90- L'angelo dalle ali di ferro e l'uomo della polvere

P.O.V.
Megan

Le mie labbra risentono ancora della morbidezza di quel bacio donato da un puro sentimento offerto. Sanno di ricordo, di perfetta armonia, e non posso considerarle uno sbaglio.
Ian ha pronunciato delle parole, la scorsa notte, mentre il fuoco al nostro fianco ardeva nel suo calderone di metallo, ed erano state tanto giuste da far nascere un profondo legame tra i nostri due cuori.

Non ho mai sentito in sua presenza una connessione simile, e trovarla mi ha tolto il fiato.
Mi è impossibile smettere di pensare a quanto questo soffio di vita sia tornato all'interno del mio corpo, pompando nelle arterie, e tutto il merito va a Ian. Sarei persa adesso, seppure mi sarei trovata meno confusa.

E' attrazione quella che sento? Sono ... innamorata di Ian? E da quanto tempo? Quando è capitato?
Eppure qualcosa deve essere successo perché sento come se non fossero più le regole di una profonda amicizia a dettare legge nel nostro rapporto.
Quel bacio ha cambiato tutto, ha rimesso in moto il mio cuore, in tutti i sensi, e nonostante la sua assenza in questo momento in cui mi trovo, ancora una volta, da sola dentro la sua stanza, avverto come la sua vicinanza, senza riuscire ad intrappolarla.

Percepisco la mia testa annullarsi in se stessa per concentrarsi su di lui, solo su di lui, su quello che prova, la lucentezza dei suoi occhi, l'arcuatura delle sue sopracciglia.
Da sempre l'ho considerato bello eppure, adesso, il suo viso sembra circondato da una perfetta magia che affina e leviga ancora di più i suoi tratti, resettandone la perfezione, e credo di averne scoperto il motivo.

Ian non ha mai vacillato, è rimasto la persona che io ho sempre desiderato essere, ed il mio cuore ha subito il colpo di una simile presa di coscienza.
Credo che l'ammirazione abbia molto a che fare con l'amore.
Vedere la perfezione che indossa mi rende patetica, dentro i miei abiti, ma piena di ammirazione.

Temo di essere attratta da lui, ma per dirlo devo indagare a fondo il motivo così da non arrivare mai a ferirlo.

L'attimo in cui Ian ha più brillato è stato lo stesso in cui Caleb è caduto nel più profondo abisso.
Temo che, nella mia incasinata e ferita testa, i due eventi si contagino. Non voglio che lo facciano perché nessuno dei tre si merita una simile svolta, eppure in parte può essere stato tutto contaminato da questo ed io devo far ordine, cercando di non impazzire mentre ricordo la morbidezza della bocca di Ian.

Sono pronta a scoprire fino in fondo la verità che il mio dolore ha lasciato marcire all'interno del mio corpo, avendola messa da parte in questo periodo di eterno lutto dal quale ancora non sono riemersa, quando a un tratto dei piccoli colpi raggiungono la porta.

Attratta da quel richiamo mi arresto, rimanendo con il viso rivolto ad essa.
Non ripete il proprio suono e mi costringe ad avanzare per andargli incontro, così da raggiungerlo, e rimango priva di fiato trovando Caleb sul ciglio.

Il mio cuore subisce un sobbalzo ma regge il confronto per riuscire a non impazzire.

<Dobbiamo parlare>, mi dice.

Probabilmente è così, ma avremmo dovuto farlo molto tempo prima, subito dopo esserci lasciati.
Ora la nostra conversazione può non essere altro che un cimitero di parole morte.

<No, non dobbiamo>

<Invece si, Megan, ci ho ripensato>, la sua mano si allunga per bloccare l'ingresso che tento di chiudere e poi la sua voce torna, a mettere ordine al disguido che sembra aver generato e che mi ha fatto spalancare gli occhi, presa dall'orrore. <Voglio dire che ho pensato a fondo a quello che ci siamo detti, e mi sono accorto di avere sbagliato. Io ti amo, Megan e nostro figlio ... io non voglio che cresca senza un padre>

Non riesco a dirgli cosa realmente è stato di nostro figlio. Il mio cervello, in via di guarigione, non riesce a scendere a patti con una simile realtà.

Lui non vorrebbe che suo figlio crescesse senza un padre. Mi ama.

<E' troppo tardi ormai>

Ormai ... lo detesto per molte ragioni, una delle quali si può dire essere la testardaggine nell'avanzare una pretesa, come se gli fosse concessa.
Avanza infatti di un passo, mettendo piede nella stanza, e afferra il mio viso tra i palmi delle sue mani. Subito dopo appoggia la fronte sulla mia, proprio come la sera prima ha fatto Ian, e a me sembra di impazzire.

Protesto per il disgusto e cerco di fuggire, ma non me lo consente.

<Ti prego, Megan ...>

Ti prego, che cosa? Non ci è rimasto niente di cui cibarsi. Che cosa vuole ancora da me, che cosa cerca?

<Caleb adesso vattene>

<Non posso>, sussurra ad occhi chiusi, premendo ancora le nostre fronti.

<Si, devi farlo. Noi non stiamo più insieme>

<Si è trattato solo di un litigio>

<Mi hai uccisa, Caleb. Con la mia più grande paura, con il gesto più meschino che tu potessi fare>

Scorgo il cambiamento di queste giornate passate in lontananza non appena leggo a chiare lettere la consapevolezza che sfoggia, accompagnata dalla tristezza, nel sentire le mie parole raccontare il vero.

<E questo significa che non mi ami più?>

Inghiotto quel boccone amaro che nasce sempre dal confronto tra noi due.
Mi è difficile capire cosa provo nel sentire ancora le sue mani addosso, il suo respiro contro il mio viso.
Percpire i suoi occhi verdi che sono tornati a fissarmi da vicino.
Vorrei avere avuto più tempo per pensare, prima del suo arrivo, ma non mi è stato concesso.

Tutto quello che conosco è la lama del pugnale con il quale è stata infilzata la mia carne quando Caleb aveva deciso di abbandonarmi per sempre, rinunciando a nostro figlio, e non ho che modo di ricambiarla, ancora un'ultima volta, raccontandogli un'ennesima verità che non ha lo scopo di ucciderlo quanto di renderlo partecipe della nuova svolta.

<Ho baciato Ian>

La sua espressione cambia, ma piuttosto che arrabbiata, come mi aspettavo diventasse, si trasforma in risentita, quasi consapevole.

<Va bene ... io ti ho ferita, e tu hai solo cercato conforto>, tenta di dire ma ormai non ho più vincoli in grado di tenere bloccate le parole.

<In verità non capisco quello che provo>

Le sue mani si allontanano e adesso riesco a intravedere la rabbia, nonostante sia celata dietro una maschera d'invidia.

<Quindi rinunci a noi. Si è trattato solo di uno sbaglio, Meg. Mio padre e Damien mi hanno incasinato la testa>

<Lo capisco>

<Ma non offri alcun tipo di perdono>

<Non posso farlo, così come tu non hai potuto accettare nostro figlio, nonostante mi amassi>

Annuisce retrocedendo appena e mordendosi il labbro superiore.

Sono in lotta con me stessa tra l'allontanarlo e l'amarlo mentre scorgo il suo viso trafitto da un milione di aghi.

<Capisco. "Si perdona finché  si ama", non è così?>

No ... non si tratta solo di questo, ma di quello che percepisco.
Sento come se non fosse il nostro tempo, come se il mondo avesse fatto un'enorme balzo in avanti e noi ci fossimo ritrovati metri e metri più indietro, tentando di rincorrerlo.
Forse siamo stati attirati dagli eventi ma non siamo cresciuti, non abbastanza, e nonostante il mio cuore batta impazzito in sua presenza non sono certa che amarlo sia la cosa più corretta.

Se lo perdonassi, adesso, so bene che ripeterebbe un'errore simile, alla prima occasione, mostrandosi ancora una volta capace di uccidermi, è sempre stato così.

Ci amiamo, ma forse non siamo così giusti per stare insieme.

Io prendo sempre troppo mentre la sua rabbia continua a spazzare via ogni tipo di fondamenta.
Non siamo in grado di tenerci stretti, e nonostante le sue parole, il cambiamento del suo pensiero, non ho la certezza di potermi immettere di nuovo dentro la nostra storia senza subirne dei danni.
Ora come ora voglio vivere d'amore, di tutto il resto, in tranquillità.
Sento di meritarmelo dopo quello che ho perso, di dover donare a entrambi un po' di pace dopo quello che abbiamo passato, e forse la mia vita futura potrà non essere con Ian, ma senza dubbio nemmeno con Caleb, al momento.

<Ti prego, non farlo>

<Non sono pronta, Caleb, per ripetere una storia simile, non riesco, non ne ho più le forze>

<Non dovrai fare niente, penserò io a tutto>

<Dovrei affidarmi a te, con il rischio che la tua rabbia insorga nel momento più inopportuno e ti spinga a lasciarmi?>

Trafitto da queste parole deglutisce leggermente, osservando dalla sua parte il mio dolore.

<Amare è anche fidarsi>

<Se non fossimo in una posizione simile lo sai che sarei stata la prima a pronunciare queste parole. Ti ho donato tutto, Caleb, in ogni modo possibile! Se non avessimo vissuto quello che abbiamo passato ... adesso saremo persone diverse. Forse, senza dubbio, migliori. Non credi anche tu?>

Deglutisce nuovamente, senza pronunciare un'ulteriore parola. Anche a me viene da piangere, per tutto quello che volontariamente mi sto lasciando alle spalle, ma è tempo che io veda chi siamo: un ragazzo e una ragazza che hanno sofferto molto, e che hanno perso, reciprocamente, le persone più importanti di cui circondarsi. Come posso essere sicura della nostra instabilità mentre sento nel petto il mio cuore tanto confuso?

Si, il mondo è andato avanti e noi volteggiamo senza gravità. Abbiamo entrambi bisogno di un punto fermo, ma forse non possiamo esserlo l'uno per l'altro.
Un bel guaio, perché cadrei in milioni di sbagli per colpa di questi occhi che mi fissano, ma la vita mi costringe a tirare le somme facendomi avvertire il vacuo ventre raschiato dal futuro di una vita sottrattomi.

<Non riesco più a fidarmi, lo capisci? E che cosa è un rapporto d'amore senza fiducia?>

Non risponde quindi lascio al mio animo il libero sfogo per poter parlare.

<Temo le persone che possiamo tornare ad essere, una volta rimessi insieme. La tua emotiva instabilità, il mio costante senso di colpa. Non mi sono mai sentita abbastanza, Caleb, per te o per Ian. Ero sempre un passo dietro a voi, e sentirti gridarmi addosso tutte le mie fragilità mi ha uccisa per sempre. Non puoi chiedermi nient'altro adesso>

<Quello che provi per Ian non è amore>, sentenzia, fissandomi dritto negli occhi ed io ricevo il colpo di quella constatazione, sbattendo un paio di volte le palpebre, prima di tornare in me.

La sua certezza mi mette rabbia.

<Non puoi esserne certo, come non lo sono io. Non ho deciso di baciarlo in conseguenza del nostro litigio, l'ho fatto perché mi faceva stare bene>

I suoi occhi, persi in questo patetico mondo, si soffermano su tutto ma per poco, mostrandosi pieni di una sofferenza che non mi è possibile intrappolare.
Era avanzato solo di un passo e adesso la situazione ci vede entrambi di fronte e vicini all'ingresso, in questo bilico auto imposto.

<Lo so, da sempre è lui quello capace di consolarti ... ma non è solo questo l'amore. Non è unicamente conforto>

<Vattene>

Con che coraggio può dire una cosa simile? Lui non me lo ha mai offerto! Non a pieno.
Obbligo il suo corpo, sconfitto da un'espressione triste, ad arretrare quel poco che basta per tornare alla situazione di partenza.
La sua mano blocca la porta ed il suo viso si fa straordinariamente vicino. Il mio cuore compie una capriola e lancia fitte dolorose al resto del corpo.

<Ti prego, non innamorartene. Non innamorarti di altri>

<Non ne hai alcun diritto>

<Ti prego, Megan. Ti prego ... non innamorarti mai più>

La sua voce è bassa nel pronunciare questa supplica ed io mi perdo all'interno dei suoi occhi, cercando la forza di allontanarmi da questo amore poco sano.

<Mi dispiace>, riesco solo a dire, trovando la grinta necessaria e riuscendo così a chiudere la porta, appoggiandoci entrambe le mani.
Poi anche la testa e alla fine il petto, il cuore, mentre serro gli occhi e mi accorgo di essermi privata di un grande pezzo del mio animo.

Potrò non essere più la stessa, senza lui, ma adesso è un'altra persona quella che voglio diventare, una donna con una vita più felice e semplice.

P.O.V.
Ian

Nella mia mente non c'è altro che il nostro bacio. La sincerità con cui era stato messo in atto.
Forse è finalmente giunto il nostro tempo, ma ancora non posso esserne certo.

Tornati in hotel la sua voce aveva emesso una piccola frase.
Megan mi aveva detto "ti prego, Ian, non abbandonarmi mai".

Sono stanco di queste partenze e ritorni.
Sono stanco di vivere con minimizza un affetto che sento sincero.
Stanco di vedere il suo volto pieno di mille dubbi o di sentire la sua voce pronunciare una richiesta che nemmeno avrei preso in considerazione.

Non l'abbandonerei mai, non lo farò.
Per questo motivo sono giunto fino a un gesto di pura follia. Può essere considerato affrettato ma non mi interessa, dal momento che è l'unica cosa, forse, in grado di donarle la più sincera felicità.

<È sicuro di questo modello?> Mi chiede il commerciante da dietro il suo bancone di vetro.

<Si, è molto bello, la ringrazio>

<La sua signora deve essere una donna molto fortunata>

No, non lo è mai stata, ma spero di essere io a poterle donare un simile destino.

Decido di non replicare ad alta voce, pagando il dovuto con i soldi rimasti dal mio lavoro di muratore, ovvero i soli a non essere sporchi di infamia.

<Grazie ancora, arrivederci>, lo saluto appena riesco ad afferrare i manici in corda della piccola bustina e posare una mano sulla maniglia del negozio, avendo così modo di uscire.

L'uomo alle spalle mi ricambia e subito dopo vengo raggiunto dal leggero vento, presente nell'aria mattutina.

Tra le strade del South Side vengo condotto da questa brezza, volando sopra l'arricciatura del suo respiro che si fa cresta d'onda al di sotto dei miei piedi, mentre sfoggio un sorriso che veste i panni del finale da fiaba che per molti anni ho atteso di avere.
Ogni cosa sta per giungere al termine.

P.O.V.
Caleb

È tutto finito. Il senso dei nostri discorsi, i litigi, i baci. Morto il tutto in un decesso patetico che mi costringe a percorrere l'unica strada rimasta, o che quantomeno la sola che sembra ancora possedere un minimo di senso, al di là di tutto.

Solo, privo di forze, rientro alla centrale e mi rispecchio in Carlail. Il mio volto deve essere il riflesso di quello solo, e pieno di rimpianti, di mio fratello morto, e forse il capo della polizia riesce a fare a menda dei suoi errori, muovendosi a compassione ma senza infierire troppo, e negativamente, in una situazione instabile.

<Lo avete preso?> Domando, forse nella speranza di avere ancora qualcosa contro la quale battermi, per la quale lottare. Quel patetico riscatto che potrei ottenere nel parlare di nuovo con mio padre.

<E' morto Caleb, mi dispiace. Un colpo di pistola>

Non importa.

Sul serio, non importa.
Nella mia testa era già deceduto da tempo, quindi non mi sorprendo di quanto poco il corpo, o tanto meno il cervello, possano sorprendersi della notizia.

Mio fratello è stato riscattato e il South Side ha ottenuto la sua giustizia, vedendosi comandato da un nuovo sindaco all'apparenza incorruttibile.
Mi auguro che lo rimanga, e che non si faccia corrodere dalla sporcizia di questa polvere di strada. Non sopporterei un'altra sconfitta, ora che mi è rimasto solo il lavoro all'interno del quale addentrarmi.

L'amore mi è stato sottratto.

<Voglio fare richiesta per l'accademia, ed entrare a pieno titolo in polizia>, pronuncio, attirando così la sua attenzione, e diffidenza.

<Sei sicuro? Francis aspirava a diventare un detective, forse potresti ...>

<Non voglio vivere la vita di mio fratello, ma sento che questo posto è l'unica cosa giusta che mi è rimasta. Lavorerò sodo per ottenerla>

<Servono molti soldi, per lavorare>

Sorrido a quell'ennesima beffa data dalla mal organizzazione della vita, ma non cedo a compromessi.

<Farò il necessario allora, e pagherò la rata>

<Caleb ...>

<No, Carlail. No>

Non accetterò un'altra predica. Sono stato privato di molto, ma chi incolpare se non me stesso?
Credevo che rendersi conto del torto bastasse ma forse Megan ha visto ben altro in noi, un'incompatibilità che mi è stata impossibile scorgere, ma che forse, prevederla, ci ha dato modo di salvarci per sempre.

Ci abbiamo provato molto, per mesi, settimane, giorni pieni di tempo e non è successo. Abbiamo vissuto un perfetto idillio, ma, scontrandosi con la vita vera, la nostra campana di vitrei sogni si è sgretolata in piccoli frammenti che richiedono il sangue delle nostre arterie.

Non potrò vivere che di ricordi dal momento che l'amore può non essere più un'alternativa.

Mi accomodo alla sedia di una delle scrivanie, tenendomi la testa tra le mani, mentre sento gli occhi di Rachel addosso, seduta di fronte a me.

P.O.V.
Megan

Se ne è andato per sempre, gli ho chiesto io di farlo, ed ora sono senza pensieri e respiri a guardare oltre il vetro della finestra.

Il mondo si sta colorando di tinte scure nel sopraggiungere della notte, e i lampioni rischiarano solo per piccole parti marciapiedi e strade carrabili. Donano la loro luce pallida a richiamo della mezza luna che è corsa in cielo, in questa nuova notte silenziosa e piena di misteri.

Ian fa il suo ingresso all'interno di quest'unica stanza provvista solo di un matrimoniale letto che abbiamo diviso, tenendoci stretti. Raggiunge le mie spalle e fissa al di là del mio corpo e della finestra il mondo che ci viene offerto in dono.

Ogni preoccupazione in sua presenza scompare.

<Ti sei pentita di quello che è successo tra noi?>

Mi domanda, ed io devo rifletterci molto prima di poter avanzare la formula di una risposta.

Il viso di Caleb brucia nella mia testa ma se devo essere sincera, su quel muretto, al suo fianco, io non mi sono sentita in colpa.
Ho compiuto il passo che desideravo quindi no, non sento di aver sbagliato.

Volto la testa fissandolo in viso, senza riuscire però ad articolare le parole che ho in mente.
Lui le traduce e sembra soddisfarsene.

<Bene, altrimenti quello che sto per fare sarebbe potuto diventare un po' difficile>

<Che cosa stai per fare?> Domando, presa dall'angoscia.

La mia testa vorrebbe allontanare il ricordo di Caleb. Il rispetto per me stessa e quello che ho passato provano a distanziarlo da questo istante ma il cuore non vuole sentire ragioni e gli permette di essere in piedi al nostro fianco, insieme a noi.

Possibile che nemmeno l'odio che provo, la stanchezza, la poca fiducia ... riescano a cancellarlo per sempre?
Perché?

Quello che ho provato, nel trovarlo di fronte alla porta della stanza ...

<Ho organizzato una cosa, per te, Meg, e vorrei che tu mi seguissi>

<Che cosa?> Domando fissandolo dritto negli occhi, centimetri sotto al suo mento.

<Se mi segui lo vedrai. Che cosa ne dici? Te la senti?>

Voglio ... affrontare veramente con lui, quello che verrà?

Per tutto il giorno non abbiamo avuto modo di parlarci e credo che la colpa risieda nelle inevitabili conseguenze di quelle due morti importanti a marchio "Lee", eterna condanna.

Ian mi tende la mano, e lentamente la afferro.
Una macchina ci aspetta al piano inferiore, e io lo guardo in un sorriso, senza riuscire a capire.

<Era da un po' che ne volevo prendere una>

<Bella scelta>

<Apprezzi lo stile?>

<Mi piacciono molto i tuoi gusti>

<Buono a sapersi>

<Perché? Che cosa hai preparato?>

<Non ti dirò niente. Sali in auto e lo vedrai>

Scuoto la testa prima di montare dal lato del passeggero, ringraziandolo mentalmente per questa ennesima possibilità di fuggire via dalla stanza che ormai mi ha preso in prigione.

Lungo il tragitto lui non dice niente, ed io dal mio posto faccio scorrere gli occhi lungo il profilo del suo viso, o la perfetta ossatura delle lunghe mani, non appena si muovo in direzione del cambio di marcia.
Sarei tentata di sfiorarle, ma resisto a un simile richiamo, consentendomi di averlo vicino solo con la visuale degli occhi.

Non passa molto prima che l'ingresso di un'enorme villa si faccia visibile ai nostri occhi, e non mi occorre troppo neanche per immaginare la realtà riguardo i vecchi proprietari del posto.

<Ian, sei certo che possiamo restare?> Gli chiedo, non appena posa una mano dietro il mio sedile e compie la manovra della retromarcia.

<Si che possiamo. Questo posto ora è mio>

Rimango in silenzio mentre la macchina si spegne, e Ian mi consiglia quindi di scendere per percorrere a piedi scalzi il giardino.

<Non posso crederci>, mi dice solo, rimanendo fermo a fissarmi non appena tolgo le scarpe, mantenendo le spalle alla villa.

<Sei qui>

Sollevo l'angolo superiore e destro del labbro per potergli dedicare, seppure stanco, un sincero sorriso, avendomi trovata.

<Deve essere stata dura per te>

<Alle volte. Comunque sia mi mancavi>

Si, anche la sua assenza non ha reso facile il tempo trascorso, nonostante in quelle giornate avessi trovato l'amore e fossi vissuta in un irreale idillio, a dir poco perfetto ... adesso rotto da una patetica beffa offerta dalla vita.

<Avanti, seguimi>

L'erba è soffice a contatto con i miei piedi ma la stabilità del terreno è perfetta.
Mi ricorda la sabbia della spiaggia, di quel giorno. Il mare blu scuro dentro il quale Caleb si addentrava con facilità ma che a me metteva solo paura. Ho sempre preferito la gravità, la certezza, la terra, questo.
Volevo questo e forse l'ho trovato.
È stato troppo tardi?

La visione di un lago ci raggiunge facendosi beffa di me con il suo specchio d'acqua, ma la perfezione che porta fanno passare in secondo piano la provocazione e io lo studio con attenzione, ammirando la rifrazione data dall'immobile telo d'acqua.

<È bellissimo qui, Ian>

<Ti piace il lago?>

<Può non piacere?>

<C'è chi lo considera una trappola nella quale si è costretti a girare in tondo, sai?>

Non sono certa di comprenderlo a fondo, o di sapere di quale genere di persona stia parlando, ma non posso evitare di compiere il paragone di quella metafora anche nella direzione della mia situazione.

Il rapporto tra me e Caleb forse non era altro che una magnifica trappola. La fisso da lontano adesso, quasi con nostalgia, nonostante abbia i piedi ben piantati per terra e stia al fianco di quest'uomo, che sembra più un guerriero che un comune ragazzo povero, rinforzato da un'armatura che ora splende perfetta sotto i raggi lunari.

I capelli biondi poi sono mossi dal vento e seguono la direzionalità della sua espressione, non appena si dirige verso me.

<Parlami Meg, dimmi a che cosa stai pensando>

<A quello che hai passato. Ai pensieri che devi aver avuto nel condividere l'aria con gente simile, con William, tra gli altri.>

<L'ho fatto per un motivo e adesso possiamo beneficiare del risultato>

<Perché mi hai portata qui, Ian?>

<Volevo che tu potessi tornare da regina in questa posto. Se sono riuscito a continuare a lottare è stato solo grazie a te. Sentivo la tua voce, la direzione delle tue scelte, dietro ogni parola. La tua speranza Meg mi ha ispirato. Ero da solo, questo è vero, ma tu non hai mai smesso di essere al mio fianco>

<Sono stata tanto importante?>

<Sei necessaria Meg, e dovresti davvero rendertene conto>

Abbasso lo sguardo, vittima di queste parole.

<Stai dicendo delle idiozie>

<Davvero?>

Sollevo lo sguardo e lo trovo sorridente, tanto da costringermi a ricambiarlo.

<Forza, seguimi>

La sua mano si tende a impartirmi un suggerimento che io colgo esitante, prima di farmi forza e afferrarlo, lasciandomi guidare dalle sue scelte.

Camminiamo a piedi scalzi su questo giardino in una spontaneità che possiamo avere solo noi, povera gente, amante di fondamenti impiantati come radici e di terreno, affermate verità, sotto i piedi.
Niente eccessivi lussi, niente maschere, niente finzioni.
Unicamente noi in una spontaneità nostra.

<Richard aveva uno studio al piano superiore, era solito convocarmi non appena doveva affidarmi un incarico. Trattenevo sempre un po' il fiato prima di varcare quelle porte e sentire la sua voce>

<Non sei ... riuscito a riconoscerlo, non è vero?>

<No ... sono trascorsi molti anni da quando eravamo piccoli, ma il suo viso mi ha sempre trasmesso qualcosa. Sapevo di averlo incontrato, forse in una vita precedente>

<Io invece non avevo ricollegato a tutto questo Damien, ma da quello che mi hai detto è stato un importante alleato>

<Come ti ricordi di lui?>

<Giocavamo insieme, mi teneva compagnia. Non ho mai saputo che era lo zio di Caleb>

<E il destino ha deciso di incrociare i suoi fili, non è così?>

<In un modo assurdo che non mi spiego>

<Hanno avuto un passato, e forse può rientrarci anche la paternità di Francis>

<Non mi stavi mentendo quando mi hai detto che stavi frequentando un brutto ambiente, e stavi avendo dei problemi. Che cosa ti hanno costretto a fare?>

Ian si perde con lo sguardo in direzione della facciata di questa immensa villa, e dopo un sospiro, pieno di ricordi, arriva a rispondere.

<Non h più importanza ormai>

Vuole dimenticare, e lo capisco, è la sola cosa che desidero pure io, anche se ... anelo davvero a scordarmi di tutto? Di quello che ho passato e di quello ... che ho provato?
Gli occhi. Gli occhi con cui mi guardava Caleb, quelli non se ne andranno mai. Ma non possono essere miei, sono così pieni di rabbia da non potersi far catturare.
Io sono la fiamma e lui la miccia, dinamite pronta a esplodere, non siamo giusti, non andiamo bene ... non ci permettiamo di vivere.
Ma quegli istanti li ricorderò per sempre. Solo quelli mi hanno fatto credere di avere per me un po' di respiro.

Ian allunga nuovamente la sua mano nella mia direzione. Non mi ero accorta di averla abbandonata.
La prendo di nuovo e lascio che mi trascini dove desidera.
Il cambiamento della superficie, tra il pavimento d'erba e quello di ghiaia ancora esterna alla casa, si avverte sotto la pianta dei piedi, donandomi nuova lucidità per tornare al presente, e allontanarmi dal passato.
Ancora a piedi scalzi ci avviamo dentro.
La casa è straordinariamente vuota.

Nel passare fianco a fianco a tutte le stanze i miei occhi si perdono dentro i segreti posti al loro interno, fino a raggiungere i petali rimasti a terra e presenti in una piccola serra.

Perdo il contatto con la sua mano e mi avvio lentamente, senza parlare. I suoi passi mi seguono e le nostre orme sonore risvegliano i fantasmi del posto, agitando il vento che si mostra, attraverso il lucernario al soffitto, in una protesta contro le alte e sempreverdi chiome degli alberi.
La luna si affaccia tra essi e permette a questa stanza la giusta illuminazione per poter notare le preesistenze, queste piante forse un tempo curate con amore ma che adesso giacciono abbandonate a loro stesse, praticamente secche, prossime alla morte.

Sollevo la mano e accarezzo uno degli steli. Riconosco la campanula all'apice, priva di vita, e anche su di lei faccio correre i polpastrelli della mia mano destra.
Una sua piccola parte, candido frammento, cade fino al tavolo in legno che la ospita, privata del vento che serpeggia fuori.

Alle mie spalle sento gli occhi di Ian osservarmi ma è come se in qualche modo questo posto mi appartenesse, e non mi è facile uscirne. La presenza di un'anima tanto affine alla mia, in un posto del genere ... mi mette i brividi e mi permette di chiedermi quanto, realmente, ci sia di sbagliato nella nostra presenza.
Forse né io né questo fantasma avremmo dovuto essere qui, ma forze più importanti ci hanno condotto, consentendoci di vivere una vita affatto priva di domande.

Volto la testa verso Ian, intrappolando il suo sguardo.
Che cosa starà pensando? Sente anche lui, sulle labbra, il sapore del nostro bacio? Lo ritiene giusto? Non crede ... che anche stavolta, eventi più grandi di noi, ci abbiano spinto con forza a compiere un simile gesto?

La mia mente è confusa, non sto più capendo dove si arresta la mia sola volontà.
La causa è per caso questo posto?
Questa villa di spettri mi inquieta per il grigiore del suo animo e al momento mi intrappola nel suo gioco di bugie.

<Va tutto bene?> Chiede Ian, ed io annuisco, senza parole.

Tra i fiori secchi è presente anche un papavero rosso. Uno solo, perfetto e unico.
Una sola cura e un solo antidoto, nel suo significato intrinseco e arboreo.

<Ti piace?> Domanda facendo riferimento alla stanza.

<Molto, questo luogo ... è unico, credo, e diverso dal resto della casa>

Non mi risponde. Sarei curiosa di chiedergli di più, ma dalla malinconia che scovo nei suoi occhi capisco che può non esserne il caso.
Avanzo di qualche passo, lasciandomi dietro i tavoli con i fiori presenti, e anticipo la guida di Ian varcando la stanza e proseguendo nel corridoio con lentezza.

Le finestre sono serrate mentre le tende tese, permettendo alla luna di entrare e rischiarare così un'enorme stanza vuota, con gli affacci da entrambi i lati.

Corro con gli occhi alle pareti e noto chiodi di quadri ancora affissi, ma privati della loro cornice così come della tela. Solo quelli sono rimasti, tutto il resto è sparito secondo un magico inizio.
Non ci sono arredi, porte, o decori.
L'interno è vuoto e arricchito solo dall'intonaco.
Ian ha fatto sparire tutto, consentendo così al passato di non condividere con noi questo attimo.

Torno nuovamente con lo sguardo a lui che non pronuncia una sola parola, lasciando a me il compito di decidere quale pensiero seguire.

Permetto che tale scelta venga affidata al mio corpo che in un attimo mi spinge ad avanzare ancora in direzione delle altre stanze, solo per vedere il mondo antecedente al nostro essere spazzato via completamente, e rimango senza fiato, immobile poi, dianzi all'immensa vista della proprietà da una delle finestre.

La violenza, il ricordo dei soprusi, l'orrore, sono scomparsi. Questo luogo è una tela vuota piena di nuove possibilità ed io sorrido per questa vittoria.

Immagino fosse questa l'idea che mi voleva comunicare, ma capisco che non è la sola, quando lo sento tornare a parlare.

<"Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, la città, i palazzi, le pietre ...">, pronuncia la sua voce da lontano, ed io sorridendole non riesco a vederla, o a trovare lui, in questo posto immenso.

<"Di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d'amore.
Che interesse avrebbe una scogliera, una foresta, un rudere se non vi fosse implicata un attesa? E attesa di chi se non di lei, della creatura che potrebbe fare felici?">

Ruoto il corpo, cercando la provenienza del suo richiamo ed ecco che lo trovo mentre percorre a passi lenti l'ingresso di questa stanza.

<"Dovunque c'era nascosto il pensiero inconfessato di lei, anche se non sapevamo neppure chi fosse">

Adesso mi è vicino e mi fissa dritto negli occhi.

<Te lo ricordi?> Mi domanda, ed io annuisco leggermente.

<Un amore, di Buzzati>

Mi lesse quello stesso passo il giorno in cui mi rifugiai in biblioteca, dopo aver conosciuto William al ristornate.

Ian annuisce leggermente, senza staccare le pupille dal mio volto.

Se solo tutto fosse stato diverso da quel giorno, adesso la nostra vita non sarebbe la stessa.

Io e lui saremo tornati insieme, dalla nostra giornata passata nel campo di papaveri, in sella ad un'unica bicicletta e rientrando non avrei visto Caleb gocciolante sangue. Non avrei avuto la drastica introduzione dei Lee all'interno della nostra famiglia.
Saremmo stati gli stessi.

Se solo si potesse ricominciare adesso, se la cattiveria non esistesse, se non ci avesse fatto pagare il salato conto che ci ha presentato.

Le morti. I dolori. Le perdite. Le assenze.

Questi mesi sono stati la tortura impartita dal nostro personale inferno, e nonostante sia passata portiamo ancora le ustioni.
Potrebbero non andarsene mai, ma Ian mi offre la possibilità di celarle, per adesso, e credere di poter ricominciare.
Da quel giorno in cui tutto ebbe inizio, da questo fatidico racconto che narra l'assenza della mia vita nella sua e la stessa attesa, alla quale può essersi prestato, nel fissare il mondo fuori questa finestra, proprio come sto facendo io, attendendo il sopraggiungere del nostro momento.

Con poche parole è questo che Ian mi dona, ed io, con le lacrime agli occhi, sento rinascere dal fondo del cuore quella speranza che credevo essersi per sempre persa.

<Hai capito, non è vero? Il significato di tutto questo>

Annuisco lentamente e lui sorride, inclinando la testa da un lato.

<Avrei voluto che ogni cosa si fosse conclusa prima, per vivere questo istante>

<È tutto perfetto Ian, sul serio>

<No, non ancora>

Non capisco ciò che realmente vuole dirmi, finché la sua mano non cerca una piccola custodia nella tasca interna alla giacca.

Lentamente lo vedo mettersi in ginocchio e il mio cuore trema.
Batte furioso contro il mio petto e reseca la vita del mio respiro.
Spalanco gli occhi mentre Ian, in ginocchio, mi fissa dal basso con questa scatoletta aperta in una mano.

Ho sempre creduto nel tempo. Nell'intrecciarsi degli eventi. Nella resa dei conti. Nelle possibilità. Probabilmente perché la mia vita è sempre stata piena di tutto questo; di occasioni, anche se mancate, che con una precisione millimetrica sono riuscite a penetrare nei miei anni da che ne ho memoria, oppure di eventi, ormai ricordi, che sono nati, sorti, quando meno me lo aspettavo, seguendo una loro data, un ritmo, a dettare il respiro del mio cuore, e finalmente è giunto il nostro tempo.

Da sempre sopra la mia testa, intorno al mio corpo, ci sono stati dei fili, appesi in alto, fissati ad un cielo stellato, e questi erano diretti da delle mani ubriache, pallide e masochiste, che si divertivano a vedere il mio corpo accartocciarsi, piuttosto che correre e ballare. Piuttosto che muoversi. Piuttosto che parlare. 
Mi hanno privato di molto, mi hanno tolto ogni cosa capace di donarmi la vita. Hanno preso, dalle mie braccia, dal mio cuore, mio figlio e me lo hanno strappato. Hanno ucciso Kevin in una morte patetica, sul pianerottolo delle scale. Hanno fatto piangere Caleb, privandolo di ogni ricordo dell'infanzia. Hanno strappato alla vita la madre di Ian. Hanno tolto dalla sicurezza di casa mia mio padre, e mi hanno lasciato con piccole briciole prive di senso.
Oltre a questo mi hanno da sempre privata dell'orgoglio in momenti essenziali o di coraggio, in quelli che lo richiedevano.

Quelle mani ... mi hanno resa più povera di quanto mi condanna ad essere la stessa povertà, che ha tentato da sempre di seppellire il mio canto, tappandomi la voce con la polvere delle sue strade.

Zitta, ferma, priva di volontà.

Persino adesso sono ridicolamente immobile, mentre mi viene offerto il mondo, mentre in ginocchio, ai miei piedi c'è un uomo che mi ha offerto il suo cuore, e l'ha rinchiuso in una piccola scatoletta di velluto rosso. Ed il tempo è immobile. L'orologio a pendolo non batte l'ora.
Non ho fiato per parlare e neanche il respiro per dire quello che potrei dire.
Il cuore infuria impazzito e mi stordisce con la sua grinta.

La limpidezza dell'oggetto nella scatoletta mi abbaglia, brilla illuminato da un raggio lunare, e io so quanto gli è costato, conosco quest'uomo in ginocchio, lo conosco, conosco il suo passato, il luogo da cui veniamo, la vita che abbiamo fatto, il dolore che abbiamo ingoiato per provare a rimanere vivi. E in questa casa, in questa reggia che sembra così grande per i nostri cuori soli ma che è stata scelta per coprire le rovine di una storia passata io vedo lui, per quello che è sempre stato: un angelo dalle ali di ferro, dal cuore di fuoco che brucia persino nel suo sguardo adesso, certo che gli dica di sì. 

Vorrebbe che dimenticassimo tutto, che potessimo ricominciare da zero ... Ma qualcosa mi blocca, le mani mi tremano, il fiato si spezza.

Il mio angelo è in attesa di una risposta, ed io rivedo nel suo sguardo quel ragazzino con la faccia sporca dalla fatica e gli occhi brillanti nel rivedermi, e non posso non pensare che poco prima erano stati altri occhi a fissarmi, e non avevano avuto niente di tutta questa certezza.
Sembravano stanchi, arresi, ancora divorati dal dolore come li avevo visti in pochi altri ricordi, incapaci a togliersi di dosso quella stessa polvere che un tempo aveva macchiato le strade della nostra infanzia, ma nonostante tutto erano stati in grado di dirmi una cosa, e adesso è conservata in quella parte di cuore che da sempre gli spetta.

Non innamorarti di altri. Non innamorarti più.

È stato un'ordine, detto dalla sua figura autoritaria che per anni non sono riuscita a capire, o a voler comprendere, ma che nell'ultimo periodo mi ha mostrato altre sfaccettature di sé, mai viste prima.

Un ricordo riemerge dal contenitore della memoria e appartiene a quel giorno, fatto di litigi, che mi si è presentato recentemente in sogno.
I loro volti dipinti dai colpi subiti quanto dalla loro testarda ignoranza, nel rifiutare il mio aiuto.
Mi hanno sempre protetta, sempre, in un modo solo loro.

Caleb con i nostri continui litigi, Ian con i nostri pomeriggi di confronti.
Due uomini diversi eppure così simili.
Ian, splendente meteora di un cielo favorevole ai miei sogni, angelo protettore delle mie speranze e Caleb, sfortunato ragazzo di strada che mi ricorda a quale luogo spetta la mia vita, a quale polvere terrena e triste realtà. Il mio ragazzo dagli occhi cinici e un tempo follemente innamorati.

La vita non ci ha sorriso, a me e agli occhi della polvere, ci ha tolto nostro figlio, ci ha tolto l'amore e qualsiasi opportunità, facendoci credere che non ci fosse un'alternativa possibile alla nostra condizione ma quest'angelo è riuscito a cambiarla, Ian si è creato la sua strada nel mondo e adesso vuole donare una parte di questo paradiso a me, per dividerla in due, e spartire il dolore, certo che mi spetti. Io non ne sono sicura, ma da sempre è lui quello pieno di certezze, quindi cosa fare?
Accettare questo amore e vedere come va a finire, o rovistare in questo malandato cuore alla ricerca di quell'imperativo a malapena sussurrato sul ciglio di una porta, e seguire quell'ordine nato per sconvolgermi la vita cambiando totalmente le carte in tavola?

Dimenticare e guarire, o ricordare e lottare?
Che cosa voglio davvero?

I loro volti da ragazzi si scontrano con i visi maturi degli uomini che sono diventati, molto, molto più grandi di me.

Mi ero sbagliata. Non siamo stati io e Caleb a rimanere indietro, ma solo io, unicamente io, ancora al mio posto dietro alle loro spalle, protetta ma inerme come ho sempre detestato restare.

Gli occhi verdi di Caleb mi ricordano il nostro passato ma è all'interno di quelli di Ian che mi perdo, scoprendo una strana verità che riesce a trafiggermi.

Vedo in essi ciò che fino ad ora non sono mai riuscita a vedere, e mi uccide costatare quella presenza.

La compassione.

Nessun sentimento più perfetto e altruista per chi lo prova, ma così sbagliato per chi lo riceve.

Non è me che Ian guarda, lo capisco solo adesso, lo capisco ... ancora prima che lo faccia lui, in ginocchio, per terra, pronto a offrirmi il suo cuore.

Ian vede in me ... sua madre.
La donna che non è riuscito a proteggere.
Ed è tutto così chiaro da risultare patetico.

Sono stata la sola ad aver confuso il suo sentimento per amore o forse anche lui era stato ingannato.
Affetto e amore sono tanto simili negli anni da poter essere confusi.
Da sempre mi sono dimostrata l'unica a poter essere accusata di tale confusione, ma Ian non ha mai scorto la realtà, non ancora. Solo Caleb fino ad esso ci è riuscito, ancora una volta.

"L'amore non è solo conforto"

Lui lo aveva capito, lo aveva compreso da tempo.

Tempo, da sempre una questione di tempo. Lo stesso che sta correndo via, mutando anche l'espressione sicura di quest'angelo.

Che cosa desidero? Vorrei tanto dimenticare.

Farò la scelta giusta? Riuscirò a farlo felice? Conquisterò questo nostro lieto fine?

Una lacrima mi cade lentamente lungo il viso, e in piedi di fronte alla sua richiesta non riesce a sfuggire al suo sguardo.

Le mani mi tremano e le labbra si separano appena, pronunciando una frase che sarà un nuovo inizio.
Una nuova vita.

<Io non posso farlo>

Gli occhi di Ian si spalancano, trafitti dallo stupore.

<Che cosa?>

<Non posso farlo, Ian>

Occorre un attimo, durante il quale tutta l'angoscia viene rilasciata all'interno delle nostre anime, prima di potergli permettere di parlare di nuovo.

<Perché?>

<Tu non mi ami>, ammetto, e a questa risposta Ian scatta in piedi, trafitto dalla frase emessa.

<Lascialo decidere a me se sono in grado di amarti>

<No ...>, sussurro in un sorriso, mentre le lacrime ancora corrono, ammettendo nella loro discesa quella verità che da sempre era corsa via.
Come ho potuto non accorgermene prima?

Sono realmente così egoista da non pensare che a me stessa?

<Ma di cosa stai parlando?>

<Di tua madre, Ian. Parlo del dolore che ti ha lasciato la morte di tua madre>

Non deve aspettarselo perché la sua bocca si apre appena, tentando di pronunciare una frase in grado di smentirmi, ma che non arriva affatto alle mie orecchie.

<È così, Ian e forse non te ne sei mai reso conto, ma vedi lei in me, alla sua morte hai solo cercato qualcuno da proteggere e l'hai fatto, egregiamente. Ci sei sempre riuscito e per questo Ian ti devo rendere grazie>

<Non lo fare. Il bacio di ieri sera ... so che hai provato qualcosa>

<E tu che cosa hai provato? Perché hai comprato questo anello Ian? Perché adesso?> Domando avanzando di un passo, così da arrivare più vicino alla sua confusione quanto alla chiarezza che sopraggiunge all'orizzonte.

<L'ho fatto per te, per rassicurarti che non ti avrei mai lasciata> pronuncia lentamente, di fronte alla mia palese presa di coscienza. <Non vuol dire niente>, combatte ancora, ma io non gli offro modo di proseguire, per quanto mi farebbe bene adesso avere ancora un soldato sul quale sfogare tutti i miei problemi e i dolori che sono costretta a subire.

Quale patetica e infantile ragazzina.

<Si, invece, Ian, è così. Tu non mi ami, per tutti questi anni hai creduto di farlo ma non è una colpa. Noi due ci facciamo bene, ce ne faremo sempre. Eri felice, proprio come me, di quello che stavamo provando>

<Vuoi dire che non mi ami, Megan? Che non hai più bisogno di me? Se è così basta che tu me lo dica, apertamente e io non proverò a combattere>

Retrocedo lentamente, mentre vedo nelle sue mani ancora presente la scatoletta di velluto contenente l'anello.

La sua espressione si corruga ancora di più dal dolore, dato dal distacco, di un rapporto che sono stata io a costruire, io a chiedere.

<Che cosa hai intenzione di fare?> Mi chiede mentre continuo ad arretrare nei miei piedi nudi, nel mio jeans stretto, nella maglia bianca che riporta comunque la macchia più scura delle mie lacrime cadenti lungo lo zigomo.

<Vi ho ferito così tanto, entrambi. Spero che un giorno possiate perdonarmi>, prego, mentre continuo ad arretrare.

Gli occhi di Ian non mi perdono di vista e la sua mano si tende, quasi a volermi afferrare.

<Megan ....>

<Mi dispiace>, sussurro, prima di voltarmi e correre via mettendo distanza tra di noi, sfuggendo alla preghiera della sua mano, alla supplica del suo viso.

Fuggendo a tutto mentre la sua voce invoca con tutta la sua forza il mio nome ma il suo corpo non mi segue, comandato a rimanere immobile dall'anima di bambino che da sempre lo accompagna e che si è sentito chiamato in causa al ricordo della morte della mamma, a quel trauma che non è riuscito del tutto a estinguere.

Corro via, anche io nel mio corpo di bambina, lasciando tutto indietro. Speranze, sogni, ricordi, privandomi di tutto, perdendo ogni cosa mentre la velocità la strappa via da me come tessuto ridotto in brandelli essendo stato lacerato da affilate unghie di mani.

I fili che hanno stretto la mia vita finalmente abbandonano la presa intorno al mio corpo. Le dita manipolatrici dei burattinai che li comandavano perdono la loro forza e solo adesso, solo adesso, riscopro la donna che sono.

Unicamente in quest'istante in cui sono rimasta sola.

Per anni l'abbandono è stata la mia più grande paura.
La solitudine il mostro dal quale fuggivo, riparandomi alle spalle di Caleb e Ian, ma per crescere devo affrontarla, per maturare, così come hanno fatto loro essendo riusciti a combattere i loro demoni, devo affrontarla di petto e vincerla.

Non sono una bambina, non sono una donna ma per molto sono stata una ragazza egoista e la principale fonte di un altrui dolore.

Avrebbero entrambi meritato di meglio, rispetto alla persona che sono.
Avrebbero dovuto ricevere un'amica che presentasse maggiore cura ai loro due cuori, ed è la vergogna di questa presa di coscienza a darmi la giusta velocità, garantendomi una corsa folle che da sempre è stata fiancheggiata dalla presenza di Ian quanto di Caleb mentre adesso è solo il vento ad essermi alleato. Nemmeno gli spiriti di loro due sono più presenti, mentre abbandono il South Side con sempre meno forze e gli abiti sporchi di polvere, pronta però a dare inizio a qualcosa di nuovo, un cambiamento in grado di modificarmi, manipolandomi così nel profondo.

Dal cielo gli occhi di Kevin mi guardano e sono fieri di me, mi illustrano il cammino e mi permettono di fuggire senza essere vista da altri occhi.
Sola, ma in sua compagnia.

Affretto il passo e riesco a raggiungere un posto lontano, tanto distante da permettermi di portare con me il peso del mio nome e degli sbagli che ho commesso, e che mai più vorrò arrivare a ripetere.

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