Chapter XIII - John
Aprì gli occhi di scatto, tutta sudata e con una benda ghiacciata in fronte. Il senso di vomito, le vertigini e la paura erano sparite, così come il mal di testa e la frattura cranica che probabilmente tenevo.
Respirai a fatica, prendendo ripetutamente aria e toccandomi freneticamente il collo. Avevo imparato una cosa da quest'esperienza, Jason era pericoloso, fin troppo e, nonostante mi volesse viva, gli sarebbe bastato soltanto schioccare le dita per uccidermi.
«Ehi amica, calmati» disse qualcuno accanto a me, aveva una voce abbastanza calma e rilassata.
Sbattei velocemente gli occhi e misi a fuoco la stanza.
Come volevasi dimostrare, la stanza di Simon era impeccabile come sempre.
Sospirai freneticamente e mi girai verso il ragazzo, seduto sulla sedia accanto il letto: era abbastanza alto, nonostante fosse seduto, gli occhi azzurri ben marcati e un ciuffo dei suoi capelli neri gli ricadeva disordinato sulla fronte.
Era abbastanza carino, non c'era che dire «cos'è successo?» mugugnai, toccandomi la testa. La botta si faceva ancora sentire, dopotutto, ma, dopo l'avvenimento con Jason, non ricordavo più nulla.
Il ragazzo sorseggiò qualcosa dalla sua tazza e poi guardò fuori dalla finestra, sembrava essere pensieroso e perso nel suo mondo.
Non l'avevo mai visto prima ma fu come se lo conoscessi da una vita «sembri scossa, non ti ricordi proprio niente?» mi toccai la testa più e più volte e poi la scossi.
Lui fece spallucce «quindi presumo che non ti ricordi nulla, nemmeno dell'anno scorso?» non si degnò nemmeno di girarsi verso di me quando lo disse.
Rabbrividì, effettivamente avevo un vuoto di memoria da un anno ma era un informazione che nessuno sapeva, ben che meno mia madre.
E, nonostante fossi nervosa e pensassi che stesse scherzando, fui turbata. Ne ero a conoscenza solo io, io e basta. O almeno, così pensavo.
Deglutì a fatica e non riuscì a dire niente, quel ragazzo era abbastanza strano ma ormai lo erano tutti «ci conosciamo per caso?» chiesi.
«Chissà...» annunciò vago «sono John, John Mortimer» e in quel momento capì che si trattasse dello stesso John scomparso giorni prima.
Corrucciai le sopracciglia «sei il ragazzo di Mia?» lui fece spallucce e posizionò il suo sguardo su di me con fare tragico «oh, che disdetta essere ricordato così» mi correggo, era strano forte. Forse, anche peggio degli altri.
Si alzò dalla sedia e, prima che potessi dire qualcosa, chiuse la porta a chiave. Mi gelai sul posto e lo guardai chiudere le tende della finestra e accendere la luce.
«Ma cosa stai fac...» cercai di dire ma mi tappò subito la bocca con una mano.
Non mi piaceva essere toccata in quel modo, sopratutto se dal ragazzo di una mia cara amica ma in ogni caso, sentivo di potermi fidare di lui.
Controllò tutto per bene un ultima volta e poi mi guardò in faccia, scrocchiandosi le dita.
Un brivido mi pervase la schiena e il respiro mi mancò per attimi che parvero ore, avevo una paura tremenda.
In fin dei conti me ne erano capitate così tante, che ormai mettermi in guardia era diventata routine. John sorrise «bene Jason, a noi due» persi un battito e lo guardai a mia volta in faccia. Non faceva trapelare nulla, paura, gioia o qualsiasi cosa stesse provando in quel fragrante.
Niente.
Probabilmente divenni bianca dallo shock perché le forze mi mancarono in un nano secondo, John si sistemò di fronte a me, posizionando la sua mano nella mia fronte e nella mia testa «farà un pò male» mi sussurrò calmo, come se quelle che stesse facendo fosse normale. Avevo troppe cose da domandargli, perché era scomparso, perché sapeva di Jason, cosa c'entrava in tutto questo.
Ma non riuscii nemmeno a rispondergli, iniziò a stringermi la testa come se fosse una palla, pronta ad esplodere da un momento all'altro.
Il palmo della sua mano era bagnato e aveva un odore tremendo.
Iniziai a divincolarmi e a muovermi freneticamente, strozzando un urlo per paura che gli altri fossero in casa e potessero sentirmi. Avevo un dolore tremendo, il bruciore non sembrava placarsi, mi rodeva l'anima, la pelle, era come camminare su dei carboni ardenti cercando di uscirne illesi.
John sudava, probabilmente tutto ciò gli stava togliendo moltissima energia e fatica ma nulla era paragonabile al dolore che sentivo dentro. Poi, come se qualcuno l'avesse chiamato, un urlo rimbombò nella mia testa: era frustante, doloroso, un urlo striminzito dal dolore. Urlò Jason dentro di me e poi non sentì più nulla, solo il vuoto assoluto.
Sbattei velocemente le palpebre e la testa mi girò velocemente, era come stare in quei luna park affollati e aspettare il turno per le montagne russe più pericolose di sempre. Il senso di nausea mi rodeva lo stomaco, mi pungeva, bussava al mio intestino e non mi lasciava pace.
Mi sentivo uno schifo, ma questo, John, lo capiva bene «che cosa mi hai fatto?» biascicai lentamente, prima che mi passasse un secchio, come se la cosa che avesse fatto fosse normale.
Lo presi lentamente, guardandolo negli occhi, viola come un candido mantello, erano bellissimi e rilassanti. Avvicinai il secchiello accanto la mia bocca e vomitai tutto, probabilmente in quel vomito, oltre lo schifo, dovevano esserci anche le mie emozioni represse.
Quasi piansi, vomitando tutto e sentendomi meglio. La fronte mi bruciava da impazzire ma decisi di non dire nulla «in questo periodo non te ne sta capitando una dritta, non comprendo come tu sia ancora viva» John si alzò e si posizionò vicino la finestra.
Non sembrava essere particolarmente stanco o forse era una mia impressione «John, pensavo ti avessero trovato mezzo morto» lui sorvolò sulla mia amichevole battuta, eravamo comunque due sconosciuti.
Il ragazzo evitò categoricamente la mia domanda e girò lo sguardo serio verso di me, mi irrigidì dalla glacialità dei suoi occhi «sono scappato dalla Lete» disse.
Aveva gli occhi lucidi mentre parlava e non proferì parola, avrei voluto sdrammatizzare rispondendo: "l'acqua?" ma non mi sembrò il caso.
John continuò a parlare «sai, esisono moltissime testimonianze greche nel mondo, basti pensare all'Italia, in Sicilia, colonia greca, chiaramente. E chi, ai giorni nostri, non conosce la mitologia? Sono nati libri, opere, sculture, scenografie..dimenticandoci di Percy Jackson e i figli incestuosi delle divinità, Brenda, conosci il mito di Pandora?» parlò così velocemente che non capì molto ma annuì.
«Una volta, ai tempi dei tempi, quando agli uomini era concesso di sedersi al cospetto degli dei, frequentando anche la stessa tavola, viveva Prometeo, etimologicamente "colui che riflette prima". Era un Titano giusto e pietoso e provava molta compassione per gli uomini...» iniziò, mi sembrava di essere ad una lezione di epica «..per questa ragione, un giorno rubò il fuoco a Zeus visto che voleva cambiare le sorti dell'umanità, ancora primitiva. Zeus, che era il padre di tutti gli dèi, si arrabbiò tantissimo e punì in modo esemplare Prometeo. Lo incatenò per sempre a una roccia, condannandolo a essere giornalmente beccato da un'aquila che gli mangiava il fegato. Zeus volle, però, punire anche gli uomini e trovò un modo per farlo senza essere etichettato come un dio crudele» lo fissai in silenzio.
La mitologia greca non mi era mai particolarmente piaciuta, troppi nomi da ricordare, miti futili per spiegare fenomeni altrettanto futili, per di più, la maggior parte delle volte, spiegava il tutto in un modo troppo crudele e spietato, andando contro i miei principi etici e morali.
John congiunse le braccia al petto, mordendosi quasi la lingua e con uno sguardo di fuoco «quel fallito di Zeus..» iniziò ma un tuono irruppe la quiete.
John non ci fece molto caso e continuò «..ordinò al dio Vulcano di fabbricare una donna di straordinaria bellezza e chiese a tutti gli dèi di fare un dono alla fanciulla. Chi la omaggiò del coraggio, chi della bellezza, chi delle attitudini ai lavori femminili. Per questo la donna venne chiamata Pandora, che appunto vuol dire "tutti i doni". A queste regalie, Zeus aggiunse anche un vaso chiuso, raccomandandosi di non aprirlo mai» fece una pausa, fissando fuori dalla finestra «il vaso conteneva tutto il male del mondo, dico bene?» affermai.
«Per buona parte si, comunque, Pandora venne mandata sulla terra e lì conobbe il fratello di Prometeo, Epimèteo, "colui che non prevede", il quale se ne innamorò subito e volle sposarla. Prometeo cercò in ogni modo di dissuaderlo, esortandolo a diffidare di tutto quello che proveniva da Zeus. Ma sai che, quando ci si innamora follemente e, quando le divinità s'impicciano, non finisce mai bene» il mio cuore perse un battito.
Mi sentì mille farfalle nello stomaco «Epimèteo la sposò?» John annuì «il fratello era impulsivo, la sposò ugualmente. Ma Pandora non riuscì a resistere alla curiosità e aprì il vaso che le era stato regalato. A quel punto uscirono tutti i mali del mondo, come hai detto tu, che si sparsero su tutta la terra. Da qui iniziarono i problemi per tutti gli uomini. Parliamo della malattia, la morte, l'inganno, la delusione, la miseria, la violenza, la vecchiaia, l'invidia e tutto il male esistente nel mondo.»
Si girò verso di me, guardandomi con uno sguardo pieno di gelo «solo una non riuscì ad uscire ed è quella di cui nessuno parla» lo guardai interrogativa «l'Elpìs non riuscì ad uscire, etimologicamente la speranza, ed è così che sono nati gli Elphis» rimasi incatenata al letto, senza capacità di potermi muovere.
Adesso mi era tutto chiaro, era come se un libro si fosse aperto e avesse aperto anche la mia consapevolezza. Jason me l'aveva ripetuto più volte, e, altrettante, avevo negato. Ma adesso era chiaro, il puzzle si stava pian piano ricostruendo.
Ebbi paura di Simon, di John, di Mia, di Abigail, di Oliver e di Matthew, perchè ormai era chiaro chi fossero.
John mantenne le distanze «quindi, sareste Elphis?» domandai, avevo la gola secca e una voglia matta di vomitare.
Mi ripetei mentalmente di quanto fossi rammolita e ridicola, il moro fece spallucce «nemmeno morto, Matthew, Lydia, Abigail, Layla e Simon lo sono. Mia è umana mentre io e Oliver siamo sciamani, Adam e Paul sono vampiri invece» strizzai gli occhi e me li massaggiai lentamente, troppe informazioni tutte insieme e John parlava come se tutto questo fosse normale, come stava facendo da un bel po'.
Rimasi così scandalizzata che non riuscì a proferire parola per minuti interi «ma per favore John, non mi meraviglierei se tra poco spuntassero elfi, folletti, fate, stregoni, lupi mannari, streghe e eroi» lui rise e alzò un sopracciglio «e perchè secondo te hanno tutti paura del bosco vicino casa?» mi ammutolì.
Una parte di me sapeva che John stesse dicendo la verità, l'altra invece non ci riusciva.
Mi sembrava di vivere in un libro fantasy ed io odiavo i fantasy. Troppo stupidi.
Ma la vericità del suo sguardo e la convinzione mi fece intendere che era tutto vero. Mi alzai titubante dal letto «se è vero, perché Simon non me l'ha detto?» John rimase seduto e fece spallucce «avrebbe dovuto?» mi sentì messa al muro e non riuscì a proferire parola.
Ma per quanto i pezzi si stessero riconciliando piano piano, continuavo a non capire. Se Adam e Paul, rispettivamente fratelli di Lydia, erano vampiri, com'era possibile che lei fosse un'Elphis? C'era qualcosa che non quadrava, ma decisi di non fare più domande «questa conversazione non è mai avvenuta, sono stato chiaro?» il modo in cui si rivolse non ammetteva repliche ma mi diede fastidio.
Incavolata nera e con la testa lancinante, fissai John, come se avesse due teste «sei speciale Brenda, non dimenticarlo, prima che sia troppo tardi» e, mentre mi sussurrava quelle parole, iniziai a vedere doppio e svenni nuovamente.
***
Mi svegliai verso le cinque del pomeriggio, il dolore alla testa non sembrava essere sparito ma solo indebolito.
Non non ci feci molto caso.
John era sparito ma le sue parole mi erano rimaste impresse in mente.
Avevo la gola secca ed una gran voglia di piangere, volevo ritornare al primo giorno di scuola, volevo non aver conosciuto Simon e non avrei voluto innamorarmi di lui.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene, nonostante Jason non ci fosse più, il pensiero che potesse seguirmi non mi dava pace. Mi sentivo debole, mi sentivo insicura.
Avevo un costante bisogno di essere protetta, da sola non ero in grado di muovere nemmeno un muscolo. E poi, il risvegliarmi sempre nello stesso identico modo, il non sapere mai nulla, mi aveva stufata. Mi sentivo chiusa in gabbia, mi sentivo come se non potessi più respirare come una volta.
Stavo trascurando il mio lavoro, la mia vita e me stessa, stavo buttando anima e corpo in qualcosa di surreale, di inverosimile.
Spostai cautamente le coperte e sentì aprire la porta, prima che potessi fare qualsiasi cosa, il mio cuore si fermò.
Simon era davanti a me, indossava ancora i vestiti del giorno precedente, i capelli erano un pò disordinati e gli occhi azzurri mi fissavano, in attesa di qualche mio movimento. Una ciocca rossa mi ricadde in faccia, la spostai prontamente e mi alzai, con fatica, dal letto.
Mi sentivo prosciugata, nonostante avessi dormito per più di dodici ore «ciao» cominciò.
Fece per avvicinarsi ma si fermò velocemente.
Nonostante dovessi avere paura di lui, non ci riuscì, non riuscivo a temerlo.
Non quando sapevo perché mi avesse ferito così tante volte, non gliene facevo una colpa.
Era il suo modo per proteggermi, suppongo.
Probabilmente mi facevo troppi film ma era l'unica àncora di salvezza e pensiero a cui potessi aggrapparmi «ciao» risposi.
Mi sentivo a disagio, non sapevo come comportarmi ma avevo bisogno di sciogliere il ghiaccio «ho visto che avete trovato John» un lampo di preoccupazione gli attraversò gli occhi celesti ma così com'era apparso, scomparve.
Si mise le mani in tasca e si sedette accanto a me.
Ogni volta che lo vedevo, non potevo far altro che trattenere il respiro e contare fino a cinquanta. Era pazzesco come la sua presenza mi irritasse e mi sciogliesse allo stesso tempo.
Soffrivo forse di doppia personalità? Probabile.
Simon si passò la lingua tra le labbra e il movimento fu automatico, i miei occhi si spostarono verso la sua bocca.
Mi sarebbe piaciuto baciarle, chissà cosa si provava.
Lui, sembrò accorgersi così tanto del mio gesto, che ghignò.
Alzai immediatamente lo sguardo e tossì «come ti ho detto ieri, è stato lui a trovare noi» la storia non mi convinceva per nulla.
Aggrottai le sopracciglia «come ha fatto a trovarvi se non era in ottime condizioni?» tra l'altro mi sembrava freschissimo, se mi aveva praticamente tagliato la testa in due.
Lo sguardo di Simon si fece duro e si alzò dal letto, dirigendosi verso la porta «e, come ti ho già detto, non sono affari tuoi» disse secco.
Qualcosa al centro del mio stomaco bruciò, mi alzai in piedi e mi diressi verso di lui.
La differenza d'altezza mi rendeva sempre ridicola ma in ogni caso, nulla era paragonabile alla rabbia che sentivo dentro.
«No, invece penso proprio che siano affari miei, eccome» avevo voglia di sputargli addosso tutte le mie emozioni contrastanti e i peggiori insulti esistenti, volevo dirgli che sapevo tutto ma mi contenni.
Tutto a tempo debito, come aveva detto John.
Almeno, era quello che volevo fare, teoricamente... «perchè non mi sembra che sia la prima volta che io mi svegli in camera tua con il vomito alle stelle e con la testa dolorante. Con uno psicopatico che si lamenta dentro la mia testa che puzzo. E sai la cosa divertente? Puzzo di te, il mio odore non è minimamente paragonabile al tuo. È assurdo, non ha nemmeno senso l'ultima frase che ho appena detto, sto delirando» ormai ero un fiume in piena «per di più vengo messa sempre in secondo piano, sto sempre all'oscuro di tutto e sono sempre in pericolo di vita. Mi trattate come se fossi stupida, bene, se lo pensate, vi farò capire che vi state sbagliando, e anche di grosso!» Gli occhi di Simon iniziarono a brillare, letteralmente.
Non era la prima volta che succedeva ma ogni volta faceva un certo effetto.
Erano bellissimi ma così belli, quanto letali.
Non erano mai un buon presagio: avrei voluto mordermi la lingua ma ormai era troppo tardi. Sentì la stretta al mio polso e sobbalzai, Simon mi fissava con i suoi occhi lucenti e magnetici.
Non riuscì a distogliere lo sguardo ma mi morsi il labbro inferiore, il mio sguardo si fece molle, così come le mie gambe. Per quanto fosse una semplice stretta, mi stava facendo male e non poco «ripeti quello che hai detto» tuonò.
In lui non riconoscevo nulla di Simon, lo sguardo era di fuoco, aveva la mascella contratta e sembrava non provare nulla.
Era vuoto.
Pensavo di non avere paura di lui ma in quel momento ero terrorizzata «togliti, mi stai facendo male» tuonai a mia volta ma lui non si scansò.
Si fece più vicino, guardarlo in faccia mi faceva male ma era pur sempre Simon.
Mi sforzai e raccolsi tutto il mio coraggio o almeno, quel poco che mi rimaneva, sapevo che non mi avrebbe fatto male, non era da lui, qualunque cosa fosse «ripeti Brenda» urlò.
La sua presa si fece più forte e sentì la mia carne bruciare, la pelle contoncersi.
Strozzai un urlo e una lacrima cominciò a scendermi, seguita da altre.
Con la mano libera cercai di scansarlo ma era troppo forte.
Solo quando singhiozzai i suoi occhi si spensero.
Si guardò intorno, confuso e mi fissò negli occhi colmi di lacrime.
Il mio cuore perse un battito mentre la presa diminuiva, avevo cinque dita stampate nell'avambraccio, all'altezza del polso.
Faceva ancora male ma mai quanto mi faceva male la vista di Simon in quel momento «io..non so cosa mi sia preso, mi dispiace..io..» provò a dire ed io scoppiai più forte in lacrime.
Era da ipocriti dire che ero terrorizzata dal ragazzo di cui avevo una cotta?
Mi prese per la nuca e mi abbracciò, fu un gesto inaspettato ma che apprezzai ugualmente...in un certo senso «l'unica cosa che non volevo, era farti del male» mi accarezzò la testa ed io mi morsi forte le labbra, il dolore all'avambraccio mi stava rodendo dentro.
Mi staccai prontamente da Simon, lo guardai in faccia e scossi la testa, ancora in lacrime «mi dispiace» strozzai un singhiozzo e poi, superandolo, corsi fuori dalla porta.
Sapevo che non mi stava seguendo, era sempre stato più veloce di me, poteva arrivarmi di fronte in un batter d'occhio.
Questa consapevolezza mi fece male ma non potevo certo sperare che mi seguisse sempre e per sempre, ero egoista, ma non me ne pentivo assolutamente.
Scesi velocemente le scale e arrivai in soggiorno, mi fissarono tutti.
Mia era avvinghiata a John, che mi fissava con uno sguardo di rimprovero.
Tirai su col naso, c'erano veramente tutti, compresi due ragazzi che non avevo mai visto. Layla era seduta nella piccola poltroncina, seduta sopra un ragazzo biondo, che pensai fosse Adam.
Si avvicinò a me e mi prese il braccio.
La vidi impallidire ma adesso che sapevo tutto, mi scansai anche da lei, abbassando la manica del giubbotto di Simon, che ancora indossavo «mi dispiace» singhiozzò.
L'aria si fece pesante e senza rispondere, mi voltai e corsi fuori dalla porta, il più lontano possibile da casa mia e da loro.
Corsi a perdifiato verso il laghetto vicino casa, non avevo mai corso così tanto, sentivo l'ossigeno nei polmoni e l'aria fresca a contatto con le mie lacrime calde.
Ma non vidi una pietra e persi l'equilibrio, chiusi gli occhi, preparandomi ad una caduta fatale.
Ma l'impatto con la terra non arrivò mai.
Mi sentì prendere per la vita e sbattei contro un petto che non riconoscevo.
Impallidì, pensando al peggio e, divincolandomi, mi scansai.
Davanti a me, lo sguardo profondo e dolce di Leo mi penetrò l'anima.
La sua bellezza mi faceva sempre un certo effetto, ma rimaneva pur sempre un coglione.
«Cosa ci fai qui?» domandai con il fiatone.
Lui mi guardò sorridendo «o forse è il contrario. Cosa ci fai tu qui, Brenda?»
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