88- La cosa più grande
P.O.V.
Caleb
Non ho un tempo dietro il quale far seguire il ritmo al mio cuore, che impazzito e ferito lotta per non essere dominato.
Io amo Megan, e l'ho abbandonata. Potrà mai perdonarmi?
Ho avuto paura. Troppa paura di una storia che non conoscevo, di un passato che non avevo indietro.
La notte sogno nostro figlio, e desidero crescerlo insieme. Abbandonarmi steso al suo fianco la sera e sfiorarle la pancia, per sentire il piede del bambino che scalcia e sobbalzare con lei della sua avventatezza.
Voglio baciarla, trarre da lei amore e conforto, offrirgliene altrettanto promettendole di non essere il tipo di uomo che tanto detesta, ma il solo in grado di amarla.
La rivoglio tra le mie braccia, perché dietro tutti i miei casini, i problemi che costruisco, i miei timori, io non ho voluto mai nient'altro, solo poter amarla, se ancora mi è concesso, se ancora posso averla.
<Caleb dove stai andando?> Mi domanda Carlail, ma la sua richiesta è così vana che non so rispondergli. <Stiamo per incarcerare tuo padre. Devi essere presente qui al distretto per darci una mano!>
<Non posso Carlail. Devo andare>
Scelgo l'amore Carlail. Nonostante i miei errori, sopra ogni altra cosa, sceglierò sempre l'amore.
Non gli offro modo di rispondere che inizio a correre, veloce, lontano, in direzione della nostra casa che per lungo tempo ha ospitato i nostri silenzi, le parole non dette, i reciproci desideri.
Mi dispiace Megan ... mi dispiace così tanto.
Senza fiato raggiungo la porta della sua abitazione e busso con decisione, trovando sua madre aprirmi con un sopracciglio sollevato.
Deve odiarmi anche lei per quello che ho fatto a sua figlia, ne sono certo.
<Caleb? Che cosa ci fai qui?>
<Devo parlare con Megan, la prego>
<Vorrei tanto aiutarti ma ...>
<Per favore>, la interrompo, perché il pensiero di trascorrere un altro giorno separato da lei mi distrugge nel profondo.
A sua madre però non interessa, e aver perso anche il suo affetto in qualche modo mi ferisce, fin quando non scopro che forse potrebbe non essere a conoscenza di tutto questo.
<Non rientra in casa da giorni, Caleb, non so dove sia, ma credo che tu potresti scoprirlo. Avete litigato, non è vero?>
Trafitto dall'angoscia lascio posto a una tremenda verità.
<Le giuro che non ho idea di dove si trovi>, confesso, appoggiandomi con entrambe le mani alla porta che mi sorregge.
<Allora non possiamo far altro che sperare che torni da noi>
Il mio viso trasmette tutta l'angoscia e la tristezza che possiedo. L'espressione di lei si fa specchio, senza cedere un conforto.
Si congeda lasciandomi un pallido saluto e poi mi abbandona, preservandomi in mente una domanda a rimbalzare nei pensieri.
Dove sei Megan, dove ti trovi?
Deciso ad ottenere la giusta risposta setaccio ospedali, piazze, luoghi di lavoro e posti che potrebbero ricondurmi a lei ... ma non la trovo ed il suo fantasma mi volteggia accanto, in una città che non avevo mai considerato, prima d'ora, così vuota.
La sua assenza è una scomoda presenza, e nonostante lei io sono comunque da solo, fermo e vittima di un freddo unicamente interno, con le persone che veloci camminano intorno senza sentirmi, senza vedermi.
Il South Side è vuoto, o solamente adesso totalmente, e completamente, privo di senso.
P.O.V.
Ian
I suoi occhi verdi sono socchiusi a causa di una stanchezza tanto fisica quanto mentale. Il sole li illumina, trafiggendoli in una diagonale perfetta che percorre di traverso la loro forma ovale, superando a piccoli passi timidi anche il naso, in un principio di montatura creata su misura per lei.
Steso al suo fianco le tengo una mano chiusa nel mio palmo, affinché anche il mio calore possa esserle di conforto, seppure non è il solo scambio che richiedo, cedendo il posto alle parole, in questo momento assolutamente giusto.
<Parlami, Megan>
<Non ho molto da aggiungere> mormora con un tono molto basso di voce, senza smettere però di fissarmi.
<Mi hai detto che ti senti vuota. Che cosa ti fa credere di esserlo? E' sbagliato, c'è molto di più>
<Ho avuto molto, è vero. Il tempo però mi ha dimostrato che niente mi era concesso>
<Non puoi crederlo veramente>
La sua sicurezza, nell'immobilità, mi dimostra invece quanto lo faccia. <Me lo ha detto pure William. Io non sono più in grado di amare>
<Gli dimostreremo che si sbaglia, allora>
<Ian ...>
<Stai dando credito a lui piuttosto che a me?>
L'angolo della sua bocca si solleva leggero, falsamente divertito dalle mie parole. <Non lo faccio. Ogni parola che mi dici per me è importante>
<Se ancora non mi credi saprò dimostrartelo, vedrai. Quell'uomo, Megan, non ha potere, o tanto meno ne ha mai avuto, su di te. Non ascoltarlo adesso. Non farlo mai>
Rimango dentro i suoi occhi accogliendo la sua promessa quando a un tratto il telefono inizia a squillare.
Sciolgo l'intreccio delle nostre dita, senza allontanare però troppo l'attenzione da lei, e noto distrattamente il nome di Carlail sul display, prima di rispondere, per ogni suo tipo di richiesta.
<Dimmi, ti ascolto>
<Ci siamo Ian. I nostri informatori hanno visto Richard tornare in città. E' la nostra occasione per metterlo dietro le sbarre, fatti trovare pronto. Tra un'ora recati all'indirizzo che ti inoltro, appartiene all'avvocato della loro famiglia. Siamo sicuri che Richard si rivolgerà direttamente a lui per chiarire la situazione di Monty e farlo uscire. Verrai affiancato da due squadre di polizia ma il tuo compito sarà quello di allontanare Richard dai suoi uomini, dandoci spazio di manovra. Non vogliamo feriti, ci siamo capiti?>
<Si, certamente>, rispondo privo di autonomia, osservando ancora la figura di lei, stesa a letto.
<Bene. Buona fortuna>
Chiudo la chiamata senza aggiungere altro, nell'attesa dell'arrivo del fatidico messaggio che sancirà la parola fine a tutto questo.
P.O.V.
Richard
Poche cose possono essere definite salde, nel corso degli anni. Senza dubbio la vista che dona questo posto può essere considerata una di quelle, possedendo sempre il suo aspetto di immutabile bellezza, nonostante lo scorrere degli anni.
In lontananza, oltre questo spianamento a fianco alla strada, il pittoresco ritratto della mia vecchia città mi sorride, avendo unicamente la polvere come pigmento della tela, e ricordandomi anni in cui l'ho posseduta sulle mie mani, sui vecchi abiti o sulla suola delle scarpe. Ed ora sto per tornare, chiudendo per sempre i conti con il passato.
<Xavier, siamo pronti, possiamo andare>, annuncio all'uomo a capo della mia scorta, e questi annuisce, mostrandomi con il palmo di mano la giusta via per raggiungere la macchina.
Eseguo tale consiglio e poi monto sul sedile del passeggero, con un milione di domande a volteggiarmi nella mente e inevitabili dubbi che mi spingo verso la pericolosa soglia dell'incertezza.
Monty è stato catturato per l'omicidio della piccola Violet, ed essendo state trovate le prove di tale assassinio può essere difficile scarcerarlo. Ma il nostro avvocato è bravo ed io conto sulla sua arringa, o ancora meglio sulla sua capacità di tirarci fuori da un tribunale prima ancora di posare il piede sulla prima mattonella del Palazzo di Giustizia.
E' tristemente noto ormai il valore che effettivamente possiedono i soldi, quindi presa tale cospicua somma come dato di fatto non resta che versare il pagamento, in modo da ottenere le chiavi di queste patetiche manette.
Anni di lavoro sotto il mio controllo obbligano la bocca di Xavier ad un sigillo eterno al quale sono grato, perché in una giornata simile potrei realmente dimostrarmi saturo di parole e discorsi senza senso. Sono tornato solo per Monty. Una volta che tutto questo sarà finito allora potrò ripartire di nuovo.
Prego solo che l'avvocato sappia fare il suo lavoro.
La macchina sfreccia veloce, e allo stesso tempo con prudenza, sulla strada desertica che conduce direttamente alla villa del mio più grande esattore, quando a un tratto noto in lontananza una macchina, ferma a fianco della careggiata.
Immagino un guasto prima di accorgermi che non c'è niente di sbagliato in un simile viso, giovane, coscienzioso, ambizioso quanto basta per poter sfuggire alla delirante morsa della mediocrità che ci obbliga a una comunione di sorrisi, patetiche facce.
<Xavier, accosta>, comando, e tale ordine viene eseguito in un rallentamento che ci porta sempre più vicino a un consistente, intrigante, ostacolo.
Dietro di noi le altre tre berline nere replicano le medesime mosse, direzionando coppie di luminose frecce a segnaletica delle nostre intenzioni.
Una volta spento il motore e arrestata l'auto, con un sospiro corrotto da un sorriso, scendo dalla mia postazione, chiudendo con attenzione lo sportello mentre i miei uomini si sono procurati di formare un cerchio intorno alla sua figura.
<Va tutto bene, ragazzo? Hai problemi con l'auto?> Gli domando, ed il suo viso, assurdamente glaciale non appena lo desideri, mi analizza scendendo a confronto.
<Aspettavo te>, pronuncia con sicurezza mentre se ne sta appoggiato allo sportello della sua auto a braccia e gambe incrociate, spavaldo.
Sorrido a una tale risposta e apro appena le mani a lato, mostrandomi. <Bene. Sono qui>, affermo, senza ottenere stavolta, però, alcun tipo di replica.
Le guardie intorno a noi sembrano non capire il fine dei nostri sguardi o delle nostre provocazioni, ma è impossibile concepire il finale senza prima conoscere la storia.
Sfortunatamente non ho tempo né desiderio di raccontarla poiché le lancette dell'orologio non accorrono a mio vantaggio, e l'umore non gradisce spiegazioni.
<Se non hai niente da dirmi, Ian, allora direi che posso andarmene. Non amo perdere tempo>, lo avverto prima di girarmi di spalle e compiere una serie di passi, in modo da tornare alla precedente azione.
<Sono qui perché voglio parlare>
A questa costatazione mi blocco, volgendo appena la testa.
<Di che cosa?>
Ian sorride, in un modo tanto triste che mi incuriosisce.
<Di valzer>
Questo risponde, ed io, a tale richiesta, non posso fare a meno di far compiere al mio corpo il totale giro che ci riporta uno di fronte all'altro, o ricambiare il suo sorriso, incurante del pubblico restante.
<Di valzer, uhm?>
Abbasso la testa verso terra, non riuscendo a credere all'arrivo di questo momento tanto atteso. Per settimane mi sono domandato se mai sarebbe giunto, e ora lo trovo qui, proprio fra di noi. Impossibile resistere.
<Questo significa che ricordi ...>, faccio notare, ma Ian non mi dona la soddisfazione di una confessione. <... e vuoi parlare. Va bene, possiamo parlare. Parliamo>
<Non qui>
Inclino la testa, divertito. <Dove allora?>
<Da soli>
Avanza pretese. Quale assurda svolta.
In un tic, del mio nervosismo quanto del mio divertimento, abbasso ancora una volta la testa verso terra per una frazione di secondo, prima di tornare all'audacia delle sue richieste.
<D'accordo allora, come preferisci>, concedo, ed il divertimento duplica non appena lo vedo staccarsi dall'auto e fare strada, mostrandomi la via interna ai boschi che preferisce percorrere.
Divertito sollevo gli occhi al cielo, domandando allo spirito di Damien, intrappolato tra le nuvole, se tutta questa dose di coraggio l'abbia ereditata, in maniera assurdamente spontanea, dalla sua testa pazza.
<Signore, non è sicuro procedere da solo, ci permetta di accompagnarla>, si procura di riferirmi Xavier in un monito che segue alla perfezione i punti cardini del protocollo di sicurezza, ma io nego, muovendo appena la testa.
<No, lasciatemi proseguire da solo. Questa storia non vi riguarda>
Ha radici nel passato, in un mondo che, come la polvere, non può essere dimenticato, e che nonostante il trascorrere degli anni continua a risorgere, inevitabile.
Studio l'arricciatura delle nuvole ancora una volta, domandandomi se quel paio di occhi verdi un tempo considerati amici, da sopra quelle poltrone di condensa, mi stiano fissando. Sarei curioso di sapere cosa ne pensano, come vedono questo nostro rapporto e soprattutto se la vita appare più bella, dopo che non la si possiede. Damien saprebbe donarmi le risposte se solo la vendetta non gli avesse strappato le corde vocali privandolo di quell'assordante voce con cui un tempo annunciava eredità e decessi, con la stessa premura di un medico al seguito dell'autopsia, avendo analizzato le cause di morte.
All'interno di questa foresta non deve entrare nessun altro, solo le figure di questo perfetto passato privo di preferenze e assoluzioni.
Le foglie sono i ricordi e i tronchi i punti di vista, di vita vissuta, di ognuno di noi, ed ora questo bosco ci accoglie tutti, lasciando al vento il compito di far suonare la nostra melodia mentre ci scuote i rami, lasciandoci sulla corteccia una brezza leggera, in grado ancora una volta di farci sentire vivi, come non mai.
P.O.V.
Ian
L'odore del bosco copre lo smog della strada, il rumore delle macchine, il colore del cielo ed anche la rifrazione del sole. Questa teca di vetro ci ha ospitati imprigionandoci dentro il suo vetro e spingendomi a rincorrere un punto, sufficientemente lontano, in modo da acquisire le parole.
Alle mie spalle Richard non mi mette fretta ma sento come il suo divertimento, e la sua curiosità, vorrebbero intervenire a rompere il silenzio dato dalla scena, in modo da smascherare il malandrino carattere che ha reso scostante umori e pensieri, in un'altalena eterna.
Per il momento questo scambio può essere sufficiente, ma ancora non trovo le parole per poterlo uccidere. Richard viene in mio soccorso, avanzando una frase in grado di incendiarmi le vene.
<E' inutile camminare tanto, volevi parlare, no? Avanti, parla>, pronuncia con tono neutro, fermandosi su questo tappeto di secche foglie autunnali. <Ora che ricordi sicuramente avrai delle domande. Sono pronto ad ascoltarle>
Carlail e gli agenti, probabilmente, a momenti raggiungeranno le tre auto ferme sul ciglio della strada, ma mi stupisco di come non sia realmente il blitz della polizia ad interessarmi, quanto, veramente, l'ottenere le risposte che cerco.
Non avrei mai pensato di sentire il cuore in tumulto proprio come in questo momento, nel quale mi blocco per poter fissare gli occhi blu scuri dell'uomo che adesso detesto ma che un tempo ho ammirato, con tutto me stesso, con tutta la passione che un bambino piccolo può avere.
<Perché io?>
<Mi stai domandando il perché ho scelto di ingaggiarti, quel giorno al cantiere, dopo aver saputo il tuo nome?> Ci tiene a chiarire, mostrandomi i suoi denti affilati mentre si preparano a cibarsi della mia carne.
Storco le labbra, preso dal disgusto di un dolore che già riesco ad avvertire sulla pelle, e continuo. <Quel giorno mi hai riconosciuto, sapevi chi ero, eppure mi hai preso>
<Si, l'ho fatto, e ormai dovrebbe esserti chiaro il motivo>
Ascolto, senza parlare, percependo ancora l'amaro della bile corrermi in gola al pensiero di ciò che ha fatto, della postazione a cui è arrivato macchiandosi di colpe e sangue, al solo fine di ottenere l'acclamata gloria che credeva di meritare.
<Devo ripetertelo ancora, Ian? Io e te siamo simili>
<Non è vero>
<Oh, lo è eccome invece. Come puoi non crederlo? Abbiamo parlato esattamente di questo il giorno in cui ci siamo conosciuti, della fame che possiedi, del tuo desiderio di ottenere sempre di più, rispetto a ciò che ti offre la vita>
Serro le labbra e stringo i denti, sentendo la mandibola contrarsi, indurendo la mascella, e mi costringo a non bere dal calice di perdizione che mi viene offerto, così da non smarrirmi per sempre.
<Si chiama avidità, Ian, ed è una colpa che entrambi possediamo>
L'animo dentro il mio corpo si ribella, anelando rispondergli, e questo conflitto non sfugge ai suoi occhi affilati che continuano ad analizzarmi con interesse.
<Vorresti dirmi che non è vero, per caso? E con che coraggio potresti, Ian? Arrenditi all'evidenza, e dimmi, con sincerità, ciò che realmente desideri. Tu non vuoi essere povero, non lo hai mai voluto>
<Nessuno vuole esserlo>, affermo, non riuscendo a resistere al suo richiamo.
<Questo è vero, ma esistono persone a cui questa condizione non pesa, avendo fatto i conti con un'abitudine che li conduce solo all'esasperazione la sera tardi, o alla protesta ad alta voce in una situazione di disparità sociale. Roba da poco. Grida ... da poco, di gente di poco conto. Noi siamo più di così Ian. Noi da sempre vogliamo di meglio>
<Per questo mi hai scelto? Perché ti somiglio?>
Solleva l'angolo destro delle labbra, fissandomi negli occhi.
<Caleb è mio figlio, ma averlo a fianco avrebbe comportato troppi problemi e poi ... il suo carattere mi è sempre assomigliato in parte. Se devo essere sincero mio figlio è la copia di Francis mentre tu, Ian, con i tuoi occhi sempre lucidi di bambino quanto di ragazzo, sei stata la mia. Era il tuo destino venire a lavorare in quella villa, per me. Condurre la vita che tanto desideravi avere. Ti ho offerto un'opportunità da non perdere, la stessa che avrei voluto mi fosse donata alla tua età>
Annuisco distrattamente, ricollegando tutti i pezzi, uno alla volta.
<MI hai offerto una vita migliore>
<E' così>
<Forse è vero, ma io non la voglio Richard. Non da te>
<Perché?>
Disteso il piede sinistro allunga un passo nella mia direzione, e poi un altro, facendosi sempre più vicino.
Non riesco a rispondere, non possedendo, dalla mia, realmente una simile risposta dettata precedentemente dall'etica.
Da questo diavolo potrei avere tutto, lui è pronto ad offrirmelo.
<Non ti assomiglierò mai, non sarò mai come te>
<Lo sei già, Ian>
<Allora non mi spingerò oltre. Le scelte che facciamo ci rendono persone diverse, e le mie sono diametralmente opposte alle tue>
<Lo credi davvero?>
<Lo so>
<Di cosa stai parlando, Ian?>
Sollevo gli occhi in direzione della zona che ci siamo lasciati alle spalle, trovandola vuota a eccezione della presenza delle berline. Nessun uomo è rimasto di guardia ed il silenzio di quella solitudine evidenzia la nostra vittoria. Non passerà molto prima che Carlail arrivi fino a noi.
<Conosci Carlail, non è vero? Il capo della polizia. Per tutto questo tempo non ho lavorato per te ma per lui>, confesso, rimanendo fisso dentro i suoi occhi.
<Hai fatto il doppio gioco, che bravo>
<Dovevi aspettartelo>
<E quindi? Arriveranno a me, tra poco, e con questo? Che cosa vuoi dirmi, Ian?>
<Ti arresteranno>
<E' probabile, si>
<Marcirai a fianco di Monty>
<Un uomo onesto, non posso lamentarmi>
<Perché sei così tranquillo?>
<Perché conosco il vento della giustizia Ian>, mi dice, avvicinandosi ancora di un passo, <so sempre dove tireranno le sue vele>
Dentro quegli occhi blu cobalto trovo la risposta che cerco, in questo infinito tempo fatto di attesa.
<Non questa volta>
Sono occorsi anni, impagabili sacrifici, sbagli per poter donare alla cittadina del South Side la costruzione delle leggi che merita, stiamo lottando per metterle in pratica, ergendo le sue fondamenta. Prima non ci credevo ma adesso sono certo che possiamo riuscirci, che la giustizia può essere forte di fronte ai nemici.
Carlail e la polizia hanno sbagliato per tutto questo tempo in cui, silenti, hanno donato agli altri la vittoria, ma il passato è fatto per essere appreso, non ripetuto ma modificato, migliorato.
Credo questo, ora più che mai, nonostante questi occhi blu scuri, incandescenti come fiamme, sembrino non resistere dietro nessuna forma di prigionia, nessun metallo, nessun tipo di sbarra. Sono selvaggi, proprio come li ricordavo, gli stessi che vedo replicati nei riflessi della nostra povera gente, mentre passeggio per le strade e analizzo la loro continua lotta tra la vita e la morte, a causa di un lavoro che non paga, di un'anima che non riceve la giusta gratifica, di un'insofferente stato di vivere che non mostra la via.
Queste ... sono le iridi con cui osserva il mondo la povertà, ed è così paurosa la loro forza da farmi tremare.
Dentro di me sussulto dall'orrore ma all'esterno conservo questa facciata di sicurezza che improvvisamente, realmente, si è piegata sotto lo stendardo di una credenza alla quale desidera sottostare con tutte le sue forze.
<Staremo a vedere>, afferma, trafiggendomi con lo sguardo dentro questo bosco che ancora ci vede soli ... ma non per troppo.
Piccoli e leggeri passi ci raggiungono, ed io allontano appena l'attenzione da lui, credendo all'arrivo della polizia, quando d'un tratto vedo la figura di Illiya Sokolov avanzare.
Spalanco gli occhi senza capire, preso dal timore di un'alleanza che non sono stato in grado di prevedere, ma nessuno degli scenari improvvisati dalla mia mente può essere vagamente assomigliabile a ciò che succede davvero.
Incuriosito dalla mia sorpresa, Richard imita la direzione del mio sguardo e si volta in direzione della russa, che in un paio di stretti pantaloni neri avanza fino a noi, a passi leggeri, dentro la sua corta pelliccia bianca che la caratterizza.
<Illiya ... che piacevole sorpresa>, afferma Richard una volta che la donna ci ha raggiunti.
<Che cosa ci fai qui?>, le domando invece io, ricevendo addosso i suoi occhi glaciali, mentre rimane in piedi al mio fianco.
<Sono venuta a prendere una cosa>, risponde, dipingendosi poi in viso un sorriso finto e teatrale che non mi consente di capire.
Volgendosi direttamente in direzione di Richard parla a lui, escludendomi da una simile conversazione.
<Una cosa che mi è stata rubata. Ne sai niente, Richard?>
Lancio uno sguardo in direzione della strada dalla quale siamo arrivati, sperando ancora una volta nel tardivo, ma imminente futuro, arrivo della polizia.
<Non so di cosa tu stia parlando, Illiya, ma se ne avrai piacere ti aiuterò ad ottenerla>
<Lo gradirei veramente molto>
I due si sorridono vicendevolmente, poco prima che le scarpe della russa non diano inizio a un lento giro attorno alla sua figura immobile.
<Per la verità ... me la sono venuta a prendere. Giuro, sono disperata senza quella, una vera pazza>
<Mi incuriosisci così>, afferma Richard, seguendola con gli occhi ma mantenendo l'attenzione su di me.
<Si? Vuoi sapere che cosa desidero? Nient'altro che la cosa più importante ...>
Non ho il tempo di prevederlo che, con una mossa in direzione della nuca di lui, Illiya sferra il suo colpo con il manico di un'arma, portando Richard a cadere per terra.
Arretro di colpo e istintivamente il cuore mi batte più veloce, mentre vedo la pistola di Illiya puntata in direzione della fronte di Richard, senza alcuna premura.
<Illiya ... che cosa stai facendo? Fermati, la polizia sta per arrivare>
Lei non mi presta ascolto, e punta fermamente la canna nella direzione di lui, imperterrita, come sempre.
Dal basso Richard la fissa senza protesta, attento alle parole che sta per pronunciare.
<Rivoglio la mia vita, Richard. Dammi indietro la mia vita>
Allungo la mano nella direzione di lei, senza capire minimante un discorso simile, ma sicuro di voler ottenere la cosa giusta, il finale più giusto.
<Dammi quell'arma, Illiya>
<Non posso>
<Te lo ripeto, la polizia è qui, lo incarcereranno, lascia che gli eventi scorrano>
<Non posso, Ian>
<Perché?>
<Perché non mi fido più. Persone come lui non riescono a stare dentro un carcere, lo sai pure tu>
<Illiya ...>
< ... Non i ladri, e gli assassini come lui>
Per tutto questo tempo Richard non ha aggiunto una sola parola alla sua plateale e patetica recita, ma ora, preso come da un'improvvisa coscienza, pronuncia delle parole che non sono in grado di concepire e che abbandonano le sue labbra per volteggiare nell'aria, totalmente prive di senso.
<Sei tu ... sei quella bambina, non è vero?>
<Illiya cosa sta succedendo?> Domando, e mentre la sua arma è puntata la donna mi risponde.
<Ti sei sempre chiesto, Ian, per quale motivo una giovane ereditiera russa avesse dalla sua parte importanti forze dello stato militare inglese, come il maggiore scelto Salom Rendy>
Il viso di quell'uomo in divisa dall'espressione austera torna alla mia mente nella frazione di un secondo, mostrandosi il tempo necessario, prima che Illiya riprenda a parlare.
<Sono russa da parte di mia madre, Veronika Sokolov, ma sono anche per metà inglese grazie al sangue di mio padre. I militari inglesi, specialmente Rendy, erano amici di mio zio, morto in guerra>
La mia bocca si spalanca appena, vittima di tali informazioni che non riesco a concepire.
<Che cosa stai dicendo, Illiya?>
<Sto dicendo che Richard una notte mi ha portato via la cosa più grande che avessi. Una notte è entrato nella mia casa ... e si è presto tutto>
Il braccio di Illiya che lentamente si era abbassato adesso torna a tendersi ed il suo volto teso, sicuro di sé, non mi da modo di convincere la sua mente di un'altra verità. Lei da sola ha sancito il finale, e adesso è decisa nel raggiungerlo.
<Sono disperata proprio come lo eri tu quella sera, Richard. Ricordi cosa dicesti a mio padre? Ma al contrario tuo la mia mente è fredda, come vedi non posso piangere. Hai rubato anche le mie lacrime>
Lancio uno sguardo a Richard, sdraiato a terra su queste foglie per poi tornare a lei, che riprende a rivolgermisi.
<Sto raccontando chi sono davvero, Ian.
Mi chiamo Illiya Sokolov Lee, e quest'uomo si è preso la vita che mi spetta.
Sono venuta a riprendermela>
Una serie di affrettati passi sembra raggiungerci dal sottobosco ed io spero che la squadra di polizia possa fare in tempo, almeno da un lato.
Dall'altro la mia mente classifica questa scena come la più giusta.
I suoi occhi blu, retroscena delle fiamme, non vivranno dentro la prigionia di un carcere.
<Fallo>, sento sussurrare a Richard alla figura di lei, sconfitto e steso a terra in questo desolato bosco.
Non occorre molto.
Il dito di Illiya preme sul grilletto e poi il colpo del proiettile rimbalza all'interno del bosco.
Un silenzio assordante ne segue, all'interno del quale entrambi restiamo immobili.
Il sangue di Richard Dowson macchia le foglie secche e corre a percorrere la ramificazione di quegli steli, finché anche la sua corsa non cessa, per sempre.
Illiya si volta verso di me, con ancora la pistola in mano, e mi fissa negli occhi.
<Adesso sta a te scegliere. Ho dato a quest'uomo quello che gli spetta. La polizia sta per raggiungerci. Puoi denunciarmi, o puoi lasciarmi andare. A te la scelta, Ian>
Credo nella giustizia adesso, confido in parte anche nel distretto di polizia ma dall'altra ... resto un ragazzo povero, che da sempre ha vissuto una vita di imbrogli.
Per questo motivo il mio carattere mi spinge a realizzare che un pesce tanto grosso come Richard non avrebbe trascorso molto tempo nella rete, appena cucita, dei suoi pescatori.
Presto si sarebbe liberato a causa delle nostre fondamenta non ancora sufficientemente solide.
Questa fine è ciò che gli spetta, la cosa più giusta che è stata fatta.
<Vattene>, le sussurro, e la donna mi sorride.
<Sono la prima discendente della famiglia Lee. Possiedo ogni capitale su cui hai appoggiato i piedi. Ti lascio la villa della nostra famiglia. Dafne ha ucciso William e se ne è andata, puoi farne quello che desideri>
Recepisco ogni informazione, poco alla volta.
<Tieni vivo il nostro ricordo Ian>, odo la sua voce pregare, prima che i passi della polizia si facciano più vicini e il suo corpo sia costretto a correre via, lontano, mettendosi al riparo e lasciandomi solo, per alcuni momenti, a fianco al corpo morto di Richard.
I suoi occhi cobalto sono rimasti aperti ma adesso non possiedono più le fiamme che le incendiavano, ed i suoi vestiti, di perfetta sartoria, non possono evitare di macchiarsi del suo sangue povero.
L'estetica non ha coperto il suo animo, i suoi modi, gli usi, le abitudini apprese ... non lo hanno protetto dall'arrivo di una gratificante resa dei conti che lo ha distrutto.
Niente occorre per poter sfuggire alle proprie radici, si rimane nell'animo ciò che si è stati, e Richard Dowson adesso è morto a pochi passi dal South Side, sulla stessa terra sopra la quale ha versato il sangue di altri innocenti, oltre che padri.
Carlail sopraggiunge dopo dei lunghi minuti durante i quali la vista di quegli occhi eternamente immobili mi ha catturato, e senza fiato osserva ciò che è stato, il corpo senza vita del nostro principale ricercato, e si rivolge a me, in cerca di risposte.
<Che cosa è successo Ian?>
Prendo un profondo respiro, prima di tornare a parlare.
<Non ne ho idea. Ero al suo fianco quando è riuscito a scappare. L'ho rincorso in questo bosco e poi ho sentito lo sparo. Non ho visto chi è stato>, mento, e lui annuisce.
<D'accordo, non ha importanza. Adesso è morto. Chiamate il distretto, fate arrivare quelli della scientifica>
Lentamente retrocedo, mettendo distanza tra me e il mio riflesso steso a terra.
Ho mentito ad una guardia quindi è vero, io e Richard ci assomigliamo, lo facciamo, lo facevamo, le nostre anime rimarranno eternamente affini nella loro fame di avaro possesso ... ma qualcosa ci contraddistingue, io sono privo della sua cattiveria, ed ora finalmente ho ottenuto la ricompensa che tanto mi spetta.
Adesso è tutto finito.
P.O.V.
Caleb
Corro senza fiato in questa città solo per scoprire che la ragazza seguita da tempo non è altro che una sua pallida copia priva di senso.
Megan non è tornata. Forse non tornerà.
Non riesco ad accettarlo.
Mi piego sulle gambe recuperando fiato, per poi rialzarmi d'un tratto, e, nel voltarmi, scontrarmi con una figura.
Il ragazzo mi guarda, deve avere degli anni più di me, forse ruota intorno alla trentina, e nei suoi panni mi fissa con curiosità, nonostante, in questa situazione, mi spazientisca la sua attenzione.
<Stai bene?>
<Si ... va tutto bene>
<Cerchi qualcuno?>
<Perché lo domandi?>
<Potrei esserti d'aiuto>
Sospiro afflitto sentendo rabbia e sconforto percorrermi le vene. <Non vedo in che modo>
<Come ti chiami?>
<Caleb>
<Solo Caleb?>
Lo trafiggo con lo sguardo, vittima del suo interesse.
<Caleb Dowson>
Gli occhi vengono colpiti da un lampo luminescente .
<Ma davvero?>
<Sembri conoscermi>
<Conoscevo tuo fratello, e tuo padre, motivo per il quale sono qui>
Questa risposta, adesso, riesce a risvegliare la mia curiosità, spingendomi ad osservare con attenzione la figura di questo ragazzo in polo, pantaloni chiari e scarpe bianche da ginnastica.
Un damerino, per così dire, abbastanza curato, ma comunque, forse, vittima di questa specie di ignoranza, incolta, che potrebbe rendere me e lui simili fin dalla nascita. Forse è nato qui. Avendo conosciuto mio fratello è altamente probabile.
<Non mi hai detto il tuo nome>
<Mi chiamo Cedric Garcia. Io e Francis abbiamo frequentato la scuola insieme. Adesso sono il nuovo sindaco del South Side>
Si, deve essere stata senza dubbio la stessa scuola, per dare una simile speranza all'interno dei suoi occhi.
Il nuovo sindaco.
<Quindi, ti domando di nuovo: chi stai cercando?>
<La mia ragazza>
<Se è fuggita forse non vuole farsi trovare>
<L'ho ferita molto>
<Sul serio?>
<Voglio fare ammenda>
<"Si perdona finché si ama">
<Ha l'aria di una citazione>
<Lo è, e immagino tu detesti chi parla per aforismi> Non replico, avendo lui, dalla sua, avuto già modo di capirmi. Sfortunatamente non posso dire lo stesso. <Tale e quale a tuo fratello, Francis odiava le persone più intelligenti di lui>
Perché non ce ne erano, e il fatto che questo ragazzo creda di esserlo spinge il mio animo, trafitto dall'angoscia, alla soglia della curiosità.
<Le ho fatto male troppo nel profondo. Non serve che mi perdoni ... desidero solo che mi ascolti, che torni ... in qualche modo ad amarmi>
<Però ... ed io che credevo di dover avere a che fare con un solo Romeo, in tutta la mia vita. Ti darò una mano, Caleb, ti aiuterò a trovarla. Consideriamolo il primo compito come sindaco. Il suo nome?>
<Megan Hill>, sussurro, arrabbiato con me stesso nel dover chiedere aiuto. Ma Cedric sembra non considerare nemmeno questo mio fastidio. Vola più in alto, più sù di qualsiasi mio pensiero, ed è così magnifico il suo volo da farmi odiare la terra su cui poso i piedi.
Proprio come è stato ... con Francis.
<Megan ... è un inizio. Troverò la tua Giulietta, Romeo, ma le parole da dirle saranno unicamente tue>
<Anche lei odia le frasi fatte>
<Allora vi siete proprio trovati>, afferma divertito, posandomi poi la mano sulla schiena, spingendomi verso una direzione. <Avanti, raggiungiamo il comune. Vedrò cosa posso fare>
Abbasso gli occhi verso terra sentendo le lacrime di frustrazione, di felicità, tornare a premere nei miei occhi mentre avanzo.
Nel mio giorno più nero, nella presa di coscienza del mio errore più grande ... l'anima di mio fratello è tornata a fiancheggiarmi ed ora non mi rimane altro che decidere se calpestare i suoi passi. Diventare un uomo migliore, privarmi della rabbia e cambiare, o restare quello di sempre e correre via urlando, ben sapendo però quanto le mie urla possano essere inutili.
Cedric mi precede ma accorgendosi di essere solo a camminare si volta nella mia direzione, attendendomi con pazienza.
Sospiro profondamente, facendo uscire dal mio corpo l'ultimo respiro tremolante che dona all'animo l'incertezza.
E poi ... tendo la gamba, compiendo un piccolo passo. Poi un altro, e un altro ancora. Sono al suo fianco e subito dopo stiamo camminando insieme, verso l'inizio di una nuova vita che forse mi vedrà migliore, più giusto.
P.O.V.
Nicolas
Polly mi osserva con attenzione da dietro il suo bancone di receptionist, subito dopo avermi teso il fagotto di oggetti personali che, lentamente, mi sono procurato di prendere, ed ora aspetta solo che io me ne vada, ma i miei piedi non riescono ad abbandonare questo posto. L'albergo ad ore nel quale Lorelan ha dormito per intere notti, pagata dai soldi della famiglia Lee per prestarsi all'occorrenza al lavoro, all'interno del Sa Playa.
Questa pareti mi hanno assorbito e la moquette ha imprigionato le mie suole ... ed ora non riesco a fuggire via.
<E' tutto quello che sono riuscita a trovare. Per la verità non possedeva molto>, afferma, indicando quindi con la testa il fagotto che tengo adagiato sulle braccia incrociate al pari di un figlio, sottile busta di plastica che contiene gli averi della mia amata.
Sollevo una mano e la introduco all'interno, riuscendo a tirare fuori l'ombretto blu scuro che metteva sugli occhi.
Sorrido.
La mia fata.
Probabilmente, dal mio cuore, non se ne andrà mai.
<La ringrazio>, sussurro, <buona giornata>
Costa un'enorme sforzo, ma obbligo il mio corpo a voltarsi e allontanarsi per sempre dalla hall di questo posto, raggiungendo le porte per fuggire via, ma è proprio quando sono a un passo da loro che Trilli spalanca quello stesso ingresso, correndo trafelata nella mia direzione.
La mia mente si sveglia di colpo non appena sento le mani di lei stringermi con forza entrambe le braccia.
<Nicolas, grazie al cielo che sei qui, non sapevo dove trovarti!> Esclama senza fiato, e con gli occhi fuori dalle orbite, oltre che il trucco colato e un leggero alone di sudore sulla fronte.
<Che cosa succede, Trilli? Che cos'hai?>
<Non abbiamo tempo! William è morto>
La notizia mi raggiunge, colpendomi con forza al centro del petto.
Avrei voluto essere io a ucciderlo.
<Come? Allora voi ...>
<Sarah, la proprietaria del Sa Playa, sua madre, se ne è andata non appena lo ha saputo. Ha fatto le valigie e è andata via, quindi Natalie ha sfruttato l'occasione e si è proclamata capo della baracca. Non possiamo andarcene, Nicolas, abbiamo bisogno di soldi>
<Che cosa vuoi da me allora?>
Se non può fuggire, non può scappare, che cos'è allora che desidera e che io posso offrire?
<Ho una richiesta>
<Dimmela>
Con gli occhi Trilli corre veloce intorno, soffermandosi su Polly e le pareti di questo posto.
<Non qui. Vieni con me>
Afferrata la mano che non contiene la busta, mi tira per l'altra conducendomi fuori a forza, ed insieme iniziamo una corsa leggera intorno all'edificio.
Non capisco cosa sta succedendo finché, costretto da lei, non mi arresto, e sento, in questo vicolo laterale di strada, la voce di Trilli tornare a impartire ordini, stavolta però in direzione di un ipotetico vuoto.
<Va tutto bene, puoi uscire, sono io>
Mi fisso intorno per verificare che nessuno abbia visto la nostra fuga, tenendo ancora gli oggetti di Lorelan nella mano destra, e quando torno alla scena dinanzi ... resto senza fiato alla vista.
A fianco a Trilli si erge dritta Braiany, in un vestito verde pallido.
Sposto gli occhi su Trilli, non possedendo le parole.
<Natalie non si accorgerà che è andata via, era solo Sarah a volerla in quella casa, e se lo farà ... allora potrò dire che l'ho vista fuggire via>
<Che cosa vuoi che faccia, Trilli?>
<Ha solo dieci anni, Nicolas ... Solo dieci anni>
Sposto gli occhi sulla ragazzina, sulle sue iridi e i tratti di perfetta bambola.
Non può vivere in un posto simile, nonostante la certezza con cui mi guarda.
<Ti prego ...>
E dietro quelle parole, sotto il loro suono, mentre fisso Braiany negli occhi, in questa differenza di altezza, vedo molto altro, la vita che deve ancora costruirsi, quello che per lei è stato vivere, quello che potrebbe essere e nonostante tutto ... anche la straordinaria audacia che ancora non le permette di vacillare.
<Va bene. D'accordo, starà con me. Mi prenderò cura di lei>
Un piccolo sorriso nasce nell'angolo della bocca della bambina, ma non possono esserne sicuro perché Trilli mi precipita addosso, stringendomi forte contro il petto fino a togliere ogni mio pensiero.
<Grazie, grazie, grazie. Nicolas, sei davvero l'uomo migliore che possa esserci in questo mondo, e meriti di essere felice. Spero che in futuro tu possa esserlo>
<Ti ringrazio Trilli>, le dico allontanandola quanto basta per fissarla. <Voglio augurarti lo stesso. Appena i soldi saranno abbastanza, forse puoi raggiungerci, o puoi farti una nuova vita. Noi ci saremo>
<Lo terrò in considerazione>, afferma, ed io sono felice che possa almeno farlo.
Mi dà modo di tornare a respirare, nonostante gli oggetti di Lorelan siano una profonda ancora in grado di trascinarmi verso il fondo.
<Adesso devo andare altrimenti Natalie se ne accorgerà. Statemi bene, entrambi. E prendetevi cura l'uno dell'altra>
Retrocedendo in questo vicolo ci abbandona nei suoi tacchi alti, rimanendo a fissarci finché le è possibile.
<Ciao, Trilli>, sussurro immobile, vedendola andare via.
Una volta soli il silenzio ci conquista. I rumori della città riescono ad entrare nel vicolo della nostra strada, pneumatici di macchine, grida di gatti randagi, piccole perdite di gocce d'acqua da qualche tubo mal messo ... e così, in questo rumoroso silenzio, mi volgo verso lei che già era immobile a fissarmi, ferma al mio fianco.
Resto nei suoi occhi vedendo il mio riflesso e sentendomi improvvisamente responsabile di un'altra anima.
<Avanti ... andiamocene da qui>
Braiany mi ascolta, non pronunciando una sola parola ma prende a camminare al mio stesso passo in direzione della mia macchina. Volto più volte la testa da una parte all'altra della strada per verificare di essere al sicuro, finché non raggiunta la macchina le apro la portiera permettendole di salire, quindi mi dirigo verso il volante.
Stretti nell'abitacolo sento già un'integrazione tra le nostre anime, una specie di linguaggio segreto in grado di essere udito solo dalle nostre orecchie, mentre ingrano la marcia e la porto via da questo posto in grado unicamente di ferirla, strappandole per sempre dal cuore il dolce amaro ricordo dell'infanzia.
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