Capitolo 18
Lei apre i rubinetti
borse sotto gli occhi oasi
vorrei bere dal suo pianto noisy.
Carl Brave, Pianto Noisy
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Rimango nel mio buco per un po', utilizzo qualche giorno per riflettere, per buttare giù qualche muro della mia vita e racimolare qualche pezzo. Li studio a fondo, e mentre trovo la ragione che possa farli combaciare, mentre cerco di ricompormi, i messaggi di Rose mi tengono incollato a terra.
Nel mezzo di un disordine che non so più etichettare, metto la mia vita in saldo in mano ad una ragazzina che di me conosce quattro buchi che mi hanno messo in croce. Rimango poco attaccato al telefono, ad ore alterne. A volte nel mezzo di momenti improponibili, prima di addormentarmi, in mezzo al pranzo di famiglia e alle uscite che oramai declino. A volte, l'unica scusa che trovo è che la penso, e questo schermo mi tiene incollato ad una speranza.
Qualche settimana dopo, busso alla sua porta di casa. Ad aprirmi è una figura un po' più esile, con qualche centimetro di nero in più sotto gli occhi e un po' di tristezza attorno. Un lungo maglione, gambe nude e due piedi freddi e scalzi. È felice di vedermi, cambia espressione difronte la mia sagoma e si lascia andare ad una ventata di aria nuova. Io nascondo in fretta la mia preoccupazione negli occhi, e mi colpevolizzo se per un solo nano secondo ho provato a giudicarla ed entro dentro. Dentro casa, nel mezzo di una settimana normale, ancora un grande silenzio.
«Hai fatto fuori le tue coinquiline?»
«E tu sarai il prossimo» riesce a reggermi la palla in modo elegante, ma non sa che di questa storia io sarò l'unico vero carnefice. Nel mezzo della stanza il tavolo esposto alla luce pieno di libri, un po' come i pezzi di me che tengo in camera: sparsi e senza un capo. Lei ne chiude qualcuno, ammucchia tutto in un angolo. Nel mentre comincia col suo solito flusso di vita, le sue coinquiline stanche della vita universitaria avevano trovato riparo a casa, e lei era sola da tre giorni oramai.
«Raccontami di te» lei si sente sotto esame, nel mezzo dell'appello che tanto teme. Ha paura di essere bocciata.
«Non c'è molto da dire» abbassa lo sguardo, prega dentro di sé che io cambi discorso, che mi inventi un'altra battuta sul tempo per ritornare a ridere del niente.
«Chi non ha niente da dire non lo sa però»
Chissà qual è la prima cosa che le è venuta in mente. Magari vuole raccontarmi di sua sorella, del suo essere troppo materna che la soffoca a volte. O vuole farmi presente quanti amici ha perso per sua scelta, o di quante persone la rendono felice. Magari vorrebbe dirmi che nella vita si è innamorata poche volte, e tutte quelle volte era uno stronzo e adesso difronte a me ho solo la vittima di tanti ladri di certezze. La certezza di essere amata e poi l'amara delusione il giorno dopo. E quel piatto di pasta che comincia a non voler scendere e a gridare pietà. In mezzo le dita degli altri, sempre puntate contro, e poi lei stessa: leader di un continuo prendersi in giro e mai volersi bene.
«L'altro giorno durante una passeggiata ho visto un locale piccolo, in mezzo ad un vicolo. Ho memorizzato la strada, ci sono passata davanti più volte. È bello, pieno di lucine e tavolini di legno e rotondi» la sua voce è calda, le paure non ci sono più, e poi l'effetto sorpresa «Potremmo andarci un giorno» e come ogni volta, mi lascia inerme, senza parole. Non riesco mai a decifrare i suoi occhi, mi batte sul tempo prima del previsto, «Sì, potremmo andarci».
Il tavolo cosparso crea un muro in mezzo a noi, quando provo a pregare contatto fisico cercando le sue mani lei si alza di scatto, comincia a farfugliare che in casa ha poco da offrire, i biscotti che mette nel latte comprati al negozietto dietro l'angolo, li prende e posa il pacco davanti ai miei occhi. Poi saltella titubante e decide di sedersi sul tavolo accanto a me.
È vittima della sua stessa incoerenza e ingenuità. Potrei sedurla, afferrarle le gambe e consumare ogni cosa di noi sopra questo tavolo pieno di scartoffie. Sazierei i miei istinti, metterei a tacere i miei desideri e stanotte potrei dormire appagato.
Afferro il pacchetto di biscotti, marca discutibile e le mie papille gustative non si lasciano ingannare. Faccio fatica a mandarlo giù, il sapore di cioccolata è davvero lontano, lei ride «Pensavo mi offrissi qualcosa di più commestibile» lascio la metà del mio biscotto accanto al pacco, lei l'afferra e finisce per me
«È biologico, sai?»
«Anche la mia disapprovazione»
Non sei ripulita se mangi bio, e nemmeno i tuoi sensi di colpa credono a questo teatrino.
«Potrei farti un tè» irrompe nel silenzio della mia testa,
«Ti sembro un tipo da tè caldo?»
«Una birra?»
«Tieni birre dentro il tuo frigo?» nasconde un sorriso divertito, «Speravo mi rispondessi no».
Vuole per forza offrirmi qualcosa, divaga ed elenca ogni cosa possibile che tiene in casa che potrebbe piacermi. Rende carina persino la lista della spesa.
Io le dico che non deve preoccuparsi, che non ho voglia di niente. Lei insiste, ha paura che io vada via prima. Ha bisogno di ancorarmi a questo tavolo con qualcosa.
Si alza di scatto, prende un pentolino e ci versa dell'acqua. Accende il fuoco, fruga nel cassetto. Dice che la sua coinquilina è piena di gusti di tisane diversa, le elenca a velocità della luce e poi sceglie lei per entrambi.
«Zenzero e limone» dice, poi si lamenta della sua coinquilina. Dice che ne compra un pacco al giorno ma poi non le finisce mai e il cassetto oramai è troppo pieno per metterci le sue cose.
«Ti piace?»
«Cosa? Tu?» lei mi guarda e scuote la testa,
«Dicevo il gusto: zenzero e limone»
«Il mio preferito» metto un po' di convinzione nella mia voce, lei ride contrariata e la lascio vincere anche questa volta. L'amore è un bel compromesso.
Poi prende due tazze, le poggia sul bancone. Si sente i miei occhi puntati addosso e diventa più goffa del solito, inciampa sui suoi stessi piedi, parla da sola nella sua testa, poi strizza gli occhi e si ricorda di non essere sola. Spegne il fuoco sotto il pentolino, io mi alzo e le chiedo di spostarsi e di lasciarmi fare. La sua testardaggine non vorrebbe darmela vinta, ma afferrato il pentolino si rende conto che è pieno fino all'orlo.
Abbandona ogni pretesa e si siede sul divano. Mi fa cenno di seguirla e le porgo la sua tazza. Mi siedo, lei si sposta un po', incrocia le gambe per scaldare i suoi piedi nudi.
Comincia a girare la bustina, scalda le mani e non alza lo sguardo. Ha vergogna, si è ricordata delle cose carine che le ho scritto e ora non sa se sono così reali. Magari le ha lette con la mia voce e non poteva crederci nemmeno lei. Ferma il suo sguardo sulla mia mano, poi sale e comincia a memorizzare ogni mio tatuaggio. Sono la sua unica scusa per non guardarmi.
«Ti ho pensata molto in questi giorni» mi guarda, si ancora al mio sguardo e i suoi occhi si piantano con forza nei miei. Il suo respiro cambia, non riesce mai a trovare le parole giuste. Ha paura di mancare il bersaglio, ma non si rende conto che con me vince a mani basse. Persino il suo respiro mi fa venire la pelle d'oca.
Sussurra un timido anch'io, poggio la mia tazza a terra accanto ai piedi del divano.
Mi avvicino piano, più la distanza tra i nostri visi diminuisce più il suo respiro aumenta. Sento il suo cuore testardo battere forte dentro al suo petto, abbassa più volte lo sguardo. Ha paura dei miei occhi, ha paura dei suoi difetti che oramai non riesce più a nascondere.
«Aprimi il tuo mondo»
«Cosa ti aspetti di trovare?»
«Tutto quello che tu credi di nascondere»
azzero la distanza, sfioro le sue labbra con delicatezza e le lascio un bacio a stampo sulle labbra,
«Sei così trasparente ai miei occhi»
«Ho paura»
«Di me?»
«No, di me».
Nel mezzo di questa quiete mattutina, c'è una tempesta dentro di lei. Vorrebbe vomitare ogni parola che si porta dentro come un macigno, e intanto le lacrime silenziose trovano terreno fertile sul suo volto.
«Ho conosciuto tanti mostri nella mia vita, alcuni mi hanno fatto a pezzi, altri ho cercato di combatterli e domarli, poi li ho nascosti nella mia testa»
«Io sono stato un mostro, per molti anni ho distrutto me stesso e faccio fatica a relazionarmi con gli altri perché non vedo oltre la punta del mio naso».
Prendo la tazza dalle sue mani e l'appoggio vicino la mia. Poi con forza afferro le sue mani e le intreccio alle mie.
«Sei troppo bella per essere un mostro» le dico, sorride dolcemente. Distoglie lo sguardo, fissa il barlume di luce entrare dalla finestra,
«Ti sei mai sentito zero?»
«Io mi sento sottozero»
«E insieme cosa siano?»
«Un affascinante errore matematico».
La lascio cadere tra le mie braccia, lei diventa di marmo, il suo corpo accanto al mio diventa una statua priva di forme. Ogni cosa dentro questa stanza potrebbe ferirla, persino il mio respiro troppo vicino al suo viso.
Adesso ho paura, sento il mio cuore esplodere e provo vergogna per la mia maschera da duro che oramai non riesco più ad indossare. Prima di entrare qui, perde ogni ragione di esistere, e io in mezzo a questo cumulo di disordine ne trovo una. Una ragione racchiusa in un corpo minuscolo e pieno di scheletri nell'armadio che fatica a digerire, accanto ad un corpo che ha vergogna a mostrarsi alla luce di questo mondo.
Rose è tanto silenzio e un immenso rumore che non riesce a spegnere.
Si alza di scatto, a pochi millimetri dal mio viso, si agita e comincia a farfugliare qualcosa
«Ci credi nell'amore?»
«E tu?»
Le mie labbra toccano le sue e per un attimo dentro di me i guerrieri smettono di lottare. Per pochi e lunghi secondi il mondo smette di muoversi e il mio cuore comincia a girare e a volteggiare come una trottola. Non percepisco più niente, per un attimo sono in estasi e su un altro pianeta.
Poche cose avevano avuto questo potere su di me, la polverina bianca che avevo tanto bramato negli anni ora era esattamente il sapore di questa ragazza.
Le sue labbra si aprono e si trasformano in un immenso sorriso, è la porta del Paradiso.
Le sue guance si colorano di rosa e abbassa lo sguardo. Con le dita sfioro il suo viso e sento una scossa invadermi ed entrarmi nelle ossa. Ero un cucciolo in gabbia, vittima della mia stessa ingenuità, pronto a scoprire oltre per la prima volta. Sollevo il suo mento e la obbligo a guardarmi, le scappa l'ennesimo sorriso nervoso, afferro il suo viso tra le mie mani e la bacio di nuovo con più convinzione.
Lei si lascia andare, i nostri sapori si mischiano e per la prima volta vedo la luce dietro quella morte. Tutto attorno comincia a colorarsi, innumerevoli vibrazioni si fanno strada dentro di noi, non percepisco nessuno rumore tranne il mio cuore che urla di voler uscire fuori dal mio petto.
Mi sorride e sfrega il suo naso contro il mio viso, socchiudo gli occhi e intreccio le nostre mani.
Incontra i miei occhi e inizio a tremare, stava stringendo me stesso. Incontra le mie labbra e mi lascia un bacio, leggero quasi a sussurro. Mi guarda decisa, i miei occhi pieni di desiderio incontrano i suoi che urlavano vittoria.
Mi bacia di nuovo, incontra la mia lingua ed è subito amore.
«Nei miei sogni ti ho incontrata tante di quelle volte che potrei raggiungerti anche in un'altra vita».
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Capitolo fin troppo felice per la fine di questo 2020.
Sono completamente sicura che questa stabilità non durerà molto per la mia testa, quindi the best is yet to come.
Buon inizio.
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