Nota dell'autrice



Alle mie sorelle:

Elena, un'Aalia del nostro pianeta,
E Adele, che mi ha chiesto di fare di Malika un bel personaggio.


Nota dell'autrice

Mi sono imbattuta in questa storia durante uno dei miei viaggi attraverso lo Specchio.

Trovo giusto comunicarlo ai miei lettori, in quanto ho ascoltato questo racconto in una locanda del Sistema Betelgeuse: non ho né inventato né vissuto questa vicenda, ed è giusto darne credito a chi di dovere.

Stavo inseguendo Sideris Sundance, una cosmopirata di fama intergalattica, nella speranza di convincerla a rilasciarmi un'intervista.

Avevo ricevuto una soffiata anonima e sapevo che alloggiava a Le Quattro Piume, che riusciva a essere contemporaneamente il locale più malfamato e più raffinato del pianeta Eren-Quath.

Quando finalmente arrivai, non mi stupii nello scoprire che se n'era già andata.

Quella donna riusciva sempre a essere un passo avanti a me.

Ad ogni modo, dato che ormai mi trovavo lì, ordinai un bicchiere del loro famoso Vin di Zolfo e iniziai a guardarmi intorno, brutta abitudine che gli aspiranti scribacchini dovrebbero mettere da parte, quando sono in ambienti che non conoscono.

Un'umana sola in una taverna del genere attira rogne, se non tiene la testa bassa e non bada al suo drink.

Infatti un tale, con un poncho vetrificato color della notte e un cappello a tesa larga, parve trovare il mio sguardo particolarmente maleducato.

I lineamenti del suo volto si contrassero e mi parve di sentire un basso ringhio provenire dalla sua gola, anche se ero seduta ad almeno due metri di distanza, a un tavolo diverso dal suo.

Lo identificai subito come un ostracizzato del pianeta Nurel: aveva la pelle traslucida, riuscivo a distinguere vene e arterie in trasparenza, sia sul volto sia sulle mani strette attorno a un boccale.

Capii che potevo aspettarmi un coltello alla gola da un momento all'altro.

Prima che potesse succedere qualcosa, però, un ragazzo sconosciuto si portò tra me e l'esule; avvicinandosi al tavolo del nurelliano, gli sussurrò qualcosa nell'orecchio fino a che l'altro non annuì.

Dopo avermi lanciato un'ultima occhiata di sdegno, il mio potenziale assalitore si aggregò a due suoi compatrioti seduti al bancone, senza più voltarsi verso di me.

Senza fiato, mi accasciai sullo schienale della mia sedia, facendo cenno al ragazzo che mi aveva aiutato di accomodarsi di fronte a me.

«Ti devo da bere» dissi.

Lui sorrise, si sedette e fece un cenno al cameriere.

«Non dovresti cacciarti in queste situazioni, se non sai nulla della loro mentalità» commentò poi, accennando ai nurelliani «È gente difficile. Non cattiva» si affrettò ad aggiungere «ma difficile.»

Lo squadrai. Non intendo descriverlo ai lettori, ma era chiaramente più giovane di me, abbastanza perché potessi stupirmi della sua sicurezza. Mi chiesi da dove venisse.

«Sto ancora imparando» ammisi. Dovette rendersi conto che mi sentivo in imbarazzo, perché disse:

«Non c'è niente di male. Anch'io ho imparato a mie spese, e poi è diventato il mio lavoro.»

«Difendere sprovvedute nei bar?»

Rise «No. Fare mediazione interplanetaria.»

Sgranai gli occhi «Ma... Ma quanti anni hai?»

Fece una smorfia, seguita da un gesto senza direzione della mano «Ho avuto la strada spianata. Ma come ho scelto di fare questo mestiere... Quella è una buona storia, per una serata in un bar.»

In quel momento, il cameriere arrivò con un Warm-Hole fumante e lo porse al mio commensale; doveva essere un habitué, perché non l'avevo sentito ordinare nulla.

Si portò il boccale alle labbra, si sistemò meglio sulla sedia e cominciò a raccontare.

Ci volle tutta la sera.

Quando, tempo dopo, mi decisi a trascrivere il racconto che udii, provai senza successo a rintracciare il ragazzo per chiedere il suo consenso.

Non trovandolo, decisi di romanzare la sua storia utilizzando nomi di mia invenzione, prendendomi la libertà di aggiungere o sfoltire particolari per rendere più armonica la vicenda.

Avrei voluto rincontrarlo anche per chiedergli aiuto nella stesura: rendere in un qualsiasi linguaggio terrestre concetti propri di altri popoli si è rivelato quasi impossibile.

L'uso dello Specchio, sul nostro pianeta, è ancora un'utopia; non esiste letteratura sulla quale io abbia potuto basarmi, né ho potuto contare sulle delucidazioni di un esperto.

Ho dunque tradotto meglio che potevo, ma rimane una barriera culturale che, con i miei mezzi pedestri, non sono riuscita ad abbattere.

Spero che, nonostante il velo confuso delle mie parole, i lettori vedano questa storia per quello che è: meno di un romanzo, più di una chiacchiera da bar.



In fede,

Blackcarson 



















N.d.A. sull' N.d.A.: Niente, non ho resistito. Sì, lo so che ho detto che avrei iniziato a gennaio. Sì, so anche di essere una brutta persona.

Una volta questo capitolo era una nota etnico/lessicale. Poi è diventata quello che avete letto.

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