Capitolo 9🧡💜🚂
Eugenio frena bruscamente davanti all'ingresso del palazzo condominiale.
«Chiamo al lavoro: devo dirgli che per qualche giorno dovrò assentarmi per problemi familiari. Non riuscirei a rimanere concentrata sapendo che ho una figlia dispersa in giro per il mondo.» Eloisa apre la portiera ed esce. Sale il gradino del marciapiede. Sospira con il magone in gola. Si volta verso il marito. «Ti prego, promettimi che appena saprai qualcosa mi chiamerai?»
«Sì, certo. Cerca di restare tranquilla. Me ne occupo io.»
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Eloisa chiude la porta della macchina e si incammina verso l'entrata. Eugenio continua a fissarla con espressione triste e preoccupata. Le sta facendo pena. Non è capace nascondere la sua preoccupazione. Luana, per quanto le causi problemi, è sempre sua figlia. La sua unica figlia. E se pur non riesce a dimostrarglielo lui sa benissimo quanto le vuole bene.
Eloisa prende l'ascensore e sale all'ultimo piano.
Entra in casa, incombe un buio silenzio. Accende la luce.
Si leva dalle spalle il lungo soprabito rosso fragola e lo appende all'attaccapanni.
Va in bagno per aprire la finestra. Il cielo azzurro chiaro è velato di nuvole bianche. Il sole giallo pallido splende triste e malato. All'orizzonte, al di là della rumorosa autostrada, una fitta nebbia avvolge la pianura. È una mattina calma e malinconica.
I suoi capelli crespi e scuri vengono mossi dall'aria impregnata di umidità.
Si protrae verso il lavandino. Titubante alza lo sguardo sullo specchio. La fronte è segnata da lievi rughe e gli occhi color castagno sono gonfi e rossi. Due occhiaie pesanti e scure rendono il volto ancora più assonnato, ma soprattutto sconvolto. Non riesce a realizzare che la figlia è scappata chissà dove. L'altra sera le aveva urlato che sarebbe andata via di casa. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo per davvero. Vorrebbe poter far qualcosa, ma qualcosa di più grande la schiaccia. Per la prima volta si sente impotente. Una lacrima scende lenta dalla sua guancia destra e poi un'altra e un'altra ancora. Inizia a singhiozzare forte. Si preme la mano sul cuore rotto e si lascia andare. Cade sul tappeto e irrompe in un pianto di urla e singulti. Si accascia con la schiena appoggiata al bordo della vasca. Si stringe a sé e affonda la testa fra le braccia. Dentro di lei avverte di nuovo quel vuoto al centro del petto. Qualcosa che non esiste più, da tempo. Il filo rosso che la unisce a sua figlia si è sfilato, è volato via insieme all'amore che prova per lei. Ha perso Luana, ha perso sua figlia. Scossa da brividi di freddo è rannicchiata su sé stessa. La sua paura più grande è diventata di nuovo il suo incubo peggiore e ancora una volta non avrebbe potuto fare niente per aiutarla, ormai troppo lontana.
Si rialza e si ricompone. Apre il rubinetto e si sciacqua il viso con l'acqua fredda. Se lo asciuga con un panno in spugna.
Va ad aprire anche le altre altre finestre.
Varca la soglia della stanza da letto della figlia e si ferma. Il solito magone le serra la gola. Tenta di cacciarlo già, ma non ci riesce. Si morde il labbro, i suoi occhi diventano lucidi. D'impeto chiude la porta a chiave e va a sedersi al tavolo. Rimane lì, inerme, sulla sua solita sedia, con lo sguardo perso nel vuoto a rimuginare tra i suoi pensieri.
In sottofondo l'orologio ticchetta i secondi che volano via.
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Eugenio è ancora seduto in macchina con il motore spento. Fissa il vetro davanti a sé. Non sa che fare e che pensare. Sua figlia è sparita, non ha alcuna idea di dove potrebbe trovarsi in questo momento. Deve iniziare a cercarla, ma in cuor suo non sa dove cominciare. È molto confuso e stanco. Appoggia la fronte contro il volante. Chiude gli occhi e fa un profondo respiro. Non riesce a comprendere perché ha deciso, senza rifletterci troppo, di prendersi in carico questa grande responsabilità. Non ha scelta, non può più tirarsi indietro. D'impeto scende dall'auto e a passo veloce si incammina verso l'unico luogo dove dovrebbero essere ora: la scuola.
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Arriva davanti al grigio edificio sudaticcio e con il respiro corto.
Percorre il viale lastricato circondato da un brulicante giardino.
Sale il porticato dell'ingresso principale. Suona il campanello.
Dalla sporca vetrata riesce a scorgere un uomo che avanza zoppicando verso di lui. Schiaccia un pulsante nascosto e con uno scatto la porta si aspre.
Eugenio entra nell'atrio.
«Buongiorno.» L'uomo lo fa accomodare dentro.
«Buongiorno.» Eugenio si affaccia alla porta della segreteria.
All'interno della stanzetta c'è una donna di mezza età. Seduta su una sedia girevole, è intenta a fissare il monitor e a schiacciare il mouse compulsivamente, ignorandolo come un perfetto fantasma.
«Salve. Posso esserle d'aiuto?» Eugenio si volta colto di sorpresa. Si toglie il cappello dal capo. A pochi passi da lui c'è una inserviente bassa e mingherlina, con i capelli tagliati a caschetto tinti di biondo platino. Porta sul naso degli occhiali dalle lenti spesse che le stanno grandi e indossa un gilet morbido in lana color lavanda.
«Sono il padre di Luana, di terza B. Saprebbe dirmi se mia figlia, oggi, è venuta a scuola?»
«Vado un attimo nella sua classe a far controllare il registro dall'insegnate in presenza. Torno subito.»
Il padre irrequieto prende a gironzolare per l'atrio e a guardarsi intorno. Spera che sia qui, nella sua aula a seguire le lezioni. Spera solo che la stia ignorando perché ancora in collera per la discussione dell'altra sera. Spera sia solo un altro dei suoi inutili capricci.
La collaboratrice scolastica ricompare. «Mi è stato confermato che oggi purtroppo non si è presentata alle lezioni. Risulta perciò assente.»
Eugenio sgrana gli occhi e ha un tuffo al cuore. Non ci crede, sul serio non può essere vero. Il suo respiro diventa corto e affannoso. «Va be-ne. Gra-zie mil-le», balbetta. Tira fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto di stoffa turchese e se lo passa in fronte. Gli si offusca la vista. Geme. All'improvviso le gambe tremano e minacciano di cedere. Si aggrappa con le mani alle ginocchia. Gli sembra di avere corso una maratone, invece è lì fermo con la schiena dolente e grondante di sudore.
«È successo per caso qualcosa?» La signora nota il suo stato d'animo irrequieto. Si avvicina a lui preoccupata. Gli appoggia una mano sulla spalla. «Vuole che chiami aiuto?»
Eugenio scuote la testa. Questa storia è troppo impossibile.
«Venga, forse è meglio che si sieda.» Lo accompagna su un divanetto. Lo fa sedere con calma e premura. «È sicuro di sentirsi bene? È molto pallido. Vado a prenderle un bicchiere d'acqua.»
«Mi scusi se la disturbo ancora, ma vorrei verificare un' altra cosa. Se è possibile.»
«Ehm...sì, va bene.» È piuttosto perplessa, non riesce a capire cosa vuole il genitore.
«Sempre fra le classi terze, ci dovrebbe essere un ragazzo. Si chiama Nicholas. Non è che potrebbe verificare se è assente anche lui?» Mette via il fazzoletto. «È solo per mettermi l'anima in pace.» Si abbandona sullo schienale.
«Vado a verificare subito.» La donna si dilegua.
Eugenio non smette di tremare dall'agitazione. Il suo fiato è corto e affaticato. Sta sudando freddo, ma si sente avvampare il corpo. Mille domande gli attanagliano la mente. Non sa quale ascoltare e a quale dare una risposta. E se anche Nicholas è assente, quanto probabile è che sia insieme a Luana? E se è invece presente, sua figlia dove può essere andata? Per giunta tutta sola? E se è successo qualcosa di brutto a entrambi? O se Nicholas le ha fatto del male...
Davanti ai suoi occhi compare un bicchiere di carta. «La sua insegnate di lettere ha detto che oggi è assente. I suoi compagni non l'hanno visto entrare a scuola stamattina.»
Eugenio beve d'un sorso l'acqua offerta.
Il padre si rialza dalla sedia sospirando pesantemente. Si strofina il viso dalla frustrazione. Le porge il bicchiere vuoto. «Mi è stata di grande aiuto. Davvero.»
La signora gli sorride con sguardo tenero. Getta il bicchiere nel cestino. «Venga le apro la porta d'ingresso.»
Lo accompagna verso l'uscita. In lui intuisce un triste e amaro sconforto.
Eugenio spinge in fuori il pesante portone. «Arrivederci. Buona giornata.»
«Arrivederci e buana giornata anche a lei.» La signora dal vetro della porta lo osserva andarsene a passo lento e sconfitto.
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Eugenio esce dal viale della scuola superiore e ripercorre la strada verso casa, passeggiando con il capo chino sul il marciapiede disconnesso. È avvilito.
Ora è certo che sua figlia si trova insieme a Nicholas.
Uno strano senso di colpa nasce dentro lui. Una sensazione che non ha mai provato prima.
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