Capitolo 4

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Ma la gente come noi
è destinata a restare sempre da sola.

Guè Pequeno, Vodoo

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«Quando ha provato la prima sigaretta?» la penna che puntualmente interroga il mio passato, Zeno Cosini in confronto è il pupazzo che tengo sopra il comodino.

«Quattordici anni credo, non ricordo» sono scettico, vago con lo sguardo. A 14 anni mia madre mi ha beccato fumare, non ha detto niente, non ha urlato. Forse, aveva già capito che il mio unico sogno era quello di rovinarmi la vita.

«E la prima canna?»

«È un medico? Un centro riabilitativo? O uno psicanalista? Non so, magari ho sbagliato reparto oggi» - burattino venduto.

«Cosa vuole raccontarmi allora?» mantiene la calma con eleganza, vorrei sputargli addosso. Le classiche sagome ben vestite che nella vita hanno avuto tutto.

«Dovrebbero legalizzare la marijuana, che male c'è? Tanto l'uomo trova altri modi per uccidersi. Insomma, perché non legalizzarla»

«Perché uccidersi?»

Metto un piede  fuori dal lettino, poi ci ripenso. Torno sui miei passi, incrocio le gambe e sospiro. Non ho ancora scoperto il colore degli occhi di quest'uomo, non ho il coraggio di guardare in faccia l'uomo che beve questo dolore fino all'ultima goccia. Ha un coraggio, il coraggio che io non ho mai avuto. Il coraggio dei furbi, coloro che squadrano questa vita e succhiano ogni risorsa, vendendosi l'anima per una giusta causa.

«Ho chiuso gli occhi l'altra notte, volevo provare la morte. Poi ho capito che infondo, io mi sento solo. Ho capito che il buio non può fare paura quando è incarnato dentro di me. Ho perso, dottore, ho perso contro la vita. Lei ha delle buone ragioni da darmi? Mi guardi. Sono un'anima in pena, cerco conforto dentro gli occhi scoloriti di uno sconosciuto perché i miei familiari mi odiano, perché la persona che più amavo al mondo è morta. Quella morte mi ha liberato, sapete? Mi ha solo fatto capire la futilità di questo dolore, della morte. Quella morte mi ha dato solo la giustificazione per questo dolore che non riesce più a vestirmi. Che vita regalo a me stesso? Che futuro voglio darmi? Non lo so, l'unica cosa di cui sono davvero consapevole è che i pezzi rotti del vaso non posso più attaccarli, che devo convivere con questo marciume, devo farmene una ragione. Insomma, lei pensa che io possa vivere a lungo? Ho vent'anni ma non ho assaporato niente, solo l'invidia e l'ateismo verso questa falsa speranza»

Si insinua piano nella mia vita. Quasi di nascosto, quasi senza farsi vedere. Come se avesse paura di toccare me, la mia vita, di entrare nelle mie abitudini. Paura di vivere delle mie routine, dei miei messaggi notturni e delle mie chiamate. Paura di ferire qualcuno, di deludere se stessa. Orgogliosa.

A volte è distante, scappa. Poi ritorna, si ricorda.

Poi vive la sua vita in una bolla. Si allontana, ferisce, poi mi guarda. Distoglie lo sguardo e gioca col suo sorriso, col suo imbarazzo.

Si muove lentamente tra i miei resti come a voler scappare da un vulcano in eruzione. Come se si stesse salvando da una vita più pesante, più infelice. Mi allontana, poi mi riprende. Lo fa così, senza tregua, strappa il mio cuore dal petto, lo fa a brandelli, poi lo ricompone come un vaso rotto. Raccoglie lentamente quei pezzetti di carne a terra e cerca di trovare ogni pezzo giusto, come un puzzle. Ricompone il mio cuore e lo guarda, è lì, quasi imperfetto. Sempre più rovinato e pieno di cuciture. Ma continua a palpitare, batte forte ad ogni suo respiro, come a voler dire "io sono qui, resisto. Continuo a pompare sangue".

Io esisto.

«Questo locale mi ha stufato» butta giù l'ultimo sorso del bicchiere e si alza, ripete quella frase ogni sera e puntualmente ogni sera mi spiana la strada.

Adesso si risiede, come fa sempre, «Dovresti smetterla di fare il coglione e alzarti» potrei mimare la sua voce o per lo meno dirlo all'unisono. «Magari non c'è» giustifica sempre così, «È malata, o tipo le sue amiche non ci sono», «O un pazzo l'ha stuprata, fatta a pezzi e buttata a mare. O magari non vuole vedermi, o magari si è rotta una gamba.. e possiamo continuare fino a stanotte» lo interrompo.

«Vedi sempre solo il lato negativo delle cose» risponde,

bevo completamente l'alcool dentro il bicchiere e poggio la sconfitta di questa sera, «E tu solo quello positivo» mi alzo, metto la giacca ed usciamo. Stasera finisce così, senza ore piccole, né mie né di mia madre. Stasera torno a casa senza pretesti contro questa vita.

«Devi cercarla, tu non ti arrendi alla prima difficoltà» abbassa il volume della radio, mi ordina di fermare la macchina.

«Ma quale difficoltà, è una stupida ragazzina» devio il discorso, cerco una scappatoia. Mi rimetto la maschera del vincitore, di una persona che vuole mangiarsi il mondo.

«Allora perché sei incazzato? Sono mesi che non ci provi con una tipa. Sono mesi che non guardi nessun'altra. Che cazzo hai, Alex? – freno bruscamente, adesso giuro che gli tiro un pugno in faccia. Adesso vorrei vedere la sua faccia sanguinare come il mio corpo in fiamme. –  Sono mesi che prendi lo stesso drink, che rimani sobrio. Mesi che non litighi con i tuoi, e che vai a letto presto. Non che questa persona non mi piaccia, ma questi silenzi non li reggo più. Non posso darti un consiglio, perché mi rispondi male. Perché solo tu sai cosa sei. E io? Io ti voglio bene, Alex. Io sono qui, sempre. Sono quello che ti ricorda di mettere la sveglia la mattina, che lascia la banconota sul bancone del bar quando tu lo dimentichi. Sono quello che verrebbe a casa tua alle 3 di notte anche a piedi. Sono quello che esce sempre negli stessi luoghi perché sono i luoghi che piacciono solo a te. Vorrei che tu stessi bene, ma mi fai sentire inutile. Tu e i tuoi occhi da codardo.» prende fiato,

Mi lascia il suo cuore su un piatto d'argento, mi invita a confessare ciò che provo. Dillo, Alex. Diglielo che sei innamorato, che non sai che fare. Digli che non sai nemmeno che Alex sei più.

«Tu non sei Ranny» e invece no, afferro lo scudo e vomito veleno. Vedo il suo cuore frantumarsi in tanti piccoli pezzi all'interno dei suoi occhi color cielo, che si inondano di lacrime.

Apre la portiera della macchina,  «Buonanotte Alex, stammi bene» mi guarda negli occhi, scende e chiude la portiera. Si stringe all'interno della sua felpa e lo vedo proseguire nel buio.

Avevo perso, Rose. Avevo perso la persona più cara che avevo. Avevo perso l'unica spiaggia che la vita mi aveva regalato. Non esco dalla macchina, ho le gambe paralizzate. Non riesco a muovermi, vorrei corrergli incontro, dirgli che ha ragione. Devo dirgli che sono un codardo di merda.

Ma non riesco a muovermi, la vita mi ha tranciato le gambe. Ti prego, Alex, alzati. Vattelo a riprendere.

Daniel torna indietro, torna da me. Devi darmi un pugno in faccia, devi farmi capire che sono un figlio di puttana. Devi farmela pagare per averti spezzato il cuore.

Danny, torna indietro. Aiutami a muovere, non riesco più a camminare senza di te.


Dopo due giorni lo rivedo nello stesso bar. Lo riconosco dalla postura, dalle sue scarpe lucide. Mi siedo accanto a lui, sente la mia presenza. Lo sento tremare come una foglia, potrei sentire il suo cuore anche a distanza di chilometri. Apre il portafogli e lascia 10 € sul bancone, e si alza.

«Ti ho chiamato più volte» è l'unico suono che mi esce.

«Probabilmente hai chiamato la persona sbagliata» la lama nel petto scava e crea spasmi di dolore che salgono lungo la mia gola. Vorrei vomitare l'anima. I suoi occhi gelidi mi trafiggono l'anima, mi sento un Cristo messo in croce. Linciatemi, lasciatemi sanguinare sopra questo pavimento opaco. Si volta e lo fermo dal braccio, digrigna i denti, sospira. «Toglimi le mani di dosso» sussurra, «Non voglio più vederti, Alex. Non voglio più fare niente per te, neanche respirare accanto a te. Mi hai usato e sputato in faccia quando più ti faceva comodo. Adesso scusami, ma ho di meglio da fare piuttosto che stare dietro una persona che non si degna neanche di chiedermi come sto. Ah, scusami, io non sono Ranny. Io posso anche crepare sul ciglio della strada senza essere compianto o raccolto da qualcuno. Sei un egoista di merda.» ti ho insegnato io quelle parole, quello sguardo. Sei un mio allievo, e adesso mi stai togliendo la voglia di vivere, Danny. Mi stai spezzando il cuore.

«Io verrei da te – singhiozzo, mi sento una diga che straripa – Io ti raccogliere da terra, raccoglierei il tuo sangue. Io raccoglierei il dolore, Danny. Io voglio vederti vivere

«Io no. Non mi interessa più niente: se vivi o muori sono tue scelte. Non voglio più far parte di niente, Alex. Mi tiro fuori, anzi, non sono mai stato fin troppo dentro»

Mi lascia solo, le persone attorno a me si muovono a ritmo del mio cuore in frantumi. I pezzetti cadono uno dopo l'altro creando rintocchi dentro la mia testa. Sento i suoi passi accompagnare questa orchestra e allontanarsi, diventare sempre più bassi. Ha spezzato il filo, Rose. Ha strappato con rabbia il cordone ombelicale che ci legava. Mi ha spodestato nel suo cuore, ha scelto lui.

Ho capito una cosa quella sera, ho capito una cosa poi col tempo: le persone sono andate vie perché io gliel'ho permesso. Ero io il loro tormento.

Ranny è andato via per lasciarmi vivere.

Danny è andato via per lasciarsi vivere.

Una frase mi ha cambiato la vita. Me l'ha stravolta come un tornado. Mi ha distrutto lentamente e ho dovuto ricostruire la mia anima pezzo per pezzo.

Mi sento debole ora. E lo sono, Rose. Lo sono sempre stato: quando prendevo a pugni il muro, quando mordevo il cuscino, quando strappavo le vecchie foto per poi stamparne di nuove il giorno dopo, quando urlavo contro mia madre, quando piangevo solo di nascosto, quando mi bucavo, ero un debole di merda. E sono un egoista, ho lasciato che tu ti prendessi cura delle mie debolezze, ho risucchiato tutte le tue risorse e non ti ho lasciato niente. Sono un figlio di puttana e adesso posso contemplarlo questo dolore, adesso posso incassarlo. Adesso, Rose, so cosa mi ucciderà col tempo. Saranno quegli occhi lontani da me, saranno gli incubi, amore.

Tu mi avresti salvato, ma io non avrei mai potuto salvare te.

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