12. Il messaggio


Ore 10, al parco.

Quel messaggio...
Lo lessi e lo rilessi più volte, con un'espressione allibita dipinta sulla mia faccia.
«Evy?!», fu la voce di mia sorella a richiamarmi.
Alzai la testa su di lei vedendola preoccupata, mentre se ne stava appoggiata alla soglia del bagno con un fianco.
«Tutto bene?», disse poi.
Annuii più volte per rassicurarla.
Sapevo benissimo di chi fosse il messaggio e sarei dovuta andare.
Lei ricominciò a prepararsi ritornando in bagno. Velocemente guardai l'ora sul cellulare: erano le 9:30.
Ci sarei dovuta andare a quell'imcontro? Ero indecisa, non volevo fare cavolate.
Sospirai ancora indecisa vagando con lo sguardo sul mio letto, poi alzai la testa e dissi ad alta voce: «A che ora esci, Liz»
«Ora», la vidi spuntare dal bagno, perfettamente truccata e con la borsetta sulla spalla. Prese la sua copia delle chiavi e si diresse verso la porta, non prima di essersi controllata un'ultima volta allo specchio.
Deglutii nervosamente, sarei potuta uscire.
«Okay, io vado. Ciao».
«Ciao», sussurrai seguendola con lo sguardo mentre usciva, dopo poco la porta sbattè dietro alle sue spalle e con un balzo mi alzai dal letto pronta, anzi prontissima, per vestirmi.
Alla fine decisi di indossare un semplice vestito nero con scollo a V, le mie converse e cellulare a portata di mano.
Sistemai il letto aggiustando il cuscino e spensi le luci chiudendo le tende delle finestre che davano sul portico, come se fossi andata a dormire. Quando uscii dal bungalow, chiusi la porta affinchè potessi rientrare senza che mi servissero le chiavi e poi cominciai a camminare con le stampelle lungo il sentiero che portava al parco.
Mentre lo percorrevo mi guardavo continuamente intorno, per controllare che nessuno mi vedesse o mi seguisse, poi ad un certo punto il sentiero di sassolini fu sostituito con quello di cemento.
Molto meglio, direi.
Così potei arrivare velocemente.
Il parco del villaggio si trovavo ai piedi di una collinetta ed era recinatato da una staccionata bianca, che lo circondata, e al suo interno erano posti diversi giochi: come le altalene o lo scivolo.
Dalla cima della collina, un po' buia rispetto al parchetto illuminato, vidi una figura alta e muscolosa seduta su una delle due altalene.
Sorrisi vedendo i suoi capelli che, alla luce dei lampioni, sembravano color oro.
Lo guardai un'ultima volta, mentre se ne stava seduto sull'altalena con lo sguardo perso davanti a sè, poi mi incamminai scendendo la collina.
I mattoncini in cemento renderono la mia discesa più facile, poi aprii il piccolo cancellino bianco ed entrai.
Lui non si accorse di me, anche se il cancellino cingolava.
Mi avvicinai al buio illuminato dalla debole luce di diversi lampioncini, mi feci sempre più avanti finchè non mi trovai al suo fianco.
Sorrisi vedendolo assorto nei suoi pensieri.
«Ciao», lo salutai flebilmente e quando finalmente si accorse della mia presenza, alzò la testa di scatto per sfoderare uno dei suoi magnifico sorrisi a trentadue denti.
I suoi occhi, alla luce dei lampioni, avevano preso una nota di blu verso la pupilla e di giallo verso l'iride.
Mi sedetti nell'altalena accanto, appoggiai le stampelle a terra e cominciai a dondolarmi pian piano.
«Non ero sicura che saresti venuta», disse ad un certo punto interrompendo il silenzio.
In sottofondo stavano cantando le cicale, che stavano sugli alberi che ci circondavano.
«Beh, neanche io ero sicura di venire».
Si voltò di scatto verso di me. «E vuoi dare retta a tua sorella?»
Scossi la testa continuando a fissarlo. «Dovrei, ma non posso».
Ritornò il silenzio tra di noi
«Sento di stare bene con te...», sussurrò ad un certo punto facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa. «Non ti sto usando», aggiunse poi.
«Penso sia la cosa più giusta vederci senza che nessuno lo sappia», disse.
«Tranne Cameron...», borbottai guardando avanti a me.
Potevo sentire il suo sguardo su di me, ma non avevo il coraggio di incontrarlo.
«So perfettamente che l'hai mandato te», sputai acida dopodiche si alzò di scatto mettendosi in piedi davanti a me, con le mani nei capelli.
«È un cazzo di casino!», disse frustrato scompigliandosi i capelli. «Io voglio continuare a vederti, il fatto è... è che non riesco a starti lontano, capisci?!»
Continuai a guardarlo con lo sguardo fisso su di lui e la bocca aperta, mentre il mio cuore cominciò a battere sempre più veloce.
«Sento di essere felice con te... dimmi qualcosa, Evelyn!», mi scongiurò quasi pregandomi: era frustrato, mentre io ero confusa.
«N-non che dire....», sussurrai. «È strano», aggiunsi poi deglutendo ed cominciando a sentire le mie guance scottare a causa del suo sguardo costantemente su di me.
«Strano?! Io penso di impazzire!»
Cominciò a camminare avanti e indietro.
Sembrava un pazzo.
«Calmati per piacere!»
Si girò di scatto verso di me. «Calmarmi?! Come faccio a calmarmi se continui a guardarmi con quella faccia senza darmi una risposta?!»
Mi accigliai cominciando a sentirmi irritata, così mi alzai di colpo ed afferrai le stampelle imbracciandole.
«Come faccio a darti una risposta se sei un lunatico?! Prima sei dolce e premuroso, il momento dopo sei un menefreghista che abbandona le ragazze nelle grotte!», sputai arrabbiata. «Non riesco a decifrarti, cavolo! Prima ti odio, poi sto bene con te! Cazzo, se ti sembra giusto darti una risposta con il comportamento che hai te!»
Finalmente si fermò ad ascoltare le mie parole, con un espressione stupita dipinta sul viso.
Sembrava che nessuno gliel'avesse mai fatto notare: era un lunatico patologico, cazzo!
Con tutte le parole che avevo detto ad una velocità allucinante, avevo il fiatone mentre lo guardavo accigliata.
Continuò a fissarmi, anche lui aveva un po' di fiatone, poi d'un tratto, non accorgendomi, si fece avanti, mi afferrò il viso e mi stampò un bacio sulle labbra.
Ricambiai e dentro di me sentii sensazioni, che non avevo mai provato con nessun altro.

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