso dall'alto in basso.
"E su cosa avrebbe ragione?"- sussurra pizzicandomi i fianchi guardandomi dal basso della sua sedia.
Lo osservo negli occhi e quasi mi ci perdo dentro per quanto sono verdi e profondi e so che guardano solo me, mi leggono dentro e conosce ogni parte di me e ogni sfaccettatura del mio carattere. Sfioro le sue spalle creando ombre sulla sua pelle con le mie dita. Accarezzo poi il suo collo e in fine la sua mandibola con il pollice creandomi una perfetta visuale del suo sguardo nel mio. I capelli tirati indietro, le sopracciglia curiose dalla mia improvvisa analisi.
"Tal."
"Sei troppo bello, dovrei stare attenta a tutti gli sguardi delle altre ragazze su di te."- mi mostra i denti perfetti sorridendomi divertito. – "E' quello che ha detto lei."
"E tu lo pensi?"- chiede coprendomi i fianchi con le sue enormi mani.
"Comincio a pensarlo."- ridacchia prima di alzarsi dalla sua sedia e sovrastandomi con la sua altezza ancora una volta. Curva le spalle toniche e in un batter d'occhio le sue labbra morbide e rosee stanno massaggiando le mie. Le sue mani le mie guance e il suo amore la mia anima.
"Probabilmente sarò tuo a vita, non hai di che preoccuparti."- annuncia scoccandomi un ultimo bacio prima di tornare seduto sulla sedia della scrivania. Con una mano tiene la mia e con l'altra traffica con il computer.
"Cos'hai da fare con quel computer?"- chiedo curiosa.
"Controllo i filmati della sicurezza dell'ultimo mese."- risponde concentrato. Filmati della sicurezza?
"Perché?"
"Guarda."- girando lo schermo verso di me, con il mignolo mi indica una figura in un video scomparire dietro un edificio. Ci sono diverse schermate con video diversi dove la stessa figura compie gli stessi movimenti e comincio a chiedermi cosa sta succedendo.
"Che roba è?"
"Non lo so."- sussurra. – "Ma è da una settimana che mi sento osservato ogni volta che lascio l'ufficio. Ho chiesto questi video alla sicurezza e a quanto pare c'è qualcosa che mi sfugge."
"Non sai chi può essere?"- e se volessero fargli del male. Ingoio un groppo di preoccupazione al solo pensiero. Stacco gli occhi dallo schermo per guardare lui che serio continua a fissare il computer.
"Non ne ho idea. I filmati non fanno vedere in viso chi sia."- in silenzio pensa per qualche secondo poi spegne il computer e alzandosi mi prende per mano trascinandomi a letto. Continuo a pensare a quei video e credo che non mi passerà questa preoccupazione finchè non sapremo cosa succede. – "Sei preoccupata?"- chiede una volta faccia a faccia sul nostro letto.
"Adesso si."- confesso. – "E se vogliono farti qualcosa?"
"Non succederà."- tenta di tranquillizzarmi carezzandomi una guancia. – "Non dovevo parlartene."- sospira.
"No, tu devi parlarmi di tutto. Ricordi? Niente più segreti."
"Ma ora sei in pensiero, non voglio che ti preoccupi."- spiega avvicinandomi a sé e stringendomi.
"Non importa. Ma stai attento."
"Anche tu."- risponde. – "Tieni gli occhi aperti, non si sa mai."- mi lascia un bacio sulla fronte mentre pensierosa fisso la sua collana a forma di croce. Questa storia mi inquieta, sembra uno di quei casi da film poliziesco con rapimenti e sparatorie. Forse sto divagando.
"Ne hai parlato con tuo padre?"
"Non ancora."
"E cosa ci aspetti?!"- chiedo preoccupata. – "Magari ingaggerà delle guardie del corpo per te o più sicurezza."- sembra divertito dalla mia preoccupazione.
"Non esagerare, potrebbe anche essere qualche fottuto drogato che va a farsi di canne in un vicolo fottutamente lercio."- cerca di tranquillizzarmi ma non ci riesce. Ha detto che si sentiva osservato. Anche lui non crede alla storia del drogato ma non vuole darlo a vedere per non farmi preoccupare. Annuisco per non pensarci e chiudere questo argomento.
"Spero che sia così."
"Vedrai che non è niente."- annuisco ancora poco convinta ma decisa a non pensarci perché quando penso creo castelli immaginari e trame da Oscar.
"Ti va il cinese?"- chiedo poi con un mezzo sorriso. Lui mi guarda con sguardo affettuoso prima di prendermi una mano e portarla alle sue labbra.
"Si, mi va."- concorda. – "Ma questa volta prendi doppia porzione di involtini primavera, non vorrei vedermeli sparire di nuovo."- mi accusa.
"Non era previsto che mi piacessero!"
HARRY'S POV
"A me sembra una grandissima cazzata! Cosa vuoi fare?"
"Sta zitto e metti questi."- lancio a Liam un cappotto e un cappello che ho preso dall'attaccapanni al piano di sotto, probabilmente di qualche fottuto impiegato troppo impegnato a battere i tacchi sul pavimento per curarsene.
"Non voglio farlo, e se è armato?"- chiede tremando come una foglia indossando scarpe da ginnastica e jeans che gli ho intimato di portarsi in ufficio.
"Non dobbiamo incontrarlo, dobbiamo solo seguirlo."
"Vuoi giocare alla spia mettendo a rischio le mie palle?"- chiede sbuffando.
"Le tue palle saranno salve se il tuo culo resta dietro il mio."- rispondo alterato dalla sua fifa, realizzando solo dopo del doppio senso della mia frase. – "Mi è uscita male."
Ruotando gli occhi al cielo si copre i capelli perfettamente pettinati con il cappello sportivo mentre io indosso la mia t-shirt e le mie scarpe da corsa gialle, non esattamente adatte per un occultamento ma perfette per scappare.
"Perché non ne parli semplicemente a tuo padre? Quello smuoverebbe la CIA per scoprire qualcosa di losco!"
"Perché potrebbe essere una cazzata frutto della mia cazzo di fantasia, voglio esserne sicuro."- spiego mentre raccolgo i capelli dentro il berretto. Dovrei comprare più cappelli, mi stanno piuttosto bene.
"E cosa c'entro io?!"
"Non ti aspetterai che ci vada solo? Devi coprirmi le spalle."
"E chi le copre a me?!"- si lamenta vestito come uno spaventapasseri, ma io non credo di essere messo meglio. Questo cappotto puzza.
"Smettila di lamentarti, andiamo."- lo sento sbuffare mentre mi segue fuori dal mio ufficio. La stramba segretaria ci fissa senza dire una parola mentre usciamo dall'ufficio conciati come due barboni. Uscire dall'ingresso principale dell'azienda avrebbe dato troppo nell'occhio, quindi ho studiato le piante del palazzo e ho scoperto un'uscita sul retro che da proprio in un angolo di quel vicolo.
"Moriremo."
"Chiudi il becco."- lo rimprovero aprendo lentamente la porta di ferro cigolante. Il vicolo è buio e freddo a pochi passi dalla strada principale. E' quasi ora. In tutti i filmati il tizio raggiungeva il vicolo alle otto in punto, come se avesse un appuntamento. A gesti, intimo Liam a chiudere la porta senza far rumore e a seguirmi dietro alcuni cassonetti dell'immondizia.
Questo posto mi ricorda tanto quel fottuto vicolo pieno di topi dove io, Louis e Zayn siamo stati pestati anni fa dagli scagnozzi di Josh. Chissà che fine ha fatto quella testa di cazzo. Spero stia marcendo ancora in prigione insieme a suo zio dopo quello che hanno fatto a Tal. Il solo pensiero mi manda ancora in manicomio.
Passano alcuni minuti, osservo il mio orologio. Le otto. Osservo Liam e gli mimo di stare zitto nello stesso istante in cui alcuni passi si sentono in lontananza. Vedo il fottuto fifone farsi il segno della croce e ruoto gli occhi al cielo prima di guardare chi si sta avvicinando. Tra un cassonetto della spazzatura e un altro osservo una figura guardarsi intorno circospetto. Pur sforzandomi non riesco a vederlo in faccia il che mi fa incazzare.
Non sembra per niente un drogato.
Indossa una giacca di pelle lucida e riesco a vedere solo quella nel buio di questo vicolo. Poi il suo cellulare squilla.
"Pronto?"
"No, non è uscito."- sta parlando di me?
"Che cazzo ne so perché non è uscito! Non l'ho visto."- mi stanno spiando?
"Non è il momento. No. Aspettiamo ancora."
"Credo sospetti qualcosa."
"Non lo so!"
"Si, vado."
Il tizio spegne il cellulare dirigendosi verso la porta di ferro dalla quale siamo usciti poco fa. La luce dell'interno illumina parte della sua figura ma pur vedendogli il profilo non riesco a riconoscerlo. Non l'ho mai visto. Entra nell'edificio incurante se qualcuno lo vede o no. Deve essere qualcuno che lavora per noi. Fottuti cospiratori.
Quando la porta si richiude con un tonfo sordo sento Liam al mio fianco riprendere fiato.
"Che cazzo sta succedendo?"- sussurra in preda al panico. Anche al buio riesco a vedere quanto è spaventato. Sarà più pallido in viso di un vampiro.
"Non ne ho idea. Una cosa è sicura, vogliono qualcosa da me o da mio padre."
"Soldi?"
"Forse."- sospiro. –"Teniamo gli occhi aperti d'ora in poi."- lui annuisce.
"Merda amico, qui c'è qualcosa di grosso sotto. E' eccitante!"
"Te la stavi facendo sotto trenta secondi fa!"
"Forse me la sono fatta davvero sotto."
"Cristo, che schifo."- mi alzo dal mio nascondiglio. – "Andiamo dentro."
E' una situazione del cazzo che sono determinato a scoprire e risolvere. Questa gente mi conosce, sa cosa vuole e probabilmente sa come ottenerlo. Non capisco perché mi osservano di nascosto. Perché questo tizio entra dal retro se lavora in azienda? Probabilmente non sono neanche geni del crimine visto che non si preoccupano delle telecamere di sorveglianza.
Sono sempre più curioso.
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Odio ritardare scusatemi! Spero che il capitolo vi sia piaciuto alla prossima, vi adoro, grazie per le belle parole e i complimenti<3
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