Chapter VII - Leo
La mattina dopo rimasi tutto il giorno chiusa in camera mia a fissare il soffitto, nell'attesa di sistemare i miei pensieri.
Nemmeno il tempo, nemmeno un secondo, nemmeno un minuto che avevamo nuovamente litigato.
Sbuffai frustata e cominciai a contare le stelline attaccate al mio soffitto.
Le avevo attaccate da bambina, lo spazio mi aveva sempre affascinata ed avevo una passione per le stelle, così tanto che avevo fatto girare a mia madre tutti i negozi esistenti per trovarmele.
Alcune, nel corso degli anni, si erano spiccicate, mentre altre erano ancora incollate, in attesa di illuminarsi quando spegnevo la luce.
Erano davvero belle ma adesso erano fastidiose, non avevo più paura del buio come un tempo.
Ancora sdraiata sul letto, girai lentamente la testa verso la finestra.
Simon non c'era, non che mi importasse davvero, dopo l'orribile "scoperta" fatta su me stessa, non volevo proprio vederlo.
Eppure mi chiedevo se il mio comportamento cambierà, o meno, appena l'avrei rivisto a scuola.
Per adesso non avevo mai pensato a Simon come un mio presunto "ragazzo" o "la persona che mi piace" perché principalmente io e lui passavamo la maggior parte del tempo a scannarci a vicenda e io avevo altri pensieri per la testa, che erano stati tutti offuscati da lui.
Uno di questi era Dawson.
Mi grattai la testa e lui mi tornò in mente, mi tornarono in mente i suoi occhi verdi, così lucenti, così vivi, così rossi.
Si rossi, perché lui era un vampiro, non era umano.
Fino ad ora stentavo a crederci, soprattutto perché non mi ricordavo nulla se non Simon che mi aveva portata via da lì, magari gli aveva lanciato addosso quella luce così familiare, quella luce che mi ricorda così tanto Simon.
Mi massaggiai gli occhi con le dita quando Dylan bussò alla mia porta «Brenda è ora di andare agli studi» sbadigliai e scossi la testa.
Mi ero completamente scordata del mio lavoro e proprio oggi cominciavo un nuovo progetto "Sulle ali del destino."
Si, un nome strano per un autore strano.
In poche parole sono stata scelta come protagonista, una pallavolista di successo che da un giorno all'altro si ritrova un ragazzo orfano come suo nuovo allenatore.
Tra i due é odio a prima vista ma sarò proprio io a capire che in realtà mi ero follemente innamorata del mio allenatore di quattro anni più grande di me.
Bello scherzo del destino, non credete?
Mi alzai dal letto e, ancora in pigiama, mi diressi lentamente verso la porta.
Dylan era ancora lì dietro e potevo percepire il suo respiro irregolare attraverso la porta.
E sempre lui, stava poche volte senza la sua amica "ansia" e quando non l'aveva....beh, gli veniva l'ansia di non avere ansia.
Insomma, era una persona ansiosa.
Aprì la porta e mi fissò dal basso verso l'alto, aggrottando a tempi alternati le sopracciglia «Brenda ma non sei ancora pronta!» urlò, chiudendomi la porta in faccia.
Era ingiusto, era camera mia, solo io potevo farlo!
Capendo di dovermi preparare, mi infilai a caso una vecchia tuta e corsi fuori da Dylan, il quale, dopo avermi guardata male, mi fece cenno di andare verso la macchina.
Acconsentì annuendo, era raro che lo ascoltassi o non me ne uscissi con una mia "amichevole" battuta, ma oggi ero di cattivo umore e avevo delle evidenti borse sotto gli occhi che mi facevano apparire ancora più triste di quello che già ero.
Il punto è che, avendo capito ciò che io provavo per lui, non capivo ancora cosa lui provasse per me.
Era l'ex di Lydia, ok si lo sapevo.
Passava molto tempo con lei, si lo sapevo.
Era 24h su 24h a casa sua, si lo sapevo.
Gli stava addosso tutto il tempo, si lo sapevo.
Era frustrante sapere tutto, io di solito non sapevo nulla!
E quando sapevo tutto beh....è frustrante sapere tutto fin troppo.
Salì annoiata in macchina, mi misi la cintura e guardai per tutto il tragitto il paesaggio attorno a me.
Non che ci fosse tanto da vedere oltre palazzi, palazzi, persone, strade, palazzi, palazzi e....ho già detto palazzi?
Dylan non disse nulla e gli fui grata per questo.
Volevo sprofondare.
Volevo nascondermi.
Ma sono rimasta lì seduta e immobile senza sbattere ciglio.
***
Quando arrivammo agli studi Lyon mi venne incontro.
Aveva i capelli viola spettinati e un sorriso gli incorniciava il volto.
Come suo solito portava la trombetta nella mano sinistra, accompagnata dalla solita camicia blu che rispecchiava i suoi occhi.
Appena mi vide i suoi occhi si addolcirono un po' e mi squadrò da capo a piedi.
Ricambiai debolmente il sorriso e lo salutai con la mano «ciao Lyon» lo dissi piano, come un sussurro flebile ma lui non si scompose.
Era chiaro che stesse provando compassione per me, lo capì subito.
Eppure non disse nulla.
Un po' gli fui grata per questo, odiavo quando qualcuno provava pena per me.
Mi faceva sentire debole, insicura.
«Ciao Bree, non ci vediamo da tanto, ti trovo bene» ok, questa poteva risparmiarsela.
Risi ironica e lo fissai negli occhi.
Erano di un azzurro intenso, un azzurro in cui potevi annegarci dentro.
Erano belli da impazzire ma non erano gli occhi vispi e azzurri di Simon.
«È bello rivederti Lyon, gentile come al solito» gli dissi, strofinando le mani nel pantalone della vecchia tuta, che stavo indossando.
L'avevo messa per stare comoda e comunque mi sarei cambiata in camerino con i vestiti del set.
Lyon ricambiò la mia risata ironica «sempre felice di farti tornare il buon umore» dopo questo tossì, per qualche secondo e ritornò serio «sai già che interpreterai Leslie e io Logan giusto?»
Dylan era stato in silenzio tutto il tempo, immobile, dietro di me.
Mi aveva detto di questo lavoro giorni fa, non mi aveva dato i nominativi del cast che avrebbe lavorato con me ed io avevo accettato senza esitazione, confusa dai miei stessi sentimenti.
Volevo provare a conoscere gente nuova, magari Logan sarebbe stato un ragazzo che io non conoscevo.
Fissai Dylan, intento ad asciugarsi il sudore dalla fronte con un fazzolettino.
Cercai di sforzare un sorriso verso Lyon «non sapevo avremmo lavorato insieme» Lyon rise, una risata triste e vuota «Brenda hai letto il copione?» ero stata occupata in questi giorni, quindi direi di no.
Con Simon, Lydia, vampiri e tutto il resto, non avevo avuto modo di leggerlo.
Il mio silenzio fece intendere tutto
«Logan e Leslie sono fratelli» abbassai la testa per la vergogna e per la figuraccia che avevo fatto.
Stavo per rispondere quando un ragazzo urlò verso me e Lyon
«venti minuti e iniziano le presentazioni per il film. Testa viola meglio se ti sbrighi e tu, con la tuta, non stiamo facendo jogging» sentì una vena del mio collo pulsare.
Ero irritata e sicuramente la sua fastidiosa presenza non mi avrebbe aiutata.
Sentì dietro di me Dylan sbuffare e imprecare mentre Lyon stringeva i pugni.
Cominciai a muovermi verso quello stronzo di ragazzo nel farlo avevo dato una spallata a Lyon per spostarlo.
Sicuramente l'avrò ferito per la mia "delicatezza" verso i suoi confronti, e mi dispiaceva per questo, ma ero abbastanza arrabbiata oggi e mi infastidiva ancora di più il ragazzo di fronte a me, intento a fissarmi con un sopracciglio inarcato.
Appena arrivai di fronte a lui notai la differenza d'altezza che ci differenziava.
Io ero alta 1.64 circa mentre lui era alto almeno 1.87.
Era più alto di Simon.
In ogni caso alzai la testa in alto, in segno di superiorità mentre lui se la rideva.
Ad un certo punto mi venne in mente Simon e davanti a me improvvisamente apparve lui.
Le lacrime cominciarono a salirmi mentre "Simon" iniziava a parlare «allora nanetta che vuoi farmi?» mi risvegliai dal mio stato di trance.
Come avevo fatto a scambiarlo per Simon?
I suoi occhi erano di un nocciola chiarissimo e aveva i capelli castani scompigliati.
Il fisico era abbastanza muscoloso ma era troppo alto rispetto a lui.
E dannazione non aveva i suoi occhi!
Ok si lo ammetto, ero fissata con gli occhi di Simon ma cosa potevo farci?
Erano così belli.
Dietro di me Dylan e Lyon cercavano di capire qualcosa, in effetti volevo capire anch'io.
Gli puntai il dito nel petto, dove effettivamente arrivavo io «tu piccolo mostriciattolo!» urlai «a chi hai detto nanetta? Ho la tuta per stare comoda e in ogni caso non devo passarti il permesso a te su come vestirmi, la prossima volta ti ci porto davvero a fare jogging!» lui mi guardò come se fossi una pazza squilibrata e mise il palmo della sua mano nella mia fronte, spingendomi via «uhh non va bene, ciclo?» mi massaggiai la fronte e sentì Dylan ridere.
Mi girai verso di lui e lo fissai male, Dylan tossì rumorosamente poi si ricompose
«tu hai il ciclo. Sei grande e grosso ma hai l'amichetto così» aprì di pochissimo il pollice e l'indice e lo indicai.
Soddisfatta lo oltrepassai dandogli una spallata.
Stavo quasi per varcare la soglia del mio camerino quando mi fermai a guardarlo «ah comunque se ti serve un assorbente sai dove trovarmi» lui si mise le mani nei fianchi e scoppiò a ridere «sono Leo Suzuki piacere di conoscerti Brenda Kylei»
mi alzai le maniche della mia tuta extra-large e schioccai la lingua
«il piacere è tutto mio, Leo Suzuki» entrai in camerino, non prima di vedere Lyon oltrepassare Leo.
Rispetto a lui sembrava piccolo piccolo ma passò comunque fiero mentre Leo gli diede un colpo in testa «ahio» si lamentò il mio collega ed io chiusi la porta del mio camerino, trattenendo una risata.
Adoravo già quel Leo.
Eh si, forse mi ero sfogata ma mi sentivo decisamente meglio.
***
Dylan era andato via prima di me insieme a Leo e Lyon, per parlare col regista.
E adesso eccoci tutti qui, riuniti in sala prove, a darci il benvenuto e presentarci.
Il regista fu molto amichevole con noi, dandoci così tanti dolciumi e salatini che quasi non vomitavo la cena natalizia di cinque anni fa.
Fortunatamente lasciavo sempre in camerino dei vestiti "decenti" ed ora eccomi qui con dei jeans, un top e dei bellissimi stivali neri, bell'accoppiamento direi.
Mi guardai attorno bevendo tranquillamente il mio succo di frutta alla pera, lo adoravo e in studio me ne facevo mettere da parte sempre qualcuno.
Il mio sguardo si concentrò su Leo, appoggiato alla parete e un bicchiere, di non so cosa, tra le labbra carnose.
Era carino si, ma al momento il mio cuore era nelle mani di qualcuno che aveva deciso di distruggerlo in mille pezzi.
Nonostante ciò, Leo aveva qualcosa che mi stregava, che mi intrigava ma non capivo cosa.
Lo fissai a lungo.
Anche lui era riuscito a cambiarsi in quegli ultimi dieci minuti e adesso indossava un pantalone nero con una camicia bianca abbinata a degli orribili polsini a pois.
Quasi non mi strozzavo ma continuai a fissarlo, perché, nonostante tutto, a lui stavano bene.
Ma nemmeno cinque secondi che fui beccata, Leo si era accorto che lo stavo fissando e ora mi aveva fatto l'occhiolino.
Gli sorrisi e decisi di flirtare un po', non c'era niente di male.
Comunque con "flirtare" intendevo fare amicizia con battutine e non come in realtà avrete pensato.
Credo avessimo avuto la stessa idea perché lui si avvicinò a me finché non me lo ritrovai davanti a me, in tutta la sua altezza a un palmo dal mio naso.
Lo fissai negli occhi, così grandi, così con una gran voglia di vivere, di divertirsi e ripensai a Simon.
Ripensai al nostro primo incontro, alla nostra prima litigata.
Inarcai le sopracciglia e lo allontanai con una gomitata.
Lui fece una finta faccia da cucciolo ma non protestò «belle scarpe» mi disse quasi sul punto di ridere.
Lo fissai male e mi morsi il labbro inferiore «bei polsini» scoppiamo insieme a ridere e cominciammo a parlare del più e del meno.
Dopodiché il regista diede i vari ruoli ed io e Leo fummo scelti come protagonisti, io non rimasi meravigliata dal mio ruolo, lo sapevo già ma non credo fosse così per Leo che saltellò felice come una pasqua.
Presi un altro po' di succo alla pera mentre Leo me lo toglieva di mano
«ma che fa..» non finì la frase che Leo prese bottiglie di non so che cosa e mi versò il liquido in un bicchiere pulito.
Storsi la bocca riconoscendo l'odore della vodka alla pesca «tranquilla, è analcolico»
le lacrime minacciarono di risalirmi ma le ricacciai indietro: "non qui", mi ripetevo, "non con lui."
Annuì poco convinta e pensai che stavo diventando davvero una frignona.
Mi armai di coraggio e presi il bicchiere tra le mie esili mani.
Ne bevvi un sorso e la gola iniziò a bruciarmi, però mi piaceva e me ne feci versare altri due o forse erano tre?
Cominciai a perderne il conto e a non capirci più nulla, tutto girava, pulsava ma nessuno si accorgeva di nulla.
Ridacchiai quando sentì un tuono e ridacchiai quando Leo si avvicinò a me.
Lo fissai avvicinarsi e la faccia di Simon ricomparve nuovamente, quel ragazzo era ovunque «sei ubriaca» ridacchiò Leo nel mio orecchio e io lo scansai.
Non capivo nulla ma cominciai a ridacchiare nuovamente e uscì dalla stanza.
Nessuno si stava accorgendo di niente.
Volevo vederlo, volevo vedere Simon.
Che poi perché mettevano alcol in uno studio?
Per Dio, ero astemia!
Corsi fuori e ricominciai a ridacchiare
«piove» urlai.
Mi misi a girare in mezzo la pioggia, come un ballo.
Cantai note a me sconosciute e ripresi a correre.
Corsi a per di fiato senza mai fermarmi, nonostante il dolore ai piedi per via degli stivali.
Eppure ridacchiavo ancora.
Arrivai velocemente a casa mia e mi precipitai a casa di Simon.
Non ero lucida e lo sapevo bene, ma ci andai lo stesso.
Suonai al campanello ma nessuno mi rispose.
Suonai più e più volte, nulla.
Ridacchiavo ancora, la vista si offuscava, la testa girava.
Suonai un'ultima volta e qualcuno urlò da dentro casa «ma chi è che rompe le palle a quest'ora?» urlò, una dolcissima, voce maschile aprendo la porta.
Uscì fuori e imprecò, ancora, sottovoce
«fantastico, sta anche piovendo»
Ridacchiai più forte e Simon mi guardò male.
Poi, probabilmente capendo, si avvicinò a me con le braccia in avanti «Brenda ma che..? Sei ubriaca?» Ridacchiai ancora e quando stava per toccarmi, lo scansai.
Indietreggiai lentamente e cominciai a piangere «non toccarmi! È tutta colpa tua» urlai, ormai non capivo più nulla ed ero ubriaca fradicia.
Anche in questo stato pietoso potevo vedere i suoi occhi.
In quel momento trasmettevano terrore ma di cosa poi?
Si avvicinò più lentamente a me, la pioggia si faceva sempre più fitta ed eravamo entrambi sempre più bagnati.
Simon si muoveva lentamente, come se fossi un cane feroce pronto ad attaccarlo.
Invece in quel momento ero indifesa agli occhi del mondo, ubriaca, sofferente, pietosa
«non ti farò del male» mi disse.
Ridacchiai e smisi di piangere, mi avvicinai a lui che non si mosse
«ma tu mi hai già fatto del male»
una scintilla di confusione gli attraversò gli occhi e, quando l'ultimo fulmine scoppiò, provocando un rumore assordante, io mi avvicinai a lui e, contro ogni mia previsione, prima che me ne accorgessi, lo baciai.
Non ci stavo capendo più nulla ma intrecciai le mani sul suo collo e ridacchiai tra le sue labbra.
Poi tutto cessò, non sentì più nulla, nessun ronzio, niente di niente.
Ma lui, lui stava ricambiando il mio bacio.
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