Pessime notizie
Cavalcavo ormai da un giorno e Louis XVI iniziava a dare segni di stanchezza. Sì, avevo chiamato il mio cavallo come il vecchio Re di Francia.
Questa idea era nata scherzando con altri rivoluzionari qualche giorno prima che attaccassimo la Bastiglia. Chiamare così il mio animale doveva apparire come un insulto verso il Re, ma, col tempo, avevo notato in pubblico mi faceva sembrare quasi un sostenitore della monarchia. Per questo spesso ripiegavo su nomi alternativi come Ludwig o Luigi. O qualsiasi altro nome mi venisse in mente, tanto l'unico suono al quale reagiva era il mio fischio.
Visto il tramonto imminente, decisi che la prateria nella quale mi trovavo sarebbe stata il mio accampamento notturno. Certo, mi sarei esposto al rischio di venir attaccato dai banditi o da qualche animale. Ma l'alternativa sarebbe stata cercare rifugio in un qualche villaggio. E al momento non sapevo se avessi meno soldi o meno voglia di comunicare con altri esseri umani. In ogni caso, un colpo del mio fucile sarebbe bastato a mettere in fuga gran parte degli assalitori.
Dalla bisaccia raccattai gli strumenti per fissare Louis in modo che non decidesse di fuggire durante la notte - magari era un'abitudine radicata in quel nome! - e fissai gli allarmi attorno al nostro accampamento. La struttura era semplice: una campanella appesa ad un cordino. Qualora un intruso avesse cercato di avvicinarsi, avrebbe colpito il cordino e fatto suonare la campanella mettendomi in guardia. O almeno, questo avrei fatto se avessi avuto i soldi per comprarmi delle campanelle vere. Invece avevo dovuto usare dei pezzi di lamiera industriale per produrre degli aborti di campanelle. Quel risultato era una dimostrazione del perché non avevo mai tentato una carriera artistica.
Una volta completati gli allarmi, utilizzai delle pietre e la bisaccia per crearmi uno schienale, così da poter dormire seduto. Se fosse arrivata una qualche bestiaccia troppo bassa per colpire i cordini, almeno avrebbe attaccato prima i piedi e non gli occhi.
Mentre calava la notte, mi sedetti e sbocconcellai qualche pezzo di pane. Era secco e, ad essere onesti, faceva un po' schifo, ma decisi comunque di mandarlo giù. Speravo mi avrebbe aiutato ad allentare quella stretta allo stomaco. Quella stretta che mi opprimeva ormai da giorni. Da quando avevo aperto quella lettera.
In un certo senso, era come una lettera d'amore. Una lettera nella quale ci vien detto che la nostra relazione è giunta al termine e ci si sente umiliati e derisi. E ci si domanda come possa ancora esistere per noi un futuro. Sì, sembrava quasi un amore non corrisposto, se non fosse stato molto, molto peggio.
Nella lettera, infatti, mi veniva comunicata la mia espulsione dall'università di Cambridge. Questa relazione spezzata mi avrebbe anche impedito l'iscrizione in qualsiasi altra università inglese. Questo poneva fine al mio futuro: non sarei mai diventato uno scienziato. E la colpa era esclusivamente mia.
Sin dall'inizio, a Cambridge non erano piaciute le mie idee "contrarie al bene comune." Che era un bel modo per dire che più volte mi ero opposto alle loro idiozie sulla monarchia e la religione. Molti professori, infatti, sostenevano che le leggi fisiche fossero la dimostrazione dell'esistenza di Dio e pretendevano che ripetessimo queste stupidaggini durante gli esami. Io invece sognavo un'università nella quale la scienza si basa sul metodo scientifico e non su qualche superstizione religiosa.
Assieme al mio compagno di collegio, Tom, avevamo anche iniziato a pianificare una rivoluzione simile a quella alla quale avevamo partecipato in Francia. Lui aveva qualche conoscenza interessata a finanziare una rivolta e io ero in contatto con svariati rivoluzionari francesi che avrebbero partecipato molto volentieri. Ma di tutto questo l'università era all'oscuro. Altrimenti, oltre all'espulsione, avrei ricevuto anche una cella nel carcere più vicino. No, quello che veramente mi era costato il mio futuro era stato uno stupido diverbio con un professore incapace. Un professore che, a quanto pareva, aveva comunque più potere di quello che immaginavo.
Infatti, durante il mio esame di fluidodinamica, il professor Crichton mi aveva chiesto di scrivere una delle dimostrazioni che ci aveva mostrato in classe. L'esercizio era semplice – in verità, tutte le sue dimostrazioni erano terribilmente banali – e consisteva nel ricavare un'equazione specifica partendo da un'altra. Tuttavia avevo anche notato un errore nell'equazione che mi aveva fornito.
Subito glielo feci notare, ma lui rispose che era tutto "perfettamente corretto." Io sapevo che un segno meno davanti a quel fattore non aveva alcun senso. Infatti, avremmo ottenuto che l'acqua galleggia sull'aria, o che gli oceani dovrebbero "cadere in cielo." In pratica, quel segno invertiva la gravità nei liquidi. Così insistetti a dire che l'equazione era errata, ma lui sbottò dicendo che erano vent'anni che faceva quel lavoro e conosceva alla perfezione quelle equazioni.
Dato che non volevo ulteriori problemi, decisi di assecondarlo e proseguii la dimostrazione portandomi dietro il segno errato. In teoria, mi sarebbe bastato commettere un errore per ripristinare l'equazione nella sua forma corretta, ma i passaggi erano così banali che non riuscivo ad inserirlo da nessuna parte. Quando ebbi concluso e sollevai lo sguardo rimasi sorpreso dal suo sorriso beffardo.
"Ed è così che lei ha appena dimostrato che la pioggia dovrebbe cadere verso il cielo!" gridò facendosi sentire da tutti i presenti. "Raramente ho avuto uno studente capace di commettere errori così stupidi."
Per un attimo rimasi confuso, poi capii. Quell'idiota pensava che avessi commesso un errore in qualche passaggio. La sua stupidità era così enorme da non permettergli di capire che il problema stava nell'equazione che mi aveva fornito e non nei miei calcoli. Probabilmente mi avrebbe persino bocciato per un suo errore!
Il cuore mi batteva veramente troppo forte. Sentivo la faccia ndarmi a fuoco. Agii senza pensare.
"Infatti se avessimo usato l'equazione corretta," lo rimproverai io, correggendo rapidamente i segni nei vari passaggi "non saremmo mai arrivati a una conclusione così idiota."
"Infatti... Qui noi..." iniziò lui cercando di rispondere qualcosa di sensato. Doveva essersi accorto dell'idiozia che aveva detto perché era sbiancato e biascicava frasi sconnesse. "L'e... L-Le-L'errore, ecco, è stato... "
"Il vero errore è stato assumere lei come professore. Lei e tutti gli altri idioti che cercano di insegnarci teorie religiose anziché occuparsi di scienza!" E su queste parole me ne andai sbattendo la porta.
Ovviamente sapevo che non avrei mai più passato quell'esame. Sapevo anche che ero stato un cretino ad umiliare un professore davanti a una classe intera ed ero sicuro che avrei ricevuto una bella sanzione. Ma non pensavo sarebbero arrivati a cacciarmi.
Ricevetti la lettera nella mia camera di dormitorio. Subito dopo averla letta stavo già organizzando la mia partenza per la Francia. Volevo lasciarmi alle spalle Cambridge e magari lì sarei stato ammesso in qualche università. Ma l'attenzione mi cadde su di un'altra lettera che mi lasciò persino più incredulo della precedente: non aveva né mittente né destinatario, ma quando l'aprii riconobbi subito la scrittura.
"Vieni alla fabbrica di Leeds. Subito!" diceva la lettera. In calce stava anche quella specie di geroglifico che secondo lui doveva essere "una firma unica e ricca di stile." Sapevo tutto questo perché la lettera era di mio padre. Un uomo che non mi contattava da almeno cinque anni e che ora, senza alcuna spiegazione, mi chiedeva di correre a Leeds. Forse aveva saputo della mia espulsione? E come aveva fatto a rispondere così in fretta?
Non avevo alcuna voglia di vederlo, ma sembrava si trattasse di qualcosa di importante. Inoltre, avevo fretta di lasciarmi tutto alle spalle.
Raccattai giusto il minimo per il viaggio. Passai da Tom a dirgli che il nostro colpo di stato avrebbe dovuto attendere tempi migliori. Gli regalai gran parte delle mie cose e mi feci ridare il fucile che nascondeva per me in camera sua. Dopodiché montai in sella a Louis e partii sapendo che non avrei mai più messo piede all'università Cambridge.
Mentre mi addormentavo seduto in quella prateria, questi pensieri vagavano per la mia testa. Mi balenarono davanti agli occhi immagini sconnesse. La lettera, il mio fucile, la presa della Bastiglia. Mi ricordai poi della brutta sensazione che avevo avuto a Parigi quand'ero passato davanti a quell'industria tessile. Per qualche istante mi era parso che ci fosse qualcosa di sbagliato in quell'edificio. Come se le regole della prospettiva fossero state violate. Come se l'edificio fosse contemporaneamente vicino eppure molto lontano...
E su queste immagini scivolai rapidamente nel sonno.
***
SPAZIO AUTORE
Il nostro protagonista
Rieccoci con un nuovo capitolo! Penso che per adesso avremo un capitolo ogni lunedì (oppure fatemi sapere che giorno preferite!)
Innanzitutto, grazie mille a chiunque decida di commentare. Sapere cosa pensate della storia (o anche gli errori che mi fate notare) mi aiutano notevolmente a migliorarla.
In questo capitolo abbiamo avuto poca azione, ma abbiamo iniziato a conoscere meglio il nostro protagonista. Come penso abbiate notato è molto idealista e ha qualche problemino a tenere la lingua a freno. Fatemi sapere se vi sta simpatico o meno. Io l'ho pensato come un personaggio positivo.
Se invece non avete voglia di comunicare (proprio come il nostro protagonista!), usate pure la stellina per farmi sapere se la storia è di vostro gradimento.
In ogni caso, non dimenticate di cliccare "segui" per ricevere gli aggiornamenti sui prossimi capitoli!
A presto!
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