Chapter XII - Secrets

Seguimmo Simon e gli altri senza fiatare, la situazione non era di certo delle migliori e Mia sarebbe sicuramente morta di paura e di collera.

Le ore passarono con una tensione che arrivava alle stelle, la bionda voleva andare subito a casa, andare da John ma nessuno glielo permise. Simon aveva detto che John fosse al sicuro, insieme a Matthew, il quale, non era presente in classe.

Le ore buche le passammo a consolare Mia che non faceva altro che piangere. Sicuramente sapevano tutti qualcosa ma non parlarono, fino all'ora di pranzo, quando con un permesso speciale, tutto il gruppetto uscì da scuola.

Effettivamente, notai solo adesso, fu strano come loro potessero fare qualsiasi cosa: potevano entrare a scuola quando volevano, uscire quando volevano. E nessuno diceva niente. In più, sembravano non amare particolarmente gli altri gruppetti, ad eccezione di Mia e Abigail.

In ogni caso, quando loro stavano con me, tutti gli altri tendevano ad allontanarsi e ad allontanarle. Ma forse mi stavo facendo solo paranoie inutili.

Camminai distrattamente, scalciando i sassolini che trovavo per terra. A differenza degli altri, che erano ansiosi e sul punto di scoppiare in una vera e propria crisi d'ansia, io non lo ero affatto. Cioè si, potevo essere in pena per Mia e gli altri, tra l'altro anche per John stesso ma non lo conoscevo, quindi non potevo avere una visione di lui uguale o diversa. Ero pur sempre la nuova arrivata, nonostante dovesse esserlo Simon.

Mi sembrava come quei libri di fantascienza con la storia d'amore di sfondo che mi piaceva tanto leggere. La protagonista -nuova arrivata- in un paesino sperduto che non comprende cosa succede. Il bad boy di turno e la sua scooby gang.

Ed io mi trovavo in una situazione del genere con l'unica differenza che io non mi ero trasferita da un altro luogo e che dovevo conoscere tutto, invece non conoscevo niente. E Simon poteva benissimo essere il bad boy che tecnicamente doveva essere la ragazzina indifesa appena trasferita.

Qui invece era tutto il contrario, Simon sapeva giostrarsi bene in qualsiasi situazione e aveva tutto sotto controllo.

Al contrario, io sapevo solamente creare casini e non capire un tubo.

Ottimo così Brenda, vedrai che andrai avanti nella vita e brillerai soprattutto per intelligenza.

Oliver stava parlando animatamente con Abigail e mi meravigliai del fatto che non stessero litigando, beh, buon per loro. Chiamarono Simon e lo fecero avvicinare, parlarono per molto, mentre Mia continuò a camminare. Avrei tanto voluto seguirla ma non ci riuscì.

Non perché non volessi ma perché stavo cercando di capire cosa stessero dicendo i ragazzi.

Ma la risposta non tardò ad arrivarmi. Simon si girò verso di me e mi venne incontro, la mascella tesa, le labbra carnose inclinate e gli occhi rabbiosi.

Mi strinsi sulla mia giacca, faceva davvero freddo e oggi ero uscita soltanto con una giacca leggerissima.

Mi guardò negli occhi «Brenda, dovresti tornare a casa» lo fissai anch'io ma con uno sguardo interrogativo «perché?» doveva uscirne qualcosa di autoritario ma non fu affatto così.

Lui incrociò le braccia al petto «Brenda, torna a casa o perlomeno a scuola» dal suo sguardo capì che non ammetteva repliche e, onestamente, non avevo voglia di litigare.

Guardai gli altri aspettarlo e, sospirando, annuì.

Mi girai per andarmene ma non feci nemmeno un passo che mi sentì chiamare «dove credi di andare con quella tovaglietta?» indicò il busto e abbassai lo sguardo, capendo che stesse parlando della mia giacca.

Si tolse il suo giubbotto di pelle e me lo tirò letteralmente addosso.

Feci fatica a prenderlo, visto che ero abbastanza impreparata e, per essere un giubbotto, era abbastanza pesante e enorme.

Me lo misi velocemente mentre lui rideva «smettila di prendermi in giro ma apprezzo il pensiero» lui fece spallucce e tornò dagli altri.

Dal canto mio, feci marcia indietro e svoltai il vialetto che mi avrebbe portato a suola.
Ma ovviamente, non ci andai.

Mi sporsi per vedere se Simon stesse per andarsene, quando mi sentì picchiettare su una spalla.

Mi girai, in tempo per evitare lo sguardo di fuoco di Jason.

Mi ghiacciai sul posto e una paura angosciante, oscura e paralizzante, mi arrivò come una doccia fredda.

Cercai comunque di restare tranquilla e di non cadere nel panico, non con lui davanti.

Non l'avevo mai incontrato di presenza, se non nei miei incubi o nella mia testa e questo mi fece deglutire una quantità immensa di saliva «il suo giubbotto ti dona» cominciò, girandomi intorno e mettendosi le mani del naso «ma ha anche un odore tremendo.»

Respirai profondamente e chiusi gli occhi, maledicendomi mentalmente «Jason» dissi, fredda, come se in realtà la sua presenza fosse qualcosa di normale e per niente pericolosa «che cosa vuoi?»

Il rosso battè le mani e cominciò a ridere «ahhh, vedo che le cose tra di voi non sono cambiate» cominciò a ridere come uno psicopatico e i canini s'intravidero subito.

Mille brividi mi oltrepassarono la schiena, non avevo una bellissima esperienza con quei cosi.

«Ed io vedo che la tua pazzia non è passata» dissi, a fatica, la paura si stava impossessando di me, sempre più forte.
Jason rise «lo fai sembrare un male mentre la pazzia è un bene. E tu...» disse, indicandomi con un dito «dovresti saperlo bene» evitai categoricamente l'amichevole battuta e mi strinsi nel giubbotto di Simon.

Nonostante lui non provasse niente, così come diceva Jason, ero contenta di poter almeno avere qualcosa di suo. Respirai il suo profumo, come se potesse salvarmi.

Se Simon fosse stato lì avrebbe saputo cosa fare, nonostante non fosse di quel mondo.

Ma un flash mi balenò in mente, perché io non potevo vedere John e tutti gli altri si?

Jason rise nuovamente «ci sei arrivata, mia cara?» lo guardai confusa e la voce mi mancò.

Guardai il rosso e aggrottai le sopracciglia, prendendo un respiro profondo. Dovevo portarmi Jason dalla mia parte, nonostante sapessi che voleva rendere la mia vita un inferno e voleva Simon, per non so quale motivo.

Mi guardai intorno, non avevo via di fuga, se non un idrante antincendio, posto nel vicolo e un telefono di salvataggio.

Avevo bisogno di risposte e di salvezza «Jason, non avrei mai pensato di dirlo ma sei l'unica persona di cui possa fidarmi in questo momento» lui rise di nuovo, forte e da psicopatico ma poi si rabbuiò e mi prese per il collo.

Strozzai un urlo e cercai di prendere aria, sbattendo violentemente la schiena contro il muro mentre un dolore lancinante mi arrivò dritto al cervello.

Con le mani, afferrai il braccio di Jason, cercando di toglierlo dal mio collo ma non ci riuscì.

Era troppo forte. «Parliamoci chiaro bambolina, mi basterebbe girare il braccio per spezzarti il collo e ucciderti immediatamente. Andrebbe anche a mio vantaggio, visto che, uccidendo la principessina di Simon, lui sarebbe pronto ad ammazzarmi. Ma mi servi viva, quindi niente giochetti. Ricordati che io controllo la tua mente, so cosa vuoi, cosa pensi, i tuoi desideri più oscuri. So tutto» mentre Jason continuava a parlare e le forze mi stavano abbandonando, allungai un braccio e presi l'idrante, sbattendoglielo violentemente in testa.

Lui cadde a terra, non uscì sangue e la testa nemmeno si fracassò «e tu, tu ricordati che non ho bisogno di essere controllata» sospirai e, respirando, provai a riprendere fiato, correndo dalla parte opposta.

Jason era un vampiro, l'idrante non l'avrebbe messo a tappeto e dovevo correre subito al riparo. Mentre correvo, mi girai svariate volte e una gastrite fortissima mi fece bruciare lo stomaco.

Avevo una paura tremenda e dopo l'azione appena compiuta, mi avrebbe uccisa di sicuro. Riguardai avanti e Jason mi apparve a un palmo dal mio viso. Mi fermai con il fiatone e il cuore a mille.

Lui si stiracchiò e, con le mani, si scrocchiò il collo «lo ammetto, hai un bel coraggio per essere una ragazzina indifesa» il vento si alzò, così come i miei capelli.

Guardai Jason con uno sguardo fiero e duro, se proprio dovevamo farla finita, che farla adesso.

Lui si avvicinò velocemente con un palo in mano «no, non voglio ucciderti ma solo farti male come tu hai fatto prima con me, resterai viva, vedrai» e prima che potessi rispondere o che potessi dire qualsiasi cosa, il palo venne a contatto con le mia testa e caddi a terra.

Non sentì nemmeno dolore da quanto il colpo fu forte ma ne avrei risentito sicuramente dopo.

***

Mi svegliai ore dopo, non saprei dire per quanto restai sdraiata a terra, in un vicolo cieco.

Provai ad alzarmi ma un dolore alla testa non me lo permise, mi toccai la fronte, e venni a contatto con qualcosa di caldo e liquido. Abbassai le dita e rabbrividì alla vista del sangue sulla fronte.

Mi alzai barcollante e strisciai lentamente verso casa mia, la testa mi faceva malissimo e vedevo doppio.

Alzai lentamente gli occhi, faceva già buio.

Il tragitto verso casa mia fu lungo e faticoso e, quando suonai al campanello, mi ricordai solo adesso che mia madre avrebbe passato due settimane in Florida per una conferenza stampa, che Dylan fosse con la sua fidanzata e che Chiyo fosse a riposo.

Dovevo solo alzarmi in punta di piedi e prendere le chiavi di casa sopra la porta ma non ci riuscivo.

Mi girai debolmente quando mi sentì chiamare «Brenda, che sta....» Simon mi venne incontro e si bloccò alla mia vista, probabilmente dovevo sembrare uno zombie.

Mi venne subito incontro e mi sorresse dai fianchi, onestamente non sapevo cosa dire e fare, non avevo nemmeno voce e stavo da schifo. Come riuscissi a stare ancora in piedi, non lo sapevo nemmeno io.

E come facesse quel ragazzo ad arrivare sempre al momento giusto, non ne avevo idea.

«Simon...» sussurrai, non avevo nemmeno le forze di salutarlo e mi sentì una rammollita.

Lui non disse nulla e mi caricò in spalla «dai andiamo a casa» e prima che svenissi, come sempre, tra le sue braccia, lo sentì nominare il nome di Jason o forse era stata solo la mia immaginazione.

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