Mani di bambina

«Mamma, posso andare a giocare fuori, ora?»
Ero seduta davanti al pianoforte da ore, sempre lo stesso spartito, sempre la stessa nota ripetuta. Le mani di una bambina di cinque anni non sono fatte per suonare quello strumento infernale!

«Te l'ho già detto, micetta. Quando sarai riuscita a suonarla tutta potrai andare.»
Mia madre se ne stava in piedi dietro di me, stretta in uno dei suoi vestiti che accentuavano la sua sinuosa figura, la stoffa rosso sangue s'abbinava col suo bel rossetto esaltato dalla candida pelle, teneva i lunghi capelli ramati raccolti in modo impeccabile e i suoi occhi scuri puntati fissi su di me da così tanto che quasi riuscivo a sentire il peso del suo sguardo sulle spalle.
La sua voce, dolce all'apparenza, mal nascondeva un non so che di terrificante. Sapevo che quando mi chiamava "micetta" si stava alterando, non avrei dovuto controbattere, ma ero solo una bambina!
Una bambina che bramava il grande giardino dietro casa come un impiegato brama il suo compenso mensile.

«Ma mamma, sono stanca...»
Le dissi voltandomi verso di lei e staccando le mani dal piano.

Grave errore.

Vidi il viso liscio e perfetto di mia madre tramutarsi in una smorfia d'ira.

Odiavo quando faceva quella faccia, finiva sempre male per me.

Mi strinsi nelle mie esili spalle e strizzai gli occhietti verdi come a volermi difendere da un mostro.

«Oh, povera la mia piccina. Sei stanca?»

Ah, quel tono fintamente cordiale riusciva a fregarmi tutte le volte.

Annuii riaprendo gli occhioni lucidi mentre tiravo su col naso. Il labbro inferiore spinto verso l'esterno, le manine strette a pugno sopra le gambe.
Mia madre mi guardava dall'alto in basso facendomi sentire più piccola di quanto non fossi già.
«In tal caso dovresti andare in camera tua.»
Sgranai gli occhi. Tutto, ma non quello! Odiavo andare in camera mia! Scossi la testa facendo ondeggiare i capelli neri che mi accarezzavano le spalle.
«N-no! La suono bene, resto qui finché non ci riesco, non voglio andare in camera mia.»

Ma non c'era nulla che tenesse, quando prendeva una decisione non esisteva modo per farla tornare sui suoi passi.

Mi afferrò per un braccio e -ignorando le mie suppliche- mi trascinò su per le scale per poi spingermi in camera mia.
Provai a correre verso la porta, ma per quando ci arrivai lei l'aveva già chiusa.

Sentii la serratura scattare.
Ero in trappola e al buio.
L'interruttore della luce era troppo in alto perché potessi arrivarci, e anche se così non fosse stato non avrei mai avuto il coraggio di accendere la luce per paura che lei potesse accorgersene.

Odiavo il buio, chi avrebbe mai immaginato che crescendo sarebbe diventato il mio migliore amico.

La mia stanza -tutta rigorosamente in slavate tinte pastello- era posta all'ultimo piano della grande villa.
Era enorme e aveva tutto quello che una bambina potesse desiderare: un grande letto a baldacchino, una scrivania con una bella sedia imbottita, peluches e giocattoli colorati in ogni dove, qualche bambola di porcellana che mi fissava dalle mensole più alte, un armadio pieno di variopinti vestiti -che a pensarci ora erano più per un fantoccio che per una bambina- e una finestra rotonda.

Una piccola finestra rotonda nascosta dalle tende bianche che volteggiavano lente accarezzate dal vento.

Bastava spostarle per avere una perfetta visuale sul grande giardino e sulle sbarre decorate con fiori e ghirigori di freddo ferro ridipinto di bianco.

Una piccola finestra rotonda sbarrata.

Mi misi in un angolo con le gambe strette al petto mentre i singhiozzi mi facevano tremare le spalle.

Cosa volete che faccia una bambina in una situazione del genere se non piangere?!

Passarono delle ore prima che riuscissi a sentire dei passi che salivano le scale. Subito mi precipitai alla porta.
«Mamma! Mamma! Scusami! Non lo faccio più, te lo prome-»
Ma quei passi erano decisamente troppo pesanti per essere quelli della mamma...

Mi allontanai svelta dalla porta camminando all'interno e finii per inciampare in uno dei giocattoli.

Mi ritrovai col sedere sul pavimento e con una perfetta visuale dal basso della porta che si apriva.
La luce inondò la stanza, ma durò poco.

La porta si richiuse e non ero più sola

«P-papà... Io volevo solo giocare fuori...»
Dissi strisciando all'indietro finché il muro non mi bloccò.

La puzza d'alcol era tale che dovetti coprirmi il naso con entrambe le piccole mani.

Avanzava lui, senza dire una parola, lo sguardo truce. I suoi occhi chiari parevano brillare nella penombra della stanza.

A poco servì incrociate le braccia davanti al viso per proteggermi, alla fine ero solo una piccola bastarda e lui un uomo grande e grosso, succube della moglie e con un bel po' di rabbia repressa.
Era un medico, sapeva bene dove colpire.

Le mani di una bambina di cinque anni non sono fatte per difendersi.

★★★
Ve lo aspettate un capitolo di lunedì? Beh, io no XD l'ho scritto pensando di pubblicarlo in seguito, ma visto che era pronto mi sono detta "ehi! Perché non pubblicarlo subito?" e quindi eccolo qui tutto per voi!
Era così carina Alice da piccola, quasi mi sento in colpa a farle succedere queste brutte cose XD
Beh, grazie per essere arrivati fin qui, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :33
Misses Mad vi saluta! ❤✨

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