Capitolo 14

Distolgo lo sguardo da lui e finalmente ricomincio a camminare. Affretto il passo e mi dirigo verso la scalinata del dipartimento di Storia Dell'Arte, spero solo che lui non mi segua. Mi sistemo la borsa sulla spalla e prego di essere riuscita a comunicare a Sebastiano il mio desiderio di non vederlo, poi afferro la maniglia e faccio per aprire la porta, ma una mano si posiziona sulla mia, impedendomelo.

<<Cris.>>

Chiudo gli occhi, cullata dalla voce di Sebastiano che pronuncia il mio nome. Sto veramente diventando patetica. <<Sono in ritardo.>>

<<No.>> Lui mi costringe a voltarmi. <<Sei fuori di testa.>>

Okay, sì, ammetto che probabilmente ha ragione. Mi sto comportando come una psicopatica, ma è più forte di me. Insomma, se potessi controllare tutte le follie che commetto, sarei di sicuro perfetta, invece non lo sono proprio per niente.

<<Bè, probabile.>> Faccio pressione per aprire la porta, ma lui non me lo permette.

<<Divertente.>> Finge un sorriso. <<Dobbiamo parlare.>>

<<No, io non credo.>> Rinuncio ad entrare in quel dannato edificio, faccio marcia indietro e m'incammino verso l'uscita. Perderò la lezione, ma al momento non me ne importa nulla. Devo allontanarmi da lui.

Sebastiano scende in fretta i gradini e mi raggiunge. <<Maledizione, ti vuoi fermare un attimo!>> Mi afferra per un braccio e mi trascina in un angolo appartato del cortile. <<Mi dici cos'è successo?>>

Abbasso lo sguardo, colpevole. <<Niente, solo che non ho voglia di continuare così.>>

Mi guarda con la fronte corrugata, come se faticasse a stare dietro alle mie parole. <<Che vuoi dire?>>

<<Non mi va di uscire con te.>> Ogni sacrosanta parola mi ha ferito come mi ferirebbe una sequenza di coltellate al centro del mio petto.

Lui ridacchia, amareggiato. <<Sei un'immatura.>>

<<Senti, hai ragione su tutto, sono un'immatura cronica e sono completamente fuori di testa.>> Alzo gli occhi su di lui e il mio cuore perde un battito. <<Lasciami in pace, però.>>

Lui mi fissa attentamente, poi alza la mano e mi accarezza la guancia, ma io mi tiro indietro. Il suo tocco mi destabilizza. <<Cristina, devi dirmi qual è il problema.>> Si prende i capelli tra le mani e sbuffa. <<Sei scomparsa, cazzo. Che bisogno c'era di evitarmi? Bastava che tu me ne parlassi.>>

<<Non avresti capito.>> Abbasso la testa e mi fisso le scarpe.

<<Cristo, non sono un ragazzino.>> Alza la voce e qualche passante si gira a guardarci. <<Ma so che c'è dell'altro, le persone non si comportano così, Cris.>>

<<Bè, io sì, io mi comporto così.>> Sospiro e scuoto la testa, esasperata. <<Sebastiano, cosa vuoi da me?>>

<<Voglio solo parlare.>> Serra la mandibola e mi guarda. <<L'altra sera siamo...>>

<<Abbiamo fatto uno sbaglio.>> Fa male, ma devo farlo. <<Avanti, ci siamo solo baciati, niente di più. Non vedo perché farla così lunga.>>

Sebastiano si morde le labbra e distoglie lo sguardo da me. Fissa un punto indefinito alla sua destra, verso gli alberi grondanti di pioggia. <<Sei la persona più irritante e indisponente che esista sulla faccia della terra. Sei insopportabile, devi sempre avere l'ultima parola e non ti va mai bene niente.>> I suoi occhi si posano lentamente su di me. <<Ma sai una cosa? Io ti sopporto, non so come, ma ci riesco. E' un'impresa epica, credimi, ma è inutile che mi eviti. Dovresti averlo capito che con me non funziona.>>

Ho gli occhi appannati dalle lacrime. Sarebbe così facile lasciarmi andare, dirgli che anche se lo detesto lo voglio intorno a me. Ma non ci riesco, le parole non vogliono venir fuori.

Deglutisco, scrollando le spalle. <<E sarei io quella insopportabile? Ma perché non mi lasci stare e basta?>>

Sebastiano sorride. Un sorriso vero che mi scalda il cuore. <<Perché non ne ho voglia.>> Mi da un buffetto sulla guancia, dopodiché si volta e prende a camminare verso la sua moto. <<Ti passo a prendere stasera, al supermercato. Voglio un bacino, però.>>

Rimango a fissarlo perplessa, mentre mette in moto e se ne va. Okay, non ho assolutamente idea di cosa è appena successo. Gli ho detto chiaro e tondo che deve starmi alla larga e lui cos'ha fatto? Mi ha detto che stasera viene a prendermi a lavoro?
Non ho parole neanche per arrabbiarmi, sono assolutamente sconvolta dalla sua sfacciataggine. E sono soprattutto in ritardo per la lezione.
Cammino verso la classe, borbottando e augurandomi che Sebastiano non si presenterà davvero al supermercato, stasera. E' veramente un idiota.




Ho deciso di incontrarmi a pranzo con Paola e Rosita, tornata da una mezz'oretta dall'udienza. Ci siamo fermate in una pizzeria nei pressi dell'università e ingenuamente ho fatto l'errore di raccontare a quelle due traditrici l'episodio con Sebastiano di quella mattina. E' la prima volta che parlo alle mie amiche di lui e mi sembra di avere di nuovo sedici anni.

<<Tu sei pazza, Cris.>> Paola tiene stretto il suo cellulare e scorre furiosamente la gallery di Sebastiano su Facebook. <<Ma quando ti ricapita?>>

<<Ecco, appunto, spero mai.>> Bevo un sorso di Coca Cola, lanciando un'occhiataccia alla mia amica. <<E' insopportabile.>>

<<E' bello, cara mia, e ti piace.>> Rosita s'intromette nel discorso, rubandomi anche il bicchiere con la bevanda che ho davanti. <<Hai lo sguardo assassino, tipico di chi c'è caduta con tutte le scarpe, niña.>>

<<Ros, non lo sopporto, dico davvero.>> Poggio la fronte sul tavolino e piagnucolo, insofferente. <<Aiutatemi ad uscirne.>>

<<Io non ti capisco.>> Paola mi guarda sconcertata, mentre sorseggia con classe un semplice tè freddo alla pesca. Ma come fa a sembrare sempre così perfetta? Io riesco a versarmi il caffè sulla maglietta praticamente tutte le mattine. <<Ce l'avessi io uno così sempre incollato al sedere. Metaforicamente parlando, s'intende.>>

<<Te lo cedo volentieri.>> Pensando ad un'ipotetica conoscenza tra Paola e Sebastiano, il mio stomaco si contrae, ma non gli do alcun peso. <<Io voglio stare da sola. I ragazzi complicano tutto.>>

<<Eppure hai due ovaie anche tu, mi sembra.>> Paola alza le spalle. <<Goditelo, perché quelli come lui capitano una volta sola nella vita.>>

<<Bene, finalmente una buona notizia.>>

<<Quando avrai le tette calanti, i capelli bianchi e la dentiera traballante ne riparleremo.>>

Spostiamo la conversazione su Rosita, che ci racconta della sua mattina in tribunale e del successivo incontro piccante nello studio del suo ginecologo. La vedo radiosa, sembra proprio che il suo bel dottorino la faccia stare bene e ne sono contenta. Io non ho bisogno di nessun ragazzo. Per Sebastiano sono solo un capriccio. Non gli va giù che continuo a tenergli testa. Tutto qui.

Più tardi saluto le mie amiche e mi dirigo a lavoro, finalmente di nuovo al volante della mia macchina. Il supermercato è fastidiosamente pieno. Detesto le urla e gli schiamazzi della gente tra le varie corsie. Sarà che sto diventando intollerante a tutto quello che mi circonda.

Angela, una mia collega, mi saluta dalla sua postazione al punto d'ascolto, mimandomi con le labbra un "come stai" che mi fa sorridere. Le indico la mia testa, facendole capire che mi sta esplodendo per via della confusione, così lei mi fa l'occhiolino e inizia a trafficare con lo schermo del computer che ha davanti.

Io decido di rimettermi a lavoro, prima che il direttore venga a riprendermi.

"Sai, la gente è strana
prima si odia e poi... si ama"

Alzo lo sguardo e lo punto di nuovo al punto d'ascolto, dove Angela mi sorride e poi torna ai suoi incarichi. La musica si diffonde nell'intero supermercato e la voce incancellabile di Mia Martini mi fa emozionare.
Ho sempre amato questa canzone. Era la preferita di mia madre, me la cantava tutte le sere, come sostituita più che perfetta di una storia della buonanotte. Ed è terribilmente reale. Il mondo ti ferisce, ma l'amore no, l'amore mai. Bisogna solo trovarlo e permettergli di prenderti, non lasciarlo andare per paura, per rabbia, per orgoglio.
Mi affretto a servire una signora piuttosto frettolosa che è in fila già da qualche minuto, e mentre digito i tasti sulla cassa mi accorgo che ho le mani che tremano.

"Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo
un punto sei, che non ruota mai intorno a me
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore."

Ripenso involontariamente al bacio che ho dato a Sebastiano. Non avevo mai provato un'emozione tanto grande, prima d'ora, e ho paura. Ho paura anche di ammettere questo mio insensato timore. Non dobbiamo sposarci, se anche andrà male me ne farà una ragione, d'amore non si muore.
Ma allora perché sento questo bisogno di nascondere la testa sotto la sabbia, di fuggire, di non pensare?

"Sai, la gente è sola
come può lei si consola
e non far sì che la mia mente si perda in congetture, in paure
inutilmente e poi per niente."

Forse è questo il problema. Non ho paura di quello che sento, né di Sebastiano, né tantomeno di me. Ho paura di abituarmi a qualcuno, ho paura di restare sola e di dover cercare di nuovo appigli per consolarmi, per uscire di nuovo dalla delusione cocente dell'abbandono.
Ho paura di fantasticarci troppo, di sperarci troppo, scoprendo poi che si tratta solo di un banale acquazzone estivo.

"Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo
non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero di più, di più, di più..."

Le parole lentamente finiscono, lasciando spazio alla musica.
Afferro il cellulare dalla borsa e me lo rigiro tra le dita, non sapendo bene cosa fare. Se chiamassi Sebastiano, cosa otterrei? Bè, a parte un richiamo dal direttore per avere usato il telefono nell'orario di lavoro.
Scuoto la testa e lo metto via.
Sono pazza? Lo diceva anche Mia Martini, che la gente è strana. Io, probabilmente, sono la prima ad esserlo.



Sento un formicolio all'altezza dei reni. E' una sensazione strana, non proprio fastidiosa, ma quasi. Avverto una sorta di tensione, come se sta per succedere qualcosa.
Sebastiano non è venuto a prendermi, ed è un bene. Mi è servito da lezione. Lui non è di sicuro "almeno tu" di cui parla Mia Martini nella canzone. Al massimo rispecchia la frase "la gente è matta". E non sono stata decisamente troppo dura con lui, anzi, sono stata previdente.
Scendo le scale che mi conducono al parcheggio e poi cammino rapida verso la mia macchina. Sono appena le otto di sera e il cielo è talmente buio da sembrare notte fonda. La pioggia ha smesso di cadere da un pezzo, lasciandosi dietro un'aria gelida che mi fa battere i denti.
Afferro le chiavi dalla tasca dei jeans e mentre sto lottando per inserirla nella serratura, sento delle risate provenienti dalla porta antipanico che conduce all'esterno dell'edificio.
Mi alzo in punta di piedi per dare un'occhiata: quella strega di Elda sta fumando una sigaretta e contemporaneamente civetta con qualcuno. Federico è andato via da un pezzo, quindi sarà certamente un'altra delle sue prede. Forse il commesso del negozio di scarpe. Quella ragazza è davvero una che non si regola.
Scrollo le spalle e spalanco lo sportello, pronta a tornarmene a casa, quando una risata maschile mi paralizza proprio lì dove sono.
Sebastiano.
Getto le chiavi sul sedile del passeggero, dopodiché faccio lentamente il giro della macchina e sbircio in direzione della porta.
Elda tiene una mano sulla spalla di Sebastiano, ride sguaiatamente, mentre lascia andare boccate di fumo da tutte le parti. Sebastiano ha la sigaretta tra le labbra, guarda Elda come se fosse la rivelazione del secolo e intanto le parla.
Sono sempre più convinta che lui sia davvero l'ennesimo problema della mia vita e che se lo desidera può fare quello che gli pare, uscire con chi vuole, scherzare con chi dice lui, ma Elda no, con lei proprio no. No.
Mi alzo in piedi e cammino svelta e sicura verso di loro.

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