Quattro




Evelin tirò il figlio giù dal letto alle nove.
Aveva passato tutta la notte a pregarlo, per farsi dire cosa era successo, ma Rubén era caduto in uno strano mutismo. L'unica cosa che riuscì a ottenere fu un urlo straziante quando, dopo diversi tentativi, cercò di farlo entrare in bagno con la forza.
Non ci riuscì. Alla fine dovette cambiare il figlio in camera da letto. E poi erano tornati a dormire. Insieme.

Aveva chiamato Nora, la sua migliore amica, che si era subito precipitata a casa sua.

«Conosco qualcuno che può aiutarlo. Abita proprio...»
«Niente strizza cervelli.»
«David non è uno strizza cervelli, Evelin. È un volontario, un semplice cittadino che fa parte di un nuovo progetto finanziato dallo stato. Si chiama save the soul. Un'associazione di volontari che hanno avuto a che fare in prima persona, o in modo ravvicinato con bambini che hanno subito traumi di questo tipo. Gente qualificata, ovvio, ma sicuramente meno formale, e per molti è meno angosciante della classica terapia. A volte, quando si è fuori dagli schemi, si riesce a essere più di aiuto.» Nora abbassò lo sguardo e continuò, in un sussurro: «La moglie di David è precipitata dal quinto piano. Suo figlio, che all'epoca aveva appena quattro anni, ha visto il volo, e poi il corpo della madre spiaccicato sull'asfalto.» Un sospiro. «Povera creaturina. David ha dovuto lavare le macchie di sangue di sua moglie dal corpo del piccolo, e poi dalla sua anima.»
«Mi hai già parlato una volta di questa cosa, Nora. Io però... cioè, sai come la penso!»
«Io sto bene!» asserì il piccolo Ruben, nelle sue prime parole di quel mattino.
Stava seduto a un lato del tavolo, fissando la sua tazza di cereali e latte. La sua affermazione ammutolì le due amiche. Ma non per molto.
«Prendi il caffè, Nora?»
«Amaro con un po' di latte, grazie.»
«Che c'è, non ti vanno i cereali, amore mio?»
«Ma mi avete sentito? Io sto bene! È stato solo un brutto sogno. Non ho bisogno di parlare con nessuno.»
Evelin poggiò le due tazze di caffè caldo sul tavolo e si mise a sedere. Dagli spalti della sua testa si affacciavano numerose domande. L'aria in cucina era calda e umida. La sua tazza fumante le diede la spinta per arrotolarsi una sigaretta. Intanto versò la sua dose di tranquillanti nel caffè e lo tracannò quasi d'un sorso, come avesse l'esofago d'amianto. Attese che caffeina e nicotina entrassero in circolo nel suo corpo; poi fece un sospiro, e avvicinò la sua mano al viso di Rubén, accarezzandolo.
«Mi hai fatto spaventare stanotte.»
Ruben chinò il capo cercando il punto giusto da dove cominciare. Scorreva parole tra le mani e le legava al cucchiaio, fino a ottenere delle frasi; ma non gliene piacque nemmeno una. Respinse l'impulso di ficcarsi un'unghia tra i denti e tossì.
«Mi dispiace» strascicò in fine.
Evelin gli prese il viso tra le mani e gli stampò un bacio sulla guancia.

«Ryan ci aiuterà» affermò rivolgendosi di nuovo all'amica. «Ho appuntamento con lui proprio questo pomeriggio, gli racconterò di questa notte. Ci è sempre stato accanto da quando...»
«Ryan è il sacerdote della chiesa che frequentate ultimamente vero?» la interruppe Nora.
Evelin sbuffò fuori l'ultimo tiro di sigaretta, lanciandolo in aria come fosse una nuvola. Si immaginò sopra di essa a stuzzicare un sole d'oro fissando un orizzonte argentato. Poi si destò e annuì.
«È anche l'insegnante di Ruben.»
«Perché ti ostini ad andare dietro a queste cazzate, Evelin? Mi sembra di parlare a una bambina!»
«Perché ho scelto di andare avanti, Nora.» Il tono di Evelin era palesemente alterato. «Ammetto che sembra egoistico, ma voglio ricominciare ad avere una vita invece che continuare a piangere per tutto il tempo la perdita di mio marito e di mia figlia. Me lo devo, e lo devo anche a Ruben. E la chiesa, Ryan, mi stanno aiutando in questo.»
Si fermò un attimo. Il suo viso si rilassò di nuovo, e assunse sfumature diverse, di sollievo, come se si fosse liberata di un peso.
Ruben si alzò da tavola sporco di latte e cereali e sazio di parole inutili. Uscì, senza meta apparente, con i pensieri in tasca e una frase distratta alle spalle: «io sto bene, e non parlo con nessuno.»

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