87- La morte e la nascita dell'angelo
P.O.V.
Ian
Non è mai facile scendere a patti con la morte, specialmente quando il suo arrivo si manifesta come una colpa in parte anche tua.
Lorelan è morta. Non credevo potesse accadere. I soldi di Richard non hanno pagato la sua libertà ed ora se ne è andata, per sempre.
Le mie scarpe si muovono pesanti nel calpestare la moquette di questo posto, ma devono farlo per poter accorgersi, una buona volta, di quanto la realtà sia sincera e crudele.
Timidi e tristi, gli occhi della sua unica amica si affacciano sul mio arrivo, accogliendomi in un silenzio riflessivo, pieno di parole non dette, di gesta da compiere, di alternative.
<Se ne è andata veramente?>
Trilli annuisce, muovendo appena la testa. <Si, Ian. Lorelan ... è morta>
Si, è tutta colpa mia. Ho perso tempo, senza accorgermi della gravità della sua situazione, o lo stato emotivo del suo animo. Mi sono mostrato indifferente e caparbio verso le cose sbagliate ed ora mi accorgo di essere stato il solo ad aver dimezzato ogni sua libera uscita, chiudendola in una scatola che sfortunatamente l'ha condotta alla follia.
Non ho prestato sufficiente attenzione ed ora devo scendere a patti con le conseguenze, per quanto siano assurde e impossibili da valutare.
Ricordo ancora il nostro primo incontro, la determinazione che aveva dimostrato.
<William si sta prendendo tutto. Le nostre vite, i nostri risparmi, continuando ad arricchirsi sulla nostra pelle. Sono sicura che sia stato lui a ucciderla ... Natalie non ci ha rivelato niente, ma tutte noi sappiamo quello che accade all'interno delle mura del Sa Playa, non possono mentirci. Non abbiamo alcuna protezione, né le più navigate tra di noi, né le nuove arrivate>
<Presto finirà tutto, Trilli, te lo prometto>
<Ma noi non smetteremo di avere bisogno di protezione o tantomeno di un lavoro. Siamo tutte distrutte dalla sua morte. Alcune più di altre>, afferma, perdendosi con lo sguardo verso una porta del corridoio, ed io seguo quella stessa traiettoria, colpito dalla manifestazione inquietante del suo dolore, e aggrotto la fronte, confuso.
<Di chi stai parlando, Trilli?>
<E' nuova, e la notte non smette di piangere. Ha dovuto sopportare molto la sua povera anima>
<Come si chiama?>
<Per la verità non conosco il suo nome. Non siamo solite chiedercelo, ma ho provato ugualmente a stare al suo fianco. Purtroppo credo non sia servito a molto>
<Posso provare a parlarle>
<Sei sicuro?>
<Sono bravo ad ascoltare, e se l'argomento è Lorelan allora credo che possiamo essere l'uno di conforto all'altro>
<Non si tratta solo di questo, ma spetterà a lei, se lo vorrà, il compito di parlartene. Buona fortuna, Ian>
Annuisco distrattamente, osservando la sua ritirata e rimanendo l'istante dopo solo con i miei pensieri, e la visione di quella porta, di quell'anima ferita, che mi chiama a sé.
Non mi sono mai considerato tanto forte da riuscire a vincere, nella vita, nei miei sogni, ma ad ogni modo non ho smesso mai di lottare, combattendo per e me per gli altri, per proteggere.
Non sono certo della vittoria della polizia ma non posso smettere di crederci.
Così come non posso rassegnarmi di fronte alla morte di Lorelan, altrimenti cadrei a pezzi, debole, sconfitto.
Per questo motivo continuo a farmi forza e arrivo ad aprire leggermente quel divisorio in legno che separa le nostre anime, affacciandomi così nella sua stanza da letto.
Il corpo della ragazza, stesa su un fianco, è smosso da un singiozzo che la fa tremare visibilmente, ed io a un tratto mi rendo conto di conoscerla, questi capelli, questi sospiri, i suoi fianchi, il pallore della pelle.
Il cuore precipita a terra, stavolta sconfitta vittima di un confronto non immaginabile, mentre la mia bocca si apre appena, dando voce ai miei mille pensieri.
<Megan ...>
Il suo pianto cessa e viene così trafitta dall'immobilità.
Non ha la forza per rispondere ma non occorre che ce l'abbia. Velocemente percorro lo spazio che ci divide e arrivo fino a lei.
La stringo tra le braccia accostandola al mio petto, mentre in risposta anche le sue mani sono corse a stringermi, e con un sorriso sincero mi perdo dentro il calore di questa stretta che tanto sa di casa.
<Ian ... come hai fatto a trovarmi?>
<È stato un caso, ma sono felice adesso di essere qui>
<Oh Ian ...>
Con più forza si aggrappa al mio corpo, ed io percepisco il suo bisogno sulla mia pelle, la necessità di un conforto che posso essere il solo ad offrirle.
<È morta Lorelan>
<Lo so>
<Quanti lutti ancora dobbiamo vivere prima che tutto questo finisca?>
<Di cosa stai parlando?>
La sfumatura di quella che sembra essere compassione le sferza da un lato all'altro il viso, lasciando interrompere le sue lacrime da un pensiero.
<Tu non lo sai>
<Che cosa non so?>
<Kevin è morto>, sussurra, facendomi correre più veloce il cuore in petto e spalancare gli occhi, <e anche Damien, e ...>, procede, ma poi si perde fissando nel vuoto, ed io non ho sufficienti raziocinio per seguirla verso quel mondo ignoto. <Ormai non importa più>
<Megan ... che cosa è successo?>
<Sono vuota, Ian. Improvvisamente mi sono trovata senza niente>
<Ma che cosa stai dicendo? No, non lo sei, non lo sarai mai>, affermo con convinzione guardandola dritto negli occhi, ma lei non sembra credermi.
<Ti prego ... per favore, abbracciami>
Non ha bisogno di chiederlo.
Con una mossa arrivo alla centralità del letto, e afferrandola per un braccio la attiro su di me.
La sua morsa mi toglie il respiro e al contempo fa correre il sangue più veloce all'interno delle vene.
Vivo, è così che mi sento. Di nuovo intero, e forse anche per lei è lo stesso, mentre si riscopre in me, quel rifugio sicuro che nonostante i mille litigi non potrà mai negarle l'accesso perché è stato eretto solo per lei, e in questa stanza ci teniamo stretti, perdendo lacrime, parole, discorsi di infiniti pensieri, problemi, rimanendo finalmente soli con i battiti dei nostri cuori sovrapposti, premuti l'uno contro l'altro.
<Non ho più niente ...>, sussurra, contro il mio collo facendomi rabbrividire.
<Perché dici questo?>
<Perché è così>
<Non è vero>, affermo sicuro, stringendola con più forza e respirando il suo profumo. <Tu avrai sempre me>
Oltre la mia testa la sento appena ritornare a piangere ed io mi chiedo cosa possa averla sconfitta così, facendola arrivare fino a terra.
Lei, la indomita guerriera che tanto credeva nella nostra battaglia, che cantava il nostro cantico di libertà offrendoci forza nei momenti di massima incertezza ... ora mi supplica di stringerla fino a toglierle ossigeno e fiato, in modo da scacciare via i problemi.
Che cosa le è successo e soprattutto quale forza può essere stata in grado di sradicare via tutto?
Un cupo pensiero mi corre come un lampo in mente, ma tento di scacciarlo, allontanandone il presagio, mentre lascio a lei il compito di parlare.
<Che cosa ci fai in un posto simile?>
Chiudo gli occhi, dovendo per forza, adesso, di fronte all'inspiegabile piega degli eventi, raccontarle del mio mondo, e di ciò che ho fatto.
<Lavoro per Richard Lee, Megan, da settimane. Collaboro con Caleb alla polizia>
Non sento la sua replica. La sua mano ha abbandonato la stretta e temo che quello sia il segnale in grado di farla fuggire via, una volta per tutte, ferita dalle mie bugie.
Ma quando si allontana per fissarmi negli occhi, nei suoi vedo solo la sorpresa navigare nella piscina delle sue lacrime, e un breve e timido sorriso fare capolino dalla bracciata delle sue labbra, mostrandosi con dolcezza e tenacia a me, in modo che lo conosca.
<Non ti sei arreso quindi. Non ti sei allontanato mai>, pronuncia, ed io ricevo questa ricompensa, la sua espressione, come la coppa della vittoria dopo un tremendo campionato.
No, non ho mai mollato. Non me ne sono mai andato, non sono mai fuggito.
Non sono stato un vigliacco, a parte di fronte ai miei sentimenti. Dinanzi a loro sono il peggiore dei disertori che vorrebbe tanto comandarli, mettendoli in riga ... ma non c'è ordine da stabilire quando Megan mi fissa così.
Con dolcezza sollevo la mano e metto a posto una sua ciocca di capelli, vincolandola dietro il suo orecchio destro, e con gli occhi seguo la carezza offerta, in modo così da percepirla a pieno, nel cuore come sulla pelle.
Non c'è bisogno che le risponda perché ad ogni modo riesce a capire quello che è stato e che sarà, nello stesso istante.
<Che cosa ci fai, invece, tu, qui?> Le chiedo quindi, per dare voce a quella paura che mi ha soffocato le corde vocali.
<Non sapevo che posto fosse, ed ho cercato un rifugio ... ma tra queste pareti non faccio altro che ricordarmi di Lorelan e ...>
E di William. Lo so. Lo comprendo.
Questo posto porta il sigillo della sua mano e della dittatura data da una sovranità di potere, che vede lui e suo padre sopra un piedistallo.
Non è il posto giusto, questo luogo non fa per noi ... ma le coperte in lana si sono come attaccate alla pelle di questa piccola ragazza.
Non vuole abbandonare la stanza. Mi chiedo che cosa la leghi qui, quale ricordo, quale evento.
<Vieni via con me, Megan. Torniamo in hotel>
<Non posso>, geme di frustrazione, ed io la fisso senza capire.
<Perché?>
<Perché?> Domanda in una risata, e scuote il capo afflitta.
Dopo alcuni minuti però lo risolleva con una decisione che mi sconcerta, portandomi a fare i conti con la debolezza della sua anima.
<Perché vorrebbe dirgli addio per sempre>
Dirgli. Al maschile. Non parla di Lorelan, quindi a chi si riferisce?
<Megan ...>
<Non posso ferirti Ian. Tu sei così perfetto. Tu sei troppo>
<Ma di che cosa parli?>
<Io ... non voglio provocarti altro dolore, non lo meriti. Non hai bisogno di una come me>
<Lascia a me il compito di decidere questo>, proclamo con rabbia, perché se c'è una cosa che ho sempre detestato di lei è la sfiducia che ha verso se stessa. Questa pena che si porta addosso e che la fa apparire, dinanzi a uno specchio, così piccola rispetto al mio riflesso.
Ma non è corretto. Megan è gigante, la sua anima è perfetta, è dolce, delicata. Come un abbraccio rende vivo il mondo che ha intorno, ridando vita a cuori e a piante, a me, quando la tristezza mi fa a pezzi, lasciandomi in piccole briciole a terra.
<Che cosa è successo Megan? Parlami, ti prego>, la supplico, tenendo il suo viso stretto tra le mie mani.
Quegli occhi mi raccontano troppo, una sofferenza che non mi spiego e che non comprendo.
Voglio strapparla via. Renderla mia e togliergliela di dosso, così che possa di nuovo sorridere e curarmi, tranquillizzandomi il cuore.
Ma stavolta, rispetto al passato, l'impresa deve essere più ardua, perché nemmeno la sua bocca si concede a parole, ed io devo lottare con la caparbietà che le ha incatenato l'animo per poter riuscire a liberarla.
<Sono rimasta incinta, Ian. Il piccolo aveva un mese e mezzo, ed era di Caleb>, mormora e nel mio corpo ricevo una stilettata al centro del petto.
Un figlio con lui vuol dire molto, troppo, e ancora di più la solitudine nella quale si è rifugiata, l'assenza del mio amico, le parole che può averle detto.
Sono sconvolto da tutto questo, tanto impaurito dal punto estremo al quale li ha condotti il loro amore, l'unione delle loro menti, così come dei loro corpi, da non capire l'utilizzo del passato interno alla frase, arrivando a pronunciarne un'altra, nata direttamente dal cuore, mentre gli occhi sono scesi ad accarezzare il suo ventre.
<D'accordo, Megan. Cresceremo questo figlio insieme, avrò cura di lui. Ti prometto che lo amerò, te lo giuro, non gli farò mancare niente>, le prometto con tutta la sincerità di cui dispongo, ed ecco che le sue lacrime tornano a scorrere.
Ricollego la loro esistenza alla causa di questo malanno, la non presenza del loro vero padre, quando ancora una volta Megan mi schiaffeggia con la verità, riportando la mia mente in sella, insieme alle difficoltà.
<È morto ... ho subito un aborto spontaneo tre le pareti di questa stanza>
La labbra si aprono appena lasciando fuoriuscire un gemito di dolore dinanzi a questa notizia.
Di fronte alla vista di Megan, sola, ferita, e abbandonata da tutto mentre perde suo figlio in questo buco di posto.
Suo, non loro. Unicamente suo perché è stata lei a tenerlo, a desiderarlo, volerlo.
Megan ... la mia guerriera, è stata sconfitta dalla morte più atroce, quella di un'innocente anima ancora lontana dalla vita vera, incontaminata.
Era l'unica cosa che avrebbe potuto fare a pezzi una donna come lei.
Il privarla della dose più grande d'amore.
Spezzerebbe chiunque e mi uccide il pensare di non essere stato al suo fianco.
Ma lo sono adesso. Lo sarò per sempre, ogni volta che mi vorrà.
<Vieni qui, Meg>, sospiro senza alcun fiato in corpo, e a quell'ordine Megan precipita di nuovo tra le mie braccia, lasciandosi baciare sulla tempia, sulla guancia, la fronte e il collo, lasciandosi cullare da questa stretta nella quale voglio ridarle umanità, quella cosa che crede di aver perso, al solo fine di farle capire che una ragazza come lei non potrà mai essere un guscio vuoto, se nella vita è stata portatrice di così tanto.
<Non avrei voluto che affrontassi tutto questo da sola. Sarei dovuto essere presente, al tuo fianco, l'avremmo affrontata insieme>
Non mi risponde, assorbendo ogni mio tipo di carezza e cura con il massimo affetto possibile.
<Andiamocene Megan. È ora di dire addio a tutto questo>
Al corpo di tuo figlio che, preso dal timore di questo mondo, ha abbandonato prematuramente la placenta del tuo perfetto nido.
Al fantasma di Lorelan che ancora aleggia in queste stanze e tra le lenzuola, ricordandoci i nostri sbagli, la nostra avidità, le nostre dimenticanze.
Dire addio a tutto e iniziare da capo. È questo che ci meritiamo, il vivere fianco a fianco, in un perfetto metodo di sostegno.
Desideriamo da tempo la pace ed ora è tempo di ottenerla.
Siamo solo noi due, nessun altro. Il resto del mondo non ci compete, così come la guerra che si porta nel suo nucleo.
Non ci compete. Siamo noi, da soli, a decidere di vivere sulla luna.
<Avanti, vieni con me>, la incito sollevandomi in piedi, e obbligando il suo corpo a fare lo stesso.
La resistenza le vincola i passi, non le permette di abbandonare la stanza ma sono i miei occhi, il modo con cui la fisso, con cui le prometto il resto della vita, a permetterle di abbandonarsi.
Le tendo una mano e lei l'afferra.
Quella stretta mi permette di volare, di far arrivare entrambi in un attimo fino a destinazione.
Non importa più che cosa accadrà nel resto del mondo. Io non le permetterò nuovamente di farsi del male, mai più.
Il peso del suo dolore è insostenibile ma insieme sapremo farci fronte, come è sempre stato.
Lei è il grido, ed io il vetro che restituisce il suo riflesso.
Così ci ha definiti un giorno.
La proteggerò e non permetterò a nessun altro di scalfirla, a nient'altro.
Siamo solo noi, che camminiamo insieme, un passo alla volta.
P.O.V.
Dafne
Stesa su questo manto scuro di erba osservo l'immobilità dello specchio d'acqua, nella mia solitudine, analizzando la tattica di riflettente trappola con la quale l'acqua imprigiona luna e stelle, ospitandole nel suo interno.
Persino io un tempo mi sono sentita così, desiderosa di ottenere tutto ciò che desiderassi. Ora invece cos'è che sento?
Il mio cielo è confuso e oscurato da una nebbia di problemi che non mi permette più di vedere la giusta via.
Qual è la verità?
Disperata la cerco, oltre il limite imposto alla mia visibilità, e tento di trovare la risposta, questa impagabile soluzione in grado di fare chiarezza nella mia mente, così come nel mio cuore.
Sono passati molti anni dalla richiesta di un sogno indirizzata al firmamento, ed ancora mi trovo senza niente, triste e confusa, in questa villa tanto grande da farmi sentire così sola che nemmeno la sua incostante presenza riesce a farmi compagnia.
Nel mio abito chiaro rifletto su tutto ciò che è e che è stato. Rifletto sui nostri ricordi che, inevitabilmente, arrivano a mescolarsi a quelli del presente, ricordandomi le mani di Ian, assieme alle sue labbra.
Quando mi sono arresa con William? Quando sono arrivata a desiderare altro per me stessa?
L'ho fatto davvero? William, adesso, risiede solo nel passato?
No, non può. Per anni l'ho amato, specie quando eravamo più piccoli. I suoi occhi buoni mi seguivano costantemente, senza lasciarmi da sola mai, e avrei voluto ringraziarli per quella premura.
Non può sapere quanto per me sia stata importante ... ma ogni gesto buono poi è stato spazzato via dalla violenza.
Chiudo gli occhi stringendoli con forza mentre ricordo la costante sopraffazione del suo corpo sul mio, e la mia anima che si piegava, spezzata, lasciandoglielo fare, pregando che bastasse almeno per un po' a nutrire la sua ferocia, ma non era stato così. Il bisogno cresceva a dismisura, e così anche la fame, ed ora? Cosa ci rimane di quegli anni? Solo patetici palliativi che ci fanno ancora illudere di stare bene insieme.
Rivoglio indietro il ragazzo di un tempo. Desidero ancora salvarlo, la mia speranza non si è estinta, ma ora esausta cade addormentata sotto questa pioggia di stelle, stendendosi sul terreno del prato, supina, in una preghiera che si augura ancora una volta di poter raggiungere il firmamento, così da esaudirsi nel giro di giorni, portandoci alla salvezza.
Un soffio di vento gelido mi accarezza la pelle. La contrapposta carezza calda del sole mi raggiunge e mi desta, riportandomi al mondo sotto un cielo che adesso non ha più stelle ma solo colori pastello di un celeste perfetto, invidiabile.
Tremante, a causa della nottata trascorsa all'aria aperta, mi sollevo in piedi solo per correre in direzione della casa con un sorriso stampato in faccia e un'idea, capace forse di ripristinare ciò che un tempo eravamo.
Con questo pensiero continuo a sorridere, come una scema, sotto il getto dell'acqua calda mescolata al shampoo mentre mi trafiggono milioni di idee, di speranze.
Avvolgendomi un asciugamano intorno al corpo esco dal bagno per poter recuperare in camera gli abiti adeguati per la nostra giornata.
L'occhio viene calamitato però anche dalle campanule, nel loro stretto vaso, a fianco alla finestra, e alla loro stessa necessità di acqua e cure che al momento posso riservare loro solo all'interno della mia serra.
Decisa a donargliene, afferro il vaso e scendo le scale, quando a un tratto delle voci mi bloccano.
Provengono dal soggiorno, non le riconosco, ma ciò che raccontano è sufficiente a farmi cancellare per sempre il sorriso.
<Che cosa? Ne ha uccisa un'altra? Al Sa Playa?>
<Così si dice. Natalie ha cercato di insabbiare tutto, ma alle ragazze non è sfuggito, e le voci girano>
<Dio, che razza di bestia farebbe una cosa simile?>
<Uomini come William possono fare tutto, hanno soldi e potere, a cosa serve la coscienza?>
I due ridono tra loro mentre quella domanda continua a rimbombarmi dentro, incessante, mentre una lacrima corre lungo il mio viso, ed il mio corpo si immobilizza contro la parete.
I passi delle due guardie si allontanano, facendomi tornare nella solitudine che, ancora una volta, si presta alla mia paura, rendendomi nuovamente abbandonata dall'equilibrio di una vita vera che fino ad ora ho considerato mia.
Poso il vaso con le campanule su di un tavolo, notando come le mani mi tremino nell'abbandonarlo.
So bene cosa fare ma mai prima d'ora ne ho avuto la forza.
Forse è giunto il momento di andarle incontro e ottenere per sempre le risposte a quelle domande nate nella mia mente e morte sulle mie pallide labbra.
Con un profondo sospiro torno al piano superiore e mi vesto velocemente, muovendomi poi con attenzione per giungere fino allo studio di Richard inosservata.
Consapevole del loro nascondiglio da tempo, recupero dal cassetto in basso a destra della scrivania un blocco di banconote tenute unite da un nastro di carta, e le metto in borsa.
Manca solo il riuscire a evitare le guardie e uscire dalla proprietà, ma non è un'impresa troppo ardua: anni di esperienza mi hanno insegnato a muovermi con cautela, nonostante il rumoroso tormento del mio cuore nel fuggire o nel ribellarsi, e così in un attimo riesco a scappare al loro controllo, distante anni luce dalla trappola senza via d'uscita di Monty, e raggiungere così uno dei taxi.
Lascio le indicazioni al conducente e permetto alla macchina di partire, prima di poter appoggiare la fronte contro il finestrino, tentando di far ordine ai miei pensieri che gridano impazziti, per riuscire gli uni gli altri a sovrastarsi.
Tra sospiri di vapori e note assordanti di musiche traspiranti dalle pareti, l'ingresso di questo posto si mostra per la prima volta ai miei occhi in tutto il suo squallore, rivelando la figura di un uomo a fare da guardia alla porta.
Occorre solo rivelargli il mio nome e quello della persona che sono venuta a cercare per permettere alla porta del Sa Playa di aprirsi e lasciarmi passare.
Delle indicazioni vengono ad accarezzarmi l'orecchio, pronunciate dalla voce bassa del bodyguard, ed io chiudendo gli occhi dal disgusto, e accettandole, decido di eseguirle, percorrendo la strada indicata.
Il mio corpo cattura l'attenzione di vari clienti ma i miei abiti firmati, prodotto Lee, mi rendono inaccessibile a molti. Sfortunatamente non a tutti poiché la ricchezza ha rivali costanti e si nutre di sfide. Dei brividi mi attraversano mentre noto di essere osservata, ma non lascio che siano questi altri a vincere.
Necessito di tutto il coraggio possibile per riuscire a portare a termine questa specie di missione che mi sono imposta.
Chiudendo gli occhi, di fronte alla porta, e tenendo una mano sulla maniglia, prego che la visione offerta, una volta spalancato l'uscio, non mi metta a disagio o faccia fuoriuscire la mia natura di bambina, perché la sua giovane età non saprebbe far fronte alla navigata esperienza di lei.
Così, con quest'ultimo augurio, decido di fare la mia mossa ed apro la porta.
La stanza è vuota, scopro, a eccezione della sua figura, stesa sul letto e circondata da tempestose nuvole di fumo emesse dall'arricciatura delle labbra.
Con interesse mi analizza, lasciando correre gli occhi su di me.
Non potevamo essere più diverse.
<Non sei una delle ragazze, e non sei povera, visto gli abiti che indossi. Provo a indovinare ... Dafne?> Domanda in un sorriso, e dato il mio silenzio le sue labbra si arricciano con ancora più divertimento.
<È un vero piacere, attendevo con ansia di fare la tua conoscenza>
<Sono venuta qui perché ho delle domande>
<Come è giusto che sia>, afferma, tirandosi su a sedere in modo da appoggiare il peso di tutto il suo corpo su di una mano, in una posa involontariamente sensuale, mentre nell'altra ancora staziona la sigaretta.
<Riguardano William>, continuo imperterrita, convinta di modificare il divertimento della sua espressione, ma lei non mi offre che sicurezza.
<Lo immaginavo>
Per molto tempo la mia mente ha coltivato in se l'ideale della sua immaginaria bellezza, ma mai era riuscita a intrappolarla così bene come è riuscita a fare la realtà.
Nonostante i suoi anni, nonostante la sua vita ... Natalie porta in sé una bellezza senza precedenti, nutrita anche dalla certezza di gesti calcolati e perfetti, appartenenti a questo mondo che non può che essere suo.
Non mi è difficile comprendere come un uomo possa essere stregato dalla sua presenza, quindi non condanno William per questo.
<Sei proprio come ti avevo immaginato, sai?> Mi supera ancora una volta lei, lasciando ancora correre gli occhi.
<Bella, perfetta,e pura. Come una bambola>
Lei invece, perfida Persefone, regna bene nei suoi inferi di carnali perdizioni. Suscita invidia al mio corpo di bambina che non risente della sua sensualità.
<È vero quello che si dice in giro? William ... veramente uccide delle ragazze?> Chiedo tremante, maledicendo l'insicurezza che mostro.
Natalie aspira una boccata di fumo, osservandomi con diffidenza.
<Quanto conosci, realmente, William, dolce bambola?>
Mi hanno sempre chiamato in più modi.
Angelo, biondina ed ora anche dolce bambola, detesto questo sopruso che viene imposto sulla mia figura, questo loro credere di avere come del potere sulla parte della mia anima che ancora è ingenua, buona.
Fa sentire loro più potenti, più forti ... ma alla mia vista non sono che deboli, incapaci di ammettere a loro stessi la realtà.
<Sò che è un cecchino, la sua bravura con le armi è evidente, difende la famiglia>, affermo sicura di me, sollevando appena il capo.
<E della sua immoralità? Che cosa mi dici? Sei venuta a chiedermi questo, non è vero?>
Deglutisco il boccone amaro che è rimasto nella mia gola e che mi impedisce di respirare.
<Ogni uomo ha le sue perversioni>
<Non perversioni ma malattie, se conducono alla morte di altri>
<William non è così>
<Dafne ... sei qui perché vuoi essere convinta di questo?> Chiede, e a una simile domanda il mio cuore si arresta, senza trovare risposta.
Lentamente Natalie scivola verso la fine del letto e si solleva in piedi, assaporando per lunghi attimi la nicotina filtrata attraverso la sigaretta, riflettendo sulle sue parole e le mie non dette mentre mi fissa dritto negli occhi.
Poi con lentezza mi raggiunge.
Sono tentata di arretrare, ma so bene che non poterebbe a niente.
La sua verità è troppo forte, ed io non posso nemmeno fuggire con il corpo per poterle impedire di raggiungere la mia testa.
Entrerà a far parte dei miei pensieri. Le sue parole prenderanno fissa dimora.
<Non posso convincerti, cara, perché entrambe sappiamo la verità. Mi hai fatto una domanda, ma prima di risponderti voglio che sia tu a rispondere a me. Lo ami?>
<Si ...>, tentenno.
<Perché?>
<Perché ... riesce a farmi sentire meno sola>
<Credi che salvando lui riuscirai a salvare anche te stessa? Dimmi la verità, è così>
<No ... non proprio>, provo a dire, ma sotto il suo giudizio non posso che arretrare.
<Invece si, Dafne, ma lui non lo ha mai voluto. Per questo cercava me, perché il tuo amore lo soffocava troppo>
<No ...>
<William non vuole essere salvato. Non lo vorrà mai. E sai perché? Perché non c'è ritorno per un uomo come lui>
Tutto questo non è vero, non è ciò che volevo sentire, non è la verità!
<Lo dici solo per ferirmi>
<No, lo dico perché adesso posso rispondere alla tua domanda. William ha ucciso e ucciderà per sempre, uomini o donne non fa differenza, perché è nella sua natura di mostro, ma non toccherà mai me perché il mio giudizio gli fa paura ed ha già tentato in passato di ferirmi senza riuscirci.
Deve aver fatto lo stesso anche a te, lo vedo nei tuoi occhi, ti ha fatto del male>
Inspiegabilmente continuo ad arretrare, scuotendo con decisione la testa, nella direzione di un no.
No.
Ma mento. Perché William mi ha fatto eccome del male ma credevo che in qualche modo questo potesse dar sfogo alla sua rabbia repressa.
Non avrei creduto mai che lo stesso destino potesse capitare ad altre ragazze. Non lo accetto, non riesco a crederci.
Il concepire la triste trama della loro vita rende me colpevole di non aver concesso loro di viverla.
William è colpa mia.
Ciò che gli ho permesso, quello che ha fatto, ogni mio tipo di silenzio.
Non aveva che me in quella casa ed io ... non avevo altri che lui, e per anni ho adorato la sua forza, la sicurezza, il calore della sua pelle. Ho adorato ogni tipo di parola dolce che si lasciava sfuggire e quei teneri pensieri che era in grado di rivolgermi, e non ho mai, una sola volta, pensato all'altro lato, sponda opposta della medaglia, della sua vita.
Mai prima ho cercato Natalie per questo confronto, nella paura di scoprire quello che adesso, d'un tratto, so e che mi terrorizza.
William è un mostro.
È un uomo di potere.
Un assassino.
Un senza cuore ... e non più l'uomo che un tempo ho amato.
E non solo per quello che ha fatto alle ragazze di questo posto, ma anche a causa di tutte quelle morti che non vengono ricordate.
Per la caduta dei bossoli di proiettile in un posto che, silente, non può fare da testimone.
<Le mie ferite sono impresse sulla pelle in un monito che mi disgusta, ma le tue fanno ancora più paura, dolce bambola, perché sono nella tua mente>
Senza grinta, lascio che siano le sue parole, per quanto calme, ancora una volta a comandarmi, subendo il fascino e il pericolo di quelle parole, mentre con una mano mi sfiora la testa.
<Sei stata una vittima per tutto questo tempo ...>
La sua carezza continua a cedere, ed io non so da dove provenga la forza ma a un tratto sono spinta a reagire: la mia mano si solleva e blocca la sua, le impedisce di comandarmi ancora, dall'alto del suo piedistallo di nuda vanità, e lascia a me il compito di parlare adesso, priva delle catene che per anni hanno stretto, facendolo prigioniero, il mio animo.
<Parli di William, ma nemmeno tu sei tanto diversa. Sei un mostro, proprio come lui. Sfrutti queste ragazze per tuo solo interesse, e non ti importa cosa provano o quello che sentono. Le schiavizzi offrendo loro questo lavoro pessimo, senza dar credito al loro animo>
<Pessimo? Dici questo?> Domanda risentita e al contempo falsamente divertita, mentre allontana la mano, in modo che non mi sfiori più.
<Vedi le mie ragazze sono delle accompagnatrici. Amano conversare e intrattenere discorsi davanti a un calice gentilmente offerto. È il loro lavoro, prestare attenzione a uomini dannatamente troppo soli. Vengono pagate ... mentre tu quanto hai preso per stare dietro quella bestia? Quale è stato il tuo guadagno?>
Il cuore batte feroce nel petto, fomentato dalle sue parole.
Natalie sorride, mentre mi fissa dall'altro.
<Non sono state loro le puttane, Dafne. La puttana sei solo tu>
Scatto veloce in avanti tentando di afferrarle i capelli, ma i suoi riflessi mi impediscono una simile mossa, nonostante in una delle mani sia ancora presente il mozzicone di sigaretta.
<Ed io ho pietà per te>, continua, <perché a una donna debole si può facilmente mettere i piedi in testa. Non permetterti di fare la stessa fine delle altre e ricorda bene con quale persona dividi il letto ogni sera. Che questo ti basti a non giudicare la nostra malizia, sei la più perversa mentre fingi di essere così pura nei nostri confronti>
Non è vero, sono stata guidata dall'amore, ma donne come lei, private di tutto, non possono capirlo.
Strattono le braccia liberandomi di scatto e permettendomi un passo indietro, così da poter fissare il suo viso con tutto il rancore che porto.
Con questo disgusto, mescolato a una paura che sento nello scoprire di avere sempre percorso la strada sbagliata, da che ne ho memoria, mi sottraggo al suo potere, tenendo nella mente le risposte che cercavo, e che ho trovato.
Il silenzio di questa casa fa da eco ai miei pensieri, e mi porta a tremare e rabbrividire di una paura che non riesco a limitare.
La luce del comodino è accesa e rischiara la stanza, le coperte, questo letto, senza però mostrare il giusto cammino ai miei pensieri.
Stringo con forza tra le mani la coperta, pregando di avere la forza per sostenere il peso di una simile realtà.
Lui le ha uccise ... le ha uccise con delle corde.
Serro forza gli occhi mentre sento la porta di casa chiudersi ed i suoi passi tornare nell'abitudine delle mie serate.
Con il corpo si fa presente nella stanza, poi sotto le coperte.
Le sue mani mi cercano, mi stringono ma non mi trovano.
<Perché hai ucciso quelle ragazze William? Quale è il motivo?>
Un silenzio che minaccia tempesta ne segue, poi la sua voce, come un lampo, frammenta l'aria.
<Come sai di loro?>
<Ho parlato con Natalie>, espiro fuori, e sento come il suo corpo si irrigidisce sopra il materasso.
<Tu che cosa?>
Prima che possa costringermi con una stretta austera a voltarmi, esco di corsa fuori dal letto. Al fianco della finestra lo fisso con timidezza e odio nello stesso tempo, mentre la luna illumina il suo petto seminudo.
<Perché William? Perché? Quelle corde ...>
La mia voce si interrompe nel pronunciare un pensiero che non sono in grado di rincorrere.
Un pomeriggio William le usò persino su di me. Fu particolarmente violento, la prima di una serie di volte.
Ricordo ancora le parole che pronunciò quella volta, dopo avermi scopata e ripescarle dal calderone della memoria, dopo che le credevo andate, mi impaurisce e ferisce come una stilettata.
Mi pregò dicendomi "non andartene".
Fu una supplica.
E con lei ancora nelle orecchie rivedo sotto una chiave diversa le sue gesta, connettendole alla sua mentalità.
<Le hai uccise, William. Che bisogno c'era? Perché ... perché andavi da loro?>
Perché lo facevi quando io potevo offrirti il mondo?
Quando mi immolavo per avere per me solo il mio dolore?
Senza rispondermi si solleva, alzandosi in piedi e raggiungendomi a fianco alla finestra.
Scorre i suoi occhi lungo la mia figura con attenzione, analizzando il mio bisogno di ultime giustificazioni a qualcosa a cui non so credere.
<Non sei in te. La visita a Natalie deve averti confuso la mente, torna a riposare>
<Non sono mai stata più lucida di così, William. Adesso so, ma ho bisogno che anche tu lo dica. Perché? Perché hai fatto tutto questo?>
<Perché lo volevo! D'accordo? Lo voglio!> Esclama, spalancando le braccia verso l'intorno come se, con le sole gesta, stesse mostrandomi il suo intero mondo.
<Ho bisogno di tutto questo, così come ho bisogno di te>
<Perché?> Chiedo in lacrime sentendo il freddo vetro della finestra premermi contro le spalle e la luna raggiungere la mia pelle oltre la sottoveste.
<Perché mi completi>, sussurra con tranquilla accettazione, venendomi incontro. <Ancora non lo hai capito? Siamo parte della stessa cosa Dafne. Siamo uno solo>
Un tempo certe parole mi avrebbero tranquillizzato in merito all'amore che prova, al legame che desidera, a noi, perché in un passato, veramente, l'ho desiderato, non ci sono scuse. Ma adesso una frase del genere non mi fa che rabbrividire e terrorizzare.
<No ...>
<Si invece, da sempre. Non ti ricordi? Siamo soli contro tutti>
Le mani di William mi circondano con una carezza il viso ed il suo sorriso ripristina la similitudine di un ricordo perso negli anni.
Con dolcezza William mi sorride, tenendo stretto tra i palmi il mio viso, nella giornata soleggiata di questo pomeriggio.
<Non piangere, Dafne. Non farlo mai. Siamo soli contro tutti, siamo soli. Insieme>
Le lacrime cadono ma i suoi pollici le raccolgono, cullandomi con la loro carezza e governandomi il viso.
Erano tempi migliori, ma io come ho fatto ad essere così ceca?
<Sei stanca. È meglio se ci allontaniamo per un po'.
Domani potremmo partire, che cosa ne dici? Andiamo nella casa di campagna e ci trascorriamo qualche mese, lasciamo calmare le acque>
Tiro su dal naso il tremito di un respiro mentre sorrido con tristezza, pensando a quella casa. Il luogo dove per la prima volta ci siamo amanti, dove gli ho donato la mia verginità.
Come può un dolore simile fare tanto male?
Annuisco lentamente, sperando che sia una mossa sufficiente per liberarmi, e lo è. William allontana le mani mentre resta a fissarmi con un sorriso, e l'espressione più serena.
<Bene. D'accordo allora, adesso torniamo a letto, forza>
Non dico una parola. Lo osservo stendersi, girandosi su di un lato mentre la stanchezza lo spinge a voltarmi le spalle e cadere dentro lo scontornato profilo di un sogno.
Lentamente e a piedi scalzi mi dirigo verso il bagno.
Afferro una cosa, dalla mia borsa posta su uno dei comò, poi apro la porta.
Il riflesso nello specchio mi ritrae pallida, e con delle macchie rosse di pianto lungo tutto il viso ma un'espressione ferma, immobile, ancora di più ... quando sollevo la pistola puntandomela alla tempia.
Rimango immobile dinanzi a quel vivido ritratto, ferma, con il ferro freddo della canna premuto addosso, pronta a qualsiasi cosa che verrà.
Ma poi un'altra lacrima cade. Dopo la mia vita di statua abbandona i miei occhi. Una sola, solca il mio viso e raggiunge terra.
La sua caduta è tanto forte da spezzarmi, allontanare l'arma e piegarmi in preda al fermento di un pensiero vigliacco contro il lavandino.
Ancora una volta ... non sono stata abbastanza forte.
Il cinguettio degli uccelli sopra la chioma degli alberi augura il buongiorno a questa mattinata soleggiata, priva di nuvole.
Dal piano inferiore William sta impartendo ordini per la partenza alle guardie ma le mie orecchie non odono la voce delle sue richieste.
Persa in un limbo la mia anima non vuole essere ricercata, vivendo nell'insonorizzazione di un posto che può tenerla al sicuro.
Con lentezza percorro le scale, stringendo in una mano la borsa da viaggio e portando sugli occhi degli occhiali da sole a lente nera, che oscurano la visibilità dei gradini mentre i miei piedi vi si posano.
Noto le guardie abbandonare con velocità la proprietà che ora indossa, sui mobili ed il resto della tappezzeria, dei mantelli bianchi in grado di proteggerla dalla polvere data dalla nostra assenza, per un tempo indefinito durante il quale staremo lontani da casa.
William sorride notando il mio arrivo mentre alle sue spalle i due uomini, che il giorno precedente parlavano delle morti, abbandonano la villa su di un'unica macchina, lasciandoci soli per raggi di chilometri.
Soli. Insieme.
<Sei bellissima, come sempre>, mi dice, e persino le sue parole si perdono all'interno del limbo dentro il quale è possibile prendere solo brevi boccate.
Quante sono sufficienti a sopravvivere.
<Avanti, vieni. È tutto pronto. Partiamo subito, lascia la valigia nel bagagliaio. Faremo tappa al carburatore per fare il pieno di benzina, e poi ci sposteremo subito verso la casa di campagna. Vedrai, nessuno potrà cercarci li, saremo finalmente tranquilli>
Come ho potuto non accorgermene prima? Mi chiedo solo questo, con che occhi, con che cuore, abbia potuto rispettare quelle mani che ora accarezzano la carrozzeria della lucida e rossa macchina così come avevano fatto proprio il sangue di altre persone, con un'indifferenza mescolata alla freddezza.
Le ho avute addosso. Le sue mani, le sue labbra dalle quali non ha fatto altro che dirmi bugie. Il suo cuore premuto contro il mio, nascondendomi la freddezza delle sue arterie.
Come ho potuto volere tutto questo?, continuo a chiedermi, mentre con lentezza e preoccupazione William fa il giro della macchina, senza scostare la mano, e arriva fino a me, con la fronte crucciata.
<Dafne?>
Senza i revolver nella fondina ascellare ma solo con una camicia bianca, dentro i pantaloni beige, è bellissimo, un ragazzo normale, sotto i suoi capelli oro tanto simili ai miei e un sorriso che avevo considerato puro, perfetto.
Ma sono stata ingannata, questa speranza che vuole a tutti i modi regalarmi non è altro che una bugia. Non ci sarà mai un posto per noi perché siamo così sbagliati insieme, così malati ...
La mia mano cerca all'interno della borsa, ed in un attimo afferra la pistola, tendendola nella sua direzione.
William fa un passo indietro ma non solleva le mani.
Ecco che perde il suo sorriso. Ecco che l'indifferenza e l'immutabilità del suo sguardo si privano di quella funzione con cui si veste, solo per stare insieme e donarmi piccole briciole di quell'amore che pensa io meriti, ma non è questo ciò che voglio.
Non è stato questo ciò che ho chiesto alle stelle.
Io avrei voluto noi, senza i dolori di questo mondo, senza le bugie, senza queste armi o le perversioni, le malignità.
Avrei voluto l'uomo che mi faceva sorridere di fronte ad un panino con hamburger freddo, perché il cameriere si era dimenticato la nostra ordinazione all'interno di una scadente tavola calda in cui l'avevo costretto a entrare.
L'uomo che mi mostrava le stelle, giurandomi di offrirmi il firmamento, ed anche, anche, molto di più, un significato, un conforto che la morte non mi aveva concesso, e che mi avrebbe reso realmente intera come non sarei mai potuta tornare ad essere.
<Dove l'hai presa?>
<Era nel cruscotto della tua macchina>, rispondo, e lui si fa sospetto, con un sorriso.
<Non è possibile>, pronuncia, ma poi sembra ricredersi, ricordare forse il nome dell'uomo al quale deve averla tolta, prima di privarlo anche della vita.
<Damien ...>
Il suo nome mi scorre addosso, non conoscendo la sua storia o il motivo per il quale, avere la sua arma in mano adesso, sembra mostrarsi tanto come una beffa del destino agli occhi del mio vecchio amato, che ride divertito prima di tornare serio, offrendomi l'attenzione che questa arma puntata al suo petto richiede.
<Dafne ... dammi quella pistola. Non sai cosa stai facendo>
<Avremmo potuto essere felici William, sul serio, ma la tua mente, le tue gesta... hanno rovinato tutto>
<Dafne>
<Le hai uccise Will. Hai ucciso un sacco di persone, come posso perdonartelo?>
<Come hai fatto sempre. Smettendo di guardare>, mi risponde, ma il mio capo si muove nella direzione di un lento no.
<Non posso più farlo. Adesso ti vedo, William, e non sei l'uomo che mi aspettavo. Sei un assassino, e nient'altro>
L'angolo destro della sua bocca si solleva con tristezza, quasi si aspettasse un simile epilogo.
<Se premi quel grilletto non sarai diversa da me, piccolo Angelo>
<È questo il problema ...>, spiego con pazienza mentre la paura e una piccola parte della mia anima lottano affinché io non compia questo ultimo disperato gesto.
<Io e te siamo sempre stati troppi simili su certi aspetti, William. Tanto da comprenderci>
E tutto questo, fino ad adesso, mi ha fatto paura.
Essere cresciuta dall'odio ... rende la donna che sono piena di un'incertezza che non merita, volendo vivere di semplicità.
Voglio la semplicità.
Voglio ... la pace.
Il mio dito preme con forza sul grilletto e il contraccolpo dello sparo mi pizzica il petto, mentre il proiettile entra nella sua fronte facendolo cadere all'indietro,fino a che non lo vedo stendersi lungo il tappeto fatto di ghiaia, della strada.
I suoi occhi aperti fissano il cielo e forse, forse, dietro quel celeste chiaro notano le nostre stelle e pregano di avere una pace, nel posto che li attende.
Lascio cadere a terra l'arma, aprendo con lentezza la cintura del borsone, dentro il quale, sopra i vestiti, risiede il fiore candido e dal lungo gambo di una campanula bianca.
Afferro lo stelo e lo lascio cadere su di lui, seppellendolo in un funerale che né il mio corpo né la mia mente sanno ancora accettare, ma che nell'animo non simboleggia nient'altro che la libertà.
L'angelo si è liberato del suo carnefice, ed ora può abbandonare questo posto fatto di bugie, salendo sul suo cavallo bianco e tenendo la sua borsa stretta in una mano.
Può partire al trotto verso un luogo che può renderlo più felice e nel quale vivere di semplicità, con l'ossigeno che basta non per sopravvivere, ma per riuscire completamente, in piena autonomia, da solo ... a respirare.
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