91- Il nostro ritorno

Tre anni dopo

P.O.V.
Nicole

Non è facile sopravvivere alla povertà del nostro mondo, ma in qualche modo stiamo iniziando a riuscirci, io e Joseph, insieme contro il resto, giorno dopo giorno. I suoi sorrisi la mattina, appena svegli, sono la giusta carica in grado di rendermi forte, battagliera, e con le forbici alla mano, pronta a cambiare l'umore di questa gente stanca alla quale voglio donare una piccola dose di felicità.

I sorrisi di Jospeh sono la giusta carica, si, ma lo è anche il pianto della nostra bambina. Il suo piccolo corpo ospita appena tre mesi di vita, ma da brava mamma quale sono, posso dire con fierezza che mia figlia porta in sé la perfezione, e una gran dose di energia: è riuscita a donare allegria più di quanto tenti di fare sua madre giorno dopo giorno, riuscendo dove lei, suo malgrado, aveva fallito. Rebecca, infatti, aveva illuminato gli occhi della sempre impegnata Celine, nella sua costante routine di donna in carriera, e l'aveva riportata alla vita, dopo la tragica morte di Kevin.

E' infatti la mia amica ad occuparsi di mia figlia nei suoi pomeriggi liberi, vestendo il ruolo di perfetta zia interessante e simpatica, piena di vizi e trucchi in grado di stregarle mente e cuore. Sarebbe stata una perfetta madre ma la vita non ha deciso così per lei. Non è importante, al mondo esiste molto altro, e Celine sembra saperlo. Da dopo Kevin non ha più cercato l'amore, e nessuno di noi tenta di spingerla a riottenerlo. Quando hai avuto tutto accontentarti di poco non ti basta.

Siamo felici, noi quattro insieme, o almeno tentiamo di esserlo. Io e Joseph non siamo ancora spostati a causa della sua famiglia che da anni mi detesta, ma anche di questo inconveniente poco importa.
L'amore non viene stipulato solo tramite l'accordo matrimoniale in un giorno di festa in chiesa, quanto nei piccoli problemi quotidiani che tentiamo di risolvere sempre insieme, scendendo a un confronto, e per quello che siamo riusciti a fare sono fiera di noi.

Ci ospita il buon umore, se solo ... alle volte, alcune nuvole grigie, non tornassero ad affacciarsi all'orizzonte, piccoli temi che nessuno di noi ha più toccato.

Da tre anni il Brunett è rimasto vuoto, e nessuno ci ha messo più piede.

Sappiamo tutti il motivo.

Ed oggi, in questa fantastica giornata soleggiata, le nubi minacciano di affacciarsi di nuovo e dichiarare tempesta, ma non mi importa perché le attento con trepidante attesa, dal momento che non vedo l'ora di risentire contro il mio viso la loro pioggia.

Gioco con le chiavi tenute tra le mani, presa dalla frenesia dell'attesa, mentre Jospeh, all'apparenza impassibile e al mio fianco, analizza il mio nervosismo in silenzio.

Ho capito bene che gli manca. L'uomo che amo non riesce a fingere e la scorsa notte entrambi siamo rimasti ad occhi aperti, nel letto matrimoniale, vittime dei pensieri. Dovrei rassicurarlo, dirgli di stare calmo e che al momento noi siamo i soli in grado di offrire il giusto benvenuto all'interno dei ricordi, perché siamo rimasti gli stessi di sempre, uniche vittime in attesa delle aspettative del futuro.

<A che cosa stai pensando?> Mi domanda a un tratto, ed io sorrido con nervosismo, senza staccare gli occhi dal termine della strada.

<Credi che ... possa diventare, tutto quanto ...>

<Diverso?>

<Si>

<Come prima?>

<Forse ... non so se augurarmelo>

Joseph sorride, allungando poi il braccio per stringermi a sé.

<Non spetta a noi decidere, dobbiamo unicamente aspettare>

Annuisco trepidante, prima di staccare solo per un attimo gli occhi, tornando a fissare le chiavi. Una sorpresa che di sicuro le piacerà.

<Dove è Rebecca?>

<L'ho lasciata insieme a Celine. Lei aveva un turno alla facoltà per cui l'ha portata con sé in città. Non preoccuparti, la riporterà in casa nostra per tempo>

<Vuol dire che sono entrambe fuori?>

<Ritorneranno per cena. Ci sarà modo di parlare tutti insieme, vedrai>

<Credo che sia impossibile questo, ormai>

Perdo per un attimo il sorriso, cogliendo la verità dietro un'affermazione simile, ma poi torno di nuovo con gli occhi sulla strada, in attesa della tempesta che presto tornerà a sconvolgere e nostre vite.

P.O.V.
Nicolas

Se tre anni fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei ritrovato in una situazione simile, giuro, non ci avrei mai creduto. Eppure eccomi qui, appoggiato con la schiena alla portiera della mia macchina, a gambe e braccia incrociate, mentre studio con sufficienza l'ingresso principale della scuola superiore a cui Briany si è iscritta nel suo primo anno.

Rimango in silenzio, sbuffando sonoramente a causa di questo nervosismo di cui mi carica il lavoro come la ragazzina che, al suono della campanella e all'uscita dei compagni, puntualmente, si dimostra l'ultima ad abbandonare la scuola. Mi chiedo se abbia stipulato un patto con i custodi oppure lo faccia unicamente per farmi arrabbiare.
Credo entrambe le cose, in questi anni ho scoperto il suo carattere così come la sua propensione nel riuscire a fare di tutto, e anche di più, se solo lo vuole.

In un'ennesima e quotidiana provocazione la scena si ripete, e al termine della mandria impazzita di ragazzi, corsi fuori dall'istituto, noto Briany vestita di quegli abiti che le avevo proibito di mettersi. Un altro sospiro di esasperazione si eleva gutturale dal fondo della mia gola, in disapprovazione, mentre mi domando perché le piaccia così tanto giocare con il fuoco dopo aver scoperto la facilità con la quale si è capaci di ustionarsi.

Corro con gli occhi lungo la sua figura, sezionandola da lontano senza che lei se ne accorga, e assolutamente prima dell'attimo in cui le sue nere pupille, scure quanto le iridi, si blocchino su di me. Il taglio affilato dei suoi occhi si fa ancora più sottile, non appena sorride leggermente preparandomi ad incassare questo ennesimo colpo. Non ho modo di prevederlo prima che, ecco ... la veda posare una mano sulla nuca di Austin, passando le dita tra i suoi capelli castani e ricci, parlando vicinissimo alla bocca di lui mentre mi fissa negli occhi.

E' sufficiente, basta a farmi scattare e allontanare dalla macchina per andarle incontro.

Vedo, sempre più da vicino, il piccolo diavolo sorridere e poi apprestarsi a baciare il deficiente di turno, del tutto predisposto, nei suoi sedici anni, a farsi fare le scarpe da una di quattordici, con l'animo mio malgrado di una donna.

Arrivo fino a loro e con una spinta riesco ad allontanare lo stupido ragazzetto che ho imparato a conoscere a fondo, venendo a coscienza di ogni aspetto della sua vita, in particolare della famiglia con la quale vive. Niente di troppo acclamante, i giovani di città non portano addosso le ferite e i traumi dei ragazzi del South Side, ma il suo carattere snob di ricco altolocato che indossa giornalmente è quanto basta a infastidirmi, senza considerare le mani con cui gli ho visto percorrere il corpo di Briany, affatto disgustata dalla premura.

<Ehi, ma che vuoi?> Domanda il piccolo snob non appena riesce a ricomporsi dalla spinta che gli ho provocato, solo appoggiandogli una mano sul petto.

<Fila via>, sibilo a denti stretti, mentre Briany, in silenzio, attende alle mie spalle. Avrò parole anche per lei, non deve temere.

<Che cosa? Stai scherzando? Non sei suo padre!>

<Si, invece>, commento, percependo subito dopo lo sbuffo della ragazzina, rimasta in silenzio durante tutta la scena.

<Lascia perdere Austin, tanto non lo capisce. Ti chiamo non appena rientro a casa, va bene?>

La sua impertinenza mette per un attimo a disagio anche il ragazzino ricco, che corre con gli occhi da me, furente e in piedi di fronte, fino a lei, civettuola e distante troppi passi perché io la possa costringere ad avviarsi verso la macchina.

<D'accordo, allora, ci vediamo>, commenta sistemandosi lo zaino in spalla, prima di fuggire via alla mia rabbia.

Con lentezza mi volto verso di lei, e i miei occhi devono sembrare capace di scagliare fulmini, come uno degli dei greci.

Ne ho tutti i motivi, e fin sopra ai capelli del carattere di lei, delle sue battutine, degli occhi con cui mi fissa, delle provocazioni e dei litigi. Adesso basta, sono io il maggiore dei due, e tre anni fa anche il solo che si era offerto di badare a lei, sotto richiesta di Trilli.

L'intero mondo è riuscito a cambiare in questo lasso di tempo e la pubertà ha creato brutti scherzi al nostro rapporto già dal principio, di per sé, complicato.

Il top che indossa le scopre la pancia e l'assenza di reggiseno mostra in piena vista i capezzoli, irrigiditi forse da questo leggero fresco primaverile.

Mi domando come la professoressa le abbia anche solo permesso di restare in classe conciata così, senza considerare i jeans strappati che mettono in mostra centimetri di pelle in una corsa fin troppo breve lungo le sue gambe snelle, ma non mi sorprenderei nello scoprire nello zaino una delle camicie a quadri che ho notato con frequenza all'interno dell'armadio, e che si è tolta solo per me.

Come ho detto, gioca con il fuoco, ma mi sono stancato.

<Dammi il cellulare>, le ordino tendendo la mano, ma Briany retrocede, stringendolo in una delle sue, nascosta dietro la schiena.

<Vieni a prendertelo>

<Sono stanco di giocare con te. Dammi quel telefono e facciamola finita>

Anche solo per il semplice fatto che, se il proprietario lo richiede, l'oggetto dovrebbe ritornare a sé. Due anni e mezzo fa sono stato io a regalarglielo, nonostante la tenera età avevo paura di perderla e avevo bisogno di tenerla costantemente sotto controllo. Periodi che mi mancano, a quel tempo Briany era un'altra ragazza, era ancora bambina, e propensa all'accondiscendenza. Sembrava quasi ... temermi, in un certo qual modo. Ora della sua paura non ne è rimasta traccia, e potrebbe essere considerata una mia riuscita per il traguardo che mi sono imposto, ma la verità è che vesto solo i panni del perdente, facendomi prendere in giro da questa ragazzina.

<Te lo scordi>, continua imperterrita, mentre vedo con la coda dell'occhio i custodi chiudere il portone, lasciandoci fuori dall'edificio quanto dentro alla recinzione scolastica, e poi andarsene.

Briany ancora arretra, obbligandomi a fare lo stesso nella solitudine di questo posto che ormai vede l'assenza di altre anime.

<Vuoi per una volta obbedirmi?>

<Perché? Tu non sei mio padre> , scandisce, facendo montare nel mio corpo la rabbia, quanto l'impazienza.

<Sono più grande di te, quindi vedi di darmi ascolto>

<Non mi piacciono gli uomini che comandano>, mi ricorda, e la mia voce si muove lungo le corde della mia impazienza.

<Briany ...>

Dovevo immaginare che l'istante dopo si sarebbe messa a correre.

Parto ad inseguirla, in questo giardino liceale che fa da confine alla sua scuola. Il gilet grigio, in tono con i pantaloni, mi toglie un po' di respiro, o forse è quello che voglio credere per non pensare a quanta poca resistenza abbia nel vestire i miei ventisei anni di età, sfidando le gambe secche di una giovane quattordicenne che nella vita non si è mai prestata ai vizi.

Nelle mie vene invece è scorso molto alcol, e parecchia nicotina di numerose sigarette. Il sopravvivere nel South Side in qualche modo ha accorciato la linea della mia vita, e me ne accorgo solo scontrandomi con la sua, e reggendo il confronto a stento.

La raggiungo, però, dal momento che la sua velocità non potrà mai battere gli svantaggi offerti dalla gracilità del corpo.

Sono un uomo, ed dopo una corsa a perdifiato, riaverla tra le braccia me lo ricorda. Tento di non pensare al fatto che riesce a rammentarlo in tutti i sensi. Non tocco una donna da mesi a causa del lavoro e della presenza di Briany a casa. Sono un uomo, mi ricordo, ma sono anche suo padre, se pure non biologico, e l'attrazione provata verso i suoi capezzoli rigidi mi macchia di disgusto, costringendomi ad allontanarla di scatto, dopo averle sottratto il cellulare.

Premo con forza il tasto di spegnimento, senza nemmeno provare a sbloccarlo attraverso il pin. Più volte, mentre era sotto la doccia, ci ho provato, ma si era dimostrato tutto vano, quindi tanto vale ricorrere alla vecchia maniera: assoluto silenzio, e mio totale controllo.

<Fatto>

<Sei uno stronzo>, mi ruggisce contro, seppure a un tono basso di voce. Avanzo di un passo, inclinando la testa di lato.

<Briany, portami rispetto>

<Perché dovrei farlo? Tu non ne porti a me!>

<Mi sono occupato della tua salute per tutti questi anni, ho cercato di farti stare bene>

<E come? Impedendomi di vestirmi come volevo? Controllandomi in ogni secondo della mia vita?> Domanda spalancando le braccia e mostrandosi con interezza, mentre il nervosismo e forse, anche per lei, la rabbia, la smuovono in un singhiozzo che le scuote il corpo.

<Sai perché l'ho fatto>

<Certo, perché te lo ha chiesto Trilli>

<No ... io ti voglio bene, Briany>

<Certo>, sussurra appena, incrociando le braccia al petto adesso, come a volermi nascondere la nudità delle sue vesti. E' così contraddittoria ...

<E' così, Briany, ti voglio bene>, affermo, avanzando ancora, ma i suoi occhi mi impediscono di procedere oltre, trafiggendomi sul posto.

<Smetti di ripeterlo>

<Devi capirlo>

<Non voglio farlo> Rimango immobile, pronto a sentirla ancora parlare. <Tu mi vuoi bene, Nicolas>

I suoi occhi sono pieni di un silenzioso pianto ed il mio cuore reagisce, trafiggendosi con uno stiletto nel profondo, mentre la mia voce si dimostra indifferente.

<E' così, sai che non posso fare altro. Sono il tuo tutore, Briany>

Non mi dà ascolto. Questa storia va avanti da settimane e sinceramente non voglio più prestarle l'attenzione che richiede. Mi sembra così assurda, e poi, se solo lo facessi, se le donassi parte del mio cervello ... allora lei vi prenderebbe fissa dimora, e tornerebbero a galla quei pensieri che tento con forza di seppellire, nel profondo di me, così che possa non leggerli mai.

<Andiamocene, non voglio più ascoltarti>, afferma con chiarezza secondo le leggi di un altro aspetto del suo carattere, quello che più amo. Solitamente è sincera. Non troppo, ultimamente, ma parla sempre di getto, secondo ciò che sente. Non mi mente, e al massimo si chiude nel suo personale silenzio, ma non è un'amante dei discorsi costruiti a tavolino.

Una vera fortuna, perché non lo sono nemmeno io.

Annuisco distrattamente alla sua richiesta e mi guardo intorno, prima di sospirare ancora una volta, vittima dello sconforto.

<Cosa c'è?> Mi domanda.

Avrei voluto sempre impartirle le regole più giuste per vivere, ma quelle scapestrate di custodi ci hanno chiuso dentro, tra la scuola e il cancello, prese dalla furia di tornare a casa per sedersi a tavola con i propri familiari.

In fondo, tradire qualche canone di perfezione, non è affatto uno sbaglio, anzi la definirei l'arte di "sapersi arrangiare" con quel poco che è presente e a disposizione. Quindi mi armo di coraggio e penso, mentre la sento seguirmi, alle volte in cui l'ho visto fare a Nicole e Jospeh, al fine di entrare al Brunett.

Il nostro giardino segreto torna nella mia testa come uno spiacevole ricordo che scaccio via velocemente.

Poso entrambe le mani sulle sbarre della recinzione che tiene prigionieri gli alunni di questo istituto, e sotto la sorpresa di lei mi isso su, passando dall'altra parte della grata fino a cadere a piedi uniti in strada.

Da lati opposti della divisione ci fissiamo negli occhi, stavolta vittime dell'allegria.

Sa bene quanto compiere un'azione del genere mi sia costata e ne è sorpresa, almeno quanto si dimostra divertita.

<Avanti, vieni>

<Sicuro che non vuoi che aspetti il custode di notte perché mi venga ad aprire? Passerei dall'entrata principale>

Mi crede un Santo, è ciò che le ho insegnato a pensare di me, nonostante tutti i tentativi di sabotaggio effettuati da Joseph a mio discapito. Può essersi trattato di una vendetta per il mio passato con Nicole, ed ho solo la speranza che Briany possa non avergli dato sufficiente credito.

Alle volte però mi contraddico, come in situazioni come questa nella quale, nonostante la presenza di lei, mi ricordo di avere solo ventisei anni, e di non poter affatto vestire la saggezza di un padre dall'alto della sua coscienza, oppure quando sono a un passo dal tirare il pugno ad uno dei clienti più odiosi del centro tatuaggi, che non vuole mai tirare fuori il portafoglio con la dovuta somma richiesta.

Reazioni tutte marchio South Side, ma è meglio che Briany sia presente a poche di queste, altrimenti potrebbe diventare incredibilmente pericolosa, e io non sono certo di volerle offrire maggiore indipendenza. Ne ha fin troppa.

Non allontano gli occhi da ogni sua mossa non appena si presta a scavalcare il cancello secondo le mie direttive. Appena la sua gamba destra supera la grata e la sinistra rimane incastra nell'unico appiglio offerto, per fare leva, io tendo le mani e l'aspetto, riuscendo ad afferrarla per i fianchi poco dopo e calarla velocemente a terra.

Il corpo di Briany pesa solo a causa del suo animo, ma nonostante la magrezza non è difficile scorgere le curve di donna che indossa, e che sono state offerte dalla pubertà.

Sarà bellissima un giorno, proprio come si dimostra di essere adesso, mentre mi fissa dal basso con una purezza che mi era mancata.

<Avanti corriamo alla macchina>



Pulisco con attenzione i miei attrezzi del mestiere, pronto all'arrivo del nuovo cliente, previsto per le quindici.

Io e Briany abbiamo pranzato con un semplice panino nella sala d'attesa del mio negozio, nessuno dei due ha deciso di tornare a casa, vista la ristrettezza dei miei appuntamenti e la comodità spaziale data da queste stanze, nelle quali può perdersi a fare i compiti e a inveire contro le declinazioni del latino.

Mi sto augurando questo, che si applichi, in un giorno a me tanto difficile, senza bisogno della mia presenza per le materie scientifiche, quando di colpo la sento sdraiarsi sul lettino.

Sollevo gli occhi trafiggendola mentre me ne resto seduto sul mio panchetto scorrevole, con l'imbottitura di pelle nera. Lei non si lascia controllare, e della bontà che avevo scorto, nei pressi della scuola, non è rimasta traccia. E' ritornato il diavolo, ed è pronto a farmi arrabbiare.

<Che cosa vuoi? Fila a studiare>

<Voglio un tatuaggio>, mi risponde, e a questa frase spalanco gli occhi.

In un flashback la figura di Lorelan si sovrappone alla sua, mentre mi fissa con gli occhi rivolti a me, molto più in basso, e una rabbia cieca sale.

<Vattene>

<Perché?>

<Briany corri in una stanza a studiare!>

<Lo fai di lavoro, no? Ho visto ragazze più piccole di me venire a tatuarsi, e tu esaudivi sempre il loro volere>

<Erano accompagnate dai genitori, e avevo il loro consenso>

<Fortuna allora che io sono sola, e decido per me>

I suoi capelli tagliati corti, a maschiaccio, e neri, lisci, valorizzano il suo piccolo viso ovale e la struttura ossea del suo collo, ma più di tutti accentuano la limpidezza dei suoi occhi, marroni scuro tanto da apparire simili al nero, e a loro sono vincolato, mentre mi costringo a rispondere.

<Scendi. Da. Lì>

<A lei lo hai fatto>

Basta una frase del genere per togliermi per sempre il battito.

Lei ... lei ... si riferisce a Lorelan, non smette di nominarla. Da un anno a questa parte mi tormenta con la vocazione del suo fantasma che nel mio cuore alberga in religioso silenzio, mentre tento di non sporcarlo con la realtà, lasciandolo perfetto, lindo.

E' colpa sua se, con questi discorsi, sulla sua veste candida riceve incancellabili macchie.

Scatto in piedi e la sovrasto, senza però metterle le mani addosso ma comandandola solo con lo sguardo.

Non sono mai riuscito ad alzare una mano su di lei o a obbligarla a fare qualcosa con la forza.

Ancora non ho scoperto quali profonde ferite si celino nel suo grintoso animo. Briany non mi permette mai di vederle.

<Ho un cliente. Vedi di andartene>

<Non provi mai a nominarla>, dice, sollevandosi a sedere e fronteggiandomi alla pari. <Ma devi farlo, Nicolas, perché Lorelan è morta>

<E poi sono io a non portare rispetto? E' a te che manca Briany, costantemente>, pronuncio a denti stretti.

<Sono satura del tuo dolore, provo ribrezzo per questo lutto che porti, devi lasciarla andare!>

<Ma che cosa ne vuoi sapere tu, eh?> Le chiedo, avvicinandomi di colpo al suo viso, e mettendo entrambe le mani al confine del lettino, braccandola. <Hai solo quattordici anni, e io e lei ci amavamo. Era la donna della mia vita>

<Adesso però è morta, Nic>

<Per questo non ne seguirà nessun'altra, mettitelo bene in testa>

<Vuoi seguire la strada di Celine? Si è licenziata da questo lavoro per catapultarsi dritto in un altro. E' una donna di ferro e la rispetto, ma si sta annullando, vuoi fare lo stesso? Perché significherebbe, nel tuo caso, cancellarti per sempre. Lei ha un motivo che la spinge avanti, e sono le ultime parole del suo innamorato. Tu invece vivi un cordoglio che non ha mai fine, e porti addosso un lutto che ti toglie costantemente il fiato. Ma sei vivo, Nic, sei vivo e sei qui, siamo insieme>

<Questo spetta a me deciderlo>, le rispondo prima di lasciarla sola, e recarmi in un'altra stanza dove i miei pensieri possono finalmente trovare la giusta pace.

Briany non conosce l'intera storia, ma solo la versione rivista delle donne del Sa Playa, mi conosce attraverso i loro racconti e quello che si ricorda di me, niente di più. Non sa niente degli errori e della fiducia mal riposta, di un'amicizia che si è strappata alle radici e che adesso mi procura un fastidio aberrante. La stessa che, in insopportabili notti, annego all'interno di coscienziosi drink nel soggiorno di casa nostra.

Non sa niente della folle prova d'amore alla quale siamo stati sottoposti io e Lorelan nel provare ad amarci.

Briany vive solo i suoi anni nonostante che gli occhi che porta le attribuiscano una responsabilità troppo grande, di un'età che non tiene, quindi desidererei che non si ripetesse più, che il nome di lei non saltasse di nuovo fuori impedendomi di riflettere, ragionevolmente, per il resto degli impegni lavorativi.

Vorrei, penso amaramente, posando entrambe le mani sull'acciaio freddo del tavolino con gli attrezzi, appartenenti a un'altra stanza rispetto a quella dove lei è rimasta, che nemmeno il ricordo di Briany appartenesse al passato, che le nostre vite potessero essere ben distinte tra loro.
Ma Briany è in ogni tempo, passato, presente, e futuro, ed ha cucito, con sguardi e provocazioni, un filo sempre più stretto, tra i nostri due cuori. Battono all'unisono, si contagiano. Fanno paura ma sembra quasi che uniti siano più forti.
Mi domandano a quanto carico possano resistere insieme, e se saranno capaci di affrontare ogni tipologia del nostro dolore, il suo passato controverso e la detestabile persona che sono diventato, nei confronti di tutti gli altri con cui ormai non condivido più la vita. Non possiamo saperlo, solo provarlo, per quanto anche solo tentare significherebbe possedere quella dose di coraggio che sento persa, ma che forse è ancora presente nel corpo di questa piccola ragazza.

Feroce e imparziale verso me e verso tutti, eppure tenera, fragile, quando nessuno la guarda, rompicapo che coinvolge mente e cuore e che non mi lascia alternative se non quella di voltare la testa, e immaginare anche a distanza il suo viso, oltre lo strato di cemento della parete e questo muro di freddezza che rapidamente e con costanza erigo, per tenerla sufficientemente a distanza, affinché, almeno lei, possa non ferirmi.

P.O.V.
Ian

Al riparo dalla sua vista lo seguo con gli occhi, finché non si addentra in uno di vicoli della città.

Con cautela e fissandomi intorno, decido poi di emulare il percorso pedonale della sua tratta. Non sono certo della meta, ma sono sicuro che saprà sorprendermi, non sarebbe certo la prima volta.

Stringo i bottoni del lungo cappotto beige, prima di scendere dalla macchina e posare i piedi su questa terra dimenticata e percorsa con rarità in specifici giorni della settimana, ovvero quando i nostri orari si incastrano con metodica perfezione, donandoci quell'ora d'aria che il destino ci ha preservato.

Mi viene da sorridere, però, non appena capisco che si è accorto della mia presenza.

Il suo percorso non è altro che un memoriale di ricordi, il campo da basket, il giardino in cui abbiamo giocato a pallone la prima volta, le scuole, elementari e medie ... fortuna che le superiori si trovano da tutt'altro lato cittadino! Scontrarmi con Nicolas, visto l'orario d'uscita delle scuole, non sarebbe stato affatto piacevole, e mi rammenta quanto il mio proposito di incontrarmi con uno solo dei miei vecchi amici sia la scelta migliore. Ho fatto una promessa un giorno, e intendo mantenerla, nonostante la persona che inseguo non sembra essere mossa dallo stesso ideale.

Mi trovo letteralmente in un vicolo cieco.
Sul serio. Avrei voluto almeno per questa volta vincere contro di lui, ma il muro mi si presenta davanti e riesce a richiamare a se il sorriso che dimostro in viso, esca di questa perfetta trappola.

Mi volto quindi, affatto sorpreso di vederlo alle mie spalle, nella divisa perfetta.

<Begli abiti>, commento con sarcasmo, e riesco a vedere la triste luce interna ai suoi occhi, che ancora però ha il gusto di una sfida, che non sono riuscito a concludere.

<Si, anche i tuoi>, risponde di rimando e fissando quasi con sdegno gli abiti di alta sartoria che porto.

<Avanti, Caleb, non fissarmi così. Ho legalizzato gli affari di Richard molti anni fa, ed ora ne raccolgo solo i suoi frutti>

E devo dire che la ricchezza mi dona.

Caleb però non sembra essere dello stesso avviso mentre cerca, nei suoi abiti da poliziotto, di scorgere un qualsiasi affare illecito presente come grana nella tessitura e cucitura dei miei abiti.

Vorrei davvero dimostrarmi tanto interessante, ma sfortunatamente non c'è altro.

<Devo fare finta di crederci?>

<E' per questo che non hai accettato il mio aiuto economico per l'accademia? Perché non ti fidi di me?>

<Già una volta hai versato soldi per mio conto. Quell'operazione chirurgica all'ospedale, il giorno in cui mi hanno privato del proiettile, ti deve essere costata molto>

<Non sono stato io ad aver pagato il prezzo più grande>, ricordo, facendo memoria della vera eroina di quel giorno. La stessa impronunciabile figura che le sue orecchie non vogliono sentire nominare.

Credo che da tempo mi odi. Veramente, sembra farlo.
Nel suo perfetto quanto scadente prodotto sintetico di divisa blu scura che tanto dona al suo animo tormentato e al suo senso di giustizia. Lo fa, e io gradirei veramente che smettesse.

Sono riuscito a vendere la proprietà degli ulivi di Monty come personale risarcimento di danni morali e ne ho ottenuto una buona somma che Illiya non mi ha chiesto di dividere. Insieme a lei gestisco gran parte del capitale, tanto che siamo soci delle azioni, a pari diritti.

Ci definirei un funzionale duo che è riuscito a privarsi di qualsiasi smanceria amorosa per far andare avanti il guadagno, o meglio la retribuzione di un lavoro pulito, e senza particolare intoppi. Ottenuta la sua vendetta Illiya si è dimostrata una donna ragionevole, ed io ho potuto far mostra delle mie doti scientifiche e razionali in più di un campo di sua appartenenza, ma nonostante tutto, nonostante qualsiasi gratifica, ancora non ho smesso di presentarmi di fronte a questo paio di verdi occhi.

Non capisco bene se si tratta di una sfida personale tra di noi, ancora aperta, o di altro, semplice amicizia legata alla promessa nata in una notte di stelle cadenti, ma senza dubbio è il segno di un legame che non potrà finire tanto facilmente, che non morirà mai e che voglio con tutte le mie forze coltivare.

Caleb è mio fratello, la mia famiglia, e in questo posto la mia sola casa. Per questo motivo avanzai quella stupida richiesta, la sera di San Lorenzo, richiedendo di non perderci mai.
Temo il giorno in cui mi allontanerà del tutto e sto lottando affinché tale evento non capiti.

Attraverso questi tentativi sono riuscito a scorgere il dolore che ancora alimenta il fondo ovale dei suoi occhi.

Vorrei toglierlo, e mostrargli che ha già raggiunto tanto con gli sforzi messi in campo. Potrebbe non credermi, tenta ormai di non farlo più, quindi resta da vedere chi sia più testardo tra noi due. Ho buone carte per vincere.

<Lo hai saputo?>

<Che cosa?>

Non lo sa ... dovrei rivelarglielo, oppure lasciare che sia una sorpresa, forse la sola capace di risollevargli l'umore?

L'ha cercata per così tanto tempo ...

<Vuoi che te lo dica?>

Affina lo sguardo e forse coglie ciò che nascondo le mie parole, perché si chiude in se stesso, mettendo una spessa barriera tra noi.

<No, Ian, torna al tuo lavoro da mafioso>

<Non uso armi, Caleb, e nemmeno la violenza, non sono dentro affari loschi quindi rilassati>, dico, aprendo entrambe le mani, <è tutto sotto controllo>

<Ti sei lasciato vincere dai soldi>

<L'ho sempre detto che erano il mio punto debole. Sono sempre apparso simile a Richard, no? La povertà non mi sta bene>

<Si, lo credo anche io. Sei diventato vanitoso>, mi dice, tentando di voltarmi le spalle.

<Forse solo perché ho smesso di soffrire!> Gli urlo dietro, riuscendo a farlo fermare. <E tu l'hai fatto, Caleb? Hai smesso di pensarla?>

Non mi risponde stavolta, preferisce tacere, e camminare spedito, nuovamente, verso la direzione della sua amata centrale di polizia, nella quale lo attende Carlail.

Io però porto al polso l'orologio, ed il cuore mi batte veloce in questa attesa.

Corro via dalla prigione di questo vicolo per accorciarla, e nella percorrenza del tragitto, tra queste strade piene di polvere, ricordo la voce di lei, sentita per tre anni solo attraverso la cornetta di un telefono. All'inizio non era stato facile, trovarla così come tornare a parlarle, ma sono riuscito a farlo non appena il mio animo si è reso conto della realtà delle sue parole, pronunciate in un addio.

Giungo fino alla postazione prevista e trovo anche Nicole e Joseph in attesa. Sorrido vedendo tra le mani della prima un mazzo di note chiavi e poso una mano sulla parete in mattoni di questo muro che cela la mia presenza.

Sono tornato bambino, in attesa di questa fantastica sorpresa.

Aveva ragione, il nostro non era alcun tipo di amore, ma era, ed è ancora, una fantastica amicizia, ed io ho bisogno di vederla di nuovo per sentirmi nuovamente completo. Ci sarà tempo per parlare ma ora voglio solo rivedere il suo viso, e constatare come il tempo abbia influito sui suoi tratti, non sul suo carattere, perché il cuore, attraverso la cornetta, si era sempre mostrato sincero, e da capi opposti di fili, o invisibili reti, siamo tornati a parlarci sinceramente, come non ci accadeva da molto.

La vita l'ha resa una donna stupenda, ed invidio Natalie e Joseph perché vorrei avere il compito io di portarla a braccetto nei ricordi, mentre odo la nostra marcia venire accompagnata dal suo perfetto canto capace di diradarsi in un eco in questo posto, nelle nostre menti, che non l'hanno dimenticata.

P.O.V.
Nicole

Il piede destro batte febbrile sull'asfalto e la preoccupazione mi spinge a chiedermi se questo fosse realmente l'orario decretato tra di noi quando la vedo arrivare, proprio dal fondo della strada.

Spalanco la bocca mentre sento il cuore scoppiarmi dentro al petto, e tiro una gomitata a Jospeh per attirare la sua attenzione, spostata su una delle ragazze dall'altro lato della strada.

Gli anni lo hanno reso un uomo fastidioso, e incredibilmente tonto, ma torna ad essere il ragazzino di un tempo, un bambino divertito dai miei fallimenti, quando i suoi occhi si spostano su di lei.

L'emozione ci contagia nel vedere ... Megan avanzare, con una pila di libri sotto braccio.

E' bellissima, veramente stupenda.

La mia migliore amica.

Mi domando se anche il tempo sia stato tanto clemente persino con me, o se la vita di madre non mi abbia invecchiato del doppio degli anni.

Vengo privata delle parole nel trovarla di nuovo nella nostra città natale, tra di noi, nel suo sorriso perfetto.

<Ciao ragazzi>, dice solamente, come se fosse trascorso un giorno e le nostre vite non fossero state modificate nel profondo.

Non resisto, ed essendosi fatta più vicina, ho la possibilità di compiere un passo e di prenderla tra le mie braccia. La stringo forte contro il mio petto, respirando il suo profumo familiare.

<Bentornata a casa tesoro>

<Grazie Nic>

E' il turno di Joseph adesso, di riaverla tra le proprie braccia.

<Bentornata, Meggie. So che questa permanenza è momentanea, ma sinceramente vorrei che tu restassi il più a lungo possibile. Ci sei mancata>

<Anche voi mi siete mancati>, commenta, poco dopo essersi allontanata e averci fissati entrambi negli occhi.

La parrucchiera che è in me nota subito i suoi capelli curati, e incredibilmente lunghi rispetto a come li avevo tagliati. Le arrivano oltre il seno, e sono ricci, praticamente perfetti, come il trucco e la carnagione.

Sembra stare bene, lo penso davvero ... finché non cado dentro i suoi occhi.

Che cos'è ... che vedo?

<E' andato bene il viaggio?>

<Si, fortunatamente non c'è stato nessun ritardo. Avete parlato con mia madre?>

<Certo, ha chiamato dalla località balneare dove avete trascorso le vacanze. Quentin, in sottofondo, chiedeva di te>

<Vive ancora con sua madre?>

<Eccome, e non vedeva l'ora di rivederti>

Jospeh e Megan si scambiano questa serie di battute tra di loro, mentre la mia allegria viene ammortizzata dall'espressione della mia amica, falsamente felice, e lo capisco in un attimo: nonostante gli anni trascorsi, Megan sta soffrendo.

Quell'espressione ... mi fa paura.

E' la stessa che ho intravisto sul volto di Caleb, le rare volte in cui ci siamo incrociati.

<Sai già della tua vecchia casa, non è vero?>

<Mia madre mi ha detto che l'ha venduta, ma che Nicole aveva un parente con un altro appartamento libero. Avrei potuto dormire da lui, non è così?>

Stringo nella mano le chiavi che Ian mi aveva lasciato, di quella casa che un anno fa era riuscito a ristrutturare.

Abbiamo fatto credere alla madre di Megan che si trattasse di un mio parente.

<Esatto, non devi preoccuparti. C'è sempre posto per te, nel South Side>

<No invece>, pronuncio a bassa voce, ma non importa il mio tono perché entrambe le loro teste si voltano lentamente verso la mia ipnosi. Tento di abbandonarla, per spiegare il mio punto di vista, mentre metto il bisogno della mia amica di fronte ad ogni cosa. <Ci sono ancora dei lavori da finire, credevamo saresti arrivata più tardi, ma non preoccuparti, in qualche modo faremo. Siamo veramente felici di riaverti tra noi>

Nel mio palmo le chiavi si conficcano dentro la pelle, ma la tasca nasconde questa stretta imposta.

Joseph mi fissa senza capire ma avrò modo di spiegargli cosa penso di fare.

E' vero, sono trascorsi anni, mesi, settimane, e Megan è riuscita ad avere la sua indipendenza, ma ancora le manca qualcosa, e nell'incoscienza data da una casualità di eventi è venuta qui a cercarla.

A Megan manca, ancora, l'amore.

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