Capitolo IX

Mi incamminai verso casa, con aria imbronciata e triste.

La devozione che riempiva le mie vene quel giorno svaniva pian piano, ad ogni passo che facevo.

Gli alberi, i giardini e i fiori non sembravano più armoniosi come in mattinata.

È incredibile come il nostro umore ci possa far cambiare punto di vista sulle cose che ci circondano. Vedere un cielo grigio anche se in realtà il sole sta sorgendo nei tuoi occhi.

I muri imbrattati, i motorini che correvano veloci stordendo l'udito, gli amici che passeggiavano ridendo.

Tutto questo mi passava davanti senza aver il minimo effetto su di me, nonostante fossi una ragazza molto legata ai particolari.

Quel giorno era diverso.

Qualcosa si era rotto, o semplicemente ero di nuovo delusa da me stessa.

Avrei potuto forse far di meglio?

Magari le uniche persone a cui piaccio sono davvero mia madre ed Armando.

E se neanche a lui dovessi davvero piacere?

La cosa che più mi spaventava era il non sapere quale fosse la cosa di me che attraeva le persone. E se quella parte dovesse cambiare? Continuerei a piacere?

Mi lasciai trasportare dai miei pensieri, mentre metri di palazzi e negozi circondavano il mio percorso.

Finalmente la porta di casa mia, una delle poche cose che non era mai cambiata nel corso della mia vita.

Aprii la porta ed un dolce odore di cioccolato si espandeva fra le mura.

Mia madre fu gioiosa del mio arrivo, e mi sentii ancora più in colpa.

Adesso deluderò anche lei

Pensai.

« Megan! Cosa ti prende? Dai, assaggia un po' di torta! »

Mi disse col suo smagliante sorriso.

« No grazie má, non ne ho voglia. »

Le risposi con voce basse e sottile, quasi spaventata.

Mi dispiacque rifiutare, era un evento speciale in quanto non assaggiavo una delle sue splendide torte dall'età di sei anni.

Ma il mio stomaco era oramai colmo di rancore, e , fatta ora tarda, rifiutai anche la cena.

Mia madre si preoccupò molto, ma non le diedi spiegazioni.
In fondo ero sicura che aveva compreso dal primo sguardo cosa c'era che non andava.

Nonostante la nostra lontananza durata lunghi anni riusciva a capirmi senza che io aprissi bocca.

Lei era la mia forza, il mio papà, la mia famiglia.

Dalla finestra l'aria, che oramai si stava raffreddando, gelò la stanza e mi contrinse a coprirmi con le bianche lenzuola.

La mia pancia, nel mentre, brontolava ma mi rifiutai comunque di offrirle del cibo.

Probabilmente in quell'istante avrei voluto solo qualcuno al mio fianco. Qualcuno che mi stringesse forte al suo petto, che mi facesse sentire la sua presenza circondandomi con le sue braccia, braccia che avrebbero combattuto per me.

Forse quel qualcuno era Armando
con le sue rosee labbra
il suo naso da bambino
il suo sorriso luminoso
più del sole
E i suoi occhi.

Occhi verdi e marroni che decisi di dipingere.

Posizionai il cavalletto fra il letto e la finestra, in modo da potermi sedere e non far entrare il nauseante ma allo stesso tempo soddisfacente odore di pittura in camera.
Presi i pennelli, i colori che sarebbero stati necessari e iniziai ad abbozzare il disegno in matita, per poi colorarlo.

La luna faceva luce sulla tela, rendendo il dipinto ancor più misterioso, come quello che si celava dietro il suo dolce sguardo.

Il dipinto cominciò a prendere forma e colore dopo svariati minuti e quarti d'ora.

Le tinte si scontravano e mischiavano fra loro, creando gradazioni difficili da riprodurre.

Ombre, sfumature e luci completarono il quadro.

Guardai la tela indietreggiando, e fui compiaciuta del risultato.

Tant'è che il risentimento si dissolse mentre la pittura asciugava.

Mi mancava, lo sentivo.
Anzi si faceva mancare,
E io avrei voluto sapere
Come si mancava ad una persona
O semplicemente
Se io gli mancassi.

Decisi che l'indomani avrei chiamato Selina, la nipote di Magdalena, sfruttando l'occasione data da mia madre.

Stanca e fiduciosa, sprofondai nel sonno, avvolta dal tepore che le coperte mi regalarono.

Mi svegliai non troppo tardi, e finalmente, potevo godermi il delizioso dolce preparato da mia madre.

Mangiai e svolsi le mie azioni quotidiane come in qualunque altro giorno.

In conclusione, presi il telefono e digitai il numero di Selina.

La sua risposta fu immediata, ciò mi facilitò le cose.

« Salve, sono Megan, la nuova badante di sua nonna! »

« Buon giorno! Mi dica pure. »

Disse lei quasi sbagliando, probabilmente, ero stata io a svegliarla.

« La chiamo in quanto è sorto un problema col denaro. Beh, mi spiego meglio, Magdalena ha detto che non riceverò alcun soldo. »

La ragazza rise incontrollatamente e feci fatica nel non perdere serietà.

« Non si preoccupi Megan, i soldi di mia nonna vengono gestiti da me poiché, purtroppo, lei ha perso la testa! »

Ci accordammo sensatamente, e dopo aver riagganciato la telefonata, indossai le scarpe, salutai mia madre con un bacio sulla guancia ed uscii dirigendomi nella casa delle bambole di porcellana.

Il sole era radiante e si appoggiava sugli alberi che ombreggiavano sul terreno rendendo alcuni punti più freschi d'altri.

Camminavo sicura, pensando a cosa avrei dovuto cucinare e quali faccende mi sarebbero aspettate.

Aumentai la velocità del mio passo per poi raggiungere l'abitazione della vecchietta.

Bussai nuovamente, ma stavolta la mia entrata fu tranquilla.

« Buongiorno! Come si sente oggi, signora Magdalena? »

Chiesi forzando un sorriso.

« Si, accomodati pure. »

Disse spostandosi dalla soglia della porta.

« Cosa devo fare oggi? »

Domandai guardandomi intorno.

« Fai quello che ti pare, ma sappi che mia nipote sarà qui per il pranzo! »

« Nessun problema. Cucinerò una porzione in più. »

I letti sfatti toccavano a me, così come i comò polverosi della sua stanza.

L'orario di pranzo si avvicinava, e così, un po' svogliatamente, iniziai a cucinare un polpettone.

Apparecchiai ordinatamente la tavola e,
per l'ennesima volta, l'anziana prese a sgridarmi inutilmente.

« E quella sarebbe una tavola?! Hai idea di cosa sia una tavola? Dov'è il cibo? Credi che mia nipote sarà buona con te? »

Stanca delle sue parole, in modo molto infantile, masticai un chewingum e convinta della sua distrazione, lo adagiai sui suoi capelli.

Tornai ai fornelli controllando che il cibo non si fosse bruciato e pentita del gesto appena compiuto, tornai in salotto.

Un ticchettio proveniente dall'entrata spostò la mia attenzione e spontaneamente aprii la porta.

Selina mi salutò felicemente, come se fossimo amiche da tanto tempo.

Aveva dei dolci occhi verdi, i suoi capelli erano tinti di rosso e il suo abbigliamento ricordava quello di una bambina.

Le sue braccia erano ricoperte di strani lividi, ma non ci feci molto caso, era, probabilmente, caduta.

Entrò silenziosamente in casa e si avvicinò a sua nonna intenta ad abbracciarla.

Notò la gomma da masticare fra i suoi capelli, e con aria stupita, si voltò verso di me guardandomi dalla testa ai piedi.

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