Capitolo 5
***
Parli
di cose che non sanno confortarmi
mi sento fuori luogo ancora
e tu invece sembri sereno e mi chiedo
cosa c'è che non va in me, in me.
— Ernia, Fuoriluogo
***
La sento la tua mano, amore, mentre mi accarezzi piano. La passi tra i miei capelli dolcemente. Sento il tuo cuore battere accanto al mio. Amore, le sento le tue lacrime e vorrei alzarmi per ricucire il tuo cuore in frantumi. Ti sei portata una mano alla bocca e hai cominciato a singhiozzare. Esci dalla stanza, è la tua possibilità per continuare a vivere. Lasciami qui, io starò bene. Ho visto i tuoi occhi prima di chiuderli, e te lo giuro, non avrei potuto trovare approdo migliore. Fammi un sorriso, alzati, aggiusta la sciarpa e copriti la testa, fa freddo. Esci, amore, torna a vivere, torna a riscaldare quel cuore. Amore, vorrei stringerti la mano, rispondere alle tue chiamate. Ti amo, adesso lo so. Col tempo, ho capito che la mia unica spiaggia sei sempre stata tu.
Eri tu, sei sempre stata tu, la mia lama nel petto.
Eri tu il dolore.
Eri tu quelle lacrime che non sapevo asciugare.
Eri tu.
Sparisco per qualche giorno, mi riparo dalla tempesta, aspetto che le acque si calmino per uscire allo scoperto, per gettare la maschera in pasto ai cani. Dopo qualche giorno ritorno a ripercorrere il vialetto della casa di Danny, erano le 16:03 una sola persona avrebbe potuto aprire quella porta.
Sussurra il mio nome, non mi aspettava, né oggi né mai. «Non mi sarei mai aspettato di vederti arrivare fin qui» è sincero, ha ragione. Non sarei mai venuto, Alex non avrebbe mosso un dito per nessuno. «Ho bisogno di parlarti, e adesso lo farò. Lo so che mi odi, però lasciami entrare, poi andrò via» e lo farò davvero, Danny, attraverserò quel vialetto e sarà come se non fossi mai esistito.
Sposta il suo corpo e mi fa segno di entrare. È la vittima qui dentro, ucciderò anche lui piano piano. Prenderò ciò che mi spetta e finirà anche lui sul cumulo dei cadaveri: sono destinato a marcire nel mio stesso sangue.
«Da lei non mi sarei aspettato quel gesto» ha cambiato cravatta, abbozza un sorriso, i suoi occhi brillano. Sembra che ha messo sul piedistallo il suo vincitore.
«Neanche io» gliela regalo questa verità. Immagino che su quel foglio lui continui a disegnare la mia fine, pezzo dopo pezzo. Segna i miei gesti, li colora e il giorno dopo sa perfettamente i miei passi. È un mostro, un mostro che sto addestrando a conoscermi. Un mostro che un giorno mi sputerà in faccia i miei stessi sbagli.
«Farò un nuovo tatuaggio – tossisco, mi schiarisco la voce – così mio padre urlerà di nuovo»
«Non lo farà, non ha più la voglia di provocarlo. Ha perso la voglia mesi fa» posso rimettere la maschera ora, la estraggo dal mio armadio e l'appoggio delicatamente sulla mia carne. «Che fine vuole vedermi fare?» scambio i ruoli, io non gli do risposte fino a quando non le avrò. E lui fa allo stesso modo, piomba il silenzio nella stanza e per pochi secondi ho contato i respiri di quell'uomo come se volessi soffocarli.
«La fine che farà» mi ha ferito, non lo so che fine farò. Mi ha spezzato le ossa, oggi pomeriggio. Mi ha scaraventato a terra e mi ha lasciato inermi. Ha ragione, neanche io so che fine voglio fare. Non ho il coraggio, sono un peccatore, e ho paura.
Non sono Ranny, non ho il sangue freddo, non ho il coraggio di farmi saltare in aria come un fuoco d'artificio.
Mi siedo sul divano, sto scomodo, non sembra il mio posto.
Tossisco, le mie mani sudano, sono agitato e lui lo percepisce. Si siede difronte a me e fissa i miei occhi, abbasso lo sguardo, mi lascio sconfiggere. Le lacrime lavano i miei peccati prima che io possa aprire bocca. Danny sei il mio migliore amico, e non mi tradirai mai. Sei la persona più fedele che porto dentro. Contempla il mio dolore, asciuga una lacrima dal mio viso.
Respiro profondamente, «Adesso dovrei regalarti la solita frase di film: mi sono preparato il discorso, l'ho ripetuto mille volte e suonava bene, ma adesso non ricordo nulla. E invece no, perché sai benissimo che non programmo nemmeno la sveglia sul cellulare, figuriamoci un discorso. Danny, non so da dove cominciare e non voglio cominciare con un mi dispiace, perché non meriti questo. Io lo dico sempre che le scuse non servono a nulla, che incollare i pezzi del vaso rotto rende la questione più fragile, che socchiudere le porte e non sbatterle in faccia è una sconfitta. Ho perso, Danny. Adesso me ne rendo conto. L'ho capito quando cercavo di riassemblare quei pezzi di me che hai sempre raccolto tu, quando ho provato ad entrare di nuovo in quel bar per vederla, ma non ce l'ho fatta. Perché non avevo nessuno pacca sulla spalla, né qualcuno che mi spianasse la strada o che mi dicesse che potevo farcela. La verità è che sono io il debole. Lo sono tra te e me, lo ero tra me e Ranny. Io ti voglio bene, ma non ti voglio abbastanza bene da lasciarti vivere senza di me. Io ti voglio bene come un fratello, ma voglio molto più bene al mio ego. Tu lo sai che sono qui solo per il mio ego, eppure non mi stai prendendo a schiaffi. Dovresti darmi una sberla, e non lo fai. Perché? »
Stringe i pugni, poi si rilassa, non avrebbe mai lanciato quel sasso, avrebbe sanguinato assieme a me alla fine.
La vuoi sapere la morale della favola? Non c'è, questo è il bello. E tu continui a leggere proprio perché vorresti vedere la tua carne contorcersi nella stesso modo, vorresti urlare allo stesso modo, e piangere allo stesso modo. Tu sei qua perché il tuo ego ha sete di dolore, perché hai bisogno di sentirti un pezzo di carne tumefatto davanti la vita, altrimenti dove compriamo la gloria? Tu sei esattamente come me, ma andiamo avanti fino a quando non muoio.
Danny si alza, è il momento di lasciare l'ancora e di partire. «Sei un folle, un burattino, un giocoliere. Vuoi sapere perché non ti mando a quel paese? Perché io ti voglio bene e al contrario tuo non voglio la tua gloria del cazzo. Tu mi odi, Alex, e sai perché? Perché io sono esattamente come lui. Io ti rimbocco le coperte, io ti porto il cornetto quando non hai voglia di mangiare, io lascio la banconota di 10€ sul tavolo del bar quando tu lo dimentichi. Io sono esattamente come lui, e tu non riesci a capacitarti. Tu non accetti il fatto che Ranny sia morto, perché ha avuto il coraggio che tu non avrei mai e ti ancori alla sua morte perché altrimenti le tue lamentele del cazzo non avrebbero un dannato senso. Sai perché sei tornato indietro? Perché sono l'unico che ascolta i tuoi monologhi sulla vita che fa schifo, sulla morte che non arriva mai, sui tuoi genitori che non ti rivolgono la parola. Parlare con te stesso ti porterebbe al suicidio e Alex è troppo orgoglioso per uccidere se stesso. Vai dal tuo analista solo perché speri di fargli pietà, e vuoi che lui ti dica che la vita non fa per te così da dover dare la colpa a qualcuno, così da poter avere una giustificazione per la tua solita frase del cazzo: la vita non fa per me. Bene, Alex, la vita non fa per nessuno se lo vuoi sapere. La tua mente è gelida, fredda, atrofizzata. Ma non sei l'unico che soffre su questa terra, né in questa stanza.»
La felicità puoi spegnerla in due secondi, il dolore invece no, rimane lì dentro di te, continua a girare come un giradischi rotto. La debolezza ti fa sentire vivo, scoppietta dentro di te durante la notte, crea bagliore e ti lasci comodamente coccolare dall'unica speranza che ti rimane: la sconfitta.
L'altro giorno, alla fermata dell'autobus, un uomo anziano si è seduto accanto ai miei occhi e io contavo il rintocco del tempo assieme alle sue rughe. Quante lacrime avranno accarezzato quelle guance, quante gocce di sudore avranno graffiato quel volto, quanta stanchezza avrà contemplato quel viso. E le sue mani, avranno scavano dentro di lui al calar della notte, accanto ad una persona che amerebbe più se stessa che l'amore della sua vita.
Quel viso era il volto di mia madre. Quel giorno mia madre mi parlava attraverso uno sconosciuto.
Ho sempre odiato il mondo, non ho mai desiderato la gente, stare in mezzo agli sconosciuti. La verità è che non ho il coraggio di guardare dentro i miei occhi, figuriamoci dentro quelli degli altri.
Non ho mai amato la vita, ho sempre amato troppo me stesso e purtroppo la vita non mi ha mai regalato niente di buono.
Chi ama il male? Eppure sono masochista.
Lo sono quando mi alzo la notte per fumare, a volte piango, stringo il mio petto, le pieghe del mio cuscino diventano comodi letti per i fiumi delle mie lacrime. Poi mi alzo, descrivo cerchi per la stanza, il freddo del pavimento mi fa gelare e non mi fermo. Vado verso il balcone, apro, contemplo la natura difronte a me e penso a quanto mi sento sbagliato.
Io nel mondo non ci so stare.
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