Capitolo 9

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Che ero vuoto, senza scopo.

Ho il cuore spezzato, tu hai lo stetoscopio?

Marracash, QUALCOSA IN CUI CREDERE - Lo scheletro

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Ci sono così tanti modi di amare una persona. Mia madre per esempio, ama mio padre con i suoi silenzi, col suo accettare questo suo difetto di amare qualsiasi gonna corta delle segretarie e colleghe di lavoro. Vorrei riuscire a dire tante cose e non questo fiume di pensieri che sta inondando la mia mente, vorrei dirti tante cose belle.

«Beh, se non lo sai forse non sei nel posto giusto» eccolo il veleno, e non ti chiederò mai scusa.

«Mi avevi detto di cercarti, e l'ho fatto» ti basta questo? «Ma forse non sono quello che ti aspetti, e non mi giustificherò mai per quelle voci» ero davvero il leone e vorrei sbranarti, solo io posso prendere a pugni la mia faccia da perdente.

«Non volevo offenderti» non sai cosa dire, è evidente, «Qui davanti non hai niente da offendere» questo è il mio lato di vittima. Questo continuo bipolarismo sul mio evidente bipolarismo. Quante facce ho? Cinque?

«Lì dentro ti acclamano tutti»

«E io sono qui fuori con te, pensa un poco tu» non me lo merito questo regalo, ho lasciato pezzi di cuore da tutte le parti. Dentro i cocktail, dentro la polvere bianca che vendevo e compravo a basso prezzo. Dentro la stazione di Milano e nelle lacrime di mia madre.

Dentro Ranny, accanto al suo corpo senza vita e insieme a tutti i nostri ricordi che forse non ho più. L'ultimo pezzo l'ho appena posato accanto ai tuoi occhi, Rose.

«Le ho fatte davvero quelle brutte cose, quindi perché sei qui?»

«Non lo so»

Rivedo un po' te, Ranny. Dentro queste risposte, nelle sue gambe immobili incapaci di andarsene da me. In quegli occhi che mi guardano fisso e forse dentro di me non vedono niente. L'altra notte pensavo a noi due, Rose, sulla spiaggia magari, in un pezzo di mondo qualunque e ci vedevo perfetti. O meglio, tu eri perfetta, e bilanciavi entrambi. Mi raccontavi la tua giornata, le tue amiche che a volte non sopporti, la tua voglia di girare il mondo mentre io pensavo solo a come girare attorno al tuo cuore. Cercavo di studiare i tuoi movimenti, come sfiorarti magari senza ferirti, eppure qui davanti riesco a spararti le parole peggiori, con questa voce da saputello.

Sarà l'ennesima prova che la vita posso solo immaginarla e non viverla.

«Dimmi una di quelle tante cose»

«Beh, sei bravo a fare a pugni» rido della tua ingenuità, e tu ti imbarazzi.

«Puoi avvicinarti, perché non ho mai fatto a pugni con una donna" ironizzo, rompo questa distanza tra noi due, vorrei tranquillizzarla e dirle che questo demone con lei diventa un cagnolino mansueto, che non le torcerei un capello.

«Mi hanno anche detto che hai sofferto tanto» non ho mai perso nella vita, non sarò la vittima di questo discorso «Sei qui perché ti faccio pena?» il veleno inonda la strada come lava incandescente «No» e non stai mentendo questa volta.

«E perché avrei sofferto tanto?»

«Per tuo cugino" e tu chi sei realmente? Questa lama nel petto? Sai scavare bene e il dolore mi sta inondando, «Dovresti tornare alla festa».

La guardo e affondo i miei ultimi artigli nei suoi occhi, vedo la vergogna riflessa, paura forse, di aver sbagliato nei confronti di uno sconosciuto. Vorrei abbracciarti adesso.

Lei farfuglia qualcosa ma non riesco più a sentirla, distruzione è il mio secondo nome evidentemente.

Si volta, e scompare nel buio della strada.

Decido di tornare a casa, con l'amara sconfitta seduta sul sedile posteriore della mia auto.


Ecco l'eterna lotta: sono questo, o fingo di essere questo? Cosa voglio davvero? E se il mio analista avesse ragione?

Forse niente mi salverà da questa vita, ho il cappio al collo che aspetta solo di essere appeso.


Eccomi di nuovo qui, pronto a diventare un burattino su questo lettino. Stamattina sento di avere la luna storta, non che gli altri giorni la mia testa sia un Carnevale a Rio, ma di certo vorrei immaginare meno gente morta in questo momento.

«Raccontami della settimana» apre la sua penna, il suo taccuino e accavalla le gambe. Ha il pantalone stirato alla perfezione, le scarpe lucide. Sarà sposato, o magari vive ancora con la mamma e non sa prepararsi neanche il caffè la mattina.

«Quale settimana?»

«La vostra settimana»

Questo forse vuole fare un libro su di me: il caso irrisolto del bambino viziato che non vuole stare al mondo. Oppure le frasi smorte e senza senso di un egoista.

Che labirinto strano la mia testa, eppure se quest'essere potesse girarci davvero dentro forse si divertirebbe un mondo. Un sorriso compare sul mio volto, mi sento parecchio sadico «Perché ridete?" qualcuno mi spiega perché regalo 50 euro a quest'uomo?

«La mia testa, è tutta colpa della mia testa».

Forse mi fa coricare su questo lettino perché sa che la notte non dormo, forse questo scemo mi vuole ipnotizzare e uccidere. Sarebbe una bella storia in effetti, Freud sarebbe fiero. L'analista che non riesce a sopportare il paziente burbero e lo uccide. Sarebbe una notizia da prima pagina.

Perché questa testa non si spegne?

«L'avete vista questa settimana?» chissà cosa sta scrivendo su quella pagina, forse disegna il mio naso storto o la mia faccia, colora le mie occhiaie che oramai sono la cosa più cara che ho.

«No»

Mento, lo faccio anche questa volta. Quindi mi chiedo cosa ci vengo a fare qui? Pago per dire bugie? Tutto pur di spillare qualcosa in più a mio padre. Potevo pagarci una prostituta, almeno quella non parla.

«Vi ha detto qualcosa che non vi è piaciuta?» – forse è bravo davvero.

«Difficile che mi vada bene qualcosa» sbuffo, «Forse mi sono già stufata di lei». Eccola l'altra bugia piantata su questo pavimento. Non mi sono stufato di lei, sono arrabbiato con me stesso. Per come l'ho trattata, per le cose che non le ho detto, per i suoi occhi lucidi a fine serata che non mi abbandonano i sogni.

«Abita la vostra testa da tanto tempo per traslocare così in fretta».

Ricordo la prima volta che l'ho vista, ad oggi non saprei dare una data precisa, né un luogo preciso, forse è quello che la gente normale chiama colpo di fulmine. Una persona che vedi, che ti colpisce, che fa scomparire il mondo intorno. Io invece non ho definizione per queste cose.

Ti ho vista camminare, chissà che imbarazzo volevi nascondere quel giorno. Ho immaginato la tua risata in mezzo al disagio che ti pervade, non sei mai a tuo agio fuori, quando esci con le tue amiche, Rose.

Ti sei fermata, l'hai fatto spesso, hai guardato a terra senza mai alzare gli occhi e hai contemplato quel ruvido asfalto come se potesse darti una vittoria. Eppure quella timidezza non l'hai mai vinta. 

Qualche tempo fa ho abbandonato la presa e ti ho lasciata andare. Come una marionetta spenta, ho tagliato i fili e ti sei riparata nell'angolo della mia testa. Ho pensato l'altro giorno a come poteva andare. Tu hai continuato a guardare l'asfalto e sei andata avanti, hai schivato i miei colpi e le mie urla come pietruzze.

Quando sono stanco, e solo, agitato immagino la tua risata, vicino alla mia spalla. Sento un brivido e cerco di immaginare una mano sulla spalla e una stretta al cuore mi manda avanti. Avrei voluto dirti tante cose ieri sera che ora risultano così insulse ed inutili. Ti ripesco quando sono triste e poi, amore, non sto alzando un dito per noi. Non l'hai mai preso quel treno, e questa stazione sa solo di muffa. E io aspetto, mi sono seduto. Sento il ticchettio dell'orologio. Vedo gente scendere ed andare incontro a qualcuno. E tu non ci sei, non scendi.

L'altro giorno ho visto una ragazza. Era di spalle vestita di azzurro, e non aveva nemmeno i tuoi occhi, Rose. Eppure quella ragazza non l'ho messa a fuoco, e il tuo nome ha incendiato la mia testa. Mi hai sfiorato con la tua vita e io ti ho fatta entrare.

Oggi ti faccio entrare ed uscire come più mi pare, come uno spettacolo in seconda serata. Forse nemmeno siamo destinati, e io sto qui a raccontare alla mia testa un film senza volume.

«Qual è il problema?» fa su e giù con la penna, la muove in modo così fastidioso che penso solo in quanti modi possibili io possa utilizzarla per ferirlo.

«L'ho trattata un po' male» lo ammetto, e lo ammetto anche a me stesso.

«Perché?»

Perché mi stava affondando, aveva trovato il mio tallone di Achille e non poteva essere lei la persona forte di questa storia. Perché vorrei essere meno fragile nella sua vita.

«Perché mi ha risposto male» continuo a mentire al mio psicanalista, come se questo può aiutarmi a costruire una realtà migliore di quella che in verità scrivo.

Anche oggi lascio la mancia sul tavolo per delle bugie e scappo via.

 ***

Qui finisce un po' la parte vecchia della storia. Questi capitoli li ho scritti anni fa e mai mi sarei aspettata di pubblicarli da qualche parte.

Seguiranno nuovi capitoli da qui che saranno nuovi anche per me.

Cosa vi aspettate da questa storia?  Io ho già in mente un finale rispettabile, però chissà, tutto può cambiare.

Intanto continuo a ringraziarvi, e vorrei tanto sapere i vostri pareri. So che non è una storia semplice da leggere, e vi assicuro nemmeno da scrivere. Il personaggio è davvero complesso, e molte volte la confusione dei capitoli è frutto proprio della sua testa confusa. 

A volte è molto ripetitiva, ma sta per cominciare la svolta. 



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