Capitolo 11 🧡💜🚂
Eugenio torna a casa, molto amareggiato. Cammina, a capo chino, fissando preoccupato l'asfalto del marciapiede, evitando gli sguardi dei passanti. L'aria gelida soffia forte, gli fa lacrimare gli occhi.
Arriva davanti al parcheggio del palazzo condominiale. Rivolge lo sguardo verso l'alto. Non vuole salire. Non ha il coraggio di dirle la verità, teme una delle sue reazioni sempre troppo esagerate. Ma soprattutto non vuole vederla stare male.
Prende in mano il cellulare dalla tasca della giacca e la chiama. Il telefono squilla.
Eloisa dell'altra parte risponde subito. «L'hai trovata?»
«No, mi dispiace. A scuola risulta assente come Nicholas. Quindi penso che la nostra ipotesi possa essere vera: sono insieme da qualche parte.»
«Cosa facciamo?» Le si incrina la voce.
«Penso di chiamare i miei colleghi. Forse insieme possiamo fare qualcosa. Forse insieme riusciremo a trovarli. Non lo so...», sbuffa «Non so da dove iniziare sinceramente. Sono passate delle ore ormai, possono essere ovunque.»
«Ci andiamo insieme.»
«No Eloisa», afferma deciso. «Tu stai a casa tranquilla, in caso tornasse.»
«Io voglio venire con te. È anche un mio problema trovare Luana», ribatte, alzando il tono della voce.
«In centrale non potresti fare nulla. Appena saprò qualcosa ti chiamerò.»
Eloisa fa un lunghissimo sospiro carico di evidente nervosismo. «E va bene, come vuoi. Ma fatti sentire presto.» Brusca, riattacca.
Eugenio digita il numero del suo collega più stretto e lo chiama. «Ciao Marcos. Sono Eugenio.»
«Buongiorno Eugenio. Come mai non non ti vedo al lavoro questa mattina?»
Il padre di Luana sospira, con un magone in gola. Si sfrega le mani sui pantaloni. «Mi devi aiutare.»
«Certo. Tutto quello che vuoi.»
Non sa come dirglielo. È a disagio e in imbarazzo. Chissà cosa può pensare il suo collega di lui. Che razza di padre è per averla fatta fuggire da casa? «Mia figlia è scomparsa.»
«Scomparsa?» Sbotta Marcos, il suo tono di voce trapela preoccupazione e incredulità.
«Ieri sera non è rientrata all'ora di cena. Non abbiamo più sue notizie da allora.»
«Vieni qui in centrale. Parliamone meglio, per favore.»
«Va bene. Salgo in macchina e arrivo subito. Grazie mille per la disponibilità.»
«Stai tranquillo. Avviso anche Samuel.»
Eugenio rinchiude il cellulare e lo rimette in tasca.
Si dirige verso l'auto. Afferra le chiavi dalla tasca dei pantaloni, apre la portiera e sale, diretto alla centrale di polizia.
Corre veloce, sorpassando molti altri veicoli, fino ad arriva a destinazione.
Parcheggia in fretta e furia.
Esce dall'auto sbattendo violentemente la portiera. Con le chiavi in mano, a passo svelto sale la scalinata d'ingresso del grigio edificio.
Apre la porta ed entra nel suo dipartimento. È un piano terra molto ampio. Cè una fila di scrivanie poste una di fianco all'altra con posizionati sopra dei computer, alcuni accesi e altri spenti. Malloppi di scartoffie bianche e scatoloni beige rendono l'ambiente disordinato. Ogni tavolo da lavoro è occupato da uomini e donne che indossano un completo formale blu scuro. Alcuni battono a computer e sorseggiano del caffè, altri al telefono intrattengono conversazioni intriganti e gesticolano con le mani. L'ambiente è illuminato dalle lampade chiare a neon appese al soffitto. Lungo il corridoi ci sono piante esotiche a foglia larga sintetiche poste in fila indiana appoggiate alle vetrate delle finestre che danno su un giardino.
Eugenio lo percorre fino in fondo verso il suo l'ufficio e quello dei colleghi.
Si ferma impacciato davanti alla porta.
Dentro c'è qualcuno che discute a bassa.
Titubante batte le nocche della mano due volte sul vetro spesso.
«Avanti.»
Marcos è seduto dietro alla scrivania che mangia una ciambella rosa glassata. Al suo fianco, in piedi, c'è Samuel intento a gustarsi un cappuccino.
Appena lo vede, molla il cibo sul tavolo e gli va incontro. «Tutto bene?»
«Non direi...»
«Mi dispiace tanto. Siediti dove vuoi. Vuoi una ciambella, un caffè?»
«No, grazie.»
Eugenio va verso il divano in pelle marrone.
Frustrato ed esausto si accomoda. Si toglie il cappello appoggiandolo sopra al tavolino di legno alla sua sinistra. Si passa una mano sulla fronte e si strofina la faccia arrossata. «Ieri sera non è tornata. Oggi a scuola non si è presentata.»
Marcos si gira dalla sua postazione, da un cassetto tira fuori un blocchetto e una matita gialla ocra. «Quali sono i luoghi che frequenta di più?»
«La scuola, il parco, non lo so...»
«Sai il perché di questo accaduto?» Chiede Samuel. Si volta per gettare il bicchiere di carta nel cestino.
Eugenio riflette un attimo. «Litighiamo spesso, ultimamente. Sta diventando sempre più difficile la situazione con lei. A scuola rischia la bocciatura. Ha la testa da un'altra parte, non pensa a farsi un futuro, vuole solo suonare la chitarra. E starsene con quel ragazzo...»
«Quale ragazzo?» Marcos si fa curioso e si protende verso il suo collega.
«È un suo compagno di scuola. Si chiama Nicholas. Credo siano insieme. Almeno è una mia ipotesi o una mia speranza.»
Marcos ha notato fin dalla sua chiamata la sua evidente angoscia.
Adesso è li seduto con le gambe tremolanti e le mani sudate.
«Quindi potrebbe essere insieme a qualcuno. Bene. È già qualcosa», scrive il nome del ragazzo sul foglio.
«Che facciamo? Che proponi di fare? La devo ritrovare. Sono sicuro che Eloisa avrà presto una crisi di nervi.»
Marcos afferra il foglietto di carta, lo ripiega e se lo mette dentro la tasca della camicia. «Forse è meglio che chiami tua moglie e anche i genitori del ragazzo. È meglio che vengano tutti qui in centrale. Dobbiamo prendere una seria decisione univoca.»
Eugenio acconsente in silenzio e prende in mano il cellulare. Squilla a vuoto per alcuni secondi.
«Ciao cara, come stai?»
«Sono angosciata, non ce la faccio più. Dimmi, hai novità?»
«Dobbiamo parlare. Puoi venire in centrale, per favore?»
«Subito.»
Eugenio cerca nella tasca il biglietto con i numeri dei genitori di Nicholas. Lo tira fuori e digita nella tastiera il primo in alto.
«Pronto? Chi parla?» Dall'altra parte risponde Liliana.
«Salve, sono Eugenio il padre di Luana, abbiamo...»
«Lo avete trovato? Sta bene? Dove si trova? Devo venirlo a prendere?»
«Signora, si calmi per favore. Vorrei che venisse insieme a suo marito in centrale di polizia.»
«Sì, certo.» Eugenio avverte un fremito nella sua voce. «Arriviamo il prima possibile.»
«D'accordo. A dopo», chiude la chiamata. Sospira e sprofonda nell'imbottitura del morbido divano.
«Come si sentono i genitori del ragazzo? Cosa pensano dell'accaduto?» Domanda Marcos.
«La madre è preoccupata, il padre l'ho trovato più tranquillo e sereno.»
💜🚂💜
Eloisa è bloccata davanti al tavolo. Ha la testa fra le mani. Perché il marito la vuole in centrale? Ha cambiato idea o dirle dirle qualcosa di grave? Il suo respiro si fa affannoso e comincia ad avere delle vampate di calore.
Si alza in fretta, prende le chiavi di casa e si precipita fuori dall'appartamento. In fretta e furia scende le scale ed esce dal palazzo. Si riversa in strada. Cammina con foga, battendo forte i tacchi delle scarpe sui marciapiedi della città.
💜🚂💜
Eloisa spalanca il portone che va a sbattere contro il muro.
Si avvicina velocemente alla prima scrivania che vede, non curandosi dell'ambiente e di nessuno.
Con il fiato corto e le guance rosse si rivolge a una impiegata in piedi davanti a una fotocopiatrice.
«Mi scusi.» Si avvicina a lei. «Mi sa dire dove si trovano gli uffici di polizia?»
La giovane donna, in tailleur nero, appoggia delle scartoffie sopra un bancone. «Deve percorrere tutto il corridoio fino in fondo e poi svoltare a destra.»
«Grazie.»
Eloisa si dirige a passo svelto lungo il corridoio. Svolta l'angolo e comincia a strillare «Eugenio! Eugenio! Dove sei?»
Il marito seduto sul divano udisce la moglie gridare il suo nome.
Si alza e si precipita fuori dalla porta.
Appena la vede avvicinarsi al suo ufficio la strattona per un braccio e la trascina dentro.
Eloisa caccia un urlo di spavento.
«Eloisa non devi gridare! La gente qui ha bisogno di silenzio per lavorare. Potevi semplicemente bussare.» Il marito richiude la porta.
«Eugenio, sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo.» Si sistema la pettinatura. «Scusami. Ma sono troppo in ansia.» Gli salta addosso e lo abbraccia per il collo.
Marcos e Samuel ridono sotto i baffi, divertiti dalla scenetta imbarazzante fra il collega e la moglie.
«Siediti qui e tranquillizzati. Sei tutta sudata e sei venuta senza giacca. Ti prenderai un raffreddore. Accidenti.»
La moglie si accomoda sul divano. Estrae un fazzoletto di cotone bianco dalla gonna e si asciuga le gocce di sudore dal viso. Davanti a lei, seduti su una sedia di plastica, ci sono Liliana e Saverio. Li guarda sconvolta.
«Signora.»
Eloisa sposta lo sguardo verso Marcos.
«Vuole una bottiglia d'acqua? Così si rinfresca un po'.»
«Oh sì, grazie mille.»
«Gliela vado a prendere subito.» Marcos esce dall'ufficio.
«Perché hai chiamato anche loro?»
Eugenio si pone vicino alla moglie. Intreccia una mano alla sua. «Dobbiamo parlare tutti insieme.»
Il poliziotto rientra. «Ecco, tenga.» Le porge la bottiglia d'acqua.
Eloisa la prende e abbassa lo sguardo.
Marcos va ad accomodarsi alla sua scrivania. «Il mio collega mi ha riferito che i vostri figli sono scomparsi. A scuola risultano assenti. Potrebbero essere insieme da qualche parte. È vero?»
I genitori di Nicholas si lanciano una breve e titubante occhiata.
«Sì, nostro figlio non è rientrato a casa.» Si fa avanti Liliana.
«Avete provato a chiamarli?» Domanda Samuel, in piedi alle spalle del collega più anziano.
«Abbiamo provato diverse volte, ma Luana non ci ha mai riposto.» Eloisa si soffia il naso.
Marcos guarda l'altra coppia. «E voi, avete provato a contattarlo?»
«Ehm..» Liliana è impacciata. Incrocia le gambe e si stringe a sé come se avesse freddo.
Saverio si stravacca sulla sedia, serra le labbra e con una mano si sorregge il capo.
«L'ho chiamato solo una volta ieri, ma non mi ha risposto e non mi ha inviato nessun messaggio.»
«Come mai, se posso chiedere? Insomma vi è scomparso il figlio, non siete preoccupati?»
Liliana ha un colpo di calore al petto e le si serra la gola. Non vuole rispondere perché sa che il figlio sta bene ed è con Luana a divertirsi da qualche parte. Sarebbero ritornati non appena avrebbero speso i soldi lasciati da parte dal marito. Questo fatto vuole tenerlo nascosto il più possibile per non creare ulteriori problemi alla famiglia di Luana e soprattutto a Nicholas. «Non mi è passato per la testa, forse per la troppa agitazione», confessa con voce spezzata e insicura.
I tre colleghi si scambiano delle occhiate fugaci. Sono increduli e incerti se credere alle sue parole.
«Sapete dove potrebbero essere?» Chiede Liliana, cercando di nascondere la sua incertezza e soggezione.
«No, non lo sappiamo per certo.» Marcos si rivolge verso Saverio che da quando è entrato nell'ufficio non ha ancora aperto bocca. Un altro comportamento che ritiene insolito e molto strano. «Sa dirmi per caso che luoghi frequente sua figlio nel tempo libero?»
Saverio si schiarisce la gola. «Qualche bar, parco, la stazione dei treni...»
«La stazione ferroviaria.» Si gratta la barba grigia. «Interessante.»
«Potrebbe essere il primo luogo da ispezionare», riflette Samuel.
Eugenio gli rivolge uno sguardo preoccupato. «Cosa mai ci potrebbe fare mia figlia in stazione?»
«Ha ragione.» Si intromette Eloisa. «È sporca, affollata, gira solo brutta gente.»
«Se non rispondono alle vostre chiamate forse non vogliono farsi trovare», ipotizza Marcos.
«Quindi dobbiamo cercarli dove nessuno di voi genitori li cercherebbe», conclude Samuel.
Eugenio si leva dal divano. «D'accordo. Prima ci muoviamo, prima li troviamo.»
Gli altri colleghi prendono le proprie giacche.
«Voi altri rimanete qui. Cercheremo di fare il più presto possibile.» Marcos va ad aprire la porta.
Samuel si fionda subito fuori.
Eloisa blocca per un braccio il marito.
Eugenio scorge nelle sue iridi la sua sofferenza. È distrutta. «Andrà tutto bene. Torno presto.»
Lo lascia andare.
Eugenio esce dall'ufficio, mentre il collega chiude la porta.
💜🚂💜
I tre poliziotti sono davanti al binario 1.
Nella stazione ci sono pochi operai e pendolari che vanno e vengono in ogni direzione.
Insieme perlustrano il posto, girandoci intorno più e più volte, ma non trovano nessuna traccia di loro.
Il padre di Luana non vuole per niente arrendersi e cerca più a fondo. Scende il sottopassaggio alla ricerca di presunti indizi.
Comincia a ispezionare ogni binario andando avanti e indietro ripetutamente con fare irrequieto, fino a che nota qualcosa sotto una panchina: una custodia nera dall'aria familiare.
Si avvicina e si acquatta per scrutarla meglio. Si inginocchia e la trascina sull'asfalto. Sgrana gli occhi, il suo cuore si ferma. Appartiene a sua figlia. Apre appena la cerniera. Dentro c'è la sua chitarra blu. Lo capisce dal suo nome dipinto sopra.
La mente di Eugenio viene invasa da un vortice impetuoso di mille dubbi e domande. Gli si spezza il fiato. Immobile, con il viso pallido, dall'espressione sconvolta, guarda ancora la custodia di fronte a sé. Non può essere vero. Perché ha lasciato la chitarra in stazione? Non lo avrebbe mai fatto, non si separava mai dal suo strumento musicale.
Sul posto arrivano correndo anche gli altri colleghi.
Eugenio richiude immediatamente la custodia, non vuole accettare questa sconvolgente verità.
«Trovato qualcosa?» Marcos gli appoggia una mano sulla spalla.
«Questa è la sua custodia, qui dentro c'è la sua chitarra. Lei è stata qui.» Si rialza, sorreggendosi la schiena dolente.
«Almeno sappiamo che nelle ultime ore è stata qui», afferma con convinzione positiva Samuel.
«Avevate ragione.» Si siede sulla panchina, china il capo verso il basso e scuote la testa. Si sfrega il viso con la mano. È stremato dalla stanchezza e dalla frustrazione. Vorrebbe tanto urlare e spaccare qualcosa. Si sbottona la giacca, nonostante faccia freddo. L'umidità gli penetra fin dentro le ossa.
Prende imbraccio la custodia e la accarezza con triste malinconia.
I suoi occhi cadono sulle rotaie e si accorge di uno schermo nero crepato, sepolto tra le pietre grigie.
Si alza di scatto e si fa più vicino all'oggetto ignoto. Prima che passasse un altro treno si getta tra le rotaie e lo va a raccogliere.
«Eugenio!» Lo chiama a gran voce il collega più giovane che si precipita tra i binari correndo verso di lui.
«Questo è il cellulare di Luana.» Lo fa vedere al collega.
«Ecco perché non rispondeva.» Gli sorride Saverio con il fiato corto. È contento di aver tra le mani un'altra prova.
«L'ha buttato via. Perché?»
«Tienilo. Ci può servire per ritrovarla.»
Eugenio se lo rigira nella mano. La chitarra, il telefono, aveva abbandonato tutto.
«Vieni, è pericoloso stare qui.» Saverio lo conduce a risalire sulla banchina.
«Cos'altro avete trovato?» Li va incontro Marcos.
Eugenio gli consegna l'oggetto. «Il telefono di Luana.»
Marcos è sorpreso. «Bene. Lo portiamo in centrale.»
«Che si fa adesso?» Chiede Samuel osservandosi attorno. «Il cellulare è rotto del tutto?»
«Credo di sì, non si accende», sbuffa Marcos.
«Me lo dai un attimo che provo a farlo funzionare?»
«Sarebbe un miracolo.» Glielo porge.
Ci maneggia un po' finché si accende. «Sì è rotto solo lo schermo, per fortuna.»
«Davvero? Dammi qua.» Eugenio glielo strappa dalle mani. Scorre dentro la rubrica.
«Che fai?» Domanda Marcos.
«Cerco il numero di Nicholas. Dovrà esserci da qualche parte.» Quando lo trova gli si illuminano gli occhi. «Eccolo.» Non ci riflette e lo chiama subito. Lo fa squillare per alcuni di minuti. «Non risponde. È spento.» Si strofina i capelli brizzolati. China il capo e inizia a camminare avanti e indietro. Ci sperava tanto. Sospira e tira su col naso. E se non riesce a rintracciarla nemmeno con il telefono di Nicholas? Si sente avvampare. Inizia a sudare, le gambe fremano d'impazienza e le mani gli tremano. E se veramente non riesce più a ritrovarla?
Marcos lo ferma per un braccio. «Calmati. Ritorniamo in centrale e riflettiamo cosa fare.»
Eugenio lo guarda imbronciato e con gli occhi velati di lacrime.
💜🚂💜
Sono tutti nell'ufficio di polizia.
Marcos e Samuel gironzolano per l'ufficio, senza darsi pace. In silenzio riflettono come procedere la ricerca.
Eugenio tiene fra le gambe la chitarra della figlia. Ha lo sguardo vuoto, perso fra i suoi pensieri.
Eloisa è seduta sul divano, intenta a massaggiarsi le tempie.
Liliana e Saverio, seduti uno accanto all'altra che si tengono per mano.
«Abbiamo solo due prove», Marcos rompe il silenzio.
«Non l'abbandonerebbe mai quella cosa che si porta sempre dietro», afferma Eloisa con voce rotta. Se Eugenio non ci aveva creduto, lei ancora meno.
«Non credo l'abbia abbandonata.» Marcos si siede al suo posto. «Lo stesso vale per il cellulare.»
Eloisa alza gli occhi verso di lui. Lo fissa con insistenza e in malo modo.
«Io credo che se ne sia sbarazzata di sua volontà», aggiunge Samuel.
«Cosa state insinuando?» Scatta Eloisa, rizzandosi in piedi.
«Credo lo abbia fatto per non farsi più trovare», tenta di spiegare Marcos con tutta calma.
«Perché?» Fa un passo in avanti. «Che sciocchezze sono queste?»
Eugenio rotea gli occhi e si leva anche lui. La cinge per la vita.
Samuel ha una fugace illuminazione. «Sono scappati insieme. Possono avere preso un treno, altrimenti non si spiega il ritrovamento di questi due oggetti qui», indica il cellulare e poi la custodia.
Nella stanza cala il silenzio.
I genitori di Nicholas si lanciano un'occhiata allarmata.
Eugenio si risiede, emette un lamento di dolore.
«Possono essere ovunque.» Eloisa si copre il viso con le mani, disperata. Si lascia cadere sul divano.
Eugenio la cinge per le spalle, confortandola un po'.
«Dobbiamo prendere un treno.» Marcos giocherella con il cellulare di Luana sopra la scrivania.
«Siete matti?» Sbotta Eloisa
«Se sono fuggiti di sicuro sono saliti su un treno.» Samuel si gratta una guancia. «È l'unica soluzione per riuscirli a trovare.»
La madre di Luana guarda il marito. «Vengo anche io con voi.»
«No, Eloisa.» Le appoggia una mano sulla gamba. «Voi rimarrete qui in centrale finché non li avremo trovati tutti e due.»
«Per favore, vi chiedo di essere il più collaborative possibili.» Marcos si rivolge a entrambe le famiglie. «Se qualcuno di voi dovesse sentire i ragazzi ce lo faccia subito presente con una chiamata al telefono.
«Qualsiasi cosa faremo adesso lo faremo solo per il bene dei nostri figli.»
«Tutto quello che desidera Eugenio.» Liliana ha deciso di assecondarli. Almeno così non avrebbero più sospettato della sua insolita tranquillità e quella di Saverio. Voleva aiutare la famiglia di Luana a riappacificarsi.
«Eloisa?»
Sbuffa. «E va bene. Ti ascolto. Ma sappi che se entro due giorni non è qui a casa, il treno lo prenderò anche io», confessa alzando la voce.
«Cara, te l'ho già ripetuto. Ti prometto che la riporterò a casa. Non ti devi preoccupare.»
«Mi preoccupo eccome, è mia figlia.» La sua voce incrinata minacciava di scoppiare a piangere.
Eugenio si alza.
«Noi ci incamminiamo verso la stazione. Se vi viene fame potete ordinare panini e pizze al bar qui dietro l'angolo. Invece qui c'è la macchinetta del caffè e un distributore di varie merendine. Il bagno è in fondo al corridoio a sinistra. Non dovrebbe mancarvi nulla.» Marcos si mette in tasca il cellulare di Luana e si dirige verso la porta. «Per qualsiasi problema ci chiamate. Avete il numero di Eugenio.»
«Sì, certamente», afferma la madre di Nicholas.
Eugenio si avvicina alla moglie, che si alza in piedi. Le prende le mani. «Vedrai, andrà tutto bene. Per una volta fidati di me.» La bacia in fronte e l'abbraccia forte.
Eloisa si fa un po' di coraggio, ma i suoi occhi presto si riempiono di lacrime. «D'accordo. Stai attento.»
Il marito le dà un ultimo fugace bacio sulla guancia, poi la lascia andare e si incammina fuori dall'ufficio.
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Samuel e Marcos sono fuori che lo aspettano. Si chiude la porta alle spalle
«Ormai è già quasi passato un giorno, da qualche parte avranno sicuramente mangiato e alloggiato,» teorizza Marcos.
«Dobbiamo solo capire in che direzioni sono andati.» Samuel si infila le mani in tasca.
Eugenio acconsente. «Non so come ringraziavi. Sono in debito con voi.» Queste sono le uniche parole che riesce a dire Eugenio.
«Questo è quello che fanno gli amici e molto altro, caro collega.» Gli sorride Marcos dandogli una pacca sulla spalla.
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