Capitolo 5

Tornata a casa metto a letto Maria, vado a farmi una doccia, poi mi siedo sul divano e guardo un po' di televisione.
Neanche mille docce potrebbero farmi sentire pulita, stasera. Ho implorato Dante di non mandarmi via e lui mi ha umiliata come se fossi una delinquente.
Devo assolutamente trovare un altro lavoro, o magari anche due. Devo pagare le bollette, la terapia di Maria, l'affitto della nostra casa. Dove troverò i soldi?
Sento la porta di casa aprirsi. Mi volto verso l'ingresso e vedo mio padre che barcollando entra in soggiorno. E' ubriaco fradicio, si strofina le mani sulla barba di almeno tre giorni, ha la camicia sporca di sangue, la mano destra fasciata con un fazzoletto di carta. La puzza pungente dell'alcool m'invade l'olfatto, provocandomi delle fitte allo stomaco. Il solito copione. Si sarà ubriacato in una delle squallide bettole che frequenta, per poi scatenare una rissa con qualcuno.
Mio padre alza goffamente la testa, mi guarda. <<Sei già a casa?>>, biascica, con la lingua impastata dall'alcool.
Spengo la televisione. <<Mi hanno licenziata.>>
<<Che hai combinato?>> Si avvicina al lavandino e infila la mano insanguinata sotto il getto dell'acqua, mugolando dal dolore. Per lui la colpa è sempre mia.
Sorrido, piena di rancore. <<E tu? Tu che hai combinato?>> Mi alzo in piedi e lo fisso, disgustata. <<Guardati, guarda come sei ridotto! Sei ubriaco fradicio, insanguinato, non ti reggi in piedi.>>
<<Sono cazzi miei, non t'immischiare.>> Spalanca il frigorifero, fruga negli scomparti, getta il cibo a terra, lo calpesta. <<Dov'è finita la Vodka?>>
<<Qui dentro bevi solo tu.>> Faccio per andare in camera mia, ma lui mi trattiene per il braccio. <<Lasciami.>>
<<Ho bisogno di soldi, Cristina.>> Stringe la presa sul mio polso. E' in astinenza dall'alcool, si vede chiaramente. <<Devi prestarmi qualcosa, anche cinque euro.>>
Scoppio a ridere. <<Non ho intenzione di darti niente, sai bene come la penso. Non ti aiuto a sfasciarci ulteriormente la vita.>>
Mi guarda pieno d'astio, per un istante temo possa picchiarmi. <<Sei una stronzetta egoista e maleducata.>>
<<Vattene a dormire.>> Mi libero dalla sua presa e ricomincio a camminare verso la mia stanza.
<<E chi sei tu per darmi degli ordini?>> Ghigna, maligno. <<Tua madre? Bè, tua madre è morta principessina, quindi non rompermi le palle.>>
Le sue parole non mi feriscono più, ormai. Sono abituata alle sue sbronze, alle sue frasi cattive. Non mi toccano minimamente. <<Buonanotte.>> Spalanco la porta della mia stanza, muovo un passo per entrare.
Lui impazzisce. La follia s'impadronisce della sua mente. Da un pugno al muro con la mano insanguinata, sporca la parete bianca, viene verso di me come una furia, mi afferra violentemente per un braccio e mi trascina fino all'ingresso. <<Buonanotte un cazzo! Tu, qui, non ci dormi. Non ti voglio in casa mia. Vattene via!>> Spalanca la porta di casa e mi spinge fuori.
Finisco contro il muro, per fortuna non batto la testa. Mio padre richiude la porta a chiave, io chiudo gli occhi, esausta.
Non è la prima volta che mi caccia via di casa. Domattina, passata la sbornia, mi permetterà di tornare, ma non si scuserà. Ormai non ha più sentimenti.
Scendo giù in cortile. Non so dove andare, visto che la signora Giovanna non è in casa. Mi accomodo sulla panchina di legno, mi frugo in tasca e afferro una sigaretta. Il cortile è illuminato dai lampioni, l'aria frizzante della notte mi sferza i capelli.
Mi chiedo quanti brutti episodi possano avvenire in un'unica giornata.
Non riesco a togliermi dalla testa le parole di Dante, e neanche il fatto che l'ho supplicato di non licenziarmi. Questo mi fa stare ancora più male, perché mi sono resa conto di quanto sono disperata. E poi stasera sono così scossa, oltre che umiliata. Ho lasciato Maria da sola, incustodita. Ma cosa mi è saltato in mente?
Scoppio a piangere. Dio mio, sto proprio diventando una piagnucolona. A questo pensiero scoppio a ridere. Dio mio, adesso soffro anche di bipolarismo.
Mi prendo la testa tra le mani e sospiro. Possibile che non ci sia un modo per rendere tutto più facile? Un po' come si fa con i videogiochi, scegliere una modalità tra: facile, medio, difficile ed esperto.
Mia madre mi ha insegnato un sacco di cose inutili, tipo pulire i vetri, cucire bottoni, cucinare un uovo sodo. Andiamo, chi è che mangia le uova sode? Sono disgustose. Comunque, stavo dicendo, mi ha insegnato tante cose più o meno utili, ma non come tenere unita la nostra famiglia. Se vedesse mio padre ridotto così, sono certa che morirebbe una seconda volta. Mi chiedo se in lui sia rimasto un po' d'amore, o se invece anima e corpo siano avvelenati completamente dall'alcool.
Avverto qualcuno che ride fuori dal cortile, in strada. Vedo due sagome poggiate contro una macchina ancora in moto. Un ragazzo e una ragazza. Si stringono forte, lei tiene la sua testa tra le mani, lui le stringe le braccia sulla vita. Si baciano.
Mi sento quasi una guardona.
Li vedo salutarsi, poi sento il rumore del cancello in ferro battuto esterno del palazzo che si chiude, subito dopo dei passi che si avvicinano a me. Mi asciugo velocemente le lacrime con le dita e volto lo sguardo. Ci manca solo che mi prendano per un'impicciona.
L'energumeno che è ospite dalla signora Giovanna mi si para davanti e prende a fissarmi. Io ho i capelli davanti alla faccia, ma riesco ugualmente a spiarlo con la coda dell'occhio. Cosa diavolo vuole, anche lui, stasera? Perché non tira dritto e non se ne va a casa sua? Se non altro non era in casa, quindi non ha sentito la discussione imbarazzante con mio padre.
Dio mio, sono anche in pigiama e ho i capelli ancora umidi per la doccia. Che giornata splendida e piena di soddisfazioni, non c'è che dire!
<<Cos'è, hai litigato con il tuo ragazzo?>>, mi chiede lui, divertito. <<E ora te ne sta qui, di notte, a fumare, scrutando l'orizzonte?>>
Alzo lo sguardo su di lui, in un'autentica espressione sarcastica. <<Come no, certo.>> Lascio andare una boccata di fumo fuori dalle labbra e distolgo lo sguardo.
<<Oppure hai litigato con i tuoi genitori?>> Continua a sorridere, senza rendersi conto del granchio che ha appena preso.
<<Senti, mi spieghi che vuoi?>> Sono aggressiva, me ne rendo conto. Ho bisogno di qualcuno con cui sfogarmi e lui, stranamente, mi sembra proprio la persona giusta.
Alza le mani in segno di resa. <<Calma, stavo solo scherzando.>> Mi fissa, perplesso. <<Che diavolo hai fatto, si può sapere? Sono le tre e mezza di notte, non è sicuro starsene qui sotto da soli.>>
<<Io ci sono nata, qui.>> Scrollo le spalle. <<Sto molto più al sicuro in questo cortile che in casa mia, poco ma sicuro.>>
Lui riflette per qualche secondo sulle mie parole, poi sospira, scavalca lo schienale di legno della panchina e si siede accanto a me. <<E va bene, non mi lasci altra scelta che farti compagnia fino a quando non ti decidi a tornartene a casa.>>
<<Allora starai qua tutta la notte.>>
Alza le spalle e punta lo sguardo verso il cielo scuro, nuvoloso, senza stelle. <<Pazienza, ho passato la notte in posti peggiori.>>
<<Non c'è bisogno che rimani. Non ho mica tre anni, posso stare benissimo da sola.>> Mi passo le mani sulla faccia per trattenere uno sbadiglio. Sono esausta, probabilmente andrò a dormire in auto, quando questo idiota si deciderà a tornarsene a casa sua.
<<Ma stai piangendo?>>, mi chiede, vedendo che non accenno a scoprirmi il viso. <<Merda, non ho neanche un fazzoletto.>>
Lo guardo, scettica. <<Guarda che mica perché sono una donna devo avere per forza l'interruttore automatico per le lacrime.>> Scuoto la testa. <<E per la cronaca, questi luoghi comuni delle donne che frignano sono sorpassati. Gli uomini piangono molto più di noi.>>
<<Bè, oggi pomeriggio ti sei accasciata al suolo disperata.>>
<<Mia sorella stava per essere investita, credo di averne avuto tutto il diritto.>>
<<Sarà, ma mi dai l'aria di una che piange spesso.>> Continua a fissare il cielo. Ma cosa diavolo sta cercando, la Cintura di Orione? Non si vede una stella neanche a pagare, con tutte queste nuvole.
<<E tu mi dai tutta l'aria di uno che parla a sproposito e rompe le palle alla gente.>> Mi alzo in piedi e m'incammino verso il cancello.
<<Ma dove vai?>> Mi guarda, perplesso. <<Mica ti sarai offesa.>>
Continuo a camminare verso l'uscita, spalanco il cancello ed esco dal cortile. Intravedo la mia macchina dall'altra parte della strada, attraverso e mi fiondo immediatamente al suo interno. Farò un giretto qui intorno tanto per depistare quell'idiota, e poi tornerò davanti al palazzo per farmi una bella dormita.
Mi volto verso lo sportello del passeggero per chiudere la sicura, ma quell'energumeno riesce ad aprirlo prima che possa riuscirci. <<Dove andiamo?>>, mi chiede, divertito.
Io mi limito a fissarlo letteralmente stupita. <<Sai che è un reato, infilarsi nella macchina della gente che chiaramente non apprezza la tua compagnia?>>
<<Fortuna che tu la apprezzi, allora, altrimenti starei compiendo un reato.>> Ghigna, sistemandosi meglio sul sedile.
<<Ma mi spieghi che vuoi?>> Sono irritata all'inverosimile, vorrei spingerlo fuori dalla macchina, partire e perché no, magari metterlo anche sotto con le ruote. <<Chi ti conosce? Oggi a stento mi hai rivolto la parola e adesso mi vieni dietro come un cane.>>
Lui mi lancia un'occhiatina da sopra ad una spalla. <<Frena l'ego smisurato, tesoro. Non lo sto mica facendo per te.>> Sbadiglia, coprendosi la bocca con la mano. <<Oggi sono stato a trovare all'ospedale mia nonna. Lei mi ha detto che hai un sacco di problemi, che sei una specie di sfigata cronica e roba del genere, quindi mi ha chiesto di essere gentile con te.>>
Come volevasi dimostrare, questo impiastro è il nipote della signora Giovanna.
<<Sfigata cronica?>> Gli premo le mani sulla spalla e cerco di spingerlo fuori dalla macchina. <<Senti, togliti dalla mia vista che è meglio!>>
Lui scoppia a ridere e non si muove di un millimetro. Accidenti, se è forte. <<Non voglio dare un dispiacere a mia nonna, quindi ti tocca sopportarmi.>>
Smetto di agitarmi e mi sistemo davanti al volante. <<Tu sei proprio uno stronzo.>>
<<Cavolo, siamo già alle dichiarazioni d'amore.>> Sorride irriverente, appoggiando la testa sul sedile.
<<Non so neanche come ti chiami.>>
Lui scrolla le spalle e chiude gli occhi. <<I nomi sono sopravvalutati, tesoro.>>
<<Ho intenzione di denunciarti per stalking, quindi mi serve il tuo nome.>>
Si apre in un sorrisetto divertito e apre un occhio solo. <<Se ti dico il mio nome, poi mi lasci dormire in pace?>> Dormire in pace? Questo ragazzo deve essere ubriaco. <<Sebastiano.>>
<<Come Sebastiano Serlio>>, dico, senza neanche rendermene conto.
<<No, come il mio bisnonno paterno.>> Corruga la fronte, confuso. <<Chi è Sebastiano Serlio?>>
<<Non è, ma era. E' morto nel millecinquecentocinquantaquattro.>> Lo guardo di sfuggita. <<Era un architetto, comunque.>>
<<Oddio, proprio una secchiona mi doveva capitare.>> Si volta su un fianco, con la faccia rivolta verso il finestrino chiuso. <<Buonanotte, eh.>>
Non gli rispondo.
E' la serata più strana della mia vita. Mi sento scombussolata, come se avessi appena fatto dieci giri sulle montagne russe. Questo tipo, oggi pomeriggio, a stento mi ha rivolto la parola, e adesso sta dormendo sul sedile della mia auto. Mi chiedo chi sia quella ragazza che era con lui poco fa. Si stavano baciando, quindi di sicuro non è un'amica, ma se è la sua ragazza allora perché lui se ne sta qui con me? Voglio dire, non è gelosa?
Io lo sarei al posto suo. Ma tanto non devo preoccuparmene. Con l'amore ho chiuso. E' uno spreco di energia. Per le persone piene di problemi come me, innamorarsi equivale più o meno a nuotare con le mestruazioni in una vasca piena di squali. Esatto, un suicidio.
E per tutti quelli che dicono che senza un uomo le donne sono perse, guardate che siamo capaci anche noi di fare sesso senza impegno.
Scuoto la testa e mi sistemo meglio sullo schienale. Chiudo gli occhi e penso a Maria. Spero solo che durante la notte non si svegli e non venga a cercarmi nella mia camera. In ogni caso sa che se ha bisogno di me ha il cellulare per le emergenze.
Afferro il mio cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e controllo che sia carico. Non mi farò mai più cogliere dalla distrazione. Maria conta su di me, non voglio deluderla.



Il mattino dopo mi sveglia la luce del sole che filtra dai finestrini.
Apro gli occhi, completamente indolenzita per via della posizione scomoda in cui ho dormito. Ho il collo completamente bloccato, il braccio sinistro ha perso la sua sensibilità e probabilmente ho i capelli di uno spaventapasseri.
Sbircio alla mia destra e vedo Sebastiano che mi fissa. <<Finalmente ti sei svegliata.>> Sorride. <<Lo sai che russi?>>
<<Sì, e tu sbavi.>> Mi sfrego gli occhi con le mani. La mattina sono ancora più intrattabile del solito. <<Che ore sono?>>
Lui guarda l'ora sul suo cellulare. <<Le nove e un quarto.>>
Sgrano gli occhi e mi sveglio completamente. <<Accidenti, ho lezione alle dieci e mezza! Devo sbrigarmi.>>
<<Certo che sei nevrotica.>> Afferra un sacchetto bianco poggiato sul cruscotto. <<Sono andato a comprare la colazione. Ti ho preso un cornetto alla crema, spero ti piaccia perché c'era rimasto solo quello.>>
Lo fisso, sorpresa. <<Mi hai preso un cornetto alla crema?>>
Lui scrolla le spalle e annuisce. <<Te l'ho detto, c'era solo quello.>>
<<Non lo voglio.>> Mi ravvio i capelli con le dita. <<Che c'è, ti faccio pena? Pensi che non abbia soldi per comprarmi la colazione da sola?>>
<<Bè, dormi in una macchina, tanto ricca non devi essere.>> Sorride, irriverente. Io di sorridere proprio non ne ho voglia, e lui se ne accorge. <<Andiamo, sto scherzando. Non volevo mica farti la carità. Sono andato a prendere qualcosa da mangiare per me e già che c'ero ho preso qualcosa anche a te.>>
I miei lineamenti sono estremamente contratti. <<La prossima volta non ti disturbare.>>
Apro la sicura, scendo dalla macchina e inizio a camminare verso il cancello. Sebastiano fa lo stesso, mi viene dietro, in silenzio, con le mani infilate nelle tasche.
Forse ho esagerato, ma proprio non mi va giù l'idea di fare pena. Sicuramente sono ancora scossa per la storia di Dante, perché provo ostilità verso tutti.
Questo tipo voleva solo essere gentile, eppure sento il bisogno di alzare le difese di almeno due metri. I suoi occhi grigi sono pericolosi, sembrano profondi, così profondi che se ci cadi dentro non ne esci mai più. E poi mi ha comprato la colazione, e so benissimo di essermi arrabbiata, ma il gesto mi ha stranamente commossa. E' incredibile quanto diventiamo deboli, quando qualcuno mostra un po' di attenzione nei nostri confronti.
Apro il portone, poi mi volto: Sebastiano è ancora dietro di me.
Mi fissa con un sopracciglio alzato. <<Che c'è, vuoi urlarmi contro un altro po'?>>, mi chiede, sarcastico. <<Se vuoi ti do qualche spunto. Allora, vediamo... quando vado al bagno dimentico sempre la tavoletta alzata. Odio lavare i piatti. Detesto le ragazzine acide che mi gridano contro quando cerco di essere gentile e... >>
<<Okay, basta così.>> Sospiro e abbasso lo sguardo. <<Ho esagerato, ma non devi parlarmi per forza. Voglio dire, ieri eri così indifferente, sembravi quasi scocciato dalla mia presenza, e stamattina mi porti la colazione a letto, cioè... non proprio a letto ma... insomma, hai capito cosa intendevo.>>
<<Veramente no.>> E' incredibilmente divertito.
<<Odio fare pena. Anche se tua nonna ti ha detto che ho bisogno d'aiuto, ti assicuro che non è così, quindi cerca di starmi lontano.>> Distolgo lo sguardo da lui. <<Bè, buona giornata.>>
Salgo velocemente le scale, afferro la chiave dal portaombrelli ed entro in casa. Mio padre sta dormendo sul divano. Ci sono bottiglie di birra sparse ovunque.
Entro in camera di Maria e dolcemente la sveglio. <<Dormigliona, è ora di alzarsi.>>
Lei sorride con gli occhi ancora chiusi. <<Ho sognato la mamma, sai Cris?>> Abbraccia il cuscino. Non accenna ad aprire gli occhi. <<Mi ha detto di dirti che devi stare tranquilla.>>
Mi sforzo di sorridere. <<Tranquilla? Riguardo a cosa?>>
Finalmente spalanca i suoi occhioni verdi, ma il suo sguardo resta vacuo. <<Ha detto che stai facendo un buon lavoro, anche se credi di no.>> Sorride di nuovo e si strofina gli occhi con le manine minuscole.
Maria dovrebbe essere brevettata come balsamo contro il cattivo umore. Per la prima volta da due giorni, sorrido, e sorrido di cuore.

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