Capitolo 4

Sono riuscita a far entrare Maria dal retro, lavorandomi Maurizio, il buttafuori del locale. Gli ho promesso di offrirgli una colazione al bar, una mattina di queste. E' un tipo parecchio corpulento, ed è un golosone, quindi non è stato difficile. E poi mi adora, sono quasi una figlia per lui.
Mi cambio al volo nello spogliatoio, poi prendo per mano Maria e busso alla porta dell'ufficio di Dante. Lui mi da il permesso di entrare, io prendo un bel respiro e finalmente spalanco la porta.
L'ufficio di Dante è gigantesco, quasi più grande dell'intero locale, ed è tutto dire. Il pavimento di marmo è talmente lucido che ti ci puoi specchiare, le pareti sono tinteggiate di un attraente colore nero, quadri famosi ricoprono tutta la stanza. Al centro c'è una lunghissima scrivania di mogano, una sedia stile Impero di pelle nera e due poltroncine bianche. Un piccolo sofà rosso è addossato alla parete accanto alla vetrata, che offre una vista mozzafiato della città. Scommetto che Dante usa quello per... intrattenere le sue conquiste. Odio i tipi come lui. Impaccati di soldi che pensano di poter comprare tutto, anche i sentimenti.
<<Ma guarda chi c'è>>, dice lui, sistemandosi contro lo schienale della sua sedia di pelle. Indossa una camicia di seta bianca che gli mette in risalto i pettorali abbronzati. Sembra il modello di una pubblicità di un profumo costoso. <<Bellissima, in cosa posso aiutarti? Hai finalmente deciso di accettare il mio invito a cena?>>
<<No, in realtà no.>> Prendo un bel respiro e tiro Maria per un braccio, facendo entrare nell'ufficio anche lei.
Dante guarda la mia piccola, dopodiché torna a fissare me. <<Mi dispiace, tesoro, ma è un po' troppo piccola per me.>>
Sorrido, facendo la civetta. Questo idiota mi disgusta, ma non vedo altra scelta. <<Ma no, scemo.>> Mi avvicino a lui, sedendomi sulla sua scrivania in perfetto stile "La Tata". <<Lei è mia sorella Maria.>>
Lui annuisce, poco convinto. <<Piccola, io ti adoro, lo sai, ma non ti sembra un po' presto per presentarmi la tua famiglia?>>
Lo colpisco scherzosamente sulla spalla, sforzandomi di ridere. <<Devo chiederti un'enorme cortesia, Dante.>>
Incrocia le mani sulla scrivania, ad un millimetro dalle mie gambe lasciate nude dagli shorts corti che indosso. <<Ti ascolto.>>
<<Non ho trovato nessuno che potesse stare con lei, stasera.>> Giocherello con il primo bottone della sua camicia. <<Per te sarebbe un problema se Maria aspettasse la fine del mio turno qui, nel tuo ufficio?>>
Dante sospira, guardando sfacciatamente la mia scollatura. <<Bè, non lo so, dipende.>>
<<Da cosa?>> Mio Dio, spero non sia niente di sconveniente. Se vi dico Demi Moore e Robert Redford, cosa vi viene in mente? Esatto, ragazzi, Proposta Indecente. Dante ne sarebbe più che capace.
Lui sorride a Maria, poi si avvicina al mio orecchio con le labbra e mi sfiora la pelle. <<Mi permetterai di portarti fuori a cena, domani sera?>>
Deglutisco, tirandomi indietro. Il suo dopobarba ultra costoso mi fa venire la nausea. <<Non so se posso uscire, domani sera.>> Mi sforzo di sorridere. <<Ma ti prometto che ci proverò.>>
Dante non sembra molto convinto, ma alla fine mi accontenta. <<E va bene, Cristina.>> Si alza in piedi, si avvicina a Maria e le da un buffetto sulla guancia, poi torna a guardare me. <<Ma niente casini, siamo intesi? Non la voglio veder gironzolare per il locale.>>
Annuisco. <<Certo, stai tranquillo.>>
Lui esce finalmente dal suo ufficio ed io riprendo fiato. Abbraccio Maria e la faccio accomodare su una delle poltroncine bianche davanti alla scrivania. Tiro fuori i suoi libri e li dispongo accanto a lei, in modo che riesca a prenderli più facilmente. Sistemo sulla scrivania anche una bottiglia d'acqua e il Cheeseburger che le ho preso strada facendo.
<<Mar, cercherò di finire presto. Per qualsiasi cosa hai qui il cellulare delle emergenze. Ho memorizzato il mio numero in rubrica, ti basta semplicemente tener spinto il tasto uno.>> Le infilo il cellulare parlante nelle tasche dei pantaloni. L'ho comprato appositamente per Maria, nel caso abbia un'emergenza. E' un cellulare intelligente, per ciechi e ipovedenti. Lo porta sempre con sé.
Lei annuisce, tastando i libri che le ho sistemato sulla scrivania. <<Va bene.>>
Le bacio una guancia. <<Me lo fai un sorriso?>> Lei sorride per un istante, ma lo vedo che c'è qualcosa che la preoccupa. <<Mar, tesoro, la signora Giovanna guarirà presto. Non ti devi preoccupare.>>
Sospira, abbassando la testa. <<E se muore?>>
<<No, che non muore.>> Mi inginocchio davanti a lei e le accarezzo i capelli. <<La signora Giovanna è ancora giovane, cosa credi?>>
<<Anche mamma era giovane.>>
Non trovo né la forza né le parole per ribattere. Mi limito ad abbracciarla stretta stretta. <<Ti voglio bene.>> Mi muovo verso la porta e torno a guardarla. <<Fai la brava, mi raccomando.>>
Lei non mi risponde. Vorrei così tanto mollare tutto e portarla via, vorrei darle i miei occhi, la mia vista, vorrei riportare indietro nostra madre, far rinsavire nostro padre. Vorrei darle una vita degna di questo nome, invece posso solo trattenere le lacrime, guardarla da lontano, inerme.



Il Millennium stasera è un vero delirio.
E' un locale importante, situato ai Parioli, uno dei più famosi quartieri di Roma, sulla destra di via Flaminia. Il quartiere si contraddistingue perché ospita gente di ceto alto, proprio come la famiglia di Dante, che è appunto proprietaria di uno dei locali più in vista della città.
Il locale è provvisto di sei enormi sale, tra cui la sala concerti, la sala per le feste private e chiaramente la sala disco bar, in cui appunto lavoro io, e che è forse la sala più grande del Millennium.
Il locale si sviluppa su tre piani, è elegante ma disinvolto, ben arredato, con un'enorme piscina che occupa gran parte del vasto cortile esterno, adibito alla stagione estiva. Numerosi divanetti bianchi sono disposti attorno a dei tavolini di vetro nella sala disco bar, i lussuosi privè si trovano su dei palchetti di legno rialzati. Il punto bar è distribuito in modo ottimale, un enorme bancone ovale di marmo è collocato al centro della sala, mentre il palco del Dj si trova davanti all'immensa pista da ballo. L'ambiente è reso accattivante e glam dall'arredamento, che gli conferisce un'aria decisamente frizzante.
<<Allora, Cris, quando mi sposi?>>
Sorrido affabile, mentre preparo un Angelo Blu a Giammarco, uno dei clienti fissi del Millennium. <<Anche subito, tesoro.>> Gli posiziono il bicchiere davanti alla faccia. <<Ma poi Roma perderebbe il suo scapolo d'oro numero uno. Non potrei mai perdonarmelo.>>
<<Dai, che te frega?>> Mi sorride ammiccante, mentre sorseggia il suo cocktail. <<Ce ne andiamo in luna di miele ai Caraibi.>>
<<Mi dispiace, ci sono già stata>>, gli dico scherzando, mentre pulisco il bancone. I Caraibi posso vederli giusto in fotografia.
Yuri, uno dei suoi migliori amici, gli da una pacca sulla spalla e con tono canzonatorio gli dice: <<Giammi, rassegnati.>> Poi guarda verso di me e sorride. <<Cris è una brava ragazza e tu sei troppo stronzo. Non te la meriti.>>
Giammarco lo manda molto poco velatamente a quel paese, mentre io inizio a prendere le altre ordinazioni. So che Giammarco scherza, quindi non mi infastidiscono le sue battute, ma certe volte ci sono dei clienti che sono davvero molesti e quindi cerco sempre di non esagerare con la confidenza.
Dispongo una fila di bicchierini di vetro sul bancone e li riempio contemporaneamente di Rum. Stasera Giammarco e Yuri sono insieme ad un gruppo molto numeroso di amici. C'è l'addio al celibato di uno di loro, quindi potete immaginare il festino di ormoni maschili che aleggia nel locale.
<<Chi è il futuro sposo?>>, chiedo io, alzando in alto un 4 Bianchi, uno dei cocktail più forti che esistano. E' una miscela di Vodka liscia, Gin, Tequila, Triple sec e ghiaccio, aromatizzato con una fettina di lime.
Uno degli invitati spinge verso il bancone un ragazzo magrolino e visibilmente timido, vestito come un dottorino mancato, con i capelli a spazzola e gli occhiali con i fondi di bottiglia calati sul naso. <<Eccolo qui! Lui è il pazzo che si autoinfligge l'astinenza perenne.>>
Tutti gli invitati all'addio al celibato scoppiano a ridere, sorseggiando gli shottini che gli ho appena servito. <<Ti voglio chiamare Don Andrea, da oggi. Tanto è quello il tuo futuro>>, dice Giammarco, colpendo quel tipo con una pacca molto forte sulla spalla.
<<E bravo Giammarco.>> Rido. <<Prima mi chiedi di sposarti, e poi disdegni il matrimonio.>>
Lui mi sorride, furbo. <<Amore mio, tu non fai testo. Se me dici de sì, me te sposo anche subito.>>
<<Come no, ci credo.>> Lo colpisco scherzosamente su una spalla con lo strofinaccio, poi mi volto a guardare il festeggiato. <<Quindi tu sei Andrea?>>
Lui annuisce, imbarazzato. <<Sì.>>
<<Bene, maritino.>> Gli porgo il 4 Bianchi con un ghigno divertito. <<Questo è per te. Te l'hanno ordinato i tuoi amici, quindi goditelo.>>
Lui afferra titubante il bicchiere con entrambe le mani, mentre i suoi amici lo incitano a berlo tutto d'un fiato. Parte un autentico coro da stadio. Io sorrido e mi appoggio con un fianco al bancone, per assistere meglio alla scena. Mi raggiunge anche Clio, una mia collega. Ha diciannove anni e studia anche lei, ma in un'altra università. Viene da Moncalieri, un piccolo comune di Torino. E' una ragazza simpatica, ci facciamo un sacco di risate quando lavoriamo, ma non si può certo dire che siamo amiche. Al massimo conoscenti.
<<Secondo me non regge>>, mi sussurra in un orecchio lei, ridendo come una matta.
Scoppio a ridere anch'io. <<Conviene chiamare un'ambulanza, questo va in coma etilico.>>
Il futuro sposo beve un paio di sorsate, dopodiché inizia a tossire, diventa tutto rosso, si mette le mani davanti alla bocca e corre verso i bagni.
<<Neanche a tre sorsi è arrivato.>> Clio sorride, dopodiché torna a servire i clienti assiepati davanti al bancone.
Giammarco afferra il drink che il suo amico ha lasciato e lo beve tutto d'un sorso. <<Ci vuole stomaco nella vita.>> Poi sorride. <<Anche se Andrea di stomaco ne ha parecchio, visto che si sposa quel cesso a pedali.>>
Yuri gli da uno schiaffo bello forte sulla nuca. <<Quanto sei stronzo. Se ti sente ti ammazza.>>
<<Non ti ricordi come la chiamavamo al liceo?>> Giammarco scoppia a ridere fino alle lacrime. <<Clarabella, come quella della Disney.>>
Io scuoto la testa con un'espressione di disapprovazione dipinta sulla faccia. Questo è uno dei tanti motivi per cui non voglio un ragazzo. Non sopporterei l'idea dei suoi amici che sparlano di me alle mie spalle. E non fate quella faccia, perché lo fanno tutti gli uomini.
All'improvviso sento un frastuono provenire dai tavoli in fondo alla sala, accanto alle scale che danno accesso agli spogliatoi e all'ufficio di Dante. Non gli do molto peso, sicuramente si tratta di qualche cliente ubriaco o della solita rissa. E' venerdì sera, è già tanto se non danno fuoco al locale.
Poi sento quella parola in mezzo a tante altre, allora non ragiono più.
Getto lo strofinaccio a terra, esco da dietro al bancone e corro nella direzione in cui si è generato il caos. Un gruppo di gente sta raggruppata davanti a qualcosa. Sono tutti in cerchio, mi impediscono di vedere.
Sento di nuovo qualcuno che dice: <<Cazzo, ma che ci fa questa bambina qui?>>, e qualcun altro che aggiunge, <<Ma cos'ha, sta male?>>
Non ci vedo più. Inizio a spingere tutta questa gente, facendomi spazio tra di loro. Poi la vedo: se ne sta accovacciata in un angolo, con la testa tra le gambe e le mani sulle orecchie.
<<Maria!>> Mi getto su di lei, l'abbraccio, la riparo da quegli sguardi indiscreti.
Sta piangendo, ha il petto sconquassato dai singhiozzi. <<Cris, scusa.>>
<<Di cosa, tesoro?>> La stringo forte. <<Non piangere. Spiegami come sei arrivata qua.>>
<<Scusa, scusa, scusa.>> Continua a ripetere solo questa parola.
La prendo in braccio e mi fiondo verso gli spogliatoi. La faccio sedere su una sedia e mi inginocchio davanti a lei. <<Amore, dimmi che hai.>>
<<Tu non rispondevi al telefono.>> Tossisce. <<Non sono riuscita a trattenermi.>>
Abbasso lo sguardo sui suoi pantaloni, e solo adesso mi rendo conto che si è fatta la pipì sotto. <<Mar, tesoro, non piangere.>> Le asciugo le lacrime dalle guance. <<Non è successo nulla, adesso ti cambio.>> Le tolgo i pantaloni bagnati e le infilo un paio di miei leggins che tengo di scorta nell'armadietto. Le vanno un po' lunghi, ma come soluzione temporanea può andare.
<<Ho provato a trattenermi, ma non ce l'ho fatta.>> Mi abbraccia. <<Sono venuta a cercarti, avevo paura che il tuo capo mi sgridava.>>
Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei miei jeans e mi accorgo che è spento. Deve essersi scaricato. Non riesco a credere di essere stata tanto sconsiderata. Come ho fatto a non rendermi conto che avevo la batteria poco carica? Maria è sotto la mia responsabilità, dovrei essere sempre reperibile per lei, invece avevo il dannato telefono scarico!
Sono così arrabbiata con me stessa che mi metterei a piangere, ma Maria è già parecchio scossa, non voglio farla preoccupare ulteriormente. La prendo in braccio e torno nell'ufficio di Dante. Per fortuna lui non c'è, così ho il tempo di mettere tutto in ordine. Faccio sedere Maria sul sofà rosso accanto alla finestra, poi vado in magazzino, prendo il mocho e il detersivo per il parquet, torno nell'ufficio di Dante e mi metto a lavare il pavimento. Ogni tanto fisso Maria. Se ne sta seduta lì, si tiene le gambe contro il petto e mi fissa, anche se non riesce a vedermi.
Non mi perdono di essere stata così distratta. Mia madre non l'avrebbe mai fatto, avrebbe controllato il cellulare continuamente, si sarebbe resa conto subito che era scarico. Io, invece, ero troppo occupata a scherzare con quegli ubriaconi dell'addio al celibato, per rendermi conto che Maria aveva bisogno di me. Inizio a piangere per i nervi, silenziosamente, senza il minimo gemito.
Proprio in quel momento la porta si spalanca, Dante entra nell'ufficio e si posiziona dietro di me. <<Cristina, che cazzo stai facendo qui?>>
Mi volto verso di lui, mi asciugo le lacrime con la manica della maglietta nera che indosso. <<E' caduta dell'acqua per terra, non volevo che il parquet si rovinasse.>> Spero solo che non rimanga la macchia sul legno.
Lui mi fissa, impassibile. <<Hai lasciato il bancone scoperto. Ti avevo detto di non crearmi problemi.>>
<<Stavo proprio per tornare di là.>> Cerco di sorridere. <<Non ti preoccupare, ora sistemo tutto e... >>
<<Vattene a casa.>> Dante si volta, mi da le spalle, sposta l'attenzione sul suo Iphone. Per lui la conversazione è già finita.
<<Dante, aspetta.>> Esco dal suo ufficio e accosto la porta. Non voglio che Maria mi senta. <<Lo so che ho sbagliato, ma sono... sono davvero piena di problemi, e mi costa tantissimo ammetterlo.>>
<<Cristina... >>
<<No, ti prego, ascoltami.>> Mi trema la voce, mi sento così in imbarazzo. Sto davvero supplicando questo verme? <<Ho bisogno di questo lavoro, Dante. Ne ho davvero bisogno.>>
Lui mi fissa per quella che mi sembra un'eternità. Ha lo sguardo impietosito, si vede che gli faccio pena, ed io odio fare pena. <<Non è un problema mio>>, dice alla fine, come se stesse parlando del tempo e non della mia vita disastrata. <<Piccola, non prenderla sul personale. Arrivi sempre in ritardo, sei sempre distratta e ti porti pure la sorellina schizzata a lavoro. Non posso proprio tenerti qui.>>
Non so cosa rispondere. Per la prima volta nella mia vita sono senza parole. Tre emozioni contrastanti si fanno spazio dentro di me: rabbia, vergogna, disperazione.
Vorrei picchiare Dante, fargli rimangiare le sue parole cattive e affilate. Vorrei essere forte abbastanza da sputargli addosso, prendere Maria per un braccio e andarmene via da questo mondo di superficiali. Invece mi avvicino ancora di più a lui, scoppio in lacrime, gli prendo la mano e lo guardo implorante. <<Ti prego, Dante, non farmi questo.>>
<<E' tutto così penoso.>> Lui sorride divertito, si libera gentilmente della mia mano, poi si tasta nei jeans costosi che indossa ed estrae due banconote da cento euro. <<Tieni, considerali un regalo.>> Dopodiché si volta e se ne va.
Fisso quelle banconote. Mi sembrano sporche, contaminate dalla cattiveria di Dante, ed io mi sento addirittura più sporca di loro. Le infilo in tasca, mi asciugo le lacrime come meglio posso, poi torno dentro e raduno tutte i libri che Maria ha lasciato sulla scrivania di mogano.
<<Cris?>>, mi chiama lei, alzandosi dal sofà. <<Stai bene?>>
Chiudo gli occhi un attimo, perché un pensiero orribile si è affacciato nella mia mente per un microscopico ma disgustoso secondo: ringrazio il cielo che Maria non possa vedere quanto sono piccola, in questo momento.
<<Andiamo a casa, Mar.>> Le prendo la mano e le accarezzo il palmo.
Usciamo dal retro. Maurizio mi tiene aperta la porta e sorride, dispiaciuto. <<Cris, devi ridarmi il pass.>>
Annuisco e gli indico la mia borsa con un gesto del capo. Tengo Maria in braccio, non riuscirei mai a prendere quel dannato tesserino da sola. <<E' nel taschino a destra.>>
<<Coraggio, dalla a me.>> Lui allunga le braccia forti e muscolose e afferra Maria, issandosela su un fianco. <<Accidenti, signorina, quanto sei pesante!>>
E' una scena incredibilmente tenera: Maurizio così possente, Maria così minuta.
<<Grazie.>> Sorrido tra le lacrime, mentre frugo nella mia borsa alla ricerca del pass identificativo.
<<Potrei utilizzarti come peso durante i miei allenamenti in palestra>>, dice lui rivolgendosi a Maria, mentre lei scoppia a ridere. Poi torna a guardare me. <<Dove hai parcheggiato?>>
Mi guardo intorno, spaesata. Mi sembra di essere finita in un incubo. <<Accanto alla banca.>>
Lui annuisce e mi fa cenno di muovermi. <<Ti accompagno. Non è sicuro, a quest'ora di notte.>>
Camminiamo in silenzio, io guardo la mia ombra a terra. Mi sento così umiliata. Qualche anno fa ero una vera testa calda, l'orgoglio bruciava dentro di me come una fiamma ossidrica, non avrei mai permesso a nessuno di trattarmi come Dante aveva appena fatto, e sicuramente non mi sarei mai ridotta ad elemosinare un lavoro in un posto squallido e superficiale come il Millennium.
Due anni fa c'era ancora mia madre, mio padre ci voleva ancora bene, io avevo il diritto di comportarmi leggermente, Maria non contava su di me.
Oggi la mamma non c'è più, mio padre se ne frega di noi, non posso permettermi la minima distrazione, Maria ha solo me.
Ogni notte quando chiudo gli occhi, cerco di dimenticare la mia vita, chiedo a Dio di farmi sognare un presente diverso, un presente più bello. Non accade mai. Nei miei sogni è uguale alla realtà, e quando mi capita di sognare la mamma fa ancora più male, perché ho la consapevolezza che è morta. Io so che mia madre è morta anche mentre dormo. E' una cosa che non si può dimenticare mai, forse neanche quando morirò.
Apro la portiera del passeggero, Maurizio sistema Maria sul sedile, le allaccia persino la cintura. E' così affettuoso, si vede che gli piacciono i bambini. Maurizio e sua moglie sono sposati da quindici anni, ma non hanno figli, non ne possono avere. La vita è ingiusta sempre con chi non se lo merita. Ha privato me e Maria di nostra madre, ha privato Maurizio e sua moglie di un figlio. Eppure sono certa che sarebbe un ottimo padre, molto più bravo del mio.
<<Cris, se hai bisogno... >> Si gratta la testa, imbarazzato. <<Io ci sono, lo sai. Sapevo che avevi dei problemi, ma non sapevo che tua sorella... insomma, se ti serve qualcosa conta su di me.>>
Lo abbraccio e gli stampo un bacio sulla guancia. <<Non ho bisogno d'aiuto, tranquillo.>> Gli sorrido. <<Però grazie per avermelo chiesto.>>
Lui scrolla le spalle. <<Nessun disturbo, ragazzina.>> Poi si volta a guardare Maria. <<E tu, signorina, non far arrabbiare tua sorella.>>
Maria scuote la testa. <<Tanto Cris non si arrabbia mai con me.>>
Io e Maurizio scoppiamo a ridere. <<Sei una furbetta>>, le dico, scompigliandole i capelli. Poi faccio il giro dell'auto e mi accomodo sul sedile del guidatore. <<Grazie ancora.>>
Maurizio mi chiude lo sportello. <<Stai attenta e fatti sentire, qualche volta.>>
Annuisco, poi sistemo lo specchietto retrovisore, faccio manovra ed esco dal parcheggio.
Una giornata da dimenticare, si va ad aggiungere ad una vita da resettare.

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