8.
Cara Malika,
non puoi immaginare quante volte ho cominciato questa lettera. O forse puoi, perché mi conosci.
Non ero sicuro di cosa scrivere e di come scriverlo – non sono mai stato bravo a mettere giù quello che penso in maniera ordinata – quindi è meglio che io vada dritto al punto: sto bene, mi sto ambientando e mi hanno già messo al lavoro.
Com'era probabile, visto il colloquio, mi hanno affidato compiti di manutenzione e riparazione di parti meccaniche o elettroniche.
Nulla di specifico, in realtà.
Devi capire che al momento il nucleo è davvero piccolo... Cinquantadue persone, e sto contando i nuovi arrivati. Allo stato attuale, abbiamo quasi tutti compiti generici.
Ironia della sorte, il traduttore simultaneo è rotto. Dev'essere successo quando l'ho messo in stiva, ma anche se fosse integro la lingua resterebbe un problema; quasi tutti, qui, vengono da un pianeta di nome Lasaar, e se non avessi incontrato una ragazza che parla l'Ambrico non credo che sarei riuscito a farmi capire, quando sono arrivato.
Non avrei potuto scaricare l'aggiornamento linguistico, comunque, perché nella colonia la filigrana del Mirror non è ancora attiva. Penso sia normale.
Già solo per attivare occasionalmente lo Specchio penso ci voglia tutta la produzione frenica del pianeta. Immagina – con soli cinquantadue esseri capaci di ideazione – quanto potrebbe volerci per far funzionare il Mirror all'interno della base.
Anche per farti avere questa lettera dovrò chiedere al custode dello Specchio, che gestisce tutti i movimenti all'interno della filigrana da un solo schermo.
Detto questo, gli alloggi sono piccoli e semplici, ma ben attrezzati.
Ognuno ha la sua stanza, per fortuna: ero convinto che ci avrebbero sistemato in qualche camerata.
Se dovessero arrivare altri coloni la situazione cambierà, ma ho visto che stanno costruendo altri edifici all'interno del perimetro e probabilmente sarò tra quelli che ci lavoreranno.
Scusa, Li, mi sono accorto solo ora di essere stato piuttosto caotico, nelle mie spiegazioni. Descrivere la colonia è difficile, è molto diversa da tutto quello che conosciamo e ci metterò qualche giorno ad abituarmi a questa vita, per non parlare del mondo che c'è là fuori, oltre il perimetro.
Non sono ancora uscito dalla base, ma fra poco avrò il mio primo giro di ricognizione. Sarà breve, credo: andremo solo noi nuovi con un paio di guide, ci spiegheranno le cose fondamentali.
Ci sono parecchi pionieri che si occupano di ricerca e catalogazione, di questo sono sicuro, ma non so quali siano i loro campi d'interesse.
Uno dei coloni più vecchi dev'essere un biologo di qualche tipo. Ci ha portato a vedere il suo laboratorio.
Comunque sia, la maggior parte di noi non farà altro che raccogliere cibo e materie prime. So che dovremo cacciare e non ho ancora deciso come prendere la notizia, ma qualcuno deve pur farlo e i compiti qui sono distribuiti equamente.
Mi manchi già, ma non ho davvero il diritto di dirlo, dato che sono io quello che se n'è andato. Ti basti sapere che ti penso e a ogni nuova esperienza che faccio immagino il momento in cui potrò raccontartela.
Penso che sia quasi l'ora del mio giro, devo andare. Se avrò ancora qualche minuto spedirò questa lettera, altrimenti aspetterò la sera. Sono un po'agitato, per la prima volta da tanto tempo, e questo capogiro mi fa sentire come se fossi ubriaco e avessi il mondo sulla punta delle dita.
Non credo di aver reso l'idea, ma è una sensazione bellissima.
Ti amo, Li.
Zayd
Zayd sollevò gli occhi dalla tavoletta frenica.
Il cortile del perimetro interno non era più deserto, anzi, lungo il lato di fronte a lui si erano radunate almeno dieci persone, chi in piedi chi seduto sulle panche di legno grezzo.
Quando era uscito fuori a scrivere la stella del sistema era alta nel cielo e quasi non c'erano ombre, nessun altro era lì e attorno a lui si spandeva un silenzio irreale, rotto solo dal ronzio sottile dei macchinari all'interno della base.
Non avrebbe saputo dire in quale momento gli altri coloni avessero iniziato ad arrivare, ma come aveva immaginato doveva essere quasi l'ora della sua prima ricognizione.
Prima che se ne rendesse conto, un sorriso era spuntato sul suo volto e il cuore si era fatto furioso e aveva iniziato ad attaccar briga con i suoi timpani, a suon di battiti.
Un intero pianeta, oltre quel cancello...
Un movimento nel gruppo di persone lo distrasse: la ragazza che aveva conosciuto quella mattina, Aalia, si stava facendo strada verso di lui.
Zayd cercò con tutte le forze di non fissare troppo le sue spalle, che erano inarcate e puntute: probabilmente erano dovute a una struttura ossea appena un po' diversa dalla sua, ma il ragazzo non l'aveva mai vista in altri esseri umani ed era piuttosto sicuro che fosse poco educato soffermarsi a lungo su quel particolare.
Aalia era, in una parola, filiforme: tutto in lei era slanciato verso l'alto, dal volto ovale alle gambe da trampoliere e al collo di cigno.
Lo superava di almeno metà testa e c'era qualcosa, in quella longilineità, che lo faceva pensare a un tratto universale e non individuale. Era sicuro che, se avesse mai visitato il pianeta di Aalia, tutti gli abitanti sarebbero stati sottili e con le spalle arcuate.
«Iniziavo a pensare che avresti scritto per tutto il pomeriggio» esordì la ragazza, salutandolo con un gesto della mano a palmo aperto, a cui Zayd non seppe attribuire un significato preciso. Poi parve colpita da un pensiero che non l'aveva mai sfiorata fino a quel momento: «Senti... Ma hai deciso di partire per la frontiera perché avevi in mente di scrivere un romanzo?»
Pareva scettica, non era chiaro se all'idea che un ereditiere si mettesse in testa di fare lo scrittore o nei riguardi della sua stessa deduzione.
Zayd non indagò, si limitò a negare.
«No, no... Era una lettera per la mia ragazza, volevo dirle che...» si interruppe. Qualunque cosa volesse scrivere o no a Malika non erano affari di una sconosciuta «...Che va tutto bene» concluse debolmente.
Aalia annuì senza aggiungere altro al riguardo, con quel sorriso che le aveva già visto fare e che lo faceva sentire vulnerabile e persino un po' stupido.
«Ad ogni modo e maniera, vieni con noi. Il giro sta per iniziare.»
Il cortile era delimitato dai prefabbricati della base, e anche se era abbastanza ampio Zayd non aveva avuto difficoltà a distinguere i volti delle persone radunate. Erano stati tutti suoi compagni di viaggio, dopo lo scalo finale avevano attraversato lo Specchio assieme. A quanto sembrava, chi era stato incaricato di istruirli non si era ancora fatto vedere.
Fece appena in tempo a formulare questo pensiero che dall'edificio principale uscirono un uomo e una donna vestiti con camicie e pantaloni di lino.
Il sospiro di chiusura delle porte automatizzate si aggiunse per un attimo al brusio delle voci dei coloni, poi tutto tacque.
La donna, minuta e graziosa, dai capelli color noce e gli occhi più grandi del normale, cominciò a parlare nella lingua agile che in quelle poche ore Zayd aveva imparato ad associare ai Lasaariti.
Il mormorio dei traduttori simultanei in funzione fece vibrare l'aria e il ragazzo provò una fitta di rimpianto nel pensare al suo, abbandonato in pezzi inerti sul letto che gli avevano assegnato.
Bastarono pochi secondi perché si estraniasse da quelle parole schioccanti, fatte da più consonanti che vocali, che per lui non avevano alcun significato.
A un certo punto, prima che si accorgesse di cosa stava succedendo, ci fu un movimento nei ranghi.
La donna aveva smesso di parlare e, senza che ci fosse bisogno di dare voce a quel senso di aspettativa, tutte le persone attorno a lui ora sembravano tese verso qualunque cosa ci fosse là fuori.
Gli occhi correvano lungo la recinzione, le menti erano già nel folto della foresta, e per la prima volta da quando era arrivato Zayd sentì di appartenere in mezzo a quella gente.
Non ebbe bisogno di chiedere ad Aalia cosa fosse stato detto fino a quel momento, perché fu lei a inclinare appena la testa verso di lui e a sussurrare: «Se non fosse chiaro, ora partiamo. Hanno chiesto di rimanere compatti e non allontanarci gli uni dagli altri. D'ora in avanti usciremo dal perimetro sempre in gruppi di tre.»
Il ragazzo annuì, distratto. Non c'era altro a parte la strada che portava fuori.
N.d.A.: Sì, lo so. Non dite niente.
Scusate tutti i miei ritardi galattici, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare in tempi più decenti.
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