54. Cosa mi nascondi?
TALITA’S POV
Sono strani quei giorni in cui ti svegli giusto qualche minuto prima che la sveglia suoni. Sono strani perché non era programmato, perché avresti voluto dormire di più sebbene la nostra mente avesse riposato a sufficienza. Oggi è iniziato proprio così. Nel silenzio e nel buio della mia stanza ho aperto gli occhi ed erano ancora le sei del mattino. Giusto qualche raggio di sole a illuminare una parete e qualche cinguettio di uccello da un albero vicino.
Ho tentato di riaddormentarmi ma con vani risultati e alla fine ho deciso di alzarmi dal caldo involucro di coperte e di cominciare la mia giornata prima del solito. Mentre osservo assonnata il pavimento in legno del corridoio ancora silenzioso raggiungo il bagno. Le piastrelle fredde di quella stanza a contatto con le piante dei miei piedi mi fanno leggermente rabbrividire ad ogni passo fino a quando non mi metto in salvo sul tappeto sotto il lavandino.
Guardandomi allo specchio non vedo nulla di nuovo, solo qualche ciocca di capelli fuori posto e gli occhi ancora sottili per il torpore. Facendo una smorfia alla me stessa nello specchio apro l’acqua del rubinetto e stendo un dito calibrandone la temperatura fino a quando non raggiunge quella che preferisco. In pochi minuti mi sono già lavata i denti e il viso asciugandomi poi il bagnato con un asciugamano a caso.
Come ogni giorno lascio il bagno ritornando in camera, ma questa volta con molta più calma visto il tempo in più che ho. Afferro il cellulare del comodino e zampetto per l’appartamento cercando di non svegliare papà che dorme ancora nella sua stanza. In cucina preparo la mia colazione lasciando un po’ di latte caldo per quando papà si sveglierà. Comincio a sorseggiare il mio latte seduta al tavolo in compagnia di qualche biscotto al burro guardando come il sole comincia a diventare sempre più alto dalla finestra al mio fianco.
Decido finalmente di dare un’occhiata a cellulare che ho precedentemente abbandonato sul tavolo. Ho un solo messaggio. Da lui ovviamente.
Da Harry: Buongiorno. Sono a lavoro, ci vediamo a scuola. Ti amo.
Un improvviso sorriso ricopre la mia bocca al pensiero che mi abbia pensata. E’ ancora tutto strano. Qualche giorno fa mi sono svegliata ed era tutto normale, oggi mi sono svegliata e ho un ragazzo che mi dice Ti amo. Il messaggio risale quasi a due ore fa e non so se mi piace questa cosa che lavori così presto. Lo fa perché ha bisogno di soldi e questo mi fa presumere che nel tempo in cui non ci siamo parlati lui non abbia avuto più contatti con i suoi genitori.
I signori Styles sono sempre via per affari e incontri di lavoro e quasi comincio a pensare che abbiano rinunciato a risolvere la situazione con Harry e Harry non ne vuole proprio sapere. Non so se questa situazione si risolverà mai e sono preoccupata perché Harry non capisce quanto sia fortunato ad avere ancora entrambi i genitori. Vorrei dirgli di non darli per scontati e di passare più tempo con loro, anche io avrei voluto farlo con mamma ma ero troppo piccola e non potevo certo prevedere che se ne sarebbe andata. Non avrei potuto neanche ora.
A Harry: Non vedo l’ora di vederti. Ti amo anche io.
Non avrei mai scritto un messaggio del genere conoscendomi e forse non avrei neanche il coraggio di dire una simile cosa ad alta voce. E’ uno di quei casi in cui ti senti al sicuro perché tra te e l’interlocutore ci sono kilometri di distanza. C’è differenza tra il mondo virtuale e quello reale in cui sarei sicuramente arrossita come un pomodoro.
Non avendo più nulla da fare spendo qualche minuto a ripassare la lezione di chimica di oggi fermandomi di tanto in tanto a pensare ad Harry ma ben presto i miei pensieri raggiungono altro. Non so se dire a papà dei corsi a pagamento. E’ un problema che mi porto sulle spalle e tento invano di non pensarci. Appena ho saputo che avrei dovuto sborsare tutti quei soldi i miei sogni sono andati in frantumi. L’altra sera ho anche provato a rinunciare e fare finta di non aver mai fatto domanda alla scuola per delle informazioni su quei corsi di lingua ma non ci sono riuscita. Voglio andare in quell’istituto, voglio avere quei crediti extra e voglio imparare e perfezionarmi.
Mi sono sempre piaciute le lingue, sapere che le persone possono comunicare in decine di modi diversi per me è affascinante e sono già a buon punto con l’apprendimento. E’ uno dei vantaggi che ho avuto viaggiando da una nazione ad un’altra per metà della mia breve vita.
All’improvviso mi passa un’idea stupida per la testa, forse troppo stupida ora come ora. Potrei seguire l’esempio di Harry e lavorare part-time. Risolverebbe davvero ogni cosa, anche il lavoro più stupido potrebbe fruttarmi almeno cento dollari al mese, forse anche di più. Così potrei pagare da me le rate mensili senza pesare alle tasche già limitate di papà.
Devo capire cosa fare.
Quasi istintivamente il mio sguardo cade sull’orologio al muro durante il mio sermone di pensieri accorgendomi che pochi sono i minuti che mancano al suono della campanelle e dell’inizio delle lezioni. Scatto dalla sedia della mia scrivania e dopo aver infilato il diario in borsa ed aver dato un bacio a papà assopito corro fuori da casa diretta a scuola pensando che tra poco vedrò Harry. Quasi corro perché sono davvero in ritardo questa volta, di solito mi piace essere a scuola dieci minuti prima ed è strano riuscirci quando mi sveglio più dardi e fallire quando mi sveglio prima del solito.
Leggere raffiche di vento mattutino mi fanno rabbrividire le ossa sotto il giubbotto pesante ma mi sento comunque più a mio agio a correre con questo freddo dentro i miei jeans che mi sono ritrovata ad adorare più volte. Uso le gonne meno spesso ma non smetterò mai di metterle probabilmente. Anche perché ogni Natale nonna me ne spedisce una nuova dall’India.
Mi viene da ridere se ripenso a lei china sul suo telaio a confezionarmi una gonna colorata. E’ una sarta fantastica e tutti a Kanpur la adorano. Mi manca tanto.
“Hai corso?”- ride Veronica vedendomi entrare in classe di fretta e furia.
“Si, ho fatto tardi.”- il mio fiatone mi impedisce quasi di parlare ma riprendo subito fiato sedendomi al mio posto accanto a lei.
La professoressa mi lancia un’occhiataccia per il mio ritardo ma m’ignora subito dopo ritornando alla compilazione dei suoi registri. Dovrò sopportare alcune ore di lezione prima di poter vedere Harry in classe e sarà strano tornare a parlargli in questo contesto. Durante le scorse settimane entrava ed usciva dalle aule in fretta e penso che fosse a causa mia, la cosa mi faceva soffrire parecchio ma ero comunque contenta che stesse frequentando le lezioni assiduamente.
Non so davvero dove trovi il tempo di studiare con quel lavoro che fa. Forse studia lì durante qualche minuto di pausa, oppure e spero di no, studia di notte durante le ore in cui dovrebbe riposare per poi alzarsi e tornare a lavoro all’alba. Questo spiegherebbe le occhiaie che si ritrova. Non mi piace per niente questa situazione.
E se dovessi farlo io?
Se decidessi di lavorare nel pomeriggio quando avrei il tempo di studiare? Riuscirei ad organizzarmi e a mantenere questo ritmo? E se non fossi forte come Harry?
E se papà sapesse che ho intenzione di mettermi a lavoro come la prenderebbe?
Sono le domande che occupano la mia mente durante l’ora di letteratura. Parliamo di James Joyce oggi.
<<Quando un’anima nasce, le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti.>>
Sorrido amaramente a questa frase e ancora una volta ripenso a nonna. Sono cresciuta in una famiglia in cui il lavoro era solo un problema dell’uomo. Lui doveva provvedere alla famiglia mentre la donna curava i bambini e la casa. Le cose sono molto cambiate oggi rispetto a quei tempi. Ora tutti i diritti sono pari sia per uomini che per le donne nella maggior parte dei paesi e io sono d’accordo su quest’aspetto. Cos’ha un uomo che la donna non può avere? L’uomo neanche esisterebbe senza la donna.
Papà e io abbiamo girato, abbiamo allargato i nostri orizzonti e di questo ne sono felice. Se dovessi tornare in India, da nonna sono sicura che non la penserebbe così. Lei è sempre alla ricerca di un buon partito per le sue nipoti, un buon partito che possa prendersi cura delle sue nipoti e che possa mantenerle per il resto della vita. Che cosa stupida. Le religioni, le lingue e le nazionalità sono stupidaggini. Si è comunque uomini nonostante il paese in cui si vive. Le tradizioni sono stupide.
Rido se penso alla faccia che farebbe nonna se scoprisse che ho un ragazzo non indiano, soprattutto un tipo come Harry.
“Sempre persa a pensare?”- una voce così rauca e un respiro così caldo crea la pelle d’oca sul mio collo. Sono particolarmente pensierosa oggi. Chiudo il mio armadietto di metallo alle mie spalle prima di rigirarmi su me stessa nel corridoio della scuola e ritrovarmi il viso di Harry a centimetri dal mio.
“Non smetto mai di pensare.”- è vero non lo faccio mai. C’è sempre qualcosa a cui devo pensare.
“A me?”- chiede con un ghigno sul volto afferrandomi una mano nella sua. La cosa mi imbarazza e sento un certo calore sulle guance che mi porta ad abbassare lo sguardo e sorridere sulle mie scarpe mentre il mondo degli studenti corre fuori dalla nostra bolla. –“Sei così timida ora.”- quasi mi deride appoggiandosi completamente al mio corpo appiattito dal suo contro gli armadietti. Non mi da la possibilità di rispondere per via del suo tempestivo bacio a stampo sulla bocca. Solo ora mi rendo conto che non aspettavo altro da quando mi ha dato l’ultimo l’altra sera.
“Non dovremo farci vedere davanti a tutti.”- lo guardo finalmente accarezzando la sua mascella prominente.
“Credevo valesse solo per tuo padre. Qual è il problema se ci vedono gli altri?”- aggrotta le sopracciglia.
“Ho paura che possa scoprirlo tramite qualcuno. Ho paura e basta. Non sono ancora pronta a dirglielo.”- sospiro sul suo petto. Mi abbraccia tentando di confortarmi probabilmente. Ma il pensiero di papà che s’infuria per questo mi fa accapponare la pelle, Harry non gli va proprio giù.
“Prima o poi succederà, cosa vuoi fare, nasconderlo per sempre? Tal io non voglio.”- emette sospiri guardandosi intorno. – “Non voglio farti fretta. Ma più tempo passa più la fottuta bugia sarà grossa e più si arrabbierà.”- non posso dargli torto. Ha incredibilmente ragione. Mi limito ad annuire a sguardo chino fissando l’addome macchiato di nero che si intravede dalla sua maglia bianca.
Non mi accorgo di star giocando con la collana con la croce che penzola sul suo petto, è lui a farmelo notare ridendo e quasi spaventata tolgo la mano facendo rimbalzare l’oggetto sulla sua maglietta.
“Perché hai smesso?”- ridacchia. In imbarazzo ancora una volta arrossisco coprendomi la faccia con le mani. Devo smettere di arrossire. –“Amo quando arrossisci.”- commenta baciandomi il collo e facendomi cambiare idea allo stesso tempo.
“Com’è andato il lavoro questa mattina?”- domando per cambiare discorso. Lui capisce le mie intensioni e ride ancora di me e del mio rossore.
“Oh bene.”- risponde giocherellando con il bordo dei miei pantaloni. Tento più volte di spostare le sue mani ma ritorna sempre lì sfiorandomi la pelle dei fianchi con le dita sotto il maglione. – “Questa sera ti voglio portare in un posto.”
“Quale posto?”
“Uno speciale.”- sorride baciandomi il naso. – “Stacco alle otto questa sera quindi usciamo sul tardi se non ti dispiace.”- scuoto la testa facendogli capire che non c’è problema.
“Ma non dovresti riposare, domani lavori.” – sono preoccupata per lui. Si alza alle tre del mattino per andare a lavoro, alle otto è già a scuola, esce da scuola e torna a lavoro fino alle otto di sera. Lui non sta mai a casa.
“E io quando ti vedo poi?”- … e deve pure pensare a me oltre che a mangiare, lavarsi e riposare. Come diavolo fa a fare tutto questo? – “Senti io sto bene, sto bene perché ora ci sei tu. Non dormo più per giornate intere ma mi va bene così. Ormai ci sono abituato quindi non ti devi preoccupare per me.”- mi rassicura come se avesse percepito a cosa stavo pensando.
Poi mi viene in mente una domanda. E se lavorassi anche io? A quel punto non ci vedremmo mai, o almeno saremmo entrambi troppo stanchi per farlo.
La campanella suona ancora invitandoci ad entrare in aula per la seguente lezione. Ora non posso fare a meno di pensare a questa sera. Cosa mi metto? Dove vuole portarmi? E’ un posto elegante oppure no? Non capisco niente di queste cose.
HARRY’S POV
“Oggi quindi la porti fuori?”
“Si.”
“Quando ti deciderai a portarla qui e farmela conoscere?”- mi fermo affondando le mani nell’impasto guardando Sandra con sguardo di sfida e divertito.
“Mai.”- scherzo per farla arrabbiare riprendendo poi il mio lavoro.
“Smettila di rispondermi a monosillabi ragazzino.”- ruoto gli occhi al cielo canzonando. Fa un sacco di fottute domande e comincia ad essere irritante. – “Almeno è un posto romantico? Le hai comprato qualcosa?”- dopo pochi minuti di silenzio riprende l’interrogatorio.
“Sandra chiudi quella cazzo di bocca.”
“Voglio sapere! Tu non sei certo un tipo romantico.”- è vero ma cosa cazzo posso fare? Di certo non sono ne sarò mai un ragazzo tutto fiori e cioccolatini.
“So quello che faccio.”- rispondo infornando la mia ultima teglia di panini all’olio riprendendo poi il mio libro di economia applicata.
Comincio ad essere stanco ma se solo penso che tra poco porterò Tal lì ritrovo tutte le cazzo di energie. Sembro una pila alcalina ricaricabile a baci, i suoi baci. Eppure in questo momento tutto sembra contro di noi. Non la vedo per tutto il giorno tranne per qualche minuto a scuola e questa sera. Dobbiamo stare attenti a suo padre e di conseguenza a tutti coloro che vivono nella fottuta casa della servitù.
Perché non posso semplicemente prenderla e baciarla dove cazzo mi pare e quando cazzo mi pare? Mandando contemporaneamente a fanculo suo padre e tutti gli altri?
Finisco di studiare l’ultimo paragrafo della lezione per domani aspettandomi una fottuta interrogazione da quel coglione del professor Gale. E passa veloce il tempo restante parlando con Sandra delle cose più futili ruotando le palle agli astri ogni volta che mi fa domande su Tal. Getto i panini cotti nella loro cesta portandoli nella parte di negozio aperta ai clienti. E’ quasi orario di chiusura ed è ora che la gente comincia a venire a comprare il pane per la cena. Lascio queste ultime infornate nelle mani di Lory la moglie del capo che lavora alla cassa e poi mi accingo a prendere la mia roba e a tornare a casa.
Corro quasi per arrivare da Tal il prima possibile. Scendo nella metro facendo gli scalini due alla volta per prendere il primo mezzo pubblico disponibile. Riesco ad entrare nel tubo sotterraneo appena in tempo prima che le porte si chiudessero. Ho il fiatone quando mi siedo su uno di quegli scomodi sedili vicino ad una vecchia con un cane pulcioso in braccio e davanti ad un barbone con le piaghe nel culo.
Guardo il tutore alla mia gamba e vorrei lanciarlo il più lontano possibile da me, comincio ad odiarlo. Cammino benissimo perché continuare ad usarlo?
Le porte si riaprono e io schizzo fuori per raggiungere la mia ragazza che mi aspetta a casa con tutta la sua bellezza. Oltrepasso velocemente il cancello di casa e passo davanti all’enorme villa dove dalle finestre illuminate si vedono le figure dei miei fottuti genitori. Non mi volto indietro quando raggiungo la casa della servitù mandando un messaggio a Tal avvisandola che sono qui. Sono fottutamente di corsa, devo lavarmi e vestirmi in un secondo solo per poter passare più tempo possibile con lei. Conrad per fortuna non ha ancora finito di lavorare, farebbe domande su questa mia fottuta fretta.
Vado da una stanza all’altra raccattando vestiti e scarpe da mettere fino a quando non mi fermo davanti allo specchio del bagno guardandomi in faccia sospirando vittorioso.
Si parte. Afferro le chiavi dell’auto di Conrad della ciotola all’ingresso e raggiungo la mia principessa.
***
“Mi dici dove siamo?”
“Non ancora aspetta.”
“Non si vede niente è tutto buio qui.”- il posto è un po’ sperduto ma non molto lontano dalla città. Credo di aver appena conosciuto una nuova parte di lei, quella che ha paura del buio. La guardo di sottecchi sul sedile dell’auto accanto a me e solo dio sa quanto cazzo ho voglia di fermarmi qui al centro della strada e collegarmi a lei. Voglio riempirla di baci.
“Siamo quasi arrivati.”- la informo per tranquillizzarla.
Riconosco dove ci troviamo e sterzo su una strada terrosa coperta da alberi fin troppo folti. Le pietre sul percorso rendono il viaggio in auto non molto confortevole ma so che le piacerà una volta arrivati. Fermo l’auto poco più avanti e scendo raggiungendo la sua portiera. L’aiuto a scendere perché il terreno non è stabile qui. Incrocio le dita tra le sue conducendola per qualche passo fino a quando non la sento sospirare dopo aver raggiunto la destinazione.
“Spiaggia?”
“Spiaggia.”- confermo osservando come il mare luccica baciato dalla luna e come gli occhi di lei brillano annegando nel mare brillante. – “Ti piace?”- le chiedo sedendomi sulla sabbia con le schiena contro un albero.
“Tanto.”- risponde seguendomi. Il leggero venticello le sposta i capelli dal viso e sono quasi invidioso perché volevo farlo io. Sembro così patetico. – “Come hai trovato questo posto?”- chiede poi spezzando il silenzio già rotto dalle onde che s’infrangono sulla battigia.
“Sono scappato una volta di casa con l’auto di mio padre, non avevo neanche la patente allora.”- rido ripensandoci. – “Il coglione del vecchio non aveva fatto il pieno quel giorno e la macchina si è fermata qui. Ci ho passato la notte.”
“Perché eri scappato di casa?”- chiede guardandomi finendo per sedersi più vicina a me.
“Solite discussioni.”- lei capisce, le cose non sono poi cambiate da quel giorno. Ho solo smesso di scappare, li ho ignorati fino ad ora ed è stato meglio così. Continuavo ad avere un letto su cui dormire e non una fottuta e fredda pietra come cuscino.
Ci lasciamo cullare dalla brezza del mare avvolti nei nostri cappotti pesanti. Mi sposto sistemandomi per poterla abbracciare e scaldare di più, il tutto in silenzio. E’ bello sentire la sua schiena sul mio petto e i suoi capelli sulla mia spalla. Di tanto in tanto nascondo il naso freddo sulla sua guancia e poi la bacio percependo la sua reazione. E’ ancora così timida per tutto questo e non posso non considerare questo adorabile. Ma poi qualcosa cambia, la studio e un cipiglio in mezzo alla fronte mi fa capire che è preoccupata per qualcosa e qualcosa mi dice che questa volta non sta pensando a me.
“Tal, cosa c’è?”- si gira per guardarmi distogliendo gli occhi dall’acqua. Il suo sguardo quasi nel panico mi fa temere.
“Niente.”- prova.
“Non sai mentire.”- sospiro unendo le nostre fronti. –“Ti stai pentendo?”- chiedo questa volta io nel panico. Non distolgo lo sguardo dai suoi occhi blu attendendo una risposta.
“Non mi pentirei mai di averti scelto.”- risponde in tono dolce con un sorriso che mi toglie il fiato. Il mio cuore è più leggero, ho avuto paura.
“Allora cosa ti preoccupa?”- chiedo ancora accarezzandole una guancia prima di baciarla tanto dolcemente quanto si merita. Il bacio risuona con un eco nel buio e nel silenzio. –“Non ti conviene tenerlo per te, lo verrei comunque a scoprire.”- ridacchia alla mia pseudo minaccia.
“Sto pensando di trovare un lavoro.”- confessa poi lasciandomi interdetto.
“Perché?”- non voglio che lavori.
“Ci sono questi corsi di lingua che vorrei fare, ma sono a pagamento.”
“Ti do io i soldi, perché devi lavorare?”- forse sto leggermente perdendo il controllo della mia voce.
“Non voglio i tuoi soldi, per questo non volevo dirtelo.”- si lamenta come una bambina e se la situazione non mi stesse innervosendo starei anche ridendo.
“Quanti soldi sono?”- chiedo cercando di essere comprensivo.
“Cento dollari al mese, per sei mesi.”- borbotta giocherellando con un filo spaiato dei suoi stivali.
“Non puoi lavorare.”
“Perché?”- lo vedo dal suo viso che sta perdendo la pazienza.
“Perché lo sto facendo io ed è fottutamente sfiancante. Dovresti lavorare, andare a scuola e seguire i corsi, oltre che studiare.”- è completamente fuori di testa. – “Non riusciresti a farcela Tal.”- sembra rifletterci su osservando oltre la mia spalla. – “E noi? Ci hai pensato?”- sembro fottutamente egoista ma non posso farne a meno.
“Certo che ci ho pensato.”
“Ti do io quei soldi.”- il mio tono non ammette repliche.
“No.”
“Si.”
“No, Harry, tu non li hai tutti quei soldi.”- replica gesticolando con le mani.
“Si che ce li ho, ci sono dei soldi che ho tenuto di lato, sono nella mia stanza.”- confermo.
“Tu non hai una stanza, dormi su un divano.”- incrocia le braccia sfidandomi.
“Ma avevo una stanza.”- rispondo marcando la seconda parola. Questo implicherebbe rientrare in casa dopo settimane e probabilmente rivedere la faccia dei miei genitori, ma per lei lo farei. – “Senti a me non servono quei soldi, sono quelli che mi ha dato mio padre e non li voglio, ho un lavoro proprio per non dipendere più dalle tasche di papà e mi sta fottutamente bene così.”
“E io non voglio dipendere dalle tue.”- sospiro ammirando la sua testardaggine. – “Voglio almeno provarci.”- ho un’idea, potrebbe giovare ad entrambi.
“Allora lavora con me.”
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Allora intanto mi scuso per questo ritardo ma sono stata fuori per il fine settimana e sono tornata ieri notte. Ho scritto il capitolo in un giorno e per me è un tempo record xD. Ma poi ... Grazie! siamo arrivati ad 1 MILIONE di visualizzazioni! non so come ringraziarvi davvvero sono troppo felice per questo. Se ci sono errori nel testo segnalatemeli perchè non ho ricontrollato. Fatemi sapere, votate e commentate! Se volete date un'occhiata alla mia traduzione di Stay.
A domenica<3
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