Capitolo 1
Piove da tutto il giorno. Le nuvole sono scure, gonfie d'acqua, minacciose. La leggera pioggerellina primaverile che ha iniziato a cadere nel pomeriggio, si è trasformata nettamente in un vero e proprio temporale nell'arco di un paio d'ore.
Il mio turno al bar è finito tardi, ci sono state ben tre risse, il sabato sera è sempre così. Adesso sto camminando per la strada, zuppa di pioggia, con dei tacchi talmente alti che mi fanno venir voglia di non avere dei piedi. Quanto vorrei avere un parcheggio riservato, così da non dover vagare per almeno un kilometro fino a casa, ma l'affitto mensile del posto auto costa troppo. Magari tra un annetto riuscirò a permettermi questo lusso.
Intravedo il mio palazzo ad una decina di metri di distanza. E' un casermone bianco che si trova all'estrema periferia di Roma, a due passi da un supermercato, da un bar, da un parrucchiere e da un vecchio condominio costruito solo a metà, che adesso viene utilizzato dai giovani del quartiere come ritrovo per le loro illegalità: alcool, droga e partite a carte clandestine. In uno dei pochi appartamenti terminati, c'è persino una succursale di una sala giochi. Ci sono slot machine, un bancone bar e una garçonnièreper intrattenersi, diciamo così. So tutto questo perché fino a due anni fa frequentavo quel posto anche io. Bè... garçonnièrea parte, si intende.
E' tipico dei quartieri degradati delle città. Siamo lasciati a noi stessi, nessuno si avvicina perché tanto qui è tutto inutile, i problemi ce li aggiustiamo da soli. E mentre mi guardo intorno, mentre mi trovo su questa strada piena di buche, con l'asfalto rovinato, la vegetazione che cresce fitta, trascurata, i graffiti sui muri, i palazzoni alti e cupi, le persone con il mio stesso sguardo stanco... mi rendo conto che non potrei abitare in nessun altro posto, che la ricchezza e il lusso non faranno mai parte della mia vita. Io appartengo alla periferia.
Attraverso la strada e subito il peso della responsabilità si abbatte su di me. A casa dovrò ricominciare da capo. Tra un paio d'ore potrò andare a letto, ma prima avrò un centinaio di altre cose da sistemare. Domani avrò lezione presto, spero solo di non addormentarmi in aula come la scorsa settimana.
Arrivo davanti al mio portone e noto un ragazzo accanto alle cassette della posta. E' alto, magro ma robusto, e ha la testa coperta dal cappuccio della felpa che indossa. Non l'ho mai visto prima, ed io conosco tutti nel quartiere. Abito qui da quando sono nata. Magari quel tipo è ospite da qualcuno.
Lo sorpasso e infilo la chiave nella serratura arrugginita. Sono le tre del mattino, non è esattamente l'ora di presentarsi ai vicini. E poi ho solo voglia di lanciare queste maledette scarpe nella stratosfera, quindi non credo di poter essere molto cordiale, in questo momento.
Mi accorgo troppo tardi di aver inserito la chiave sbagliata. Il sonno fa brutti scherzi. Mi metto ad ispezionare il mazzo, alla ricerca disperata della chiave giusta, ma ben presto mi rendo conto della situazione: ho il mazzo sbagliato, devo aver lasciato quello giusto nel mio armadietto, al bar.
Mi guardo intorno, non so cosa fare. Non posso suonare al citofono, rischierei di svegliare la bambina, e di conseguenza dovrei passare la nottata insonne insieme a lei. Guardo il tipo che è davanti alle cassette della posta. Sta leggendo delle... bollette? Chi diavolo è che si mette a leggere le bollette in piena notte, sotto al temporale per giunta? Io le leggo a stento in condizioni normali.
Mi schiarisco la voce. <<Scusami?>>
Lui si volta a guardarmi, ma non riesco a vedergli bene la faccia. E' troppo buio e il suo cappuccio mi impedisce di vedere qualcos'altro al di fuori delle sue labbra. <<Cosa vuoi?>>
Rimango un po' male a causa del suo tono estremamente ostile, ma decido comunque di rispondergli: <<Potresti aprirmi il portone, per favore?>>
Non mi risponde. Si fruga nelle tasche dei jeans, estrae un mazzo di chiavi e poi me lo lancia senza neanche avvisarmi. E' solo per una questione di riflessi rapidi, se riesco ad afferrare quell'ammasso di metallo prima che mi arrivi in faccia.
Lui torna a darmi le spalle. E' serio, concentrato su quelle dannate bollette, bè... sempre se si tratti di bollette. In fin dei conti non posso mica averne la certezza. In ogni caso non mi interessa.
Infilo la chiave giusta nel portone, faccio scattare la serratura e sospiro di sollievo. Mi volto di nuovo verso lo sconosciuto e richiamo la sua attenzione, schiarendomi la voce. Lui si gira a guardarmi, o almeno credo mi stia guardando. I suoi occhi sono troppo coperti, non li vedo affatto.
Mi avvicino a lui di un passo e gli porgo le chiavi. Un ciondolo a forma di motocicletta penzola dal mazzo e attira la mia attenzione. Adoro le moto fin da quando sono piccola. Ricordo che mio padre mi portava sempre alle esposizioni di motociclette e mi prometteva ogni volta che quando avrei compiuto diciotto anni, lui mi avrebbe regalato una meravigliosa Harley-Davidson. I diciotto anni sono passati da un pezzo, e insieme con loro anche la mia speranza di veder apparire quella moto.
<<Allora? Ti decidi o no?>> La voce incolore di quel tipo mi riporta all'amara realtà.
Faccio cadere il mazzo di chiavi nelle sue mani. <<Ti ringrazio>>, gli dico, sarcastica. L'irritazione che mi provoca il suo atteggiamento sta raggiungendo livelli inimmaginabili.
Lui non mi risponde, proprio come poco fa, e mi da per l'ennesima volta le spalle. Lo prenderei a pugni, se solo non fossi così stanca.
Spalanco il portone e finalmente mi precipito verso il mio appartamento. E' un trilocale che si trova al secondo piano, quindi devo salire due rampe di scale con i miei piedi doloranti e bagnati dalla pioggia.
Tengo sempre una chiave di riserva nel porta-ombrelli che si trova fuori dalla porta. So che non è prudente, ma qui ci conosciamo tutti tra di noi, e i teppistelli del quartiere non rubano a chi è come loro, vale a dire povero.
Entro in casa, mi tolgo le scarpe con un gemito di sollievo e mi getto sul divano. Mi guardo intorno. Il salone è un autentico disastro, ci sono giocattoli e resti di cibo ovunque, senza contare la schiera di bottiglie di birra vuote disposte sul tavolo da pranzo.
Punto lo sguardo sul soffitto, verso il cielo, verso un Dio che probabilmente si è dimenticato del mio indirizzo. Ma dove finiscono le preghiere? Possibile che siano vane, che si perdano nell'aria come un respiro di troppo?
Sono esausta, e non solo fisicamente. Insomma, le stanchezze del corpo si alleviano con un po' di riposo, ma quando è la mente ad essere stanca? Come si fa per far riposare la mente, quando intorno a te tutto necessita della tua attenzione?
Sento dei passi sulle scale, così mi avvicino in silenzio allo spioncino della porta. E' il tipo con la felpa che era fuori dal portone, quello che mi ha prestato le sue chiavi. Lo vedo aprire la porta di fronte alla mia, entrare in casa, e richiudersela subito dopo alle spalle. Quella è la casa della signora Giovanna, la splendida donna che mi aiuta a sopravvivere, e il ragazzo con la felpa deve essere il nipote di cui mi parla sempre. Bel modo di presentarsi, non c'è che dire.
Chiudo a chiave la porta, ripongo i giocattoli nella cesta, metto i piatti sporchi nel lavello e poi raduno nella spazzatura tutte le bottiglie di birra sparse per la casa, e sono veramente tante, credetemi.
Torno in cucina, lavo i piatti, preparo tutto l'occorrente per la colazione di domani mattina, metto su il caffè e intanto mi siedo per un istante al tavolo rotondo della sala da pranzo. Sono preoccupata per la signora Giovanna. Per quale motivo non mi ha detto che suo nipote sarebbe venuto a trovarla? E se fosse qui perché la signora Giovanna ha problemi di salute? In ogni caso è inutile rimuginarci su, domani mattina lo chiederò direttamente a lei.
Spengo il caffè, lo verso nella brocca di vetro, pulisco velocemente la macchina del gas, dopodiché afferro i quaderni della piccola e controllo che i suoi compiti siano giusti. Frequenta la prima elementare, quindi non è niente di troppo complicato, e comunque lei è molto intelligente. Ripongo tutto l'occorrente scolastico nel suo zaino, dopodiché raccolgo la biancheria sporca e mando avanti la lavatrice. Poi vado in bagno, mi faccio una doccia veloce e mi infilo il pigiama.
Vado a controllare la piccola nella sua stanza. Dorme beatamente con le braccia all'insù, e un piedino sbuca fuori dalle coperte. La sistemo per bene, le bacio la fronte, le avvicino il suo coniglietto di peluche, dopodiché torno in cucina, prendo la brocca del caffè e una tazza, poi vado nella mia stanza e mi siedo alla scrivania.
Apro i libri e inizio a studiare. Domani avrò l'esame di Storia Dell'Arte, anche se non so proprio quanto potrò resistere prima di crollare dal sonno.
Riempio la tazza di caffè, ne bevo un sorso e mi ripeto che se diventerò un architetto... la vita cambierà, per me e per Maria. La mia sorellina.
Queste parole mi danno la forza necessaria per tenere gli occhi aperti fino alle cinque del mattino, finché non crollo addormentata sulla scrivania.
Mi svegliano due mani calde che si posano sulle mie guance.
Apro un occhio solo. Ieri sera ho dimenticato di chiudere la serranda e ora il sole filtra dalla finestra, accecandomi. Si dice che il sole bacia i belli, ma non ho di certo bisogno di uno specchio per smentire questo assurdo modo di dire. Sicuramente ho le occhiaie che mi arrivano fino al sedere.
Sorrido, mentre quelle manine calde mi accarezzano la fronte, i capelli, e ancora la fronte, il naso, le guance.
Mi decido ad aprire anche l'altro occhio, e finalmente la vedo: se ne sta in piedi davanti a me, con i capelli castani legati in una coda sfatta, il pigiamino giallo dei Minions e il suo sorriso sdentato che tanto amo.
Mi stiracchio, portandomi le braccia sopra alla testa. Ho le ossa completamente a pezzi. Guardo mia sorella e fingo di rubarle il nasino. <<Sei ancora in pigiama, nanerottola?>>
<<Oggi niente scuola.>>
La guardo, divertita. <<Ah sì? E chi l'ha deciso?>>
<<Mr. Lepronte.>> Maria si gratta il collo con le piccole dita dalle unghie mangiucchiate. <<Dice che ha male al pancino e vuole che resto a fargli le coccole.>>
<<Davvero?>>, le chiedo, fingendomi sorpresa. <<Bè, facciamo così: tu vai a lavarti il visino, mentre io preparo una camomilla a Mr. Lepronte, che te ne pare?>>
Maria scuote la testa e mette il broncio. <<Lui vuole che resto a casa.>>
<<Bè, ma Mr. Lepronte lo sa che tu devi andare a scuola. Sicuramente sarà molto più felice di lasciarti andare, se prometto di comprarvi un gelato, oggi pomeriggio.>>
<<Uhm... >> Finge di pensarci e poi si apre in un sorriso. <<Va bene, ma stasera ceni a casa.>>
E tutte le volte è una stilettata al cuore. Vorrei poter essere più presente per la mia piccola, ma se non vado a lavorare ci ritroviamo in mezzo ad una strada, quindi sono obbligata a stare continuamente fuori di casa. Lei è così innocente, non può capire. Spero solo che con il tempo le cose possano risolversi.
<<Mar, tesoro, lo sai che non posso.>> Le accarezzo la testa, mentre lei abbassa lo sguardo. <<Stasera starai con la signora Giovanna, ma ti prometto che domenica ce ne andiamo allo zoo, io, te e Mr. Lepronte, parola di scout.>>
<<Tu non sei una scout.>>
Sorrido e le bacio una guancia. <<Sono solo dettagli, tesoro.>> Mi alzo in piedi, mi massaggio il collo indolenzito, dopodiché do una pacca sul sederino di Maria e la spingo verso il bagno. <<Vai a vestirti, forza!>>
Maria fa come le dico, mentre io vado in cucina e metto su il caffè. Preparo le fette biscottate alla Nutella per me e per la mia piccola, le verso un bicchiere di latte, poi mi siedo e aspetto che sia il caffè che mia sorella siano pronti.
Guardo la camera che un tempo era dei miei genitori. La porta è ancora chiusa, segno che chi è all'interno sta ancora dormendo. Mi fa così male questa realtà. Un tempo ci piaceva fare colazione tutti insieme, seduti a tavola, a raccontarci storie divertenti. La mamma veniva a svegliarci, la casa profumava di lei, le porte erano aperte, si dialogava, c'era felicità.
Adesso non più.
E' tutto così irreale, sembra un brutto sogno, uno di quelli che non controlli, dove sei immobile e non puoi far nulla. A volte, mentre me ne sto sdraiata sul letto e in casa c'è silenzio, mi sembra quasi di avvertire ancora la risata di mia madre che riecheggia in tutta la casa, il rumore delle sue scarpe con il tacco preferite, la sua voce che canta vecchie canzoni famose mentre prepara il pranzo. Rimango senza respiro per alcuni secondi e fisso la porta in attesa di vederla entrare per rimproverarmi di non aver apparecchiato la tavola, ma tutte le volte è la stessa storia: la porta della mia stanza rimane chiusa, la sua risata è solo un ricordo lontano. Mia madre non tornerà mai più.
Maria mi raggiunge poco dopo. Ha la bocca un po' sporca di dentifricio, e sorridendo gliela pulisco con una salviettina di carta. <<Ci vuoi il cacao nel latte?>>
<<Sì.>> Mia sorella afferra un biscotto e lo immerge nel latte ancora bianco. <<Tanto, tanto, tantissimo.>>
<<Golosona, non esagerare, che poi ti viene mal di pancia come Mr. Lepronte. Te ne metto tre cucchiai>>, dico, mentre le verso il cacao nella tazza.
Maria mette il broncio. <<Ancora, ti prego.>>
<<Mar, ho paura di farti stare male.>>
<<La mamma me ne metteva sempre quattro cucchiai>>, dice, abbassando gli occhi sul tavolo.
E con questa frase, Maria può manipolarmi alla perfezione. Insomma, non che lo faccia di proposito, è solo che non resisto alla sua malinconia.
Sorrido, versandole un altro cucchiaio di cacao, dopodiché mescolo il latte e la guardo berlo tutto d'un sorso. <<Avevi fame, eh?>>
Bevo il mio caffè, mangio le fette biscottate, dopodiché prendo la borsa, lo zaino di Maria e vado verso la porta di casa. Mi volto a guardare un'ultima volta verso la stanza dei miei genitori.
Mio padre sta ancora dormendo, o magari è ubriaco e non ce la fa a muoversi, in ogni caso per questa mattina non si farà vedere. Non posso che esserne sollevata.
Io e Maria usciamo di casa senza salutarlo. Ormai è una storia che si ripete tutti i giorni, da ben due anni. Maria ci sta ancora male, è piccola, vuole solo sicurezza e tranquillità. Io, ormai, ci sono abituata.
Nostra madre è morta, e nostro padre... lui non esiste più.
Angolo autrice:
I personaggi di questa storia sono immaginari, tuttavia per il personaggio di Maria mi sono ispirata ad una persona di mia conoscenza, che come lei è piena di voglia di vivere.
Nel prossimo capitolo scoprirete un particolare di vitale importanza per l'andamento della storia, e questo particolare riguarda proprio la piccola Maria.
Spero davvero che "Almeno Tu nell'Universo" sia di vostro gradimento. Mi raccomando, lasciatemi un commento per farmi sapere cosa ne pensate, sono davvero curiosa di avere un vostro parere!
BecLynn93
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