9- La lista dei difetti e il gioco delle fiamme
P.O.V Nicole
Maledetto bastardo.
E' la sola frase a cui penso, direi già da una gelida ora e senza particolare mittente. Mi potrei riferire a Kevin, quello considerato tanto santo da tutti ma che non ha esitato nemmeno un attimo a tirarmi uno scherzo del genere, oppure al bastardo di un cameriere a cui ho fatto suonare il cellulare almeno dieci volte nel giro di due ore, tutto perché il cretino mi ha lasciato il suo numero facendoci il gradasso senza chiedere il mio in cambio, nel caso ci fossero stati problemi a causa del lavoro o che ne so .. dell'umore, portandomi a compiere un nuovo gioco intitolato "fai la parte della pazza e chiama a ruota il cretino che hai rimorchiato in un giorno al bar, tutto per non arrivare sola alla festa al cospetto del perfetto Joseph" ... no troppo lungo, lo chiameremo "saluta la dignità".
Le ho proprio fatto ciao con la mano ...
Ma più di tutti, più di tutti lo giuro odio il re degli stronzi narcisisti che aveva previsto già molto tempo addietro tutto questo. E mai come prima d'ora vorrei andargli davanti per urlargli addosso solo una montagna di parolacce, giusto per sfogarmi.
Il ricordo di quella giornata mi infastidisce, eppure, quasi fosse masochista la mia mente decide di ripropormelo, ed io quasi mi ribello a lei, martellando decisa diversi colpi a terra, tentando di distrarmi con il rumore per scacciar via i ricordi.
"E' diventata una nuova moda questa, adesso? Fuggire da me dopo che abbiamo fatto sesso ... per ore?"
Dio quanto ci tiene a chiarirlo, lui e il suo maniacale egocentrismo che sventola come se fosse la bandiera patriottica.
"Ti aspettavi le coccole?", domando, tirandomi su i jeans e chiudendo la lampo. Dalla montagna di coperte morbide fa capolino il suo sorriso arricciato, impacciato, curioso ma anche tenero. Ogni tanto riesce a risorgere da dietro quella facciata di gelido egoista che tiene tanto a dimostrare di essere.
"E' una frase che diciamo noi uomini ... l'hai rubata dal nostro repertorio"
"Allora non ti sarà tanto estranea come scena, Nicolas"
Con la coda dell'occhio lo vedo tirarsi appena su e posare un braccio sulle lenzuola in modo da affossare una delle morbide sporgenze causata dalla sovrapposizione di strati, e da movimenti strani, all'interno di quel letto.
Afferro il telefono da dentro la borsa per vedere se la capa per caso avesse deciso di far aprire a me il salone, e mentre le faccio avverto il suo divertimento.
Sollevo gli occhi dallo schermo. "Beh? Si può sapere che c'è?"
"Mi chiedevo perché te ne stessi andando, ma adesso credo di averlo capito. Ne hai accalappiato un altro, in una delle tue serate? Dio, credevo che stanotte ti fosse bastata"
"Quanto puoi essere cretino? I telefoni non si usano solo per quello!"
Vedo il suo volto cambiare espressione, come se a un tratto nutrisse speranza. "No?"
"No!"
"Allora hai per caso degli amici ricchi attrezzati di quei cosi che ti messaggiano e che io non conosco?"
"No! Non ho accalappiato nessuno, sto solo verificando che il mio capo non mi abbia scritto"
"Sarà ..." volta lo sguardo da un'altra parte, senza starmi più a sentire.
La prendo seriamente, torno su quel letto.
"Come puoi pensare che esca con altri quando vengo a letto con te? Che ragazza pensi che sia?"
Sono battagliera, non mi do per vinta nonostante lo abbia chiesto nella più totale calma, e i suoi occhi brillano di un colore particolare contro questa luce, mentre ancora mi soppesa prima di rispondermi sincero.
"Direi quel genere di ragazza che, quando dovrà veramente usare il suo cellulare per rimorchiare, sarà terribilmente in imbarazzo ma non lo darà a vedere, perché vuole apparire tosta, ma sbaglierà tutto non conoscendo i trucchi del mestiere, vista l'innocenza che tenta in tutti i modi di celare ... Ma faremo in modo che questo non avvenga troppo presto, raggio di sole, per adesso usa quel telefono per scrivere alla tua capa, nient'altro, per tutto il resto ... ci sono io"
Batto ancora il piede contro il terreno, piena di rabbia. Mai vorrei dargli ragione, mai!
Ma dannazione se l'aveva ...
L'imbarazzo che ho provato di fronte al cameriere è stato tanto grande da farmi inizialmente tremare le mani, ma poi la recitazione si era presa il suo spazio. Vorrei solo aver avuto la fortuna di beccare qualcuno con il cervello, Meg mi aveva avvertito ma quando mai le do ascolto. La prendo sempre in giro sulle sue questioni d'amore, tanto complicate da non capirci più niente, quando pure io non sono da meno.
<Oh, al diavolo!>
Non resterò qui ad aspettare, l'ho fatto fin troppo, adesso me ne vado.
Recupero la borsetta e mi metto in piedi con forza, allontanandomi una volta per tutte da quel marciapiede gelido che ha ospitato i miei ingiuri, e decido di avviarmi verso l'unico posto in cui vado, quando non ho una meta.
Potrebbero essere tutti radunati lì, pronti a prendere in giro l'abito corto e rosso che mi sono messa addosso, reminiscenze di mia madre, pur sempre alla moda ma troppo attillato, e la serata andata a perdersi in una coltre di fumo e parole sconnesse, di due stupidi che non si erano proprio capiti ... eppure il Burnett è l'unico posto a cui tornare, con i tacchi tra le mani ed un passo traballante dall'immobilità a cui mi sono sottoposta, respirando a pieni polmoni l'aria gelida giungente a ventate contro il chiarore della mia faccia.
Non voglio altro adesso che quel tavolino di plastica mezzo rotto e la sua sedia annessa con cui fissare le stelle, senza pensare a niente, oltre che alla mia vita piena di sfiga.
Depressa e pungente, pronta a colpire chiunque mi provochi con una battuta, cammino verso un percorso che ormai so a memoria, evitando l'ingresso del cancello, quando qualcosa attira la mia attenzione. Sono ancora distante dal Burnett, direi metà strada, mentre quelle figure nere, incappucciate, sembrano andare dal lato opposto. Attirano la mia attenzione perché sembrano avere qualcosa di strano ... di diverso.
Controllo l'intorno, lasciando le mie scarpe dietro a un muretto, verificando meglio il nascondiglio, pensando poi che la mia sfiga è data principalmente dalla mia curiosità, e con passo leggero, distante, inizio a seguirli, percependo persino parte dei loro discorsi, sempre più chiari.
P.O.V Megan
Sono esposta al giudizio del suo sguardo ormai da un pezzo. L'imbarazzo quasi mi ha raggiunta ma ancora lui non dice niente, e le braccia iniziano a farmi male.
<Allora? Che ne pensi?>, lo solletico trepidante, alzandomi per un momento sulle punte, entusiasta, e mordendomi un labbro nell'attesa.
<Le bretelle non le metto>
La risposta mi fa cadere le braccia, demotivandomi al massimo.
<Caleb ... fanno parte della divisa>
<Le indossi pure tu?>
<Si vede che non passi mai dal bar ... sono solo per voi maschi, è ovvio, mica spettano a me>
<Ti danno noia alle tette?>
<Ma di cosa stiamo parlando?>, mi informo ridendo.
<A me danno noia, sia nelle spalle che nei movimenti. Mi fanno sentire una gruccia a cui appendere i panni, e non è vantaggioso per un cameriere non riuscire a fare movimenti, giusto? Non c'è un papion o che so io una cravatta, come in tutti i ristoranti?>
<Hai visitato ristoranti di lusso ultimamente, qui in paese? Niente cravatta signorino, qui si servono solo bretelle. Forza provati tutto, devo vedere se ti sta altrimenti dovrò chiedere a Nino un'altra taglia prima del pranzo>
Esegue quanto chiesto, afferrandomi la divisa dalle mani prima di appoggiarla sul letto, poi si alza e fa correre le mani alla cinta dei jeans. Mi volto per tempo, prima di vedergli compiere quella mossa troppo azzardata, e il viso mi si colora di rosa.
<Che fai, adesso ti volti?>, mi provoca. <Hai stressato per ben venti minuti con questa divisa, ininterrottamente. Adesso quello che dovrei fare sarebbe costringerti e farti girare>
Sento i suoi passi lenti farsi sempre più vicini, alle mie spalle.
<Caleb ... non abbiamo più tredici anni, non siamo bambini> soffio fuori in un respiro. La sua voce è sempre più vicina.
<Questo lo so>.
D'un tratto sento la punta delle sue dita sfiorarmi da dietro il collo, e mi pento di aver lasciato la treccia da lavoro, perché in questo modo quello che sento è assurdamente amplificato.
<Ma c'è imbarazzo tra di noi?>, mi domanda, facendo scorrere poi quella stessa mano lungo il profilo della mia spalla, lentamente.
<Dormo sempre mezzo nudo accanto a te Meg, ogni notte, mentre tu non ti scopri nemmeno un po'>
Eccolo che arriva al mio braccio, semicoperto da delle mezze maniche, effetto che mi provoca i brividi in ogni parte del corpo.
<Perché dovrei farlo?>
<Beh ... tanto per cominciare ...> inizia, ma prima ancora di continuare porta il suo corpo tanto vicino al mio che posso percepirne il calore <... la mattina non mi scopriresti come fai sempre, lasciandomi mezzo infreddolito al risveglio>
Sorrido senza che lui possa notarmi. <Allora vedi che la maglietta serve?>
<Mentre invece la notte non lotteresti come una matta per cercare l'unica parte rimasta fredda del letto, cosa che devo ammettere mi fa arrivare tutti i tuoi bei capelli lunghi e lisci direttamente in faccia>, mi volto di scatto e troppo velocemente. Compiuto quel mezzo giro siamo quasi faccia contro faccia.
<Vedi che sono le tue coperte ad essere troppo pese, io non mi vesto certo come un sacco! Pantaloncini al ginocchio e maglietta sono il mio pigiama, e se provi fastidio a dormire insieme nessuno ci obbliga, possiamo anche smettere già da oggi!>, riesco a dire con tutta serietà, ma il suo mezzo sorriso mi spezza.
<Finalmente ti sei voltata ...>
Strigno il labbro inferiore in una piccola morsa, non volendogliela dare vinta, e intrecciando le braccia sotto il seno.
<Ti senti a disagio con il tuo corpo quando sei con me?>
<Credevo di aver già fatto a scuola educazione sessuale>
<Perché, hai imparato qualcosa?>
Faccio per andarmene ma lui mi blocca, riportami al mio posto.
<Non si tratta di niente di sessuale, solo di come ti rapporti a me. Non voglio che ci sia imbarazzo tra di noi, neanche un po', non lo sopporto ... non voglio aver alcun tipo di barriera con te. Fingo già con tutti gli altri mostrando quello che non sono, ma a casa con te Meg non voglio farlo>
<Non mi spoglio davanti a te Caleb>
<Perché no?>
<Perché sono piena di difetti>
<Ma di che parli?>
Sbuffo sciogliendo le braccia. <Stasera vuoi proprio mettermi in difficoltà! Ti chiedevo solo di provare quella divisa>
<Lo faccio, se mi rispondi>
<Vuoi che esponga tutte le mie fragilità alla persona che può farmi più male?>, lo ferisco, ma lui non abbassa gli occhi.
<Non voglio più farti del male>
<Si certo, fammi sapere come ti sta quella divisa> Mi volto tentando di andarmene, ma quante volte posso commettere lo stesso sbaglio? Non gli ci vuole niente a recuperarmi e avvicinarmi ancora di più a sé ... molto più di prima.
<Spegni quel fuoco nello sguardo e parlami ... quali difetti?>
<Vuoi davvero che te li dica?>
<Quanto scommetti che sono solo tue paranoie?>
<Che cosa scommettiamo?>
Lo vedo, è divertito. <Aumenti la posta in gioco così>
<Dipende a cosa punto>
<Attenta a quello che desideri>
<Se ho ragione io mi rivelerai quello che nascondi> Sono decisa, voglio sapere cos'è.
<Se vinco io invece ... voglio che tu dorma con qualcosa in meno ogni notte>
Mi azzero di colpo. <Cosa?!? Stai scherzando spero>
<Affatto, ma cos'è, adesso non sei più sicura di vincere?>
<Smetteremo di dormire insieme quando rimarrò solo con l'intimo>, metto in chiaro la questione, e lo vedo mordersi un labbro, senza accennare a rispondermi.
Quando lo fa la voce che gli esce è bassa, roca, e capace di smuovermi fino alle fondamenta.
<E' un sì?>
<Si Caleb ... accetto la scommessa>
Un lampo di soddisfazione gli illumina lo sguardo, e lentamente lascia andare la presa esercitata con i denti sulla bocca.
<Allora avanti ... parla sono tutto orecchie>
<Di ogni tipo di difetto?>
<Dio ma quanti pensi di averne?>
<Ho le labbra troppo grandi>
Si arresta di colpo, rendendosi partecipe delle mie confessioni.
<Posso assicurarti che questo non è mai stato un difetto. Anzi ... il contrario>
<Dici così ma io mi sento volgare con un rossetto scuro, o rosso che è anche peggio>
<E allora non metterli, a che ti servono tanto?>
Alzo gli occhi al cielo, già convinta che lui a questo gioco non mi capirà mai.
<Che altro?>
<Ho le ginocchia incavate, puntano di poco verso l'interno delle gambe>
<Nemmeno si nota>
<Con dei Jenas stretti si ...>
<Meg, dico sul serio ... no>
<Non vale se dici di no a tutto solo per vincere>
<Sto ancora aspettando i veri difetti>
<E va bene, allora ... le mie mani sono troppo piccole. Vedi? Quelle di una bambina! Se metto lo smalto assomiglio alla moda dodicenne delle ragazzine del mio corso>
Sospira e ancora gli occhi a un lato della stanza, fingendosi spazientito.
<Che altro?>
<Ho le mascelle squadrate che mi fanno una faccia troppo tonda. Vorrei avere il viso magro e allungato come quello delle modelle>
<Non hai affatto la faccia tonda, sei magra, e anche un poco bassa, per questo hai mani e piedi piccoli>
Mi giocherò l'artiglieria pesante allora, seppure mi mette in difficoltà, tutto pur di vincere.
<Ho le smagliature sotto le cosce, e poche, bianche, anche sul seno>
Torna con gli occhi su di me, notando il tono con cui mi è uscito. Fragile. Molto fragile.
<Hai mai visto una donna che non le ha?>
<Julia non le ha>
<Perché lo dici? L'hai vista nuda?>
<Io no ma tu si>, ringhio fuori, ma non attacca.
<Quasi ogni donna le ha, è normale, fa parte della crescita, e non sono certo un problema ... credi di tirare fuori qualche altro e inutile complesso mentale che ti sei fatta oppure finiscono qui?>
<Finiscono qui>, ammetto.
<Bene ... allora avevo ragione io, non sono affatto difetti>
<Come possiamo sapere che hai vinto davvero tu? La tua opinione è troppo di parte, dovremmo sentire qualcun altro per avere la verità>
<Vuoi parlare del tuo seno a uno sconosciuto?>
<Niente di più imbarazzante di questo, te lo assicuro ... e comunque non del mio seno, ma del seno in generale, e non solo di quello ma anche di tutto il resto. Chiediamo ai nostri amici o a chi conosciamo cosa ne pensa, e poi teniamo il conto. Il vincitore avrà quanto pattuito>
<Se credi sia meglio ...>
<Certo che lo è! Adesso provati questi abiti e no!> lo blocco subito, <io non ti guardo, maniaco egocentrico. Me ne sto qui di spalle e tu ti provi queste maledette cose>
<Agli ordini signora!>, esclama divertito, e ritornato agli abiti si aggiunge a cambiarsi, per tutto il tempo rimango di spalle e aspetto solo il suo segnale per costatarne il risultato. Arriva nel giro di pochi minuti.
<Allora?>
Spalanca le braccia a evidenziare la posa. Non si è messo le bretelle ma direi che mi basta. La camicia gli sta perfetta, così come i pantaloni. Niente di meno dal dio della perfezione.
<Direi che possono andare, quindi mettili via perché sono l'unico cambio che hai>
<Tutto qui? Solo possono andare?>
<Che ti vuoi sentir dire? Tu proprio sai di non avere difetti>
Mi sorride in un modo timido, mentre si allenta i polsini. <In realtà ne sono pieno ... ma me ne accorgo solo quando sono con te>
Abbasso gli occhi fino a terra, evitando di dire che per me è lo stesso, mentre lui finisce di cambiarsi. Si sta infilando la maglietta quando dei colpi decisi ci raggiungono alla porta. Lo guardo senza capire, ma lui non sembra sapere niente.
Ci avviciniamo insieme e una volta aperta, sulla soglia, troviamo Nicole a piedi scalzi, con il respiro rotto, e un vestito rosso scuro a cingerle le forme del corpo.
<Grazie a Dio siete in casa, è successa una cosa, dovete venire! Non riesco a trovare gli altri, Celin e Kevin saranno insieme ma Ian non è in casa, dobbiamo cercarlo>
<Che è successo Nicole?>, le domanda Caleb alle mie spalle, e lei ha gli occhi fuori dalle orbite, lucidi forse a causa del freddo mentre il fiato rotto esce a tratti dalle sue labbra macchiate di rossetto.
<Hanno dato fuoco al cantiere, non ne restano che macerie>
P.O.V Ian
Da sopra il comodino la sveglia segna mezzanotte, un'ora infida che mi porta a fare ragionamenti su un'età fatta solo di sforzi, e di crolli fisici alle nove di sera. Ho provato a dormire, per tutta la notte, ma qualcosa non mi dava tregua. Mi sentivo su di giri, agitato, e per niente incline alla pace mentale ... dunque mi sono deciso, e con quell'orario in testa ho afferrato la solita felpa grigia da sopra la sedia della scrivania stracolma di libri suggeriti da Meg, e sono uscito fuori. L'aria era pungente, fredda, come solo gennaio riesce a portarla, ma forse la sola in grado di schiarirmi i pensieri.
E ora sono qui, su questa strada deserta, a girovagare senza meta per quei sentieri ormai impressi a forza tra i miei ricordi.
Vorrei andare via da qui.
Da questa strada sporca di polvere che mi macchia le scarpe e l'anima. Il ricordo del discorso fatto con Meg, ai campi di papaveri a nome di Kevin, mi rimbomba dentro ad ogni ora del giorno, e forse è proprio per lui che adesso mi trovo a camminare.
Mi stringe la gola come un cappio il solo pensare di dover condurre la vita che stiamo facendo fino a tarda età, vivere sempre qui, nel nostro quartiere, e camminare come dei funamboli su di un filo troppo facile da recidere che ci rende precari possessori di vite senza valore, lontani da ogni cosa, lontani dai vizi, dai pregi, dai lussi, cresciuti solo ne l''istinto di sopravvivenza, senza alcuno svago.
Vorrei viziare mio padre, vestire con ampi abiti Wendy, o meglio fabbricarli dai suoi scarabocchi, portare in salvo Megan prima che il peso di tutto questo la opprima, e privare Caleb del dolore con il quale si circonda.
Funamboli. Ubriachi ma attenti. Si gioca con gli equilibri, si cerca di aprirci i nostri varchi.
Altre vie non ce ne sono, se non poche strettoie di basse uscite di emergenza, a permetterti di cambiare vita, e Kevin si era chinato abbastanza per riuscire a passarci.
E per questo ha tutto il rispetto che si merita.
Cammino ancora lungo questo tracciato rettilineo, esterno dal perimetro dei palazzoni delle case, o dal centro più abitato dei ristornati, e prendo la via diretta verso il Brunett, l'unico luogo giusto per pensare.
Ricordi affiorano nella mia mente cercando di scacciare via i dubbi e le incertezze, per lasciare una dolce malinconia in grado di conciliarmi il sonno, ma un odore acre mi raggiunge, scacciando via le nuvole dalla mia testa.
Cerco di capire da dove provenga eppure non me ne viene dato modo perché dopo poco dei passi concitati nel buio tentano di raggiungermi.
Mi metto in allerta per tentare di nascondermi, ma la luna fa capolino dal suo nascondiglio svelandomi il volto dell'estraneo, poco prima che mi finisca stretto al collo.
<Dio Ian sei qui! Ti abbiamo cercato dappertutto!>
Megan ha la voce rotta, quasi preoccupata, ed io non esito un attimo in più per ricambiare il suo abbraccio. Alle sue spalle Caleb resta distante dalla scena.
<Che cosa è successo?>, chiedo direttamente a lui, mentre sento la mano di Meg chiudersi in un pugno sulla mia maglietta.
Caleb mi fissa di rimando, anche lui preoccupato.
<Dovresti venirlo a vedere con i tuoi occhi ... non si sa ancora chi siano ma erano vestiti di nero, sei uomini circa ... ed hanno dato fuoco al cantiere Ian. E' bruciato tutto quanto>
Spalanco gli occhi non riuscendo a crederci, ma proprio in quel momento, quasi a riprova, ci raggiunge di nuovo lo steso odore di poco fa, e che adesso so trattarsi di combustione.
<Forza, andiamo!>
Non ci sono i pompieri, non abitiamo così vicini alla città, in pochi hanno un telefono, e per quelli che l'hanno tentare è inutile, non ci è mai stato offerto un aiuto. Siamo interamente scoperti, come per gli ospedali, così quando arriviamo quello che riusciamo a vedere è solo la collaborazione dei cittadini muniti di secchi d'acqua, che insieme riescono a placare le fiamme. Visto la corrosione su una delle pareti in calcestruzzo, direi di molto divampate.
<Cerco un secchio, do una mano>, avverto guardandomi intorno.
<Aspetta, ti aiuto io> sento dire da Caleb. Meg per un primo momento è immobile, a fissare le fiamme, ma poi dopo, con mio disappunto visto il pericolo, si aggiunge anche lei. Dal suo sguardo si intende che non c'è modo di farle cambiare idea, quindi nemmeno ci provo.
La lotta è contro il tempo, contro i venti, e contro l'arsura. L'esposizione non ci aiuta, fa accrescere le fiamme, ma tutti insieme riusciamo a dileguare quel fuoco, riducendolo drasticamente, dopo una mezz'ora, ad un piccolo braciere incandescente.
Getto il secchio a terra e mi passo le mani sul viso, stentando a credere a queste rovine davanti. Non sono il solo. Il direttore dei lavori ci ha raggiunti, insieme ad altri membri del mio staff, e insieme rimaniamo ad osservare basiti il disastro riportato dalle fiamme.
<Era quasi finita ...> commenta uno di noi, facendo smuovere a ritmo un movimento a serie di dissenso con la testa, di molti uomini.
<Dovremmo ripartire da zero, senza pause. Siamo stretti con i tempi, parlerò con i proprietari, tenterò un accordo>, avverte il capomastro, senza staccare gli occhi stoicamente impassibili.
Io non riesco ancora a credere che sia successo, che sia finito così il lavoro di mesi, anni ... al seguito di un incendio appiccato intenzionalmente, da parte di ignoti.
<Half ... chi può essere stato? Chi può trarre beneficio da una cosa del genere?>, domando direttamente al nostro direttore, esponendo in un'acrobazia il quesito che ci preme nella testa, a tutti noi.
<Forse non lo sapremo mai ... si trattava solo di sei ragazzi ... forse era gente a cui piace spargere disordini ovunque, senza trarre particolare profitto. Cosa possono pensare di ottenere da gente come noi?>
Abbasso gli occhi cercando di sfuggita quelli di Caleb e Meg già su di me, cercando più che spiegazioni conforto, aiuto, e non ne esco a mani vuote.
Half recupera una delle pale del cantiere salvata dal disastro, avvicinandosi alle rovine. Niente è pericolante, trovandosi direttamente a terra, quindi non ci sono rischi di colpi dall'alto, ma vedo comunque i suoi attenti osservarsi intorno.
<Forza, puliamo questo schifo. Domani ricominceremo da capo>, gli sentiamo dire, e affondando con forza la pala nel terreno fa partire il primo scavo.
Nicole
Nicolas
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