Buon Natale

Il tempo non si ferma, corre veloce e porta via con se i giorni, le settimane, i mesi e gli anni...

Il tempo passava e io crescevo.
Crescere non è mai una cosa positiva, soprattutto per la situazione nella quale mi trovavo.

Ai mostri piacciono quelle piccole, quelle che non possono scappare, quelle che possono prendere con facilità.
Ai veri uomini piacciono le donne, quelle belle, quelle formose, quelle che possono dare l'illusione dell'amore.

Io non ero né l'una né l'altra.

Per quanto fossi rimasta minuta avevo perso il "fascino fanciullesco" o almeno così diceva Carroll.
I clienti erano decisamente più schietti nel far capire le cose.

«Così forse capiranno che non servi più a un cazzo!»
Mi disse uno dei mostri più affezionati dopo avermi marchiata con un bel taglio sulla coscia.

Stavo crescendo, era innegabile, e la cosa mi rese sempre meno richiesta al bordello.

La situazione a mia madre non piaceva nemmeno un po'...

Quella donna sapeva essere crudele come poche cose al mondo e non perse occasione di farmi pesare il suo disappunto.

La sua cattiveria dovette riversarsi anche su mio padre perché il suo problema d'alcol peggiorò al punto che trasformò la cantina in un cimitero di vetro.
Quel posto metteva i brividi.
Puzzava d'alcol e vomito, sempre in penombra e disseminato di bottiglie d'ogni tipo, sia piene che vuote.

Quella era la sua stanza, dove poteva essere padrone di sé stesso e di quello che lo circondava.

Peccato che servisse solo ad autodistruggersi.

Il disappunto di mia madre e l'aggressività alcolica di mio padre li tramutò in due esseri infernali. Per me era inutile nascondermi, loro mi trovavano e quando lo facevano per me erano guai. Le punizioni aumentarono, così come i lividi.

Avevo 13 anni quando la mia volontà cedette alla voce che continuava a gridare nella mia testa.

UCCIDILI.

Era notte fonda, ero stanca.
Gli incubi non mi lasciavano dormire e la realtà era anche peggiore.

Quello mi sembrò un ottimo consiglio, una decisione lecita. Morti loro non avrei più avuto problemi, sarei stata libera dalla loro crudeltà! Non sembrava una cosa orribile, alla fine gli animali uccidono per sopravvivere e io, lì dentro, ci sarei morta... 

I miei genitori dormivano da ore, riuscivo a sentirli respirare profondamente nella stanza accanto mentre io non riuscivo a chiudere occhio. Era irritante sapere che quei due dormivano tranquilli senza il minimo senso di colpa mentre io non riuscivo a farlo da giorni a causa loro.

Suvvia, Alice! Che vuoi che sia. Sarà veloce.

Già, veloce. Sapevo che mio padre teneva una tanica di benzina in garage, per le emergenze.
E quella era decisamente un'emergenza!

Scesi dal letto scalza e camminai in punta di piedi fino alla porta della mia stanza.
Sembrò un tragitto eterno, infinito.
L'aprii lenta, giusto quel poco che bastava per farmi uscire di lì.

Mi fermai ad ascoltare i loro respiri per capire se si fossero accorti di qualcosa, ma niente. Mio padre doveva essere svenuto per il troppo alcol e mia madre a causa di qualche sonnifero o chissà cosa.

Mi misi una mano davanti alla bocca per evitare che loro potessero sentire il mio di respiro e, quasi come se non fossi più io a controllare il mio corpo, proseguii in punta di piedi. Scesi le scale, un gradino alla volta, più avanzavo e più mi pareva di essere solo una spettatrice.

Era come se io me ne stessi dietro una cinepresa e la protagonista della scena fosse una bambina con un'azzurra camicia da notte addosso, lunghi capelli neri che le cadevano lungo la schiena e che si affrettava ad attraversare il lussuoso salone, dal soffitto alto e gli antichi mobili di legno scuro, diretta verso una piccola porta bianca che stonava con tutto il resto.
L'aprì rivelando il buio garage.
Senza paura la protagonista entrò e ne riuscì con quello che cercava: una tanica di benzina.

Pesava, ma non abbastanza da fermarla.

Risalì le scale abbracciando la tanica piena di liquido ondeggiante ed iniziò a versarlo partendo dal piano superiore, fuori la porta della camera matrimoniale, giù per le scale, nel tanto odiato pianoforte, in cucina -nella quale trovò anche in pacchetto di fiammiferi che fece sparire nel taschino della camicia da notte- e lungo il vialetto di casa.

Fuori era tutto bianco, la neve fresca ricopriva ogni cosa. Gelida e morbida sotto i miei piedi bastò a farmi riprendere il contatto con la realtà, ma non fu abbastanza da farmi comprendere quello che stavo per fare.

Il mio sguardo si poggiò placido sulla finestra di una casa vicina. L'interno era illuminato da piccole lucine intermittenti, qualcuno disponeva in silenzio degli adorabili pacchetti infiocchettati sotto un albero decorato con palline e nastrini colorati.

Erano i miei vicini di casa eppure pareva una realtà così opposta alla mia... Perché non era capitato a me? Perché io avevo dovuto soffrire tanto? Perché...

Una gelida folata di vento mi colpì in pieno viso facendo ondeggiare i miei lunghi capelli nella notte e interrompendo tutti i miei pensieri.

Cosa aspetti?

Mi voltai nuovamente verso il mio obbiettivo. Con un gesto fermo e privo d'emozioni presi la scatola di fiammiferi, ne accesi uno e osservai la piccola fiamma bruciare per qualche secondo prima di gettarlo sul vialetto di casa.

La piccola fiamma corse svelta infiammando la benzina. Il fuoco si arrampicò lungo la porta d'ingresso, esplose nel lussuoso salone arrivando a toccare l'alto soffitto e divorando l'odiato pianoforte. Le fiamme corsero veloci e inesorabili lungo le scale non dando nemmeno il tempo alle grida di uscire dalle gole dei due rimasti intrappolati.

I pompieri non arrivarono in tempo, ma come biasimarli? Era la notte di Natale e con tutta quella neve sarebbe stato impossibile.

Mi trovarono lì, a fissare il mio operato, con le fiamme che si specchiavano nei miei occhi, i piedi ghiacciati nella neve e il naso arrossato per il freddo.

Passai il resto della notte in ospedale dove numerose persone mi fecero domande su domande, alle quali io però non risposi.

Tutto mi pareva così lontano da me, come se nulla potesse davvero toccarmi.

Non ricordo molto della mia permanenza in ospedale, fatta eccezione per un uomo.

Era alto, imponente, aveva dei corti capelli castani, degli occhi che sembravano gialli nascosti da un piccolo paio di occhiali rotondi poggiati sul naso aquilino, le labbra sottili piegate in un sorriso e la barba ben curata. Portava un camice bianco e mi porse una caramella con le sue mani guantate.

Si presentò come dottor Lockwood.

«Buon Natale, piccina.»

★★★
Ve lo aspettavate che sarei tornata? Io no XD ci ho messo veramente tantissimo tempo per scrivere questo capitolo, ma proprio non riuscivo a rendere interessante la morte di quei due stronzi dei genitori di Alice. Mi scuso con tutti per l'attesa cwc
Grazie per aver letto il capitolo! Un grazie speciale a KleisWolf del gruppo Tacos-Revenge che mi ha fatto da beta per questo capitolo ❤️
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Misses Mad vi saluta~ ❤️✨

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