89- La forza dei soldati innamorati
P.O.V.
Megan
Sei anni prima
Non occorrono molte cose per essere felici, ma al momento vorrei solo che il futuro potesse non riservarci questa ennesima situazione.
Sia l'uno che l'altro hanno sguardi sicuri quanto distanti, contornati da un'alone nero sopraggiunto in un fastidioso motivo di decoro.
Sono testardi, non vogliono ascoltarmi, eppure io lotto in tutti i modi affinché la mia voce si senta, o quanto meno tutta la mia intenzione.
<Dovete smetterla di fare così, avete capito? Siete pieni di lividi, accidenti!>
Ian in particolare, dal momento che sfoggia un taglio al centro del labbro e un grosso livido sullo zigomo che sembra pronto per gonfiare, ma solo perché Caleb ha ricevuto la sfortuna di altri colpi indirizzati a costole, fianchi, e piccole parti di pelle nascoste al di sotto dei vestiti. Deve essere dolorante, ne sono certa, ma non prova minimamente a mostrarlo. Patetico testardo.
<Mi state ascoltando?>
Gli occhi di entrambi si spostano in direzioni diverse, ovunque tranne che su di me.
Pensano così di poter sfuggire alla tristezza che provo nel vederli, o alla rabbia che sento?
<Non dovete continuare a difendermi>, sussurro a quel punto, perdendomi con la mente in un immenso vuoto che ricorda le volgari parole dette, a mio indirizzo, dal rissoso ragazzo pieno di forza fisica, contro cui sono andati, e accompagnato da una scorta di altrettanti sedicenni a badargli le spalle.
Abbiamo solo quattordici anni, ma questa storia va avanti da tempo.
<Se le meritava>, risponde Caleb, fronteggiandomi per primo e sfidandomi con gli occhi.
<Sono d'accordo>, si aggiunge quindi Ian, lui però senza fissarmi.
Lo vedo passarsi l'indice sul labbro spaccato e rimanere a osservare il sangue caduto sull'epidermide.
Alle loro parole spalanco gli occhi, stanca.
<Eravamo lontano, potevamo semplicemente ignorarlo>
<Così avrebbe continuato a ripeterle, lui e quel gruppetto di idioti>, mi tiene testa Caleb, ma io sono convinta di aver ragione, per quanto una simile protezione non mi sia del tutto indifferente.
Detesto e adoro, allo stesso tempo, averli al mio fianco.
La temeraria, grintosa, ragazza, lato della mia personalità vorrebbe liberarsi di loro per dimostrare di essere in grado di farcela mentre l'altra, troppo piccola ancora, sente di non esserne in grado.
Di non poter sfuggire da sola alle maldicenze della vita, a stupidi commenti offensivi o azioni avventate.
Passeranno così, entrambi, tutta la vita a proteggermi?
Perché non sono in grado di riuscirci da sola?
Forse ... perché non ne ho mai avuta la possibilità.
<Dovete lasciarmi commettere degli errori. Permettermi di affrontare la vita a modo mio>
<Lo facciamo, Meg>, afferma Ian in un tono stanco, sollevando la testa per gettarla indietro.
<No invece!>
Non commentano altro, nessuno dei due.
Le mani di Caleb sono strette sulle braccia intrecciate, tirano la stoffa, senza forza però dal momento che le nocche non sono bianche.
Non si arrabbia, pensa soltanto. Spero che ci ragioni sopra, che capisca quello che veramente provo.
Ian invece non compie un simile sforzo. Si passa una mano tra i capelli, e con un piede scalcia un sassolino prima di pronunciare lento una specie di sentenza.
<Loro erano sei ragazzi più grandi e tu una gracile quattordicenne>
<Sai che non sono riferite solo a questo, le parole che dico. Voi lo fate sempre ...>
Non mi ascolta, compie un mezzo giro, voltando la schiena a Caleb che ancora mi osserva, e si concentra su il giardino al nostro fianco. Alla corsa di piccoli bambini e forse anche all'ombreggiatura delle chiome offerta dal sole, sotto la quale si è riparato un anziano signore, sedendosi su una panchina.
<Non smetterò mai di proteggerti>
Sento dire poco prima che se ne vada.
Ian ci abbandona lasciandoci a noi stessi, a un'inimmaginabile silenzio che però sembra l'eco delle stesse parole che sono state pronunciate.
Nessuno dei due smetterà mai, a loro modo stanno lottando entrambi per difendermi, come perfetti soldati aventi l'unico compito di proteggermi mente e cuore, allo stesso tempo.
Non posso sapere come potrebbe essere la mia vita una volta privata della loro paura, né come potrei comportarmi io, da sola, una volta esentata dai loro pensieri e gesta.
Senza di loro non sono molto. Unicamente la donna, ferma in piedi ad attendere e capace di vedere solo la loro schiena, mentre mi si schierano di fronte, correndo a proteggermi.
In questa posa non vedo molto a eccezione dei loro cuori, sotto gli strati di pelle e stoffa, mentre battono all'unisono con il mio, in un sincrono solo, parti della stessa cosa.
E adesso non è cambiato molto.
La sola differenza risiede nella fissità degli occhi di uno dei miei soldati mentre sono sul suo letto, trafitta da un'assenza interna.
Non mi abbandonerà, sembra dirmi, continuerà a proteggermi ed ormai credo che di quella battagliera ragazza, pronta a impedirglielo, sia rimasto ben poco.
Sento mancare le forze per replicare o molto probabilmente nemmeno desidero farlo.
Dall'alto la sua mano mi accarezza il viso, passa sulla mia tempia, scende lungo lo zigomo e poi la guancia, terminando sulla mandibola, senza sfiorarmi il collo.
<È tutto finito, Meg. William e Richard sono morti>, mi dice, ed io stesa al di sopra di questo suo nuovo letto rimango con la mente, gli occhi, il cuore ... su di queste parole.
<Sono morti?>
<Si>, pronuncia, e qualcosa nel mio interno si fa leggero, permettendomi di volare.
Un insopportabile peso si eleva dal mio petto, lasciando libera l'anima.
Sono morti ... il padre di Caleb ... il fratellastro di Caleb ... sono morti.
Chiudo gli occhi serrandoli per il fastidio, prima di sollevarmi e posare il peso sulle ginocchia in modo da stringere Ian al mio petto, mentre ancora staziono sul materasso, così da garantirci un'altezza perfetta per essere ancora una volta cuore contro cuore.
<È tutto finito, Meg. È tutto finito>
Vorrei urlare per la liberazione di questa notizia.
È tutto finito, niente ci imprigiona più.
La nostra casa è salva, così come anche la nostra libertà.
Siamo capaci adesso di vivere di nuovo la nostra vita ... ma che cosa ne è rimasto?
Piccole briciole di magica polvere tanto sottili nei loro piccoli granelli da essere impossibili da cogliere.
<Ci riusciremo Megan, vedrai, ce la faremo>, promette, ed io contro il suo collo annuisco appena, annusando il suo profumo mentre lui mi stringe a sé.
Questo contatto riesce a trasmettermi una massiccia dose di sicurezza, così come è sempre stato.
Ian mi fa bene, lui è sempre stata la mia cura.
E adesso vuole proteggermi dal disastro più grande: la perdita totale di me stessa.
Ci riuscirà?
Allontanando il viso vedo i suoi occhi brillare di una strana emozione, mentre si fa ritratto della serietà così come della certezza.
Ian ... mi ama così tanto, e sento solo adesso quanto al suo sguardo non riesca ad essere indifferente, come il mio corpo si smuova in sussulti ad ogni suo piccolo cenno, come i miei occhi lo seguano o le mie mani lo cerchino.
La distanza mi ha fatto rendere conto di uno strano bisogno che mai prima d'ora avevo valorizzato.
Mi era mancato ancora più del dovuto.
Posando una mano sulla sua nuca gli permetto di nascondersi, ancora una volta, tra il mio collo e la mia spalla, concedendomi così di avere lo stesso.
Vuole dimostrarmi che ancora esiste quella parte di me che sento essere andata persa. Vuole riavermi indietro, sarò in grado di tornare?
Desidero così tanto non ferirlo, sperare in qualche modo che possa avere ragione, mentre percepisco la reazione del mio corpo al caldo contatto del suo, la sensazione di benessere verso la quale è portato ad essere e quel leggero brivido che mi accarezza la schiena, non appena la sua mano la sfiora con le dita.
Chiudo gli occhi arrendendomi alla percezione di queste strane e nuove sensazioni.
Forse compie lo stesso gesto, ma non si allontana, stipulando attraverso questo abbraccio il sigillo di cera lacca con il quale il nostro si conclude, perfetta promessa che vorrei tanto si realizzasse.
P.O.V.
Ian
Il pietrisco sotto i piedi cattura la forma delle mie suole mentre rimango in piedi di fronte al portale.
La villa è vuota e nessun rumore dall'interno mi raggiunge, non il cigolio dei pavimenti, non lo scricchiolio di un mobile e nemmeno la caduta del petalo di un fiore, essiccato dalla vita.
Questa assenza mi permette di avanzare e di ripercorrere corridoi, stanze, che adesso nella vicinanza di un futuro sono prive del terrore che per lungo tempo hanno indossato.
Gli spazi sembrano più luminosi e le vetrate più ampie a eccezione ... della serra d'inverno, che adesso pare essere l'unica unità abitativa privata completamente del respiro.
Non ha molto senso, oramai. Presto i fiori essiccheranno.
Guidato da una schiera di inconsci passi, vengo spinto fino alle scale e quindi a percorrere la strada verso il piano superiore.
Lo studio di Richard conserva ancora le sue carte.
La stanza di William i suoi abiti.
Solo le fiamme potranno estinguere la pestilenza data dalle memoria. Nella combustione spero che venga uccisa in una totalità che non lascia scrupoli a seconde rivisitazioni. Ogni cosa deve essere spazzata via, a eccezione forse di un'unica stanza che potrebbe accogliere, in un'ipotetico e lontano futuro, il proprietario che l'aveva abbandonata.
Non so spiegarmi il motivo, ma lunghi minuti dopo sono di fronte a una parete spoglia.
La osservo senza capire, facendo scorrere gli occhi lungo l'unica cornice rimasta dall'assenza di un quadro noto.
Il dipinto del mare in tempesta rischiarato dalla luna piena è stato portato via.
Dafne l'ha preso con sé. Era immaginabile ma ad ogni modo mi ferisce questa mancanza.
Infondo non mi dispiaceva affatto.
Lancio un'ultima occhiata a quella cornice annerita e privata della tela prima di allontanarmi nella direzione di altre stanze, esentate del sonoro.
Le parole di Illiya mi serpeggiano in testa assieme alla novità donata dalle sue parole.
Questa villa adesso mi appartiene, la mia vita sta finalmente per cambiare.
Nell'assoluto mutismo della casa un pensiero corre, veloce come un lampo, dimostrandosi capace di far nascere un sorriso, ulteriore al mio, appena scaturito in viso, creando anche un'apoteosi di sorpresa in grado di alleggerire la sua anima afflitta.
Il volto triste di Megan è una tortura, sapere che in qualche modo potrebbe rischiare di non tornare più da me lo è, poiché adesso, ora, che sembra tutto finito, ho bisogno di lei, come non mai. Di sapere che stiamo bene, che è tutto apposto, nonostante i litigi e i cambiamenti, o quello che ha passato.
Abbia vissuto entrambi così tanto che forse è arrivato il momento di condividerlo. È probabile che in qualche modo, così, ci alleggerisca, o in alternativa è palese la necessità di dimenticarlo per sempre.
Possiamo fare entrambi, ma qualunque cosa sia dovremmo affrontarla insieme, così da essere certi l'uno dell'altra.
L'espressione di Megan si è fatta immutabile, sicura, priva di lacrime, eppure conosco il suo animo e il dolore che ancora cova.
Riuscirò a strapparlo via, ci proverò con tutti i miei sforzi.
E stasera potrò verificare se la mia idea riuscirà a trasformarsi in una vittoria.
Tento di non notare il degrado in prospetto di questo edificio che tanto ricorda il nostro contesto cittadino, quella vita che abbiamo messo da parte e alla quale ancora non siamo tornati nell'interezza.
Attendo il suo arrivo fino a vederla scendere le scale.
Megan indossa un pantalone nemmeno troppo stretto, e una maglia a maniche lunghe colorata a strisce sotto il cappotto.
Più coperta del necessario per questo pallido freddo e con le mani, in agitazione, che si muovo lungo le sue braccia in un tic inconscio mi fa capire quanto adesso deve sentirsi a disagio con il suo corpo.
Sicuramente la causa si lega all'aborto spontaneo. Non posso fare a meno di maledirmi per non esserci stato.
Si muove con leggerezza, avendo le sue sole ossa da trasportare. È dimagrita molto, o forse è solo la tristezza che le scava ancora più le guance, resecate dallo sbarazzino taglio dei corti capelli, ma comunque è sempre bella, sempre Megan, con la sua bocca piena ed elegante, gli occhi grandi e le lentiggini.
Naturale e perfetta.
La prima soddisfazione arriva al sopraggiungere del suo sorriso, non appena mi trova qui.
<Non ci credo>, sussurra, ma io la sento benissimo.
Sono appoggiato alla bici, proprio la stessa sulla quale siamo montati nel giorno in cui abbiamo visto i papaveri.
Erano momenti migliori in cui il solo problema era il nostro rapporto, mentre adesso si è intromesso così tanto altro da rendere ingestibile il mondo.
Rimane però l'allegria, da sempre avuta per le cose semplici, spontanee.
<Ti va di fare un giro?>
<Dove andiamo?>
<Qualsiasi posto, purché sia sufficientemente lontano da qui>, le rispondo, pregando che un simile mezzo sia capace di farlo, in senso relativamente reale quanto metaforico.
Mi auguro che la leggerezza possa spazzare via tutti i problemi. Sarebbe bello, quasi fantastico.
<D'accordo ...>
<D'accordo>, replico, e attendo che i suoi piedi compiano quella serie di piccoli passi in grado di infonderle il giusto coraggio.
Arriva fino a me, e adesso leggo a chiare lettere il suo disagio. Giungo a detestarlo, spazzandolo via con un sorriso.
Le faccio posto, permettendole di accomodarsi a gambe unite sulla stecca di ferro mentre tengo con entrambe le mani il manubrio, imprigionandola così.
Avverto parte della sua schiena contro il mio petto e desisto da trarre un profondo respiro a causa del benessere che fa nascere un simile contatto.
<Va tutto bene?> Le domando, per assicurarmi che almeno il mio, di corpo, possa non infastidirla.
<Certo, va tutto bene>, mi dice, e solo dopo aver analizzato la sincerità delle sue parole mi decido a partire.
Per tutto il tempo del viaggio il mio respiro intrappola il suo profumo. Il mondo ci passa accanto e alle volte rallento per permettere a entrambi di vederlo, amandolo in questo contesto di cupo chiarore notturno e lunare che rende tutto più calmo, pacifico in uno stato di apparente abbandono.
Non servono molti chilometri per arrivare "sufficientemente lontano" come richiesto, il tempo di assuefazione alla sua acqua di colonia e alla morbidezza del suo dolce contatto e poi eccoci arrestati vicino a un muretto che fa da limite a una piazza, separandola dalla strada.
Sembra esserci una specie di recita cittadina riscritta in chiave moderna di un'opera all'apparenza antica.
Niente di troppo romantico ma i teatranti hanno usato dei barili per accendere del fuoco, facendo luce alla scena, e quei roghi ... ricordano la sera della scommessa al Brunett, quando avevamo in cerchio acceso il falò e l'intero gruppo si era sbilanciato in un gioco di obbligo e di verità.
Il nostro primo bacio. Ricrearlo così, adesso, è un'occasione data dalla legge del caso e mi domando se anche lei se ne ricordi.
Non gliene faccio un colpa altrimenti.
Il suo pensiero può essere altrove, ben più in alto. Tutto le è concesso, mentre spero in una condivisione di opinioni.
Seduto al suo fianco torco la testa per trovare il viso di lei a destra, mentre è accomodata a cavalluccio della sponda di cemento, come era solita fare anche da ragazza.
No, non è niente di troppo romantico e forse non dovrebbe nemmeno esserlo, non trattandosi del fine dato a questa serata, ma rivedere i suoi gesti tipici, sentire contro le guance, se pure a distanza, il calore del fuoco, ricrea in me una sfilza di sensazioni che mi consentono con più facilità di aprirmi a lei.
<Io non voglio che tu soffra>, le dico, e addosso mi attiri i suoi occhi, consapevoli di tali parole.
<Lo so, tu vuoi proteggermi>
<Non ci sono riuscito molto>
<Non potevi>
Per poco tempo di sentire aggiungere anche il "non puoi", ma Megan fortunatamente si blocca.
Forse potrei, ma devo trovare la via.
<Lascia che ti aiuti a riscoprire la donna che sei ... sul serio Meg, io non riesco a vederti mentre cadi a pezzi>
La verità fa male ma è questa, e forse non aspettava altro che di sentirsela dire. Appare consapevole, tanto da annuire dandomi ragione.
<Non vuoi, no, e chi lo vorrebbe? Solo un pazzo adorerebbe far soffrire, ma è insano, no?>
Serro con forza le labbra sentendo la lama del pugnale trafiggermi il petto, quasi rendendomi artefice di un tradimento.
Le sue parole sono facilmente indirizzate, e comprendo il mittente "Caleb" sulla loro lettera.
Passandomi immaginariamente tra le mani quella carta scopro quanto poco possa essere leggera, eppure si tratta di cellulosa, una lunga conoscenza di oltre quindici anni, ma non è sufficiente.
Le lettere sono scritte con il sangue, nonostante non mancasse l'inchiostro, e quel masochistico approccio io non lo posso discriminare.
Credo di aver fatto lo stesso, a modo mio.
<Ora non abbiamo più nessun nemico, Meg, ci siamo solo noi, abbandonati a noi stessi>, le dico, sfiorandole la guancia come ho fatto molto spesso in questi giorni, e rimettendole una ciocca di capelli apposto, dietro l'orecchio.
<Ma io non so più chi sono, Ian>
<Vuoi che te lo ricordi?>
<Ti prego, non puoi ...>
<Sei una ragazza fantastica. In prima elementare hai intonato una canzone bellissima, e il suo ritmo non mi è più uscito dalla testa. Te lo ricordi?>
<Sono passati molti anni>
<Shhh, zitta, fammelo ricordare>, chiedo, posandomi l'indice sulle labbra.
Lo scoppiettio del fuoco accompagna il mio percorso lungo la linea del tempo, e poi il mio piccolo motivo sonoro, appena accennato tra le labbra, ma con un suo ritmo.
Si, è questo, me lo ricordo, e anche lei perché a un tratto sorride.
<È giusto vero?>
<Si, é giusto>, mi conferma, trascinandomi per qualche istante nell'allegria.
<E negli anni successivi sei stata una compagnia unica. Hai scoperto cose di me che nemmeno io vedevo o lontanamente immaginavo. Quando ti penso, Meg, ti sento come una parte di me. Se ti fai male ... io mi strappo nel profondo, fino a lacerarmi>
Per questo motivo siamo rotti adesso, e perdiamo sangue lungo l'asfalto e le mattonelle in ceramica della piazza.
<Voglio che te lo ricordi, di tutto questo, perché le parole di William non sono che bugie>, affermo prendendole con forza le mani tre le mie e fissandola negli occhi, <tu ami Megan, ami tutto, alla follia! Non sei vuota o potresti esserlo mai. Vedi, ami tua madre, la stimi così tanto che da sempre ho voluto che fosse anche un po' la mia, ricomprendo un ruolo che mi è sempre venuto a mancare.
Ami i tuoi bambini ai quali leggi le fiabe, ami la nostra città, le nostre persone e un tempo non smettevi di crederci!
E ami noi, Megan, ami me e Caleb perché ormai siamo parte di un unico sistema, non è vero? Respiriamo solo quando tu prendi profondi respiri, solo allora>
Inconsciamente compie il gesto, attirando a se dolcemente una piccola nube trasparente d'aria, ed io mi sento sul serio rinato.
Incredibile come avvenga, ma ci muoviamo in simbiosi, dipendendo l'uno dall'altro.
<E sai cos'altro amavi, tanto da rendermi impossibile capirlo? Amavi pure i cattivi di tutto questo, ti sforzavi di capirli. Le parole di William sono arrivate così a fondo nel tuo cuore perché la sua mancanza apparente di umanità ti ha fatto maledire di averne cercata una. Al pari dei dannati poi, il tuo cuore ha dato posto anche agli innocenti.
Il figlio che non è nato vivrà sempre nel tuo cuore, e nessuno potrà portartelo via>
Come uno scalpello le mie parole modificano la superficie della sua pelle, rischiarandola dalla polvere e dal pietrisco di un'incomprensione che la rendeva illeggibile.
<Tu sei tutto questo Megan, e dovresti proprio ricordarti di esserlo ancora perché non credo che sia così facile sostituirti, anzi non lo penso affatto>
<Ian ...>
Le offro modo di parlare ma la sua voce non prosegue.
Ferito da una tale mancanza non mi dichiaro vinto.
<Siamo diversi nel profondo, e pure così simili. Vorrei essere nato con metà della tua forza per riuscire ad affrontare tutto>
<Non puoi dire una cosa del genere in un momento simile>, replica.
<Perché?>
Con una mossa scavalco con una gamba l'ostacolo della larghezza di questo basso muretto, imitando la sua posa.
<Posso farlo, perché ti reggi questo e altro>, provoco proseguendo imperterrito.
<No...>
<Potrei vomitarti tutto addosso, Megan e tu sopporteresti>
<Questo lo fai sempre tu>
<E tu non ti rendi conto di compiere lo stesso gesto? Solo per oggi, però, solo per adesso, ti è concesso di non volerlo. Puoi sfogarti su di me, mi prenderò tutto quello che hai da dirmi>
<Non mi sono rimaste parole Ian, e non voglio rovesciarti niente addosso, emozioni o pianti che siano>
<Hai smesso di piangere, stai tornando la ragazza che conosco>
<Non voglio essere svegliata, lasciami con lui ancora un po'>
Lui, ancora una volta suo figlio.
<No, Megan, perché tu non sei morta>
<Lo so questo!> Urla contro il mio viso, senza attirare però l'attenzione delle persone intorno.
È la reazione che volevo. Se ne accorge.
Rammaricata prova a chiudersi in se stessa ma io non glielo concedo.
<E quindi ora che sei viva? Che cosa vuoi fare, Meg? Non vuoi guardare avanti?>
<Si ... lo desidero tanto>
Dentro di me sorrido, certo che sia così.
<Se è quello che desideri allora sono certo che tu ce la faccia>
Chinandomi in avanti poso la mia fronte contro la sua. Le vedo chiudere gli occhi.
<Hai sempre creduto in me, fin dall'inizio>
<Sei sempre stata la cosa più bella della mia vita>
Un piccolo istante di raccoglimento pieno di affetto ci racchiude sotto la sua bolla di isolamento, al punto tale da far socchiudere anche le mie palpebre, vendendomi alla cecità.
<C'era il fuoco anche quel giorno, ricordi?> Mi chiede a un tratto, e a quelle parole, seguenti il silenzio, il cuore velocizzato subisce il collasso.
Cado nel verde delle sue iridi, e non provo a scappare.
<Certo che me lo ricordo>
<Fu il nostro primo bacio>
<Costretto, a causa di Nicolas>
<Non è così, lo volevo>
Ascolto questa tardiva confessione con un'interesse che negli anni non si è acquietato.
<Per questo ti ho baciato di nuovo mentre stavamo ballando, sentivo che era giusto, e mi era piaciuto>
Mi rendo a malapena conto della sua accorciata vicinanza.
<Forse non dovremmo>, sussurro senza voce mentre il mio corpo sembra gridare tutt'altro.
<Ian non è cambiato niente ... anche questa volta lo desidero>
A queste parole perdo ogni tipo di mentale controllo, ma non fisico. Le permetto la mossa successiva e dopo pochi attimi siamo di nuovo labbra contro labbra.
Chiudo le palpebre godendomi questo contatto dimenticato nel tempo, ma di nuovo mio, nostro.
La sua bocca ha un sapore fruttato e ancora di più la sua lingua quando la muove appena contro il mio arco di Cupido, richiamando la mia.
Gliela cedo senza esitazioni e qualche secondo dopo il bacio arriva a un livello molto profondo. I nostri denti cozzano tra loro e i nostri respiri sono rotti nel cercare di prendere aria.
Sollevo una mano e l'affondo nei suoi capelli, tirandola a me, mentre lei le posa entrambe sui miei avambracci cercando di rimanere in equilibrio, rispondendo al contempo ai miei attacchi che adesso non hanno niente di pudico.
Le arrivo ancora più vicino e sento il suo petto premere contro il mio. Il suo cuore batte forte, il mio sembra voler scivolare via ed è così bello leggere l'eccitazione in ogni suo gesto, in ogni frammento del suo respiro o fremito. Mi fa capire quanto questo bacio agonizzato non sia stato donato in una sorta di consolante bisogno, ma nasca da un'interesse forse più radicato nel profondo, forse simile al mio.
Arretro dolcemente allontanando le nostre bocche, tanto da produrre un piccolo suono nel distacco impossibile da coprire persino al di sotto dello scoppiettio del fuoco.
Le guance bruciano, le membra lo fanno, per un'eccitazione che sento addosso e che vedo in lei, in un'evidente rossore privo di imbarazzo, certo dei suoi pensieri, tanto da rendere insicuri i miei.
Megan sembra volermi per davvero ed io non posso dire di me il contrario.
Distrutto da un simile sentimento le riafferro la nuca, portando il suo collo a inclinarsi in avanti così da collimare di nuovo con la mia fronte.
In questa posa permetto alle nostre anime di sentirsi, adattandosi l'una all'altra.
Riusciamo a trarne il più grande conforto.
Il ritorno in bici poi è pieno di silenzi.
Riusciamo a vedere l'alba sorgere, da sopra il freddo ferro del nostro mezzo di trasporto, e seguendolo con gli occhi analizziamo a fondo questo nuovo inizio, sentendolo lungo tutto il corpo.
È l'alba di un nuovo giorno; un nuovo genere di principio.
P.O.V.
Celine
Senza alcuna clemenza il campanello di casa suona, obbligandomi a scendere dal letto, ormai da settimane gelido.
Con un occhio appena aperto riesco a intravedere le sette di mattina scritte in numeri geometrici perfetti, composti da piccole stecche rosse, sul display della sveglia, quaranta minuti prima del suo effettivo suono.
Non sono molte le persone fastidiose in grado di presentarsi a un tale ispido orario, e non vivendo in un condomino temo proprio che il campanello suoni solo per me.
Mantenendo il catenaccio apro leggermente la porta, ancora con gli occhi chiusi.
<Si?>
<Ciao, sei tu Celine?>
Questa voce sconosciuta mi spinge a compiere un'analisi verso la persona di fronte.
Scorgo un viso piuttosto austero di un uomo particolare, non abbastanza avanti negli anni da rendersi a un soffio dalla pensione ma sufficientemente accostato da toccare la costante soglia del fastidio che sopraggiunge a una certa età.
Sono costretta quindi a rispondergli, prima che si trovi costretto a ripetere la domanda.
<Si>
<E questi sono i tuoi disegni?>
Solleva una mano contenente un raccoglitore trasparente ad anelli. Il materiale delle buste in plastica mi consente di vedere la grafite dei miei lavori fatti dal vivo, di anatomie umane o di paesaggi, alle volte di modelle stesse.
<Si, ma come li ha avuti?>
<Mi chiamo Klaus Mongomery, e sono qui per proporti un'offerta>
<Di che tipo?>
<Lavorativa>
<Ho già un lavoro>
<Questo lo so, gestisci con un tuo amico un negozio di tatuaggi non è vero?>
Sollevo un sopracciglio, alzando la guardia verso l'estraneo.
<Conosce molte cose per essere un uomo che non ho mai visto>
<Mi sono state dette, ma forse è meglio se riparto da capo. È stato Kevin in passato a riferirmele. Sono l'insegnante che lo seguiva alla facoltà, e un giorno lui mi ha parlato di te e del tuo talento. Dovevo dire che non mentiva affatto>
Sentire pronunciare il suo nome mi uccide ancora una volta, spingendomi più a fondo nella terra.
Ma non posso evitare di chiedere.
<Che cos'altro le ha raccontato?>
<Per la verità non troppo, ho saputo della sua morte solo di recente, condoglianze>
La sorpresa sopraggiunge nella sincera formulazione di questa specie di macabro saluto con il quale, per lungo tempo, ho trascorso le mie giornate.
Non c'è nemmeno pena nel suo sguardo quando si sofferma sulla fede ancora al mio dito.
Mi sono promessa di non toglierla mai e le persone non ne comprendono il motivo, ma questo professore, forse pur sempre non capendolo, decide di non giudicarlo, il che mi fa rendere conto della sua furbizia o quanto meno della straordinaria dote di farsi i fatti proprio, sottovalutata al giorno d'oggi.
<Avevamo un'accordo io e lui. Se mi avesse trovato il ragazzo che firmava la presenza di un certo Collins, alunno delle nostre lezioni, allora io avrei steso per Kevin una lettera di raccomandazione, permettendogli di lasciare l'ateneo>
<E ci è riuscito?>
<Secondo te?>
Per la prima volta dopo molto tempo, per quanto triste, il mio labbro si solleva in un mezzo sorriso.
<Poi mi ha parlato di te, e da qui la mia offerta ...>
Ascolto con attenzione le parole seguenti, pronta a qualsiasi cosa pur restando quasi stabile nella mia posizione.
<Che ne diresti di lavorare insieme a me, come assistente, così come ha fatto Kevin? Potresti coprire il mio corso d'arte sulle regole pittoriche, e magari prenderti anche i ragazzi più esperti, prossimi alla tesi. Impareranno molto dalla tua mano, hai un dono>
<Non voglio>
<E perché no?>
Esito nel rivelarlo.
<Non voglio lavorare nello stesso plesso dove ha lavorato Kevin>
<Dunque hai deciso di dimenticarlo?>
No, affatto, e non mi serve nemmeno che la sua voce evidenzi la presenza della mia fede per ricordarmelo.
<Vuoi sapere che altro so? Io e Kevin parlavamo molto, tanto da essere soliti, nei momenti di pausa, fare lunghe passeggiate attraverso le quali riuscire a conoscersi.
Credo di non sbagliarmi nel credere ... di averlo visto ancora più nel profondo di molti altri>
<Di sicuro si sbaglia>
Non può aver fatto più di quanto abbiano fatto Megan o Nicolas.
<Tu dici? Perché non vieni e me lo dimostri?>
<Potrebbe benissimo chiamarsi trappola>
<È il solo modo che abbiamo di ricordarlo, non credi anche tu?>
Nonostante credessi di essere immune a tutto ormai, quelle parole riescono a ferirmi, ed io le allontano con forza per non uscire più distrutta di quanto non mi senta già ora.
<Mi tengo il mio lavoro>, lo informo prima di provare a chiudere la porta, ma la sua mano, o meglio ancora la sua voce, me lo impedisce.
<Ti lascio un cartellino da visita, proprio qui, nella tua casella di posta. Se cambi idea sai dove trovarmi>
<Buona giornata>, aggiungo solo, prima di riuscire a chiudere l'ingresso, isolandomi così dal mondo.
Con le spalle alla porta sento il cuore corrermi velocissimo nel petto, impazzito, come non era da tempo.
Gli basta sentire nominare ancora il nome di Kevin per reagire così ed il mio animo non sa che fare, la mente comanda una cosa ma il cuore, tutto il resto del corpo, ne ordina un'altra.
Così è al secondo dei due a cui dono la ragione mentre mi metto a cercare quel foglio, nascosto alle mie lacrime, che ancora riporta la grafia dell'uomo appeso, come con un filo, al mio anulare sinistro.
Non occorre molto prima di riuscire a trovarlo.
Il suo nascondiglio non era segreto mentre il suo sigillo necessità di un maggiore lasso di tempo per essere affrontato.
Tra le mie mani ho il suo discorso, le sue promesse matrimoniali.
Mi aspettavo una ventina di righe ma aprendo la lettera non trovo che piccole cancellazioni incise da una prova precedente e scritta su questa bella, rendendola satura di linee invisibili, e di una sola, lineare, in bella grafia, che riporta la sintesi di ciò che Kevin è sempre stato: un uomo perfetto, incapace a scrivere un lungo discorso quando l'emozione deve incanalarsi nell'inchiostro di una penna per intrappolarla, e giusto, unico, in qualsiasi momento.
Ormai il suo corpo è morto ma la sua anima, un piccolo frammento, mi è stato donata come il regalo più prezioso, in un ricordo eterno.
Kevin mi è vicino mentre mi lascia questo ultimo appunto che mi spinge ad una scelta ben precisa.
"Ho un unico desiderio: che possiamo vivere di noi.
Non voglio altro dalla vita Morisot, più di quello che già abbiamo.
Lo voglio per sempre. Lo voglio vivere con te"
D'accordo, Kevin, lo farò, ho deciso.
Scelgo di vivere di noi.
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