43. L'ira di un padre

TALITA’S POV

“Sono stanca di stare sempre a casa tutto il giorno ad aspettarti! Voglio passare un po’ di tempo con te!”- mi lamento. Sono da fin troppi giorni rinchiusa in quest’appartamento lercio. Ho tentato di tenermi occupata pulendolo ma fa troppo schifo anche solo per provarci. Papà lavora tutto il giorno, sette giorni su sette e l’unico momento in cui scambiamo due parole è a cena, quando è anche fin troppo stanco per starmi a sentire.

“Lo sai che devo lavorare Tal! Mi dispiace, non sai quanto vorrei passare più tempo con te anche io.”- risponde dispiaciuto. E’ stanco, si vede dalle occhiaie sotto gli occhi. Non lo vedo né sento uscire la mattina per quanto va via presto.- “Abbiamo bisogno di soldi, sai meglio di me che le cose non vanno per niente bene.”- continua venendomi in contro e circondandomi con le sue muscolose braccia da duro lavoratore.

 

“Lo so.”

 

“Ti prometto che presto avremo un bel posto dove stare. Te lo prometto bambina mia.”- mi coccola sussurrandomi parole dolci. Rumori fastidiosi e assordanti dei vicini ubriachi si sentono da fuori la porta del nostro monolocale, a volte è spaventoso, soprattutto durante il giorno quando sono qui sola. Non mi è permesso uscire. E’ troppo pericoloso. Non vado a scuola da tre settimane, da quando abbiamo lasciato Bucarest e siamo venuti a vivere qui in una zona malandata di Cracovia. Studio da sola per quanto mi è possibile con i pochi libri della mia vecchia scuola che mi rimangono. – “Vorresti venire con me al cantiere domani?”- mi chiede all’improvviso sciogliendo il nostro abbraccio e sedendosi nella tavola imbandita per la sua cena. – “Ma non so quanto potrò starti dietro, devo lavorare.”

 

A questo punto qualsiasi scusa è buona per uscire da questo buco.

“Non fa niente, vengo.”- rispondo sedendomi nella sedia di fianco a lui per fargli compagnia mentre mangia.

 

“Allora ti conviene andare a letto. Tra esattamente sei ore ti voglio sveglia, vestita e pimpante.”- cerca di scherzare e io sorrido per questo suo strambo tentativo di sdrammatizzare. Seguo il suo consiglio e dopo avergli dato un bacio sulla guancia fastidiosamente barbuta vado nel mio letto. Solo pochi secondi prima di addormentarmi mi rendo conto che dovrò alzarmi alle quattro del mattino.

 

 

***

 

 “Copriti bene, fa freddo a quest’ora.”- sono completamente rannicchiata nel mio cappotto di piuma d’oca. Il clima qui è glaciale d’inverno, soprattutto alle quattro del mattino quando il sole non è neanche sorto. Fa paura. Non abbiamo un’auto e dobbiamo andare a piedi. Non posso credere che papà fa questo tutti i giorni.

Le strade sono ghiacciate e più volte ho rischiato di scivolare a  causa delle mie vecchie ballerine leggere. Ma fortunatamente papà è stato lì ad afferrarmi con divertimento quando stavo per raggiungere l’asfalto con il sedere. Ubriaconi sono all’angolo di ogni strada e non nego che più volte ho trattenuto il respiro e ho pregato mentalmente che non ci facessero niente. Il vento mi fa rabbrividire e quasi non mi sento più il naso.

 

“Aspettami qui, chiaro?”- inizia papà aiutandomi a togliere il cappotto. Mi ha messa al sicuro dentro il capanno dell’ufficio del suo capo assicurandomi che è una brava persona e che sarebbe stato qui tra poco.- “Non uscire fuori con quel freddo e sta attenta a non disturbare troppo il capo.”- mi dice tutte quelle cose e io annuisco distrattamente guardandomi in giro nel cosiddetto ufficio. Qui c’è il riscaldamento acceso almeno. Anche il calore sembra bruciare sulla mia pelle congelata. Sebbene adori le mie gonne, forse non era il caso di indossarle nell’inverno polacco. – “Vengo ogni tanto per dare un’occhiata. Sta attenta.”- papà mi lascia un bacio sulla fronte carezzandomi una guancia prima di correre al suo lavoro.

 

Non ho idea di cosa stia costruendo insieme agli altri operai e se devo essere sincera non ho neanche voglia di saperlo. L’unica cosa che conta è che venga pagato a fine mese. Mi ritrovo di nuovo dentro quattro mura e una finestra ma vedo il lato positivo. Non ci sono tizi spaventosamente alcolizzati fuori dalla porta e questo è già un motivo per tirare un sospiro di sollievo. Mi metto seduta sul davanzale della finestra guardando la leggera neve mattutina scendere, presto smetterà e si scioglierà sulla terra marrone rendendola schifosamente bagnata. Odio pensare che indosso le ballerine e uscire con quelle mi farebbe sprofondare nel fango in quel caso.

 

 Il cigolare della porta mi riporta alla realtà e ricordo che probabilmente è il capocantiere. Mi lancia un’occhiata gelida notandomi come intrusa nel suo ufficio. Poi il suo sguardo si addolcisce.

 

“Quindi sei tu Talìta. La figlia di Ruben.”- dice più come un’affermazione che una domanda. Ha un enorme pancione, avrà più o meno cinquant’anni, se non di più. Una barba grigia e dei disgustosi capelli unti in testa. Mi chiedo da quanto non li lavi.

 

“Si, sono io.”- rispondo il più educatamente possibile nascondendo il mio disgusto. Niente qui è rose e fiori. Neanche i fiori. Io sono cresciuta tra i fiori ma qui c’è solo terra, polvere e umidità. Vento, pioggia e neve. Voglio un raggio di vero sole. Senza accorgermene sono tornata a fissare fuori le gru e i muletti che hanno già iniziato a lavorare. Vedo papà con i suoi scarponi infangati dare indicazioni ai carrelli elevatore su dove posizionare i materiali da costruzione. Sono così fiera di lui.

 

“Quanti anni hai?”- mi sento chiedere dall’uomo dietro la scrivania.

“Quasi diciassette.”- rispondo distrattamente.

 

 Passano pochi minuti, o forse tanti, non lo so, non ho tenuto conto di tutto il tempo che sono stata a fissare fuori. La tendina della mia finestra viene bruscamente tirata e chiusa. L’uomo si è alzato e sembra di fretta. Chiude i chiavistelli della porta d’entrata con frenesia e il mio cuore comincia a temere. Ho paura.

 

Istintivamente mi alzo dal mio posto e raggiungo il muro troppo velocemente quando vedo lo sguardo dell’uomo farsi feroce e voglioso. Non riesco a respirare per quanto il mio cuore batte forte. Il riscaldamento mi fa sudare e agitare. La mia cola è secca e lui sempre più vicino. Affondo quando le sue mani scendono sulla sua cintura e sui suoi pantaloni sbottonandoli. Mi viene da vomitare.

 

Frazioni di secondi. Lui addosso a me, attaccata schifosamente al muro, tra cemento armato e pelle grassa e sudaticcia. Le sue luride mani mi strappano i primi bottoni della mia camicia e inizio ad urlare. La sua barba pizzica sul mio collo mentre mi morde con i denti ingialliti dalla vecchiaia.

 

“Papà!!”- urlo con la poca voce che ho in gola. – “Aiutami papà!!”

 

Continuo a dimenarmi mentre l’uomo tenta di abbassarsi le mutande a alzare la mia gonna contemporaneamente. Riesco con le poche forze ad impedirglielo e scalcio. Poi uno schiaffo mi fa volare il viso verso destra. Io urlo ancora e mi sento allo stremo. Ho il respiro affannato.

 

“No! Non toccarmi!”- non ce la faccio più- “Laciami! Papà!!”

 

Poi buio e il rumore di una porta spalancarsi. Papà.

“Svegliati! Tal svegliati ti prego! Ti scongiuro!”- mi sento scuotere. Qualcuno mi sta toccando, di nuovo. No, non ancora. – “Svegliati.”- sento delle dita picchiettare sulla mia guancia. Sento caldo.

“Fatevi da parte, lasciatela respirare.”- urla una donna. Non riesco a capire niente. Sta succedendo qualcosa ma io ho le palpebre pesanti.

“Si faccia da parte lei!”- urla la voce familiare di qualcuno.

“Svegliati, svegliati, svegliati …”- qualcuno troppo vicino al mio orecchio mi sussurra queste parole, sento un calore sulla mano sinistra e sul lato sinistro del viso. – “Fiorellino svegliati.”- fiorellino. Lentamente riapro la mia vista e la luce artificiale mi colpisce diritta facendomi alzare tempestivamente con il busto e chiudere gli occhi. Mi creo una barriera con i capelli.

“Grazie a dio.”- un’altra voce.

“Dobbiamo farle le analisi del sangue.”- ancora una donna. Ma dove sono?

“Ma non vede che è sotto shock!?”- urla qualcuno in lontananza. Contemporaneamente una mano raggiunge le mie spalle, poi i mie capelli e li carezza.

Mi costringo ad aprire di nuovo gli occhi, li strizzo per evitare il fastidio della luce e noto due figure in fondo alla stanza. Lo riconosco, Louis. Uno è Louis. Sembra che mi stia sorridendo.

“Talìta!”- la voce accanto, Liam. Sorrido nel vedere due persone che conosco e che non hanno niente a che fare con il mostro. E’ un mostro e sempre lo sarà.

“Tal.”- volto il mio sguardo verso sinistra e c’è Harry.- “Ciao.”- sussurra con uno sguardo stanco e abbozzando un sorriso. Lo guardo negli occhi e so che a breve tutta la paura che ho avuto rivivendo soltanto quel l’incubo svanirà. Lui sa, dovrebbe capire. Mi viene da piangere. Il suo sorriso lieve svanisce e quasi mi sento il colpa per questo ma so anche che in quel momento ha capito a cosa sto pensando e cosa ho rivissuto nel mio sonno agitato. Mi abbraccia forte, forte. Mi piomba letteralmente addosso ma ora è tutto quello di cui ho bisogno. Mi stringo al suo petto circondandogli il busto con le braccia. Affogo nella sua spalla non riuscendo a trattenere i singhiozzi e lui è lì a scorrere le dita su e giù sulla mia schiena confortandomi.-“Non succederà mai più, te lo prometto.”- me lo promette. Chissà perché ci credo. Forse perché voglio crederci ma sono sicura che quello che è successo al pub rimarrà impresso nella mia mente come lo è ancora il ricordo di quel terribile primo momento.

***

“Sicura di stare bene?”

“Si sono sicura.”

“Sei noioso.”- come al solito per la decima volta questa sera Harry ha lanciato occhiatacce e battutine a Liam. Vederli nella stessa stanza al mio risveglio è stato strano. In un primo momento non ci ho neanche fatto caso ma una volta ripresa la concezione della realtà me ne sono accorta. Erano entrambi nella stanza del pronto soccorso con me e la cosa sotto, sotto mi ha resa felice. Dentro di me nutro ancora la speranza che tornino ad essere amici un giorno.

“Scusa se mi preoccupo per lei!”- risponde come al solito a tono Liam. Sono esilaranti, devo ammetterlo. Ognuno a modo loro sono divertenti.

Mi hanno dimessa pochi minuti fa dopo alcuni controlli ma a quanto pare va tutto bene, fortunatamente. Dio, mi sembra un dejavù. Quanto vorrei essere a casa adesso.

“Te lo ha detto quel cesso di infermiera che sta bene, cinque volte!”- replica Harry.

“Sembrate gatto e topo, se nessuno di voi due la porta a casa lo faccio io.”- la voce scocciata e stanca di un Louis insonnolito sovrasta i due litiganti e solo dio sa quanto gliene sono grata. Sono stanchissima anche io nonostante abbia dormito per quasi due ore, così almeno mi ha detto Harry. Ma questo non toglie che vorrei tornare a casa invece di stare ad ascoltare due ragazzi cocciuti litigare su un marciapiede freddo e umido ai piedi di un ospedale.

 “La porto io.”- inizia Liam.

“Vivo con lei perché dovresti farlo tu?”- è una battaglia senza fine. Ruoto gli occhi al cielo seduta ancora sulla panchina vicina mentre do un altro morso alla mia barretta di cioccolato che Louis era andato a comprarmi qualche minuto fa. Non mi va neanche di mangiarla ma la brutta infermiera con i baffi ha detto che avevo bisogno di zuccheri. Non posso contraddire il parere medico. – “Basta con questa pagliacciata. Andiamo Tal.”

Lancio una breve occhiata ai due ragazzi e li saluto con un cenno della mano libera mentre l’altra è stretta da Harry nell’azione di tirarmi da qualche parte.

“Dannazione!”- si lamenta ad un tratto fermandosi. Sono già confusa di mio, cosa gli prende ora?

“Cosa succede?”

“Non ho più la mia auto, me ne ero dimenticato.”- scombina più di quanto già non siano i capelli e poi si volta verso Liam e Louis ancora al loro posto.- “Louis accompagnaci cazzo!”- urla al suo amico.

Posso vedere il ragazzo dagli occhi blu ridere e raggiungerci velocemente mentre Liam ruotando gli occhi al cielo mi sorride e raggiunge la sua auto.

“Volevo vedere quanta strada avresti fatto prima di accorgertene.” – scherza ma Harry non sembra in vena di battute.

Nessuno di noi lo è. La stanchezza regna sovrana. Louis al volante sbadiglia. Io voglio addormentarmi il prima possibile nel mio letto e Harry, appositamente seduto accanto a me sul sedile posteriore, sembra tanto incazzato dopo l’incontro ravvicinato con Liam che non fa trasparire neanche la stanchezza che si vede e c’è.

Durante il silenzioso tragitto mi prendo il tempo per ripensare e chiarire le immagini di questa serata. Ricordo che Veronica e Liam sono venuti a prendermi. Siamo andati in quel pub e c’era tanto caldo, poi quel barista. La musica forte.

Ricordo che Veronica mi ha spinta in pista per ballare contro la mia volontà e poi ho visto Conor. Mi ha fatto paura. Con un brivido ricordo le sue mani su di me e questo ricordo mi costringe a chiudere gli occhi. Non era in sé, riesco a consolarmi così. Le luci gialle che illuminano le strade di Los Angeles scorrono alternativamente davanti a me creando zone di luce e ombra. Sono come una ninnananna per il mio sistema nervoso. Voglio solo dormire ma so che appena arriverò a casa ci sarà papà ancora sveglio e probabilmente mi farà la ramanzina sul perché sono in ritardo.

E’ già l’una di notte e mi viene da sospirare sconsolata.

 HARRY’S POV

Che serata di merda. Vieni con noi ad affogare i problemi nell’alcol, aveva detto Zayn. Non penseremo a nulla per una sera, aveva detto Louis. E’ una grandissima cazzata, avevo detto io. Non avevo per niente voglia di uscire questa sera. Avevo intenzione di stare nel salotto di Conrad a guardare qualche film poliziesco sotto la luce azzurra della sola televisione.

Eppure dovrei ringraziare quegli stronzi dei miei pseudo amici. Se non fossi andato in quel fottuto pub non avrei trovato Tal e non so cosa cazzo sarebbe successo se non fossi stato lì. Mi mangerei le unghie per la frustrazione. Questa macchina sembra una fottuta culla. Potrei collassare sulle gambe di Tal da un momento all’altro e forse solo nel sonno potrei trovare qualche ora di pace senza pensare alla merdosa realtà.

Sento un peso enorme sulle spalle e un terribile mal di testa. Quando quel coglione di Josh mi ha spinto al muro deve avermi lasciato un bernoccolo sulla testa. Fa un male cane cazzo.

“Siamo arrivati.”- annuncia Louis curvando stancamente la schiena sul suo sedile del guidatore.

“Grazie Louis.”

“Di nulla tesoro. Riguardati.”-  tesoro? L’ha chiamata tesoro? Aggrotto le sopracciglia ma nel frattempo Tal è già scesa dall’auto e ha quasi raggiunto il cancello socchiuso della villa. – “Vuoi scendere o dobbiamo stare qui tutta la notte amico?”- Louis con delle occhiaie enormi si volta come un cadavere verso di me e da questo capisco che è davvero stanco.

“Dovresti riguardarti tu. Corri a casa.”- gli consiglio scendendo dall’auto. La sua condizione mi preoccupa, credevo che parlare con Tal l’avrebbe aiutato ma in fondo parlare non risolve i problemi. Tal da degli ottimi consigli, sta alla gente che li ascolta decidere di seguirli o no.

“A domani.”- urla da dentro l’auto prima di sgommare sull’asfalto e allontanarsi nella strada fino a svanire del tutto.

Corro per qualche passo per raggiungere la ragazza che barcolla flebilmente sul vialetto in pietra. Indossa ancora la mia giacca sulle spalle. Le poggio un braccio dietro al collo per avvicinarla a me e lei non si lamenta. Sono sicuro che non ne ha la forza.

“Lo dirai a tuo padre?”- chiedo dando un’occhiata all’enorme casa in cui non metto piede da giorni ormai.

“Devo.”- annuisco distogliendo lo sguardo dalla casa e riportandolo sul vialetto in pietra. Noto che è scalza. Si è tolta le ballerine e le tiene con una mano. Non deve camminare sul terreno freddo e sporco. Fa freddo questa sera, si ammalerà.

“Rimettiti le scarpe.”

“Non ne ho voglia, fanno male, sono nuove.”- devono essere uno dei nuovi articoli acquistati a New York. Mi viene quasi da ridere ma lei mi sembra troppo triste e pensierosa e non mi sembra il caso. E’ troppo lenta e ciondola invece di camminare, mi sale un certo nervosismo e ruoto gli occhi al cielo prima di prenderla inaspettatamente in braccio facendole staccare i piedi nudi dal vialetto. Non avrei mai pensato di dirlo ma sono contento di essere finalmente a casa.

“Mettimi giù.”- dice dimenandosi dalla mia presa ma sia io che lei sappiamo che non ha neanche metà della forza che ho io.

“Sta zitta.”- ordino velocizzando il passo verso la casa della servitù-

“Posso camminare, andiamo Harry.”- si lamenta gettando la testa all’indietro mentre le mie mani sono saldamente attaccate al retro delle sue ginocchia e della schiena.

“Se ti metto giù arriviamo domani mattina.”- taglio corto e lei rinuncia. Teoricamente non l’avrei lasciata andare anche per altri motivi ma per ora la mia preoccupazione è vederla nel suo letto al sicuro il prima possibile.

E poi perché ti piace da morire tenerla tra le braccia.

 

Subconscio del cazzo.

In breve arrivo davanti al portone in legno che Tal apre visto che io sono impedito. E’ tutto fottutamente buio e non vedo ad un palmo dal culo di Tal.

“Puoi mettermi giù adesso.”

“No.”- rispondo cercando di ricordare dov’è l’interruttore della luce. – “dove cazzo è l’interruttore penso ad alta voce.”

“Tu vuoi fare arrabbiare mio padre.”- dice allungando un braccio verso la sua destra e luce fu.

“Che vuoi dire?”

“Pensa che bella scena vedere sua figlia in braccio ad un ragazzo che odia.”- non ci avevo pensato. Non sarò mai troppo stanco per fare incazzare quell’uomo.

Senza rispondere ma letteralmente impaziente comincio a salire le scale con ancora Tal in braccio pregustando la faccia di suo padre. Lei tenta di scendere più volte ma con scarsissimi risultati.

Il parquet in legno sotto i miei piedi stride fastidiosamente e ci manca solo che qualche altro dipendente ci senta e rompa le mie palle già frantumate nel cuore della notte. Arrivati in cima alle scale mi dirigo verso la porta del suo appartamento che lei apre facilmente solo abbassando la maniglia.

“Tal! Finalmente!”- suo padre sentendo la porta aprirsi si precipita all’ingresso. L’ha aspettata sveglio. Il suo sguardo si assottiglia quando vede me ma soprattutto sua figlia tra le mie braccia. Vorrei avere un fottuto telecomando per mettere in replay questa scena all’infinito. La sua fottuta faccia da culo è epica. – “Non mi avevi detto che ci sarebbe stato anche lui!”- rimprovera Tal e in questo momento sento un calore alla bocca dello stomaco. Lei silenziosamente mi intima di metterla giù ma non ne ho proprio la fottuta intenzione.

Ignorandolo entro percorrendo il corridoio ed entrando in camera di Tal. Una volta lì la stendo delicatamente sul suo letto. La sua espressione è di puro supplizio, conoscendola ha paura che possa fare qualcosa per provocare suo padre. Probabilmente lo farei. Le sorrido carezzandole una guancia prima di rimettere il busto diritto e guardare l’uomo ribollente di rabbia.

“Tal spiegami perché è di nuovo qui dentro?!”- urla alla figlia facendola sussultare. Dopo quello che ha passato questa sera non posso accettarlo.

“Non urlarle contro!”- lo spingo fuori dalla stanza della figlia e ne esco anche io chiudendomi la porta alle spalle.

“Io non ti tollero. Se avessi saputo che a quel pub ci fossi stato anche tu non l’avrei lasciata andare!”- grida ritornando in salotto.

“E sarebbe stato meglio!”- è lui che l’ha lasciata andare a quel pub, se non lo avesse fatto non sarebbe finita al pronto soccorso. Fottuto padre irresponsabile del cazzo. I genitori sono tutti così.

Buttano fuori di casa i figli come se niente fosse.

“Che cazzo vuoi dire?!”

“Che dovresti fottutamente ringraziarmi di essere stato lì!”- rispondo a tono prima di gettarmi stanco sul divano. Dalla mia risposta vedo che ha abbassato la guardia, ora è curioso e preoccupato e forse si sta realmente chiedendo il ‘perché’ stessi portando Tal in braccio. Alla buon’ora.

“Cosa è successo?”- sospira. Glielo avrebbe detto comunque lei, tanto vale facilitarle il compito.

“Premetto che non sapevo che lei fosse in quel pub, io ero lì con i miei amici.”- inizio difendendomi. – “Stavo parlando  fuori con Liam quando Veronica è venuta fuori preoccupata dicendo che Tal era stata aggredita di un coglione.”- mi fa schifo anche pronunciare il suo nome. L’uomo oscilla alla parola ‘aggredita’ e spalanca gli occhi. – “Sono corso da lei e l’ho trovata svenuta al centro della sala, l’ho portata al pronto soccorso, veniamo da lì.”

La casa cade nel silenzio ed è talmente imbarazzante che non so cosa dire. Ruben si accascia sulla sua poltrona mettendo una mano sulla fronte. Ha gli occhi chiusi e non so come decifrare questo suo comportamento.

“Suppongo che dovrei ringraziarti quindi.”

“Non ho bisogno del tuo grazie. Lo avrei fatto comunque per lei.”- ridacchia alla mia risposta, come se non mi prendesse sul serio. Ma ci sono abituato. Nessuno mi ha mai preso sul serio. Dopo un po' ci si fa il callo.

“Cristo.”- impreca sotto voce con la testa calata verso il basso a fissare i suoi piedi. Si sorregge con i gomiti sulle ginocchia e sembra che stia metabolizzando solo ora quello che gli ho detto. – “L’hanno toccata di nuovo, ed è svenuta di nuovo.”- frustrazione, questo traspare. – “Cosa cazzo ho sbagliato nella mia vita!?”- urla in preda ad una crisi. Mi mette quasi paura. Eppure ho quel bisogno di dire qualche parola di conforto al momento giusto.

“Non hai sbagliato niente, è la vita che è una merda.”- dico fissando fuori dalla finestra con la testa appoggiata allo schienale del divano. – “Per me è l’opposto, la mia vita sarebbe fantastica se non fosse per le mie scelte del cazzo.”- la cruda verità mi passa davanti come un tram. La vita a loro non ha dato niente, non avevano niente di materiale e costoso con loro, ma avevano la cosa più importante, l’amore reciproco. Loro sono una famiglia. Tal, Ruben e il bel ricordo della madre.

Io sono cresciuto nel fottuto lusso, giocattoli, videogiochi, macchine costose e tecnologia all’avanguardia ma in realtà mi manca l’unità familiare. Non ho rapporti con i miei. Non ho quel di cui ho bisogno.

Tal non ha niente ma sotto, sotto ha tutto. Io invece ho tutto ma sotto, sotto non ho niente.   

  “Non so che fare.”- ammette poi. – “E’ difficile convivere con questo suo problema. Non avrei mai dovuto portarla con me a lavoro quel giorno.”- rimugina. Quest’uomo è peggio di una donna, passa da incazzato a triste in un nano secondo e comincio a chiedermi se non sia lui ad avere il ciclo e non Tal.

“Senti taglia corto. Quel che è fatto è fatto.”- dico alzandomi stancamente dal mio posto facendo peso sulle ginocchia. – “Vado a salutarla.”- affermo raggiungendo l’altra stanza.

Apro lievemente la porta di Tal, sbirciando dentro prima di entrarvi del tutto. E’ sdraiata sul suo letto proprio come l’avevo lasciata, solo che si è già addormentata. Noto però che si è cambiata, ha messo il suo pigiama rosa confetto. E’ fottutamente adorabile. La mia giacca è ordinatamente ripiegata su una sedia. Ha lasciato la luce accesa e mi appresto a spegnerla prima che i miei piedi si avvicinino a lei.

C’è troppa calma e mi chiedo se quel mastino di suo padre non stia preparando un attacco alle mie spalle. Correrò il rischio. Mi inginocchio ai piedi del letto e poggio il mento sul materasso guardandola dormire mentre le sue ciglia sfiorano i suoi zigomi morbidi. L’immagine che ho davanti è molto simile a quella di Gemma quando dorme. Mi ritrovo a pensare che vederle dormire insieme sarebbe la cosa più bella del mondo. Due bambine.

Le carezzo la testa e poi la guancia e penso che devo essere onorato di essere una di quelle poche persone da cui si fa toccare senza tremare.

“Sto facendo pensieri idioti, lo sai?”- le domando sapendo che non riesce a sentirmi. – “Davvero, mi sento un cazzo di idiota.”

Sospiro un’ultima volta prima di alzarmi e di abbracciarla delicatamente evitando di pesarle addosso rischiando di svegliarla. Quasi perdo il respiro però quando le sue mani e braccia si sollevano stringendomi più forte a lei. Soffoco tra i suoi capelli profumati eppure è una piacevole sensazione. So che sta ancora dormendo. Probabilmente crede di star abbracciando un peluche ma la cosa mi piace comunque. Non sono stato così tanto a contatto con il suo viso dalla volta in cui l’ho baciata. Chiudo gli occhi al solo pensiero nostalgico e ruoto la testa per quanto mi è possibile verso la sua guancia baciandola. Mi siedo sul bordo del letto per stare più comodo.

Mi sta stritolando ma non posso lamentarmi. Quando mi ricapita una cosa del genere? E’ divertente, dolce e meraviglioso. Mi viene da ridere per la tenerezza con cui mi stringe. Resto per qualche minuto stretto a lei fino a quando non allenta la presa fino a lasciarmi andare. Domani non si ricorderà di avermi abbracciato così. Con la sola luce dell’abatjour  mi concentro un po’ sul suo viso. Storco il naso e la bocca quando mi passa per la testa uno strano pensiero.

E se la baciassi?

 

Sta dormendo, non se ne accorgerebbe, né lo ricorderebbe domani mattina. Tutti i fattori in questo momento sono a mio favore. Controllo che il cane da guardia non sia sulla porta e poi mi sporgo nuovamente verso di lei. Le sfioro il mento con le dita venerando le sue labbra. Cristo sarà la stanchezza, il fottuto sonno o tutto quello che è successo questa sera insieme ma mi collego a lei senza esitare. Leggeri sono i baciche le do, non se ne accorgerà neanche. Uno, due. E’ così morbida. Tre. Il terzo è il più lungo ed è quello che mi spinge ad aprire gli occhi e a staccarmi. Può bastare. Mi mordo il labbro inferiore che ancora sa di lei mentre mi alzo e mi avvicino alla porta.

“Buona notte, fiorellino.”

___________________

Beh il capitolo vale l'attesa no?! Scusatemi ancora per il ritardo. Ora faccio di nuovo i Grazie! lol

Grazie! per le 366.100mila visualizzazioni.

Grazie! per i 13.2mila voti.

Grazie! per i 984 commenti!

Grazie! per i 445 voti e 78 commenti all'ultimo capitolo.

e cacchio Grazie! per i 621 follower non mi ero neanche accorta che fossero così tanti! :')

Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, le cose stanno cambiando eh. Harry. Ci sentiamo al prossimo aggiornamento. Commentate, votate e divulgate! Baci<3

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top