CAPITOLO 52

TOBIAS

EVELIN SI ASCIUGA LE LACRIME con il pollice. Siamo accanto alla finestra, le nostre spalle che si toccano, a guardare la neve che scende disegnando piccoli mulinelli. Alcuni fiocchi si posano sul davanzale esterno, ammucchiandosi negli angoli. Le mie mani hanno recuperato la sensibilità. Guardo il mondo fuori, tutto impolverato di bianco, e mi sento come se questo fosse un nuovo inizio, sento che questa volta andrà meglio.
"Credo di potermi mettere in contatto con Marcus via radio per proporgli un'accordo di pace" mormora Evelyn. "Lui ascolterà... Sarebbe stupido se non lo facesse."
"Prima che lo chiami, ho fatto una promessa che devo mantenere" la interrompo, mettendole una mano sulla spalla. Mi aspettavo di vedere il suo sorriso stendersi, ma non è così.
Mi sento in colpa. Non ero venuto qui per chiederle di cedere le armi per me, di rinunciare a tutto quello per cui si è battuta solo per riavermi indietro. Ma poi penso che ero venuto con l'intenzione di non darle alcuna possibilità. Credo che Tris avesse ragione: quando devi scegliere tra due mali, scegli quello che ti permette di salvare le persone che ami. Non avrei salvato Evelyn se le avessi dato il siero, l'avrei distrutta.
Peter è seduto in corridoio con la schiena appoggiata al muro. Alza lo sguardo, quando mi chino su di lui: ha i capelli scuri appiccicati sulla fronte dalla neve ormai sciolta.
"L'hai resettata?" mi chiede.
'No."
"Lo sapevo che non avresti avuto il coraggio."
"Non è questione di coraggio. Sai cosa? Lascia perdere."
Scuoto la testa e sollevo la fialetta con il siero. "Sei ancora deciso a farlo?"
Annuisce.
"Potresti farcela da solo, sai?Potresti imparare a fare scelte migliori, vivere una vita migliore."
"Già, potrei... Ma non lo farò. Lo sappiamo entrambi."
È vero, lo so. So che cambiare è difficile, che è un processo lento che compie infilando innumerevoli giorni uno dietro l'altro, tessendo una lunga catena finchè non si perde memoria del punto di partenza. Lui ha paura di non essere in grado di fare tutto questo lavoro, teme che quei giorni li sprecherebbe e finirebbe per trovarsi in una situazione ancora peggiore di quella in cui si trova oa. Capisco i suoi pensieri, capisco cosa vuol dire avere paura di se stessi.
Così lo faccio sedere su un divano, gli chiedo cosa vuole che gli racconti di lui, una volta che i suoi ricordi si saranno disciolti come una nuvola di fumo. Lui scuote la testa. Niente. Non vuole salvare niente.
Prende la fiala e svita il tappo. La mano gli trema a tal punto che quasi ne rovescia il contenuto. Se la avvicina al naso per sentirne l'odore. "Quanto ne devo bere?" Mi sembra di sentirgli battere i denti.
"Non credo che faccia differenza."
"Okay. Bè... È giunta l'ora." Solleva la fiala alla luce come per propormi un brindisi.
Quando se la porta alla bocca, gli dico: "Sii coraggioso".
Poi beve.
E vedo Peter scomparire.

***

L'aria fuori sa di ghiaccio.
"Hey! Peter!" grido. Il mio respiro si trasforma in vapore. Peter è accanto all'ingresso del quartier generale degli Eruditi, con un'espressione smarrita. Al suono del suo nome -che gli ho ripetuto almeno dieci volte dopo che ha ingoiato il siero- solleva le sopracciglia, puntandosi un dito al petto. Matthew ci aveva spiegato che dopo aver bevuto il siero della memoria le persone rimangono disorientate per un po' di tempo, ma fin'ora non aveva capito che "disorientate" intendeva "stupide".
Sospiro. "Sì, sei tu! Per l'undicesima volta, su, andiamo!"
Pensavo che, guardandolo dopo che aveva bevuto il siero, avrei continuato a vedere l'iniziato che ha conficcato un coltello da burro nell'occhio di Edward, il ragazzo che ha cercato di uccidere la mia ragazza, la stessa persona che ha fatto tutte le altre cose che ha fatto lui sin dall'istante in cui l'ho conosciuto. Ma è piú evidente di quel che mi aspettassi che non ha più nessuna idea di chi sia. I suoi occhi sono ancora spalancati e innocenti, ma adesso ci credo.
Io ed Evelyn camminiamo fianco a fianco, mentre Peter ci trotterella dietro. Ha smesso di nevicare ma a terra si è posata abbastanza neve da sentirla scricchiolare sotto le suole.
Arriviamo al Millenium, dove la luna si specchia nella scultura del fagiolo gigante, e scendiamo una rampa di scale. Evelyn mi mette una mano sul gomito per tenersi in equilibrio e ci scambiamo un'occhiata. Chissà se è nervosa quanto me al pensiero di ritrovarsi di niovo davanti a mio padre. Se è nervosa ogni volta che lo vede.
In fondo ai gradini c'è un padiglione delimitato da due blocchidi vetro alle estremità, ciascuno alto almeno tre volte me. Abbiamo dato appuntamento qui a Marcus e Johanna... Entrambi le parti armate, per essere realisti ma alla pari. Loto sono già arrivati. Johanna non ha in mano nessuna pistola, ma Marcus sì e prende di mira Evelyn. Io gli punto adosso quella che mi ha dato mia madre, giusto per precauzione. Osservo le ossa del suo cranio, che si intravedono sotto i capelli rasati, e la forma irregolare del naso adunco sul suo viso.
"Tobias!" esclama Johanna. Indossa un cappotto rosso, il colore dei Pacifici, imbiancato di neve. "Che cosa ci fai qui?"
"Cerco di impedire a tutti voi di uccidervi a vicenda" rispondo. "Mi sorprende che ti sia portata dietro una pistola." Indico con un cenno della testa il rigonfiamento nella tasca del suo cappotto, che ha la forma inconfondibile di un'arma.
"A volte bisogna prendere misure difficili per poter raggiungere la pace" ribatte lei. "Credo che tu sia d'accordo, in linea di principio."
"Non siamo qui per chiaccherare" la interrompe Marcus, poi guarda Evelyn. "Hai detto che volevi discutere di un accordo."
Le ultime settimane sono state faticose per lui. Lo vedo dagli angoli della bocca rivolti all'ingiù, dalla pelle arrossata sotto gli occhi. Vedo i miei stessi occhi incastonati nel suo cranio e penso al mio riflesso nello scenario della paura, a quanto ero terrorizzato mentre guardavo la sua pelle sovrapporsi alla mia come un'erruzione cutanea. Mi rende ancora nervoso il pensiero di poter diventare come lui, persino ora che mi trovo a fronteggiarlo a fianco di mia madre, come ho sempre sognato di fare sin quando ero bambino.
Ma non credo di avere ancora quella paura.
"Sì" dice Evelyn. "Ho delle condizioni da proporti. Credo che le troverai oneste. Se le accetterai, io mi ritirerò e cederò tutte le armi di cui sono in possesso, tranne quelle che servono alla mia gente per la prioria difesa personale. Lascerò la città e non tornerò più."
Marcus scoppia in una risata. Non capisco se di scherno o incredulità... Potrebbero essere entrambe le cose: è un uomo arrogante e profondamente sospettoso.
"Lascia finire" intervenne tranquilla Johanna, infilandosi le mani nelle maniche.
"In cambio" prosegue Evelyn "non attacherai, nè cercherai di prendere il controllo della città. Permetterai a chiunque voglia andarsene a cercare fortuna altrove di farlo. E chi deciderà di restare potrà eleggere nuovi rappresentanti e un nuovo sistema sociale. E, cosa più importante, tu, Marcus, non sarai eleggibile per quella carica."
È l'unica condizione puramente egoistica della proposta di pace. Evelyn mi ha detto che non sopporta il pensiero che Marcus possa ingannare altra gente e farsi votare, e io non mi sono opposto.
Johanna inarca le sopracciglia. Noto che si è tirata indietro i capelli su entrambi i lati del volto: la cicatrice è completamente esposta. Appare più bella e più forte quando non si nasconde dietro una tendina di capelli.
"Non se ne parla" risponde Marcus. "Io sono il capo di questa gente."
"Marcus" dice Johanna.
Lui la ignora."non spetta a te decidere se sarò il loro leader o meno solo perché provi del rancore verso di me, Evelyn!"
"Scusate" s'intromette Johanna ad alta voce. "Marcus, quello che ci sta proponendo è troppo bello per essere vero. Otterremo tutto quello che vogliamo senza nessuna violenza! Come puoi rifiutare?"
"Perché io sono il capo di diritto di questa gente!" esclama. "Io sono il cqpo degli Alleanti! Io..."
"No, non lo sei" lo interrompe in un tono pacato Johanna. "Sono io il capo degli Alleanti. E tu accetterai questo accordo, altrimenti dirò a tutti che hai avuto la possibilità di mettere fine al conflitto senza spargimenti di sangue, sacrificando solo il tuo orgoglio, e ti sei rifiutato." La maschera di docilità di Marcus è caduta, rivelando il volto crudele che si cela dietro. Ma neanche lui riesce a controbattere Johanna, che con la sua perfetta pacatezza e la sua minaccia altrettanto perfetta ha avuto la meglio su di lui. Marcus scuote la testa ma non discute più.
"Accetto le vostre cndizioni" dice Johanna e allunga la mano, avvicinandosi sulla neve scricchiolante sotto i suoi passi.
Evelyn si toglie il guanto un dito dopo l'altro, le va incontro e le stringe la mano.
"Domattina dovremmo radunare tutti e annunciare il nuovo piano" continua Johanna. "Puoi garantire la sicurezza dell'adunata?"
"Farò del mio meglio" promette Evelyn.
Controllo l'orologio. È passata un'ora da quando io e Peter ci siamo separati da Amar e Christina, il che significa che -ormai- Amar si sarà accorto che il virus della memoria non ha funzionato. O forse ancora no. In entrambi i casi,devo fare quello per cui sono venuto: trovare Zeke e sua madre e spiegare loro cos'è successo a Uriah.
"Devo andare" dico a Evelyn. "C'è un'altra cosa di cui mi devo occupare. Vengo a prenderti al confine della città, domani pomeriggio?"
"Mi sembra una buona idea." Mi strofina il braccio con la mano guantata, come faceva quando rientravo a casa da bambino e fuori c'era freddo.
"Deduco che non tornerai per rimanere?" mi chiede Johanna. "Ti sei costruito uma nuova vita là fuori?"
"È così. Buona fortuna qui dentro. La gente di fuori... Cercherà di smantellare la città. Siate pronti per quando arriveranno."
Mi sorride. "Sono sicura che riusciremo a raggiungere un accordo."
Mi porge la mano e io gliela stringo. Sento gli occhi di Marcus su di me come un peso opprimente che minaccia di schiacciarmi. Mi costringo a guardarlo.
"Stammi bene" gli dico, e glielo auguro di cuore.

***

Hana, la madre di Zeke, ha i piedi piccoli che non arrivano neanche al pavimento quando si siede nella poltrona del loro salotto. È in pantofole e indossa un accappatoio sbrindellato ma, con quelle mani ripiegate in grembo e quell'espressione preoccupata in volto, è così piena di dignità che mi sembra di trovarmi di fronte a un leader mondiale. Guardo velocemente Zeke, che si sta strofinando la faccia con i pugni chiusi per svegliarsi.
Li hanno trovati Amar e Christina. Non erano con gli altri ribelli vicino all"Hancock, ma nel loro appartamento di famiglia nella Guglia, sopra il quartier generale degli Intrepidi. Li ho trovati solo perchè Christina ha avuto l'idea di lasciare un biglietto per me e Peter sul furgone che abbiamo abbandonato. Peter sta apettando nel nuovo automezzo che ci ha procurato Evelyn per tornare al Dipartimento.
"Mi dispiace" borbotto. "Non so dove cominciare."
"Potresti cominciare dalla parte peggiore" risponde Hana. "Per esempio, che cos'è succeso esattamente a mio figlio."
"È rimasto gravemente ferito in un attentato. C'è stata un'esplosione e lui su trovava molto vicino."
"Oddio" mormora Zeke e comincia a dondolarsi avanto e indietro, come se il suo corpo volesse tornare piccolo, come se il movimento lo calmasse, come fa con i bambini.
Hana, invece, china solo la testa, nascondendo il viso al mio sguardo.
Il loro soggiorno odora di aglio e cipolla, forse dalla cena di ieri sera. Mi appoggio con la spalla al muro bianco vicino la porta d'ingresso. Accanto a me è appesa, leggermente storta, una fotografia di famiglia: Zeke di non più di due anni e Uriah, neonato, è in braccio a sua madre. Il loro pade ha diversi piercing in faccia -al naso, alle orecchie e al labbro- ma riconosco il sorriso aperto e luminoso e la pelle scura, perché li ha trasmessi a entrambi i figli.
"È rimasto in coma da allora" aggiungo. "E..."
"E non si sveglierà" continua Hana con voce nevosa. "È questo che sei venuto a dirci, vero?"
"Sì, sono venuto perché possiate prendere una decisione su di lui."
"Una decisione?" ripete Zeke. "Vuoi dire se staccare le macchine?"
"Zeke." Hana scuote la testa.
Lui risprofonda nel divano, i cuscini sembrano avvolgersi intorno al suo corpo.
"Non vogliamo tenerlo in vita in quel modo" mette subito in chiaro Hana. "Lui non vorrebbe essere trattenuto così. Ma vorremmo vederlo."
Annuisco. "Naturalmente. Ma c'è un'altra cosa che vi devo dire. L'attentato, è stato una specie di tentativo di rivolta organizzato da alcune persone del posto in cui stavamo. E io vi ho preso parte."
Fisso la crepa in una tavola del pavimento proprio davanti a me -si è riempita di polvere con il tempo- mentre aspetto una reazione, una qualunque reazione. Ma incontro solo silenzio. "Non ho fatto quello che mi avevi chiesto" dico a Zeke. "Non mi sono preso cura di lui come avrei dovuto. E mi dispiace."
Mi azzardo a guardarlo.È seduto immobile, gli occhi puntati sul vaso vuoto sul tavolino da caffè, che è decorato con fiori di un colore rosa pallido.
"Credo che abbiamo bisogno di un po' di tempo" sussurra infine Hana. Si schiarisce la gola, ma questo non la aiuta a rendere più ferma la voce.
"Vorrei potervelo concedere" rispondo "Ma stiamo per tornare alla residenza e dovete venire con noi."
"D'accordo" dice Hana. "Se puoi aspettare fuori, arriviamo tra cinque minuti."

***

Il viaggio di ritorno alla residenza è cupo e lento. Guardo la luna scomparire e riapparire da dietro le nuvole, mentre procediamo traballando sul terreno irregolare. Quando raggiungiamo il confine della città, ricomincia a nevicare ,con grossi fiocchi leggeri che danzano davanti ai fari. Mi domando se Tris stia guardando la neve sfiorare l'asfalto e raccogliersi in piccoli cumuli accanto agli aerei. Se stia vivendo in un mondo migliore di quello che ho lasciato, tra persone che non ricordano più che cosa significhi possedere geni puri.
Christina si porge in avanti per sussurrarmi nell'orecchio: "Quindi l'hai fatto?Ha funzionato?"
Annuisco. Nello specchietto retrovisore la vedo coprirsi la faccia con entrambi le mani e sorridere tra sè. So come si sente: salva. Siamo tutti salvi.
"Hai iniettto l'antidoto alla tua famiglia?" le domandò.
"Sì. Erano con gli Alleanti, nell'Hancock. Ma l'ora del resettaggio è passata... A quanto pare, Tris e Caleb l'hanno fermato."
Hana e Zeke mormorarono tra loro lungo la strada, pieno di meraviglia verso lo strano mondo oscuro che stiamo attraversando. Amar offre qualche spiegazione dei dettagli principali e,mentre parla, si volta verso di loro, distogliendo lo sguardo dalla strada troppo spesso per i miei gusti. Cerco di ignorare il panico che mi assale ogni volta che si trova a schivare all"ultimo secondo lampioni e guardrail, concentrandomi sulla neve.
Ho sempre odiato il senso di vuoto che l'inverno si porta dietro, i paesaggi bianchi e la netta differenza tra cielo e terra, il modo in cui gli alberi si tramutano in scheletri e la città si trasforma in una terra desolata. Forse quest'inverno potrei cambiare idea.
Oltre passiamo la recinzione e ci fermiamo davanti all'ingresso, che non è piantonato da nessuna guardia. Sciendiamo, e Zeke prende la madre per mano per aiutarla a non scivolare mentre arranca nella neve. Ci avviciniamo alla residenza e ora so per certo che Caleb c'è riuscito, perché non si vede in giro nessuno. Questo può solo sigificare che tutti sono stati resettati, che i loro ricordi sono stati cancellati per sempre.
"Dove sono tutti quanti?" chiede Amar.
Attraversiamo senza fermarsi il check-point abbandonato. Dall'altre parte vedo Cara. Ha un brutto livido sulla faccia e una benda in testa, ma non è questo che mi allarma. A preoccuparmi è la sua espressione angosciata.
"Che c'è?" le chiedo.
Lei scuote la testa.
"Dov'è Tris?" chiedo io sempre più preoccupato e angosciato.
"Mi dispiace Tobias."
"Ti dispiace di cosa?" interviene Christina in modo brusco. "Dici cos'è successo!"
"Tris è andata nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb" spiega Cara. "È riuscita a superare il siero della morte e a liberare quello della memoria... Ma qualcuno le ha sparato. I soccorsi hanno provato a portrla all'ospedale prima che fosse troppo tardi e adesso è appena uscita dalla sala operatoria... Però è entrata in un coma troppo profondo e non sanno se ce la farà. Mi dispiace tantissimo." Pronunciando queste parole gli occhi di Cara si inumidiscono e lasciano scappare qualche lacrima che le rigano il viso; lei però non le asciuga come farebbe di solito, lasciandole andare come rugiada su una foglia. Pure per lei che una volta aveva odiato Tris, perché causa della morte del fratello, non è facile pronunciare quelle parole.
No. Non può essere vero, deve essere per forza una bugia... Sono sicuro che Tris in questo momento è sveglia, nel cortile interno, con gli occhi luminosi, le guance arrossate e il suo corpo piccolo ma pieno di forza e energia che mi sta aspettando, avvolta in un raggio di luce come un angelo. Tris è sveglia, non andrebbe mai nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb.
"No..." Christina scuote la testa. "Non è possibile, non è possibile... Perfavore: DIMMI CHE NON È VERO!"
"Mi dispiace tanto," riprende Cara. "Possiamo solo sperare che si svegli dal coma."
Gli occhi di Cara si riempono di lacrime.
È allora che me ne rendo conto. Ovvio che Tris andrebbe nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb.
Ovvio che lo farebbe.
Christina grida qualcosa, ma la sua voce mi arriva smorzata, come se avessi la testa immersa nell'acqua. Anche i dettagli del viso di Cara sono difficili da distinguere, il mondo sta diventado un'ammasso di colori spenti.
Comincio a correre per cercare di raggiungere Tris nel letto d'ospedale, quando mi rendo conto di non ricordarmi più dove andare, o dove sia la sua camera.
Allora rimango fermo dove sono, perchè non riesco più ad andare avanti. Perché mi sembra che, se sto semplicente fermo, potrò fermare tutto questo e impedirgli di diventare vero. Posso far finta che vada tutto bene. Forse. Che si sveglierà. Mi giro da dove sono venuto e vedo Christina piegarsi su se stessa, incapace di sostenere il dolore. Cara la abbraccia e io rimango fermo lì, immobile dove sono. Cercando di realizzare tutto quanto senza morire dentro.

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