25. Chi non muore, si rivede
Mi svegliai impigrita, quella notte non avevo dormito molto – come nelle ultime settimane del resto – e quella sarebbe stata l'ennesima giornata noiosa e pesante. Continuai a rigirarmi nel letto fino alle dieci, quando finalmente decisi di alzarmi per farmi una lunga doccia rilassante.
Lizzie non dormì nel bungalow quella notte, come le restanti delle ultime settimane da quando conobbe Brad; dormiva nel suo appartamento e poi la riaccompagnava al mattino, chiaramente tutto questo di nascosto dai nostri genitori.
Mi vestii malissimo, con una felpa vecchia ed un paio di shorts di jeans; quando finalmente uscii erano quasi le undici e una leggere brezza di montagna mi scompigliava i capelli sciolti sulle spalle. Ormai l'aria cominciava a rinfrescarsi man mano cge ci avvicinavamo a settembre e all'autunno a venire.
Mi sedetti sugli scalini della veranda circondandomi le ginocchia; come ogni mattina, dalla sera del falò, vidi venirmi incontro un Cameron ed al suo fianco, quella mattina, c'era Jake.
«Hey, ragazzi!», li salutai, mentre entrambi si misero a sedere accanto.
«Come stai?», mi domando Cam circondandomi le spalle.
Dalla sera del falò si era preoccupato costantemente per me ed ogni giorno mi faceva compagnia, sostenendo che Travis fosse un cretino patentato. Nonostante questo ed i suoi tentativi di alleviare il mio dolore, non riuscivo a non pensare a lui. Era diventato un chiodo fisso nella mia testa, nella mia vita e certe volte volevo chiedere informazioni su di lui ma mi vergognavo e sembrava sparito dalla faccia della terra. Quando parlavo con gli altri, non accennavano mai a lui e numerose volte dovettero cambiare argomento per non nominarlo; insomma, in mia presenza il suo nome e la sua oersona era diventata come il titolo di un libro eretico.
Innominabile.
«Bene, penso...», mentii spudoratamente; erano tutti a conoscenza che ero ridotta a pezzi.
«Cosa vuoi fare oggi?», mi domandò Jake.
Sospirai. «Non lo so. Alle dodici devo andare in città con mia madre».
«Per fare cosa?»
«La prova dell'abito per il galà di fine stagione. Ha assunto una rinomata sarta di Seattle per confezionare il vestito mio e quello di Lizzie».
A me non importava niente di questo ballo, ma ormai era considerato una tradizione dalle famiglie che feequentavano ogni anno questo villaggio.
«Wow. Ci deve tenere molto a questa cosa tua madre, eh?!»
«Già», sospirai. «E per di più devo ballare balli da sala noiosissimi, a cui farò sicuramente pena. Sarò lo zimbello della mia famiglia, dell'intero villagio, e me lo ricorderanno fino a quando ritorneremo a casa».
«Che vita di merda...», borbottò a bassa voce Cameron beccandosi una gomitata nel fianco da Jake che lo guardò pure male.
Risi.
In effetti non era una bella cosa essere lo zimbello della famiglia, ma del resto non erano grandi ballerini anche loro!
«Non ti preoccupare Jake, non mi importa niente», mi alzai in piedi spolverandomi le ginocchia senza un senso, poi mi girai verso i due. «Bene, ora devo andare da mia madre», mi stiracchiai un pochino. La mia schiena era a pezzi.
Anche gli altri due si misero in piedi e mi abbracciarono contemporaneamente. «Divertiti, piccola Evy!», disse Jake.
«Fai tanto shopping, ho letto che tira su di morale le donne», se ne uscì Cameron con una delle sue curiosità. Questa volta però aveva azzeccato e più che altro non si era inventato nessuna catroneria.
Ridacchiai. «Va bene!»
Dopo di che si allontanarono e, dal vialetto, li guardai salire gli scalini del loro portico, quando dalla porta del loro bungalow vidi uscire Travis; rimasi imbambolata, con lo sguardo fisso su di lui. I capelli spettinati e leggermente allungati, sul mento un accenno di barba e l'aria disordinata con addosso solamente un paio di pantaloncini di felpa. Non riuscivo a distaccare lo sguardo per andarmene ed appena Cam e Jake lo videro si girarono verso di me, con sguardo preoccupato. Rimanemmo tutti in silenzio ed era inevitabile che Travis non si accorgesse di me; durò tutto quale secondo.
Io e Travis ci guardammo negli occhi, anche lui aveva l'aria stanca e distrutta.
Sembrava soffrire. I nostri occhi erano incatenati, non riuscivamo a distogliere lo sguardo per riprendere a vivere la nostra vita senza la presenza dell'altro. Poi sentii qualcuno toccarmi la spalla, mi girai e vidi Angie davanti a me con un sorriso stampato in quel viso angelici, poi anche lei vide Travis e quel sorriso se ne andò per orendere posto ad una faccia incazzata.
«Vattene, coglione!», gli disse, anzi gli ringhiò contro agitando in aria un braccio, poi mi prese a braccetto e mi costrinse ad andarmene per allontanarmi da lui. «Vieni tesoro, quello è un cretino che non ti merita», mi baciò una tempia per confortarmi, mentre camminavamo verso l'alloggio dei nostri genitori. «Stupido coglione...», borbottò tra sè.
Non riuscivo a parlare talmente ero scossa. Erano settimane che non lo vedevo, nemmeno per sbaglio; sembrava rimasto rintanato nel suo alloggio fino ad oggi. Sembrava cambiato dall'ultima volta che ci eravamo visti.
Dopo poco arrivammo davanti il bungalow a cui eravamo dirette, quando vidi mamma uscire per raggiungerci; ci abbracciò una per volta, sorridendoci.
«Andiamo!»
Ci dirigemmo verso il parcheggio e partimmo per Seattle.
Ebbene sì, eravamo ormai arrivati ad una settimana alla fine di agosto. Quesa estate era passata velocemente tra risate e divertimento, ma anche tra delusione e tristezza...
Ero appoggiata con la testa sul finestrino, mentre sfrecciavamo verso Seattle dove avrei dovuto sopportare gli ordini di mia madre e le punture di spilli della sarta. Mia sorella, al mio fianco, era impegnata a messaggiare con Brad quando, ad un certo punto, disse: «Posso andare via prima dalla sarta?»
Mia madre la guardò dallo specchietto con uno sguardo che mi anticipava una Terza guerra mondiale. Così, prima che potesse aprire quella boccaccia velenosa, dissi: «Ma Liz, vuoi andartene dai preparativi dell'evento più emozionante dell'anno?!», esclamai sarcastica accennando un sorrisetto di disprezzo. Odiavo tutti quei preparativi inutili.
«Lizzie, tua sorella mi ha tolto le parole di bocca!»
«Ma mamma è solo un vestito, ci vorrà dieci minuti per prendermi le misure!», protestò ed aveva perfettamente ragione, ma a mia madre piaceva studiare ogni tipo di tessuto disponibile anche se poi aveva un progetto tutto suo nella testa.
«Nessuna discussione, signorina!»
«Ma viene anche Evy!»
A quelle parole, quelle maledette parole le mie antenne si rizzarono, mi girai di scatto verso mia sorella e la fulminai con lo sguardo.
Cosa aveva in mente?
Sicuramente mi avrebbe utilizzato come pretesto per uscire, così che mamma sarebbe stata costretta ad acconsentire.
Continuavo a guardarla male, quando disse: «Voglio uscire un po' con lei», dopo di che si voltò verso di me e mi sorrise flebilmente.
Ma nonostante tutto, a stupirmi furono le parole di mamma: «E va bene!»
Aprii la bocca per lo stupore.
Io esterrefatta, Liz vittoriosa e nostra madre furibonda.
Che grandiosa giornata.
Arrivati nella nuvolosa Seattle, prima di recarci presso la celebre sarta, nostra madre ci portò a pranzo in uno di quei locali alla moda dove i piatti di ceramica sono più grandi del cibo che contengono.
Dopo pranzo, con la pancia vuota e la stanchezza di una notte passata in bianco sulle spalle, ci dirigemmo finalmente all'atelier che si trovava dall'altra parte della città. Quando arrivammo lì davanti, rimasi spiazzata dall'enorme palazzo di vetro che ci sovrastava; avrà avuto almeno venti piani. Con l'ascensore ultramoderno, anch'esso rigorosamente di vetro, salimmo fino al quindicesimo piano dove enormi scaffalature piene seppe di metri e metri di stoffa di ogni tipo, andava a formare dei lunghi corridoi. In silenzio e con il tacchettio dei tacchi a spillo di mamma, arrivammo fino infondo dove una signora sulla sessantina era assorta su dei bozzetti. Quando ci aentì arrivare, alzò la testa e ci venne incontro abbracciando mamma e poi rivolgendoci, a me e Liz, un caloroso sorriso di benvenuto.
«Karen, come sei cresciuta!», le fece con una voce dal suono melodioso e dolce.
«Beh, ha smesso di crescere un bel po' di tempo fa», borbottò Liz al mio fianco, per poi scoppiare a ridacchiare silenziosamente insieme.
«Ragazze, lei è Jasmine, un'amica d'imfanzia di vostra nonna. Per me è stata come una zia», ci raccontò. Nei suoi occhi brillava quella pagliuzza argentea, che aveva quando ricordava i trionfanti vecchi tempi.
Una per una ci presentammo, per poi cominciare immediatamente a prendere le nostre misure. Con la coda dell'occhio sbirciai i bozzetti sul tavolo: meravigliosi abiti di colori sgargianti erano disegnati su quei bozzetti, e per un momento fui entusiasta di poterne indossare uno. Ci vollero qualche ora prima di aver finito, ma finalmente ce la facemmo per le sei del pomeriggio. Così io e Liz potemmo dileguarci, mentre mamma si trattenne.
Appena uscimmo dal palazzo, fermai mia sorella –che era tutta spumeggiante – per chiederle spiegazioni.
«Mi dici qual'è il tuo scopo?»
Si accigliò. «Quale scopo? Non posso stare un po' insieme a mia sorella?»
La guardai torva. «Eddai, falla finita. Sappiamo entrambe che tu non vuoi uscire con me, ma vuoi vedere Brad».
I suoi occhi furono attraversati da un lampo di verità, poi si voltò distogliendo lo sguardo dal mio.
Non so perchè, del resto ero abituata a questo di di comportamento da parte sua, ma in quel momento ci rimasi male.
«Sì, volevo vedere Brad. Ma stasera ci sono anche i suoi amici e volevo vhe tu ne conoscessi qualcuno. Volevo che dimenticassi quel cretino di Travis».
Cambiai completamente idea sul suo comportamento, così la abbracciai. Nonostante tutto era pur sempre mia sorella.
«Grazie, Liz, ma non me la sento di conoscere qualcuno in questo momento», le accennai un sorriso, poi cominciammo a camminare negli affollati marciapiedi di Seattle.
«Ne sei ancora innamorata eh?!», mi rivolse quelle parole quasi in un sussurro.
Annuii imbarazatta. Del resto era la verità, ma ormai non potevo farci niente. Non potevo non accettare un'occasione di tale importanza per un ragazzo.
«Chi lo sa, forse a Londra incontrerai un bell'inglese», buttò lì, facendomi ridere. Presto arrivammo a destinazione, cioè un pub irlandese affollato di persone, che bevevano e si divertivano. Entrammo, mia sorella mi sorpassò per guidarmi all'interno del locale. Sembrava conoscerlo molto da bene da come si destreggiava tra la folla.
Era un posto un po' buio per via delle pareti dipinte di verde scuro – colore caratteristico irlandese – ed il lungo bancone in rovere, che impegnava un lato intero del locale. Dietro di esso erano posti delle scaffalature attaccate ad un pannello di vetro, che rifletteva tutte quelle bottiglie di alcolici vari, poste sugli scaffali. Dall'altro lato del locale una sfilza di tavoli, anch'essi in legno scuro, erano accompagnati da divanetti in pelle rossa laccata. Sembrava di essere entrati in una galleria della metropolitana, per via del lungo corridoio, che costituiva il locale, e per via dell'arcatura del soffitto.
Ad un certo punto Lizzie si fermò davanti ad un tavolo, che faceva angolo infondo al locale e, scorrendo sul divanetto, si infilò tra le braccia del suo amato Brad, per poi baciarlo. Lui le sorrise guardandola amorevolmente. Si vedeva che l'amava realmente.
Poi, il biondo si voltò verso di me e mi sorrise. «Ciao, Evy!», disse e poi aggiunse: «Non stare lì impalata come un salice piangente».
Fu in quel momento che capii che Liz gli aveva spifferato tutto, così mi girai verso di lei e la guardai malissimo.
Stronza.
«Brad, basta!», gli diede una gomitata su un fianco, dopo si voltò verso di me. «Lascialo perdere, è un cretino patentato».
Finalmente mi sedetti, circondata da persone che avevo visto un'unica volta di sfuggita tempo indietro alla festa in spiaggia. Mentre gli altri chiacchieravano allegramente come se si conoscessero da una vita, cosa molto probabile, guardandomi intorno notai qualcuno osservarmi indiscreto...
Mi voltai e vidi, davanti a me, Tom fissarmi spudorantamente. Tom era l'amico di Brad che alla festa ci provò con me e che, grazie a Cameron, me lo tolsi di dosso.
Continuava a fissarmi imperterrito.
Ancora si ostinava a provarci?
Di risposta lo guardai male per fargli capire che mi stava infastidendo, mentre lui sfoggiò un sorriso alquanto viscido.
Capisce al volo il ragazzo!
«Ti posso offrire una birra?», mi disse sempre con quel sorrisetto schifoso stampato in faccia, anzi sul muso.
«Non ho ventun'anni, non posso», gli risposi scocciata, poi incrociai le braccia al petto sbuffando e ricominciando a guardarmi intorno. Volevo andarmene, la serata aveva preso una piega irritante ed avevo bisogno di rintanarmi nella mia stanza.
«Non ti devi preoccupare, conosco il proprietario del pub».
Alzai gli occhi al cielo. Era più appiccicoso di una piattola. «Non ti preoccupare, non ho sere e non penso che l'avrò!», tagliai corto.
Non so quanto tempo passò, ma mi stavo annoiando a morte: tra le battutine scadenti di Brad e le fastidiose avance di Tom, pensavo di morire da un momento all'altro poi in lontananza intravidi una testa mora, che conoscevo molto bene. Mi alzai immediatamente in piedi.
«Dove vai?», mi fece mia sorella; avevo lo sguardo addosso da parte di tutti i presenti.
«Mi sembrava di aver visto Cameron».
«Sì, molto probabilmente è lui. Viene spesso», mi spiegò ed io annuii.
«Certe volte c'è con lui quel biondo», sputò fuori Brad, facendomi girare di scatto verso di lui e capendo tutto. Lis lo fulminò con lo sguardo. Io, invece, stavo ragionando sul perchè venissero qui tanto spesso. Dovevo andare da Cameron e non mi importava se con lui ci fosse anche Travis, così mi avviai tra la folla per raggiungere il posto al bancone, dove era seduto Cam. Quando arrivai, mi sedetti sullo sgabello accanto al suo e, appena si accorse della mia presenza, sgranò gli occhi per la sorpresa.
«Evy, cosa ci fai qui?»
Lo osservai bene prima di rispondere. L'aria trasandata, gli occhi lucidi e l'alito odorante di alcol... non stava bene.
«Sono qui con Liz, ma piuttosto cosa ci fai te qui?»
«Brad, eh?!», fece capendo tutto e per sviare la mia domanda.
«Sì, ma non cambiare argomento».
Sbuffò abbassando lo sguardo sul suo drink ambrato, con entrambe le mani torturava quel bicchiere.
«Travis ha avuto una crisi di nervi...», buttò lì, dopo di che buttò giù un altro sorso di liquore.
Mi accigliai confusa, cosa intendeva? «Una crisi di nervi?»
«Sì, sua madre l'ha chiamato... di nuovo... speravamo non riaccadesse più, l'avevo pure minacciata di denunciarla...».
Sua madre? Minacciarla di denunciarla? Ma cosa stava succedendo?
Intanto lui continuava a farneticare, evidentemente già ubriaco, mentre io mi stavo confondendo ancora di più.
«Travis! Zitto!»
Finalmente si zittì.
«Devi spiegarmi tutto dall'inizio, perchè io non so niente!»
Il mio cuore si spezzò ulteriormente. Evidentemente Travis non si fidava abbastanza per confidarsi con me. Scossi la testa in segno negativo, lo vidi alzarsi e prendermi per un braccio.
«Okay, ti spiegherò tutto ma andiamocene da questo inferno».
Annuii, seguendolo.
In quel momento non mi importava niente se me ne stavo andando senza avvertire mia sorelle e gli altri. In quel momento volevo solamente sapere cosa stata affliggendo la persona che amavo.
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