Capitolo 49

Venerdì

Milano, Italia

Nel mio stato di dormiveglia non posso fare a meno di sentire la presenza del corpo di Anna sotto le mie stesse lenzuola che si muove in continuazione. Non so esattamente che ore sono, forse le cinque del mattino o le sei.
Ieri sono tornata a casa di Anna, che si è gentilmente offerta di ospitarmi verso mezzanotte. Non ho la benché minima intenzione di aprire gli occhi per guardare l'orologio digitale, posizionato sul comò vicino al letto. Ma continuo comunque a chiedermi se aver sentito il campanello suonare sia frutto della mia immaginazione o che qualcuno si sia bevuto il cervello di presentarsi alla porta di Anna ad un'ora davvero improponibile.

Però, considerando che quest'ultimo si sia preso la briga di abbandonare la comodità del suo letto, deve essere una persona molto coraggiosa.

"Anna, aspetti Lorenzo?" bisbiglio ancora con gli occhi chiusi. Spero che il mio orecchio non si sia sbagliato, perciò, con gli occhi ancora chiusi, mi alzo dal letto e attendo il momento in cui l'inaspettato visitatore risuoni il campanello.

Ripeto di nuovo la domanda ad Anna, ma lei si gira dall'altra parte del letto e continua a dormire. Scendo dal letto e vado a guardarmi allo specchio. Indosso soltanto la mia t-shirt slabbrata e mi rendo conto che questo abbigliamento, insieme alla mia aria assonnata, mi conferisce un aspetto terrificante. Eppure prendo il coraggio di presentarmi di fronte alla porta.

Mi fermo davanti al portone quando sento qualcuno parlare davanti alla porta. Più che delle parole sono dei bisbigli, come quando le protagoniste dei film ripassano il loro discorso davanti alla porta . "Questi fiori sono per te ... ma che sto dicendo. Venendo qui ho visto dei fiori e te li ho comprati ... naah ma chi ci crede ..."

Queste non erano le parole di Lorenzo, lui non era il tipo da regalare ad Anna i fiori, era più il tipo da cioccolatini e concerti. Penso a l'unica persona che in questo persona si voglia far perdonare e così decido di aprire la porta. Il mio sguardo guarda dal basso verso l'alto e rimango senza parole sulla persona che mi trovo davanti.

Guardo il suo fisico tonico sotto la camicia sbottonata sotto un gilè nero. Il suo viso angelico me lo sono sognato troppe volte e forse per questo che è stato difficile levarmelo dalla testa. Da una parte, sono alle presa dalla vergogna di farmi trovare in queste condizioni e l'altro a chiedermi che cosa ci fa qui visto che ci dovevamo vedere all'autodromo.

"Marco ..." sussurro.

"Sydney" ribatte Marco, sorridendomi. Sto sbattendo le ciglia alla velocità di una monoposto, con il cervello che processa una quantità di domande su il quale si trova qui. Gli faccio cenno di entrare e chiudo il portone. Cala un silenzio tombale mentre io mi concentro sul suono dei suoi passi.

"So' cosa ti sta passando per la testa e faccio subito che dirtelo. Siccome mi hai invitato ad assistere alle prove libere del gran premio italiano, ho pensato di passarti a prendere. Sono andato a casa dei tuoi e mi hanno detto che eri qui. Nel frattempo sono passato davanti a Fernando e ho visto le Margherite e te le ho comprate." Spiega abbassando lo sguardo sulle margherite che mi sta porgendo.

"Grazie Marco, scusami non credevo ..." gli dico cercando un vaso per poter mettere i fiori. Ma come al solito Anna non tiene mai le cose in ordine e quindi decido di metterli in una borraccia piena d'acqua. Dopo aver lanciato uno sguardo veloce all'orologio sopra la cappa della cucina. "Oh guarda, devo essere all'autodromo fra due ore. Mi vado a cambiare e possiamo incamminarci. Tu nel frattempo puoi chiamare un taxi" asserisco con fin troppo entusiasmo.

"Un taxi?!" ribatte, guardandomi come se mi fosse spuntata una seconda testa. "Non c'è ne bisogno, andiamo con la mia macchina".

"Ah okay va bene" proseguo sorpresa, analizzando apertamente la sua figura, mentre io me ne resto impallata, in piedi, accanto alla porta della cucina per qualche altro secondo. È in momenti come questi che i ricordi riaffiorano, quando Marco mi veniva a prendere per potermi accompagnare al politecnico. Non avevamo molto tempo, io avevo sempre da studiare e lui pure, quindi le passeggiate erano i nostri unici momenti per stare insieme.

"Sydney non stavi andando a cambiarti?" domanda con un lieve sorriso sulle labbra.

"Ah si scusami mi sono incantata" dico con un po' di vergogna, dirigendomi verso la camera da letto.

Prendo la polo bianca e i pantaloni grigi di fretta e furia. Mi cambio velocemente e infine decido di mettere un filo di mascara e di lasciare i capelli sciolti. Raccolgo i fogli da per terra per poi metterli nella borsa e bacio Anna sulla fronte ancora addormentata sul letto.

Ad ogni modo, il mio nervosismo sta raggiungendo livelli inimmaginabili mentre sono in macchina da sola con Marco. La mano mi trema visibilmente mentre con l'altra cerco di prendere il dossier che si trova nello zaino per poter ripassare un'ultima volta. Marco sta guidando e ogni tanto mi guarda con aria spaventata e continua a muovere le dita nervosamente sul volante. Lo guardo, inclinando la testa, e lo sento deglutire rumorosamente.

Arriviamo in poco tempo al parcheggio dell'autodromo. Scendiamo e non faccio altro che notare Marco che prende dal bagagliaio una piccola busta viola. Gli consegno il badge e la mia mente entra subito nel mood del lavoro. Cerco di non farmi distrarre dai numerosi fan che supportano la Ferrari e porto Marco davanti al motorhome della McLaren. Da quando sono entrata nel paddock riesco a sentirmi a casa. Non devo neanche guardarmi attorno per cercare Marco perché non si allontana dal mio fianco. Camminiamo insieme mentre le nostre mani si continuano a sfiorare, fino a quando Marco non decise si intrecciarle di fronte a tutti agli occhi dei giornalisti.

Avvicina le sue labbra al mio orecchio dicendomi: "Se vuoi posso smettere di fare il finto fidanzato." Al che non riesco a capire il senso di questa sua frase, ma poi ricordo di avergli raccontato la mia storia con Lando.

"No, non smettere." continuo io con un lieve sorriso sul viso. Lo trascino all'ingresso del box, e i suoi occhi si illuminano come quelli di un bambino. Non aveva mai visto nulla del genere, prima d'ora. Lui è un grande amante delle macchine lussuose, ma non si è mai appassionato alla Formula uno. Certo ogni tanto le Domeniche le passava con me a guardare le corse, ma nulla di ché.

"Qui è dove lavori?" mi chiede Marco ad ogni passo che compie, quasi incredulo che io lavori in mezzo a questo mondo prettamente maschile. E ogni volta che mi sento fare questa domanda, sorrido e annuisco, per poi sfiorandogli il braccio per rassicurarlo che io sto bene in questo ambiente.

Raramente ho visto Marco così preoccupato in questo modo e ciò fa preoccupare anche a me. Di solito lui era quello che niente e nessuno poteva farlo preoccupare, è sempre stato un ragazzo senza pensieri, che se ne frega di tutto e si godeva la vita. Ad un certo punto sbuffa e si tocca i capelli con la mano destra. Mi lancia uno sguardo del tipo: "Sto per dirlo, preparati"

"Sydney, ti devo dire una cosa importante" sbotta, e sussulta. Il suo viso diventa molto serio, e io incomincio a spaventarmi seriamente.

"Marco così mi spaventi" sposto una mia ciocca di capelli dietro l'orecchio e decido di allontanarci dai meccanici che stanno lavorando.

"Sento la necessità di dirtelo e di non tenermelo solo per me. Non so se ti ricordi di quella giornata quando ti ho accompagnato da mia sorella al cimitero ...." annuisco ricordando al brutto periodo che stava passando. "ecco .. faccio prima a darti questo" e mi porge la busta viola che prima ha preso dal retro della macchina.

Apro la busta e dentro ci trovo un vecchio peluche. Ma non è un pupazzo qualunque, questo è di Sofia. Glielo avevo regalato io per un suo compleanno. Era impazzita per questo cagnolino, lo mostrava a tutti con grande fierezza. Mi ricordo di come averlo visto nel negozio di aver pensato subito a lei.

Stringo fortissimo le labbra, prima di trovare le parole giuste. "Non può essere ..." sussurro con il cuore che mi martella nel petto. Alzo il mio sguardo, mentre Marco appoggia le sue mani sul mio viso. "Subito la morte di Sofia, io e i miei genitori avevamo deciso di donare gli organi. E' solo ieri ho preso la decisione di conoscere la bambina che ha ricevuto gli organi da mia sorella." Delle lacrime scendono lungo il mio viso, non riesco a trattenerle e più forte di me. Il gesto che ha fatto facendo Marco è immenso.

"Marco" esclamo con una voce dolce abbracciandolo, "Sofia sarebbe fiera di te ..." Lui si allontana dal mio abbraccio guardandomi nuovamente negli occhi, "Sydney... Sofia mi manca ogni giorno"

Annuisco e stringo ancora di più il peluche che ho tra le mani perché non trovo realmente le parole giuste per confortarlo. "Pensa che questa bambina che presto incontrerai, avrà un pezzo di lei. E che vorrebbe vederti sempre felice" provo a rassicurarla riabbracciandolo, ma questa volta più forte.

Pochi istanti successivi incomincio a sentire una strana sensazione addosso. Avete presente la sensazione di sentirsi osservati? Be', moltiplicatela per mille ed ecco cosa mi spinge ad alzare lo sguardo verso la il garage. Lo sento nelle ossa, nell'accelerazione del battito, nella patina di sudore che mi ricopre la pelle. La domanda non era: Lando mi sta guardando? Bensì: da dove mi sta guardando? Con la coda dell'occhio non ci impiego molto a scoprirlo e non riesco a togliergli gli occhi, anche se devo.

"Ciao Melbourne ..." in questo momento la mia mente non ragiona e cerco di non dare peso a quello che dice Lando. "Che carino ... gli hai regalato un peluche come ai bambini?" un silenzio tombale. Io guardo Marco e lui fa lo stesso con me.

Io rimango pietrificata e non riesco a parlare. In me è scesa una fitta nebbia bianca che mi isola dal mondo. Non ascolto né cosa dice Lando né Marco. Mi sforzo di afferrare il foglio delle vecchi telemetrie per consegnarlo a Lando che si rifiuta di salire in macchina. I due incominciano a litigare e io sono sul punto di scoppiare: "Questo pessimo teatrino deve finire, non potete continuare a comportarvi così davanti a tutti. Sapete che siamo osservati dal mondo intero" esclamo. Imploro Lando di salire in macchina, e  consiglio a Marco di andarsi accomodare nel motorhome della McLaren per vedere le prove in uno schermo.

Mi lascio cadere sulla sedia del muretto, cerco di lasciarmi tutto alle spalle. Ora mi devo concentrare, sono tornata per poter aiutare la McLaren e Lando.Ma la mia testa continua a tormentarmi con le parole di Marco e con lo sguardo geloso di Lando nei confronti del mio ex fidanzato.

Mordicchiandomi distrattamente il labbro inferiore, continuo a passare a rassegna una ad una tutte le e-mail, valutando il loro possibile grado di importanza. Metto le cuffie e controllo se la radio funziona, in modo che Lando possa scendere in pista a provare la macchina. Poi il suono della posta elettronica accende il mio sguardo di interesse. Mi imbatto in un'email inviata direttamente dal direttore della Pirelli.

Il corpo dell'email è breve e conciso. La mia richiesta è stata accettata. E lo so che non dovevo farlo perché Lando me lo aveva proibito, ma io amo il mio lavoro e voglio capire che cosa è successo quando non ero presente nei box. Ho mandato una email alla Pirelli per chiederli di farmi vedere i video di sorveglianza del deposito delle gomme della McLaren.

Lascio detto ai meccanici che mi sarei allontanata per una decina di minuti, giusto il tempo di vedere il video. Prendo il computer e scappo nel retro del box, lontano dai riflettori e da chi può vedermi.

Una volta che mi sono rifugiata in una sala conferenze, appoggio il computer nel tavolo e clicco sul link.

"Due meccanici della Red Bull hanno scambiato le gomme di Lando con quelle di Massimus"

Se da una parte non ne sono affatto sorpresa, dall'altra non posso fare a meno di sentire l'amaro in bocca. Questa è la dimostrazione che Alejandro vuole fare fuori Lando per poter far vincere il mondiale a suo figlio. Scuoto la testa ripetutamente, adesso ho tra le mani la prova che può incastrare il team Red Bull e la famiglia Santos, ma non so cosa realmente fare.
Devo andare ad avvertire Zak, magari lui saprà cosa consigliarmi.

Esco e mi dirigo da dove sono venuta, con un pensiero fisso: perché sto rischiando la mia vita per lui. Che cosa mi spinge a fare quello che sto facendo? 

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