94. Test e primo giorno di lavoro

Odio il sentimento di malinconia che sento ogni volta che sto per andare via. Non riesco bene a spiegare come mi sento in queste situazioni ma posso solo dire che il mio comportamento è alquanto contraddittorio. Mi sento come se avessi due case, due vite e due routine diverse. Quando metto piede a Los Angeles per venire a trovare tutti quasi non vorrei andare via pur sapendo i doveri che mi aspettano a New York. Ma anche quando sono a New York non vorrei tornare a Los Angeles e lasciare quello che mi sono creata io. Sono due posti in cui ho lasciato una parte del mio cuore, pertanto adesso è diviso in due.

Sta di fatto che adesso sento un nodo allo stomaco al pensiero che tra pochi minuti il mio volo verrà chiamato e che dovrò lasciare di nuovo Los Angeles e papà per tornare a lavoro.

Non tutti sono venuti a salutare me e Harry fortunatamente o non sarei mai riuscita a staccarmi da loro. C'è papà che come al solito mi raccomanda di stare attenta e di tenere gli occhi aperti ovunque vada. E' venuto anche Louis. Non vorrei proprio lasciarlo solo in questo momento. Ho paura che il bere adesso sia solo l'inizio per tornare al punto di partenza.

E dire che speravo stesse mettendo la testa apposto. Sono preoccupata ed è per questo che mi sono fatta promettere di chiamarmi e scrivermi ogni giorno. Non so quanto io possa fare a distanza ma spero almeno di essergli utile, una valvola di sfogo per i suoi problemi e quindi sostituire l'alcol che non lo aiuta a riflettere.

"Chiama quando arrivi."- mi sussurra papà stringendomi in uno dei suoi abbracci più calorosi e confortevoli. Non ricordo che mi sono mancati i suoi abbracci fin quando non lo rivedo.

"Certo."- rispondo accoccolandomi a lui mentre con la coda dell'occhio vedo Harry prendere in braccio Gemma con fatica. Abbiamo appena il tempo per gli ultimi saluti e gli ultimi abbracci quando finalmente il nostro volo per New York viene chiamato. A malincuore ci avviamo verso il gate con i nostri bagagli a mano.

Sventolo la mano in lontananza sorridendo quando l'ormai cresciuta Gemma mi lancia un bacio volante. E' così dolce. E' diventata una bambina così solare. Fa sorridere tutti. Vorrei passare molto più tempo con lei ma purtroppo non è possibile.

Quando l'aereo decolla passano pochi minuti prima che mi addormenti sulla spalla di Harry che come suo solito si perde a guardare fuori dal finestrino. Questa volta non litighiamo, semplicemente stiamo zitti, io nel mio stato di dormiveglia e lui nella sua meditazione facendoci allo stesso tempo compagnia a vicenda. L'aereo atterra qualche ora dopo ma è già sera e la mia stanchezza è aumentata, pertanto non mi rendo quasi conto di tutto quello che abbiamo fatto prima di aprire il portone del nostro condominio. L'ambiente familiare mi fa sentire già più a mio agio e aiuta a non pensare troppo alla lontananza da papà.

Trasportando le nostre valige dietro le nostre schiene finalmente arriviamo sul nostro pianerottolo, esausti del viaggio. Non mi va neanche di disfare le valige a quest'ora per questo le lasciamo all'entrata prima di stravaccarci insieme sul divano come una vecchia coppia stanca. Io sospiro e lui mi segue. C'è puzza di chiuso e nella mia mente mi convinco che sarebbe meglio aprire qualche finestra per cambiare aria ma i miei muscoli mi tengono salda al divano.

"Stanca?"

"Non lo vedi?"- chiedo retoricamente.

"Oh lo vedo."- borbotta con gli occhi chiusi e la testa appoggiata allo schienale. Cala il silenzio e in questi minuti non so se mi sono addormentata o no e non so se ho sognato o era solo la mia mente a correre e rivivere gli ultimi malinconici giorni a casa. Sta di fatto che il sonno sembra improvvisamente svanire e spalanco gli occhi mettendomi diritta quando mi ricordo di non aver ancora preso la pillola dopo ieri notte.

"Harry!"- sbotto preoccupata strattonandolo per risvegliarlo. – "Harry!"- lo urto di nuovo e lui infastidito apre finalmente gli occhi.

"Cosa?!"- risponde a tono strizzando gli occhi assonnati.

"La pillola."

"Quale pillola?"- è più addormentato di quanto pensassi.

"Quella del giorno dopo! Non l'ho ancora presa!"- mi guarda per un attimo come se non stesse capendo le mie parole ma passa davvero poco prima che se ne renda conto. Le labbra arricciate come per dire qualcosa.

"Prendila no?!"

"Non ce l'ho! Devi andarla a comprare."- mi alzo in preda al panico. Osservo l'orologio e mentalmente calcolo che ho ancora un paio d'ore prima che sia troppo tardi.

"Dove la trovo una farmacia aperta a quest'ora?!"- domanda lui ancora più agitato di me. Supersveglio adesso comincia a fare avanti e indietro sul posto come per riorganizzare le idee. Ma ci mette troppo tempo.

"Harry!!"

"Vado!!"- urla di rimando. Il silenzio cala di nuovo in pochi attimi dopo che sbatte la porta di casa. La cosa forse ci è un po' sfuggita di mano. Sapevo che non era una buona idea non prendere precauzioni. Né io né lui ci abbiamo più pensato oggi prima di partire per via di tutte le cose che c'erano da fare.

Il pranzo con gli Styles si è prolungato fino al pomeriggio ridendo e scherzando per l'ultima volta prima di andare via, papà voleva stare altro tempo con me e io ovviamente con lui, le valige, la corsa in aeroporto perché eravamo in ritardo. Il tempo è volato e io non ho pensato alla cosa più importante: evitare di rimanere incinta.

Il tempo che trascorre è velocissimo. Sono già trenta minuti che è fuori e io non riesco a stare tranquilla. Tento di tenermi occupata sistemando le nostre cose ma la mia testa è solo da una parte. Solo ora mi rendo conto di quanto potremmo rischiare in questo momento, la pillola non è una scienza esatta, non è detto che funzioni e in più il mio ciclo è finito da poco.

Questi sono i momenti in cui odio essere donna. Sbuffo risedendomi con un tonfo sordo sul divano aspettando ancora che Harry torni. E' già passata un'ora. Possibile che non trovi una farmacia aperta? Accendo la tv per disperdere un po' di agitazione in qualche frivolo programma a premi ma non funziona molto. Solo una cosa potrebbe tranquillizzarmi e fortunatamente entra dalla porta d'ingresso pochi minuti dopo.

"Finalmente."- sospiro. – "Mi stavo preoccupando."- esulto mentalmente andandogli incontro. Lui serio richiude la porta alle sue spalle con un sacchetto in mano. – "Allora?"

"Allora te ne ho preso un pacco intero."- risponde apparentemente più calmo porgendomi quel sacchetto che sembra contenere più di un pacco di pillole.

"E questo?"- chiedo tirando fuori un test di gravidanza, cosa che mi lascia alquanto spiazzata e preoccupata.

"Il farmacista mi ha consigliato di fartelo fare, ultimamente ci abbiamo dato dentro."- sussurra osservandomi con cautela senza perdere però quel pizzico di rude ironia che lo caratterizza.

"C'è questo rischio?"- chiedo stupidamente. So che c'è questo rischio ma forse non volevo ammetterlo.

"Può succedere, lo sai. I preservativi non sono infallibili e neanche le pillole."- osservo il suo viso tranquillo e mi preoccupo. E' troppo tranquillo rispetto a quando è andato via. Insomma lo sentirei se fossi incinta no? Sono quasi un dottore, dovrei capirlo..

"Okay, ma vieni con me."

HARRY'S POV

Quando quel fottuto farmacista mi ha detto che era meglio fare un test di gravidanza per essere sicuri avrei voluto prenderlo per il colletto da dietro il bancone e farlo volare fino all'entrata. Non l'ho fatto. Avrei voluto, ma non l'ho fatto. Perché alla fine aveva ragione.

Se fosse incinta?

Cristo, non voglio neanche pensarci. Come si cresce un bambino? Non è una cazzo di cosa che trovi su internet, è più complicato. E' difficile e impegnativo, troppe nuove responsabilità che non sono sicuro di voler avere. Eppure c'è un lato della mia mente che pensa che non sarebbe poi tanto male.

Tal è dentro quel bagno da pochi minuti e io sto fottutamente impazzendo qui fuori. Da quando siamo tornati non ci siamo neanche cambiati. Io ho ancora la giacca addosso ma adesso nella mia testa ci sono pannolini e biberon. Merda.

La porta del bagno di apre e io smetto di respirare.

"Allora?"- chiedo impaziente osservando il suo viso serio e preoccupato. Sono quasi certo che il mio sia uguale.

"Dobbiamo aspettare tre minuti."- scrolla le spalle quasi arresa a quel che verrà. Sembra che se ne sia fatta una ragione. Con quello strano bastoncino bianco in mano incrocia le gambe per sedersi lungo la parete del corridoio. Osservo ogni sua mossa cercando di mettermi anche nei suoi panni. Sta quasi per iniziare la sua carriera, le piace quello che fa. Rovinerebbe tutto.

Sospiro prendendo posto accanto a lei. Le nostre gambe perpendicolari sul pavimento, le mie più lunghe e sgraziate delle sue.

"Se fosse?"- domando poi rivolgendo lo sguardo a lei.

"Non lo so."- sussurra semplicemente.

"Lo vorresti tenere?"- che domanda da stronzo. Dovevo stare zitto. E' ovvio che lo terremo. Lei inizia a guardarmi intensamente come se a differenza mia la sua risposta non sarebbe tanto sicura. – "Tal."

"Non lo so."

"Cosa?"- chiedo sbigottito.

"Non lo so. Non so nulla. Adesso ho solo paura."

"Daresti via quel bambino come se niente fosse?"- domando ancora.

"Non sto dicendo questo."- sbuffa e sospira nello stesso momento.

"Cosa stai dicendo allora?"- continuo con poca sensibilità. Questa mia reazione mi scombussola altamente. Non lo capisco neanche io questo attaccamento ad un bambino che non sappiamo neanche se ci sarà. – "Vuoi abortire? Darlo in adozione?"- il mio tono di voce leggermente più alto del normale. I suoi occhi socchiusi si aprono furenti e il mi faccio piccolo sotto il suo sguardo.

"Non ce ne sarà bisogno! Non sono incinta!"- sbotta urlando lanciandomi addosso quel test negativo. In un balzo si rimette in piedi e corre via. La sua figura sparisce dentro la nostra stanza e sono quasi sicuro si aver visto una sua guancia bagnata. Rivivo la mia reazione nella mia mente e arrivo alla conclusione che sono stato un fottuto bastardo a farle così tanta pressione.

La parte masochista di me mi annoderebbe le palle per punirmi e la parte sensibile sarebbe fottutamente d'accordo. Mi alzo in piedi poggiando il test sul tavolino in corridoio. Cauto. Non so se andare da lei oppure no. Sento che se le parlassi adesso s'incazzerebbe di più e non voglio che succeda.

Rifletto restando dietro la porta della nostra stanza da letto per minuti interi, indeciso se bussare o no. Alla fine lo faccio per segnalarle la mia presenza e senza una risposta da parte sua apro la porta.

Faccio capolino, sempre più cauto. La stanza è illuminata dall'abatjour dalla sua parte del letto e lei è seduta sul materasso con il suo diario tra le gambe. Vorrei tanto leggere quelle pagine e capire cosa le passa in testa adesso a parte l'incazzatura dovuta al mio carattere del cazzo.

Lei non mi guarda. Mi ignora. Quando faccio dei passi verso di lei la sua espressione da triste diventa incazzata e stufa, pertanto chiude il suo diario e lo lascia sul suo comodino. Questo mi rende ancora più curioso di quanto non lo sia mai stato.

"Possiamo parlare?"- azzardo.

"Sono stanca."- sussurra alzandosi dal letto e aprendo le coperta dal suo lato. Noto che non porta più i vestiti di prima ma una semplice maglietta che usa in casa, sgualcita e vecchia e un paio di pantaloni comodi. Ha i capelli scompigliati, è stanca ma ugualmente bella. E io mi sento un verme. Non le ho chiesto come si sentisse con quel dubbio, ho solo pensato a me stesso.

Le osservo infilarsi sotto le coperte dandomi le spalle, gesto che ultimamente capita fin troppo spesso. Sembra che passiamo i momenti insieme a litigare. Con alcuni squarci di tenerezza. Non so più cosa fare. Parlare peggiorerebbe le cose e ne sono fin troppo sicuro. Sospiro silenziosamente arricciando le labbra. Inizio a spogliarmi mollando abiti a destra e a manca ed essendo certo che questa notte andrò in bianco infilo il pigiama come ho fatto poche volte fino ad ora.

L'ultimo suo gesto è quello di spegnere la luce e l'intera casa cade nel buio.

***

"Nervoso?"

"Si."

Non riesco a credere di essere a un passo dall'iniziare la mia carriera. Dentro quell'edificio specchiato c'è il mio primo ufficio, la mia prima scrivania e il mio primo lavoro. Sono fottutamente agitato, non sono pronto a vedere decine di stronzi squadrarmi dalla testa ai piedi. Odio mettermi in tiro. Giacca e cravatta non fanno per me. Somiglio a mio padre. Cristo.

Ma questo è solo uno dei tanti problemi di oggi. Tal praticamente non mi parla da due giorni. Tenta di far sembrare tutto normale ma non ci riesce. Tenta di parlarmi come mi ha sempre parlato ma io so che qualcosa la turba e quel qualcosa è probabilmente qualcosa che le ho detto io. So per certo che è la storia del bambino. E io non riesco a non pensarci e a non preoccuparmi.

"Vuoi entrare o restare davanti alla porta come un cretino?"

"Chiudi il becco se non vuoi essere mandato a fanculo."- sospiro a Liam che come al solito, tutto d'un pezzo, è pronto per far furore nell'azienda. – "Ti ricordo che non saresti qui se non avessi chiesto a mio padre di darti un posto qui."

"Ho avuto questo posto perché sono competente, tu sei qui perché sei figlio del capo."- commenta acidamente tenendomi testa.

"Testa di cazzo."- borbotto aggiustandomi la giacca.

"Stronzo."

Senza altre parole ci avviamo dentro l'edificio fin troppo pulito, specchiato, lucido ed enorme. Ogni singolo rumore, brusio di gente che entra e esce è amplificato nell'ampio androne. Doris aveva detto nono piano. Io e Liam a passo spedito, lui con la sua ventiquattrore del cazzo, ci avviamo verso l'ascensore. La gente ci osserva curiosa. Se solo sapessero chi sono probabilmente mi etichetterebbero come il figlio del capo ignorante.

Mi sento un po' un approfittatore. Il mio posto qui è dovuto solo al rapporto di parentela e sono stato fortunato. Ma so che c'è gente che non riesce neanche a trovare un lavoro part-time pur avendo le credenziali per avere successo.

Le porte dell'ascensore si aprono e quasi come un miraggio vediamo Doris dietro la sua scrivania ad aspettarci in mezzo a quest'orda di estranei.

"Ben arrivati."- sorride lei. Che cazzo sorride, avrei voglia di piangere in questo momento. – "Tuo padre ha detto che starai nel suo ufficio, vieni."- Liam come un cagnolino mi segue mentre io seguo Doris verso quello che dovrei cominciare a definire il mio ufficio. – "Des non sta quasi mai qui, sai sembra quasi che questo ufficio sembra stato sempre fatto apposta per te."- Liam dietro di me ridacchia prendendomi in giro mentre Doris continua a condurci verso la fine del corridoio dove già intravedo una porta in mogano diversa dalle altre.

"Incerottati la bocca, cazzone."

"Rilassati idiota."- mi punzecchia.

Il mio nuovo ufficio si affaccia su Central Park con un'ampissima vetrata strapulita. Neanche i fottuti uccelli oserebbero cagarci sopra. Una grandissima scrivania in legno pregiato sta al centro dalla stanza e un sacco di carte e fascicoli l'adornano. Lampade verdi e fotografie. Le nostre fotografie, mie, di Gemma, di mamma.. Nonna..

Alcuni dei suoi certificati e diplomi sono incorniciati al muro insieme a quadri di artisti indefiniti.

"Benvenuto nel tuo nuovo ufficio."- esulta Doris contenta. – "Nel computer ci sono già i contatti di tuo padre se hai bisogno di lui. Io sono nella stanza accanto se hai bisogno di qualunque cosa."- spiega avvicinandosi alla scrivania e afferrando delle carpette. – "Devi revisionare questi contratti. Sarebbe lavoro di tuo padre ma lui vuole che lo faccia tu. Quando li finisci chiamami e io gliele spedirò via fax per controllarle."- continua.

Annuisco senza sapere cosa altro fare. Finalmente posso sgranchirmi le dita e mettere in pratica la mia laurea.

"Andiamo Liam, ti faccio vedere il tuo ufficio."- si allontana Doris portandosi via il mio suddetto amico.

"Buon lavoro principino!"

"Hey! Sono un tuo superiore, portami rispetto."- scherzo con la verità. Non mi sento un capo. Mi sento solo un raccomandato del cazzo, come quelli che ho sempre odiato. Gli altri quando sapranno che il mio cognome è Styles penseranno la stessa cosa. Penseranno che sono solo uno stronzo che ha saltato le tappe e ha già trovato tutto pronto.

Il mio obbiettivo è quello di dimostrare a tutti che valgo e che so quello che faccio. Voglio crescere in questa società e voglio far cresce questa società.

Mi ritrovo all'improvviso solo in questa enorme stanza e dopo aver dato un'occhiata in giro decido che è il momento di aprire quelle cartelle e leggere quei contratti. Dietro la scrivania, seduto in questa sedia mi sento una persona importante. Tra rendiconti semestrali e contratti di fusione mi rendo conto che la nostra azienda ha davvero tanto valore e che molte altre aziende vogliono fondersi a noi per riscuotere maggiore profitto e sono altrettante le aziende che chiedono i nostri finanziamenti e investimenti per i loro affari.

Molte di queste non valgono la pena di essere finanziate, altre valgono eccome. Potremmo avere grandi entrate.

Le ore passano senza che io me ne accorga realmente. Sembra tutto fottutamente naturale per me. Forse Doris aveva ragione. Forse questo lavoro era davvero destinato a me.

Vengo riportato alla realtà dal mio telefono che squilla. La foto di Tal, bella e splendente come sempre compare sul mio schermo e non perdo tempo a rispondere.

"Tal!"

"Harry."- sussurra seria come da due giorni a questa parte. – "Vado a lavoro e poi io e Veronica andiamo a bere qualcosa."- mi appoggio al bracciolo della poltrona con il telefono all'orecchio.

"Va bene."- rispondo. – "Stai bene?"- la domanda che le faccio sempre.

"Si, perché non dovrei."- e lei mi da sempre la solita risposta.

"Per favore, mi fai preoccupare."- supplico quasi disperato. Voglio la mia ragazza. – "Dimmi cosa pensi."

"Sto bene, credimi."

"Non ti credo."- scuoto la testa pur sapendo che lei non può vedermi. – "Stasera parliamo."- esigo.

"Harry.."

"Tal ti prego!"- dall'altra parte un sospiro. Io so che c'è qualcosa che la preoccupa, lo so, lo sento. Lei è parte di me, se sta male lei, sto male io.

"Va bene, come vuoi."- sospira ancora. – "Ora devo andare."

"Si, buon lavoro, piccola."

"Anche a te."- risponde con un tono più dolce e che riconosco. –" Stasera mi racconti il tuo primo giorno."- continua più confidenzialmente.

"Certo."

Continuo ad essere preoccupato. Lei sue solite battutine al telefono non ci sono e io non mi sento di punzecchiarla. Vorrei tanto sapere cosa le ho detto per farla stare in questo modo..

twork_

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top