84- Calore e gelo

P.O.V.
Ian

L'uomo di fronte a me mi analizza con un sorriso che non sono in grado di ricambiare, mentre mi intrappola nell'inquadratura scenica dello specchietto retrovisore, in questa notte cupa.

<Prima volta in città?> Domanda con una spigliatezza disgustosa, a causa degli eventi.

Provo a non soffermarmi troppo sulla riconoscibilità delle mie vesti, falsamente eleganti e dal taglio gentile di un doppio petto e un colletto inamidato.

<Non proprio> replico stringendo la bocca in una forzatura di risposta. La sola cosa che ho imparato, dal passato, è stata quella di trattare con gentilezza i tassisti che ti scortano fino alla meta. Non puoi sapere che razza di persone siano o se gradiscano rubare la tua identità civile non appena chini la testa per prendere i soldi dal portafogli, stordendoti con un colpo. Non che la mia sia tanto ambita o gradevole, non ancora almeno, ma posso migliorarla, sono certo che un giorno potrò riuscirci, cessando così di indossare queste patetiche vesti di ingiustizie varie.

E forse, la chiave per riuscirci, sta proprio per essermi offerta.

La villa Lee, come il peggiore degli incubi, mi sovrasta con la sua imposizione scenica di oscuro dittatore, obbligandomi in un fascino che mi disgusta a raggiungerla dopo aver pagato il conducente della mia tratta.

Percorro a piedi il suo viale di accesso, fiancheggiando i cipressi alti quanto due piani dell'abitato, in grado, in questa notte, di proiettare le loro ombre come strisce pedonali più scure, rispetto al grigiore dei massi, ed evidenziare così la mia avanzata tra luci notturne e tenebre cupe.

Il portone in marrone invecchiato dal tempo, dall'età, mostra la manifattura dei suoi ricci e l'intricato meccanismo di apertura quando con un soffio, in completa libertà, mi spingo ad aprirlo, entrando nella casa.

La versione offertami da Xavier nel pomeriggio sulla situazione della famiglia, e delle sue relative guardie, si dimostra reale, completa nella sua spoglia assenza. Nessuno sorveglia questi luoghi, e la tardiva ora della notte permette l'ingresso al visitatore più sgradito.

Rifletto sulla libera accoglienza di questo posto che non ha mai avuto bisogno di doppie mandate al portone per poter garantire la sicurezza delle persone al loro interno, e rifletto sulla perfetta meccanica di certezze che Richard è riuscito a costruirsi intorno mentre avanzo lungo le scale per poter raggiungere nuovamente lo sgabuzzino.

So che cosa cercare. Ore passate a riflettere a mani giunte sul letto dello squallido motel in cui soggiorno mi hanno permesso di raggiungere una conclusione, non tanto ovvia e priva della condizionante emozione data da un cuore ferito. Non posso cercare notizie della morte di Francis, perché il suo decesso è tanto incerto da essere la mobilità di un ago in ferro, posto su di un tavolo e attratto dalla calamita al di sotto del legno che lo fa smuovere, correre e agitare secondo leggi sempre diverse, incontrollabili.

Non posso risalire alla mano che ha premuto quel grilletto ma posso scoprire quali dita hanno impugnato la penna nella firma di contratti illegali, prove inconfutabili in grado di imprigionare per sempre Richard Lee Dowson nella prigione che gli spetta.
Il commissariato esige prove, ed io sono pronto ad offrirgliele ... se non fosse ... se non fosse per questo raggio luminoso e caldo di luce che reseca in diagonale il corridoio fino a raggiungermi, nascendo dall'apertura di una stanza lasciata socchiusa. La stessa che notti prima mi ha concesso la vista di una scena sgradevole ed eccitante al tempo stesso, mio malgrado.

Non ho tempo per questo, ma quel barlume è un richiamo ed io non voglio resistere. Non so resistere, nemmeno se volessi.

Il ricordo degli occhi di lei e della sua espressione di pura rabbia, mentre mi allontanava dalla proprietà, mi spingono verso un duello di lotta che ci vede schierati sotto due diverse bandiere.

Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, l'attimo in cui avremo posato i nostri piedi su sabbia di sponde opposte, dichiarandoci battaglia, eppure in questa notte, dentro quello spiraglio di calore, la guerra sembra proclamare, in lontananza, una momentanea resa, accennata, che però non sa far fronte alla lotta in cui è intrappolato il mio animo mentre avanzo raggiungendo quello spiraglio.

Lentamente apro la porta, scoprendo la stanza di lei vuota ma con le luci accese. Il suo profumo serpeggia nell'aria e troppo tardi capisco come sia stato trasportato da una nube di calore, dalla porta del bagno.

Dafne fa la sua comparsa, stretta di un asciugamano bianco che la cinge appena sotto il seno per finire a metà delle sue gambe, scoperte e lisce, ancora bagnate dalla doccia. I capelli tirati su in una crocchia le lasciano scoperto il collo, incorniciandole per lunghi istanti l'espressione serena del viso fino a che non mi trova in piedi, a pochi passi, fermo a fissarla con la gola riarsa.

<Che cosa ci fai qui?> Mi domanda aspra, stringendosi più stretto al petto l'asciugamano in una mossa che le risalta il seno, mio malgrado.

<La porta era aperta ...>, sussurro dalla mia postazione, con lentezza.

<Non importa. Non saresti dovuto entrare>

<E' questo che pensi? Sei arrabbiata con me, biondina?> Inconsciamente arrivo a chiederle, avanzando sotto i suoi occhi che nemmeno per un'istante si allontanano.

Osservo la confusione di cui in un primo momento si bagnano, poi il rossore delle sue guance, l'agitazione.

Non perdo un solo gesto, analizzandolo a fondo, cercando di capire la verità dietro una reazione simile.

Al contempo però anche il mio corpo subisce un cambiamento: attento si rende partecipe di un'attrazione non data dalla mente quanto dalle sensazioni, dai ricordi e dalla vista della sua pelle nuda che gentilmente mi offre, calamitando il pensiero alla memoria di ciò che un tempo ho visto esserci sotto questo spugnoso e bianco asciugamano, quelle forme perfette che per giorni, notti, mi hanno perseguitato nei pensieri, rendendomi vittima di una stregoneria.

<Smettila>

<Di fare cosa?>

<Di chiamarmi biondina ...>, sussurra, mentre continuo ad avvicinarmi, lentamente.

<Solo questo?>

Stavolta non risponde. Le sue pupille vengono calamitate dalle mie labbra, e l'inazione del suo corpo permette al mio di farsi ancora più vicino, fin quando il primo dei due, combattivo, nell'incoscienza non arretra.

<Mi hai chiesto più volte perché ti ho salvato quel giorno, alla corsa dei cavalli>, sussurro sul suo viso, ormai distante pochi passi da lei, <vuoi sapere la verità? Non c'è un motivo, l'ho fatto e basta ... l'ho fatto perché ti ho vista correre su Alhena, nonostante tutti gli ordini che ti vietavano di farlo>

Nel pronunciarlo riesco ad ammettere questo dato di fatto anche a me stesso, combattendo contro il testardo ragazzo che sentiva solo di aver fatto la cosa giusta, salvando una vita. La realtà è che non si era trattato di una vita qualunque ma della sua, costante e incasinata regina dei miei tormenti che, entrando, mi aveva inchiodato con uno sguardo pieno d'odio ma che adesso mi spia, vittima di un'appannata confusione.

<Stai mentendo>, pronuncia flebile, spingendomi a sorridere.

<No ... non lo faccio>

<Ci hai mentito, per tutto questo tempo. Sei della polizia>

<Non proprio>

<Hai fatto incarcerare Monty, hai detto tutte quelle cose su Richard ...>

<La verità>, affermo, spingendola a fermarsi, adesso, ad un passo dal letto.

Il suo profumo mi annebbia i sensi, ma il mio volto mi rimane impassibile, nonostante la vicinanza.

<Ci hai venduto>

<Chi sei, Dafne? Chi sei?>

<Che cosa intendi?>

<Sei dalla loro parte?>

<Sono una Lee>, afferma, irrigidendo la schiena in un gesto naturale che però non mi convince.

<E sei solo questo? Che cos'altro nascondi?>

Chiude gli occhi solo per un breve istante, respirando forse la stessa aria pregna di profumo che respiro anche io, a un centimetro dai nostri rispettivi volti, eterna nel presente.

<Non voglio che tu stia in questa casa. Vattene>

Nel dirlo si allontana con forza, ma io agguanto un suo braccio nudo e la riporto a me, facendola finire contro il mio corpo, togliendoci il fiato.

Una mia mano si solleva ad accarezzarle il volto, tremando leggermente per la perfezione di quella pelle, e per la visione di quei vividi occhi celesti che confusi e impazziti sfrecciano in ogni direzione del mio viso dando carburante al mio cuore, che tramortito si lascia avvincere da questa nuova battaglia.

Spingo il mio volto più vicino per catturare il respiro del suo, mentre non allontano troppo gli occhi in modo da non perdermi la dolce confusione che li conquista.

A poco più che un millimetro dalla sua bocca pronuncio la mia domanda, necessitando della sua risposta, per poter procedere.

<Avresti preferito che ci fosse William, adesso, al mio posto?>

La scena di quella notte, di lei nuda sotto le sue spinte e della sua espressione quando si era resa conto della mia presenza mi torna in mente, rimanendo ferma in un'eterna pausa dinanzi al ricordo di quegli occhi che non si erano allontanati, vittime dell'imbarazzo quanto della curiosità, del desiderio ... dei miei.

Con quelle stesse iridi mi si ripresenta ora, stordendomi mente e cuore, lasciandomi prenda di una confusione che non lascia spazio alla razionalità.

<No, non avrei voluto ... non voglio>, mormora nonostante la sicurezza avuta nel rivelarlo.

A queste parole finalmente annullo la distanza, unendo le nostre labbra in un bacio.

La sua bocca è morbida proprio come avevo immaginato, e la sua lingua porta il sapore di un frutto che non mi ricordo ma che mi piace, tanto da averne dipendenza e ricercarlo fino a togliermi il respiro, perdendomi nel suo.

Nella stanza il rumore dei nostri baci rimbalza sulle pareti, seguito dal leggero suono della caduta dell'asciugamano dal quale la spoglio, facendo passare le mie mani lungo le sue costole e poi sempre più giù, trascinandomi dietro la stoffa.

Dafne geme ad occhi chiusi, costringendomi ad aprire i miei per fissarla.

In questa stanza illuminata ad oro la sua pelle riflette il colore del sole.
Sollevo la mano e lentamente inizio ad accarezzarla. Il collo, la spalla, il petto .. il suo seno. Pizzico i suoi capezzoli rigidi, ammirandone la perfezione.
Mi perdo in ogni sua curva e la provoco, suscitandole del dolore, o almeno quanto può sopportare per poter sentire anche molto altro.
Piacere che a un tratto ci sovrasta, come un'onda in piena.

Afferro con più forza il suo viso e la attiro nuovamente a me, baciandola con passione.

Il suo corpo nudo premuto contro il mio è caldo, ben oltre questi vestiti rimasti, e morbido, tenero. Tanto piccolo da potersi rifugiare nella mia stretta.

<Aspetta ...>, geme allontanandosi e chiudendo gli occhi.
Recupero il respiro per infiniti attimi prima che le nostre labbra, spontaneamente, collimino di nuovo rendendoci parte di un'unica cosa.

Vorrebbe resistermi, ma proprio come me non può non cedere.

Afferro con entrambe le mani le sue gambe e la porto cavalcioni su di me, in piedi al termine del letto e in una posa che le permette di sovrastarmi.

Attendo un suo rifiuto con le mani premute nella sua carne ma so bene che non può raggiungerci. Entrambi abbiamo aspettato fin troppo.

Poso un ginocchio sul letto e l'attimo dopo le permetto di stendersi, accogliendomi tra le sue gambe.

Veloci le sue mani corrono alla cinta dei miei pantaloni mentre le mie l'accarezzano lente, percorrendo ogni sua parte.

Se solo William potesse vederci in questo momento credo che ne morirebbe, allora perché non sto affatto pensando alla vendetta di un simile gesto? Perché nella testa non ho altri pensieri?
I suoi occhi hanno scacciato via tutto, resettando i problemi in maniera totale.

<Credevo che mi odiassi>, la provoco, mentre è ancora intenta a sbottonare i miei jeans.

<Anche io pensavo lo stesso di te. Qual'è la verità?>

Sorrido sul suo volto, ben capace di rispondere, nella mia mente, a una domanda simile.

La verità è che la voglio.

La desidero da un pezzo.
Credevo fosse semplice rabbia, ma poi quello strano sentimento si è mutato in gelosia e la gelosia in attrazione, semplice e spontanea.
Desiderio, che non so sopprimere ne spiegare.

Ma non glielo dico. Lo dimostro scendendo con la bocca su di lei, baciando un'immaginaria linea dal collo fino all'ombelico e quindi al monte di Venere.

È perfetta, in ogni suo più piccolo particolare.
E tanto dolce, sensibile, da essere già senza fiato a lottare, stringendomi con una mano i capelli, per poter riottenere la sua libertà mentre la bacio ancora più a fondo, inserendo la mia lingua in lei.

<Ian!>

La lentezza è giustificata da un ritmo di tortura ma a un tratto non mi basta.
Allontano bocca e mani allineando i nostri corpi.
Dal basso Dafne mi guarda supplicando una specie di speranza.
Stordito non la esaudisco, incurvando i fianchi ed entrando dentro di lei.

Chiudo gli occhi circondato dal calore mentre Dafne fa lo stesso, aggrappandosi alle mie spalle con forza.
Ruoto un po' il corpo, creando un attrito leggero che intensifico subito dopo, prendendomi parte della sua essenza in una necessità che non mi spiego.

Lei mi risponde con la stessa intensità e qualche minuto dopo siamo entrambi senza fiato.

Il suo respiro è caldo, tenero e seducente al tempo stesso, perfetto ed io non posso credere di essere dentro di lei. Nel suo corpo. Uniti in uno solo con una rabbia, un'emozione che fa tramare ossa e molle, al tempo stesso.

Le sue mani d'un tratto aperte mi spingono a sdraiarmi al suo fianco e di conseguenza uscire da lei.
Tremo per quella mancanza di contatto mentre la vedo salirmi cavalcioni.

<Non voglio essere scopata, Ian. Voglio essere amata>, mi sussurra, permettendomi di rientrare e chiudere per un'istante gli occhi.
Poi questi tornano su di lei, fermi per poter osservarla.

<Non posso amarti, Dafne>

<Perché?> Mi domanda, compiendo, d'un tratto, una dolce mossa con i fianchi, andando avanti e indietro.

<Perché il mio cuore appartiene a un'altra, non puoi averlo>, gemo.

Queste parole non devono piacerle perché noto il suo viso, solo per un attimo, macchiarsi di tristezza.

<Questo non è vero>, commenta, ruotando con più forza il bacino e spedendomi in un altro mondo. Stringo i denti, abbandonando indietro il viso mentre rafforzo la stretta delle mani sulle sue gambe.

<Tu sei già mio>

Torno con gli occhi su di lei che nel frattempo mi cavalca, impartendo un ritmo lento e straziante.
Le sue mani sono sul mio petto e sulla mia gamba, stesa dietro se, mentre lo sguardo è legato al mio.

Sono suo? Sul serio?

Mente e cuore fanno la lotta, volendo primeggiare l'uno sull'altro.
Non posso permetterle tutto questo potere. Non voglio darglielo.

Si tratta solo di un capriccio, penso, sollevandomi a sedere per tirarla a me. Il mio cuore è di un'altra ma il mio corpo risponde unicamente al richiamo di Dafne, senza che la mia mente possa controllarlo.

Non è niente, ne sono certo.
Ma rallento comunque il ritmo non appena riprendo il controllo, sovrastandola mentre mio malgrado i miei occhi l'accarezzano con lo sguardo, attirati dai suoi.

Pallida, perfetta, luna ...

Sono il marinaio ubriaco e pericolante nella stiva di una nave quando la sua voce grida con tutto il fiato rimasto il mio nome. Perdo il controllo quando le sue dita mi stringono a se, reclamandomi e cedo, concedendomi a lei fino a un'estrema soglia del piacere ... perdendo me stesso, ma conservando un'ultima accuratezza data dalla ragione.

Esco di colpo e mi riverso su di lei, macchiandole la pelle piatta, candida.
La sua espressione mira alla perfezione quando sfocata si sofferma su di me, rimanendo in eterno.

È bella, perfetta ed ho ancora voglia di lei, del suo corpo, della sua bocca, della sua testa.
Voglia di risentire sulle sue labbra il mio nome, pronunciato con disperazione.

<Non guardarmi così>, prega con lentezza, ed io aggrotto la fronte senza capire.

<Non guardarmi con tutto questo calore se non puoi promettermi niente. Se veramente il tuo cuore non sarà mai completamente mio ... non posso più resistere a un altro rapporto del genere>

Queste sue parole di sincerità mio malgrado mi eccitano, spingendomi a rubarle un altro bacio.

<Ho ancora voglia di te>

<Ed io vorrei negartelo>, sussurra.

<Ma non puoi farlo, non è così?>

Ci desideriamo Dafne, solo questo.
Puro bisogno, il sentimento più egoista del mondo.
Ma non ci importa.

Le sue mani si aggrappano con forza alle sbarre di questo letto mentre è stesa a pancia in giù sul materasso con il mio corpo premuto contro, e la necessità di sentirsi ancora una volta uno.

Poco prima di venire la afferro sotto il mento, spingendola a volgere la testa per riottenere indietro la sua bocca ed il sapore fruttato che porta.

Possa bastarmi questo, per non dimenticarla.

Dafne si lascia baciare prima di tremare tra le mie braccia non appena l'orgasmo la squassa ed io mi godo ogni fase del suo abbandono, socchiudendo gli occhi avvinto, lascio che questa corrente elettrica passi tra i nostri corpi e ci trafigga in una stoccata perfetta.

Mi abbandono, lasciando il mio ultimo respiro sulle sue labbra, questo pazzo gesto folle che non sono riuscito a prevedere e mi prendo la sua preghiera, rimanendo immobile nei suoi occhi e vedendo il cerchio di nei sulla spalla sinistra marchiarle la pelle, nel suo simbolo tipico.

Vorrei non averla mai assaggiata per non desiderarla più, ancora, adesso, mai. Ho dato il morso alla mela ma questo peccato deve essere rimosso dalla coscienza. Via, deve andarsene. Ma si concede un ultimo bacio, chinandosi ancora una volta alla ricerca delle sue labbra e non posso chiedermi se ciò che ho fatto è stato scopare o amare. L'improvvisa lentezza delle mie mosse mi ha destabilizzato per la sua presenza. Non me lo domando ... e lascio che sia lei a deciderlo, mentre mi accarezza con un ultimo sguardo setacciando quella parte del mio cuore che nessuno, da tempo, era arrivato a scalfire.

Sfioro con gli occhi la sua nuda pelle priva di lenzuolo mentre la luna illumina il suo corpo, steso su un fianco, favorendo la mia visione nel buio della stanza.

Con forza mi sollevo in piedi e mi allontano così dal matrimoniale letto al fine di raggiungere il corridoio e lo sgabuzzino che vi è affacciato.
Indosso porto solo dei jeans, niente scarpe o maglietta, e dalla tasca di questi estraggo la chiave dorata offertami da William.
Lo scrigno si spalanca, offrendomi la valanga di segreti che per mia fortuna non sono stati violati.

Richard deve essersene andato troppo presto, tanto da non avere il tempo per cancellare tracce simili, o forse credendo di essere al sicuro lasciando il piede di porco dei suoi tesori al collo del suo scostante figlio, alquanto alternante.

Le pratiche di proprietà del carico di alcolici per l'imbarco, e i vari contratti sono tra le mie mani, pronte per essere consegnate alla polizia.

<Si trattava di questo allora>, sento dire da una voce alle mie spalle e mi volto di scatto, trovando Dafne con una maglietta più lunga del normale a coprirle la parte alta e metà delle gambe, come faceva l'asciugamano.
Non riesce a nascondere però l'espressione triste con cui mi guarda.

<Sei venuto qui per questo>

La mia bocca rimane impassibile non volendo e non potendo esprimersi. A lei non importa. Con una serie di veloci passi raggiunge il piccolo spazio ricavato alla casa e una pila di pratiche e fogli, che mi tira addosso.

<Volevi questi, no? Adesso vattene. Vattene e non tornare mai più>

<Dafne...>, provo a farla ragionare, piegando la voce in un rimprovero ma lei non mi ascolta.

<Vattene! Avevo ragione, siete tutti uguali ... lo stesso tipo di feccia>

Scatto in avanti, pronto a rispondere a un'accusa simile ma lei alza un dito, impedendo ogni mia mossa.

<Non seguirmi e non replicare più. Hai ottenuto tutto quello che volevi, non hai altro che ti trattenga qui>

Un ultimo sguardo colmo di odio, il suo silenzio e poi le sue spalle rivoltemi mentre corre veloce via dalla mia crudeltà che sta sradicando le radici alle fondamenta della sua vita senza permesso, rivoluzionando le pareti costituenti la sua prigione che tanto l'avevano fatta sentire protetta.

P.O.V.
Dafne

Le mani mi tremano mentre scappo via e gli occhi si concedono a un pianto silenzioso, capace di non mostrarsi.

Che cosa mi era saltato in mente?

Siamo stati a letto insieme. Io e Ian, l'uomo che tanto provavo a detestare per quello che aveva fatto a me e alla mia cavalla, che ha fatto adesso, alla mia famiglia.

Si è preso tutto, facendosi ladro di anime, rubando per ultima la mia.

Per tutto questo tempo l'ho desiderato. Rendermene conto adesso è un pugno in pieno stomaco, come lo è l'accorgersi di essere dalla parte sbagliata di questa battaglia.
Sono una Lee e sono schierata contro la polizia e le persone in grado di minacciare affari che da sempre so essere loschi, ma che proteggo, in modo da salvaguardare l'ultimo nucleo famigliare di affetto che mi rimane.

Questo fa di me una complice di Richard? Di William?

Non posso esserlo però percependo tutto questo odio nei loro confronti, sentendo sulla pelle ancora il profumo di Ian e non ritenendolo sbagliato, non del tutto.

Una notte, da bambina, ho rivolto un mio sogno alle stelle e ho pregato che potesse, con tutto il cuore, realizzarsi, ma ancora non l'ho visto esaudirsi.

Ho pregato di riceve amore, in qualsiasi sua forma.

Dopo la morte della mia famiglia mi sentivo incredibilmente sola e quello era stato il mio unico desiderio.

Volevo un'amore che mi salvasse, ed ho pensato così che fosse William a potermelo donare, servo del cielo e delle mie speranze.
La cecità data da questo bisogno mi ha portato a subire anni di dolore e mancanze, conseguenza di un'amore ambiguo e distruttore, sbagliato per alcuni ma non sempre per noi.

Non per noi, nei primi tempi. William era stato tutto per me, mi aveva amato, e forse in un modo tutto suo continua a farlo, ma a che prezzo?

Sono certa che sapesse di suo padre e di conseguenza che fosse a conoscenza pure della nostra situazione, ma non me ne ha reso partecipe. Ha continuato a farmi credere a questa falsa della parentela per macchiarmi di una colpa di cui non dispongo. Per torturarmi nella sua indecenza, uccidendomi ogni volta che finivamo dentro un letto.

Da sempre il mio animo è in lotta tra l'amore e l'odio provati nei suoi confronti.
È capitato lo stesso? Ho mai odiato Ian?

Rivedo i suoi occhi la notte del mio compleanno e sento nella testa il gentile modo con cui mi si era rivolto. Sincero, dolce, di una umanità che mi era stata negata subito dopo.
Si, l'ho odiato ma solo per essersi sottratto al mio sogno, come ha fatto adesso legando il suo cuore a un'altra.

<Sono patetica>, gemo verso il mio riflesso dentro lo specchio del bagno.

Voglio solo amore e i suoi occhi, mentre eravamo prigionieri delle lenzuola, sembravano promettermelo, con tutti loro stessi, ma devo essermi sbagliata.

Apro con forza il getto d'acqua calda sfilandomi dalla testa la maglia ed entrando in doccia.
Quella cascata calda mi raggiunge appiattendomi i capelli sopra la testa, e nel silenzio di quell'azione i miei occhi continuano a lacrimare. Le mie mani mi sfiorano il corpo soffermandosi nei punti dove avevano stazionato le sue.

Porto ancora il segno delle sue strette e dei suoi baci. Vorrei tanto non cancellarne il ricordo ma devo, devo per non soffrire, nonostante lo senta ancora in me oltre questa distanza.

Cado sul piatto della doccia, subendo le sferzate dell'acqua e corro a riparo verso un punto che non può ferirmi, standomene con le braccia intrecciate alle gambe, così da proteggermi. E in quell'angolo di mondo salvaguardo il mio cuore rinunciando per sempre all'ipotesi di un sogno, capendo quanto non sia possibile donare amore a una ragazza cresciuta dall'odio.

P.O.V.
Megan

Perso nel vuoto il mio sguardo minaccia il traguardo verso mete sconosciute e paurose, temibili sotto ogni aspetto ma sincere.

Un'altra mattutina nausea mi spinge a correre verso il bagno, e chinare la testa sopra il water in un capogiro che mi destabilizza per l'attenzione richiesta.

Poso quindi il capo all'indietro, contro le mattonelle di questo bagno e mi perdo di nuovo nei contorni del presente.

<Ehi! Ragazza nuova, sei ancora lì?> Esordisce a un tratto una voce dall'altra parte della porta di entrata.

Volgo l'attenzione verso quella femminile richiesta ed i colpi che ne susseguono in un crescendo di tono.

<Abbiamo preparato delle crêpes giù, a piano terra. Devi essere affamata, se vuoi puoi unirti a noi>

Credo si riferisca alla colazione dopo questa notte trascorsa completamente in bianco.
Malamente mi rialzo catturando il mio sguardo cupo nello specchio e non faccio niente per migliorarlo.

Lentamente avanzo in direzione di quel premuroso tono di voce, aprendo il mio mondo nel suo, e spalanco appena gli occhi, trovando un volto noto.

Trilli.

<Ehi, ma sei tu! Ci domandavamo chi fosse la ragazza che pernotta in piena notte. Stai bene? Hai un viso stanco>

Cerco le parole all'interno della gola riarsa.

<Tu ... abiti qui?>

Trilli annuisce con convinzione, gettando il capo dietro di se.

<Io e anche tutte le altre ragazze del Sa Playa>

<Anche ...?>

<Lorelan! Si! Anche se ora si fa chiamare "Fairy", non chiedermi il perché>

Il cuore smosso a speranza acquisisce una tale notizia con attenzione.

<E ora ...?>

<È ancora al locale. Ieri ha avuto la giornata libera così oggi attacca presto. Potresti stupirti di quanti clienti vengono da noi in mattinata, reduci di una serata passata sbronza>, ridacchia, per poi farsi più convinta. <Tu dove lavoravi invece? Che cosa ti è successo, sei stata licenziata?>

Devo prendermi del tempo per ricordarmi che nella sua mente il mio ed il suo lavoro si equivalgono da quella serata di reciproche conoscenze.

<Si, il posto ha chiuso i battenti>

<Però ... mi dispiace. Se vuoi posso parlare con Natalie e farti entrare nel giro>

Penso al figlio che ho in grembo, e all'obbligato lavoro che queste povere donne sono costrette a subire.

<Non importa, ho abbastanza soldi per ora, ti ringrazio>

Seppure non era vero. Nessuno sa che mi trovo qui e dovrei informare mia madre, ma non voglio pesare sulle sue finanze, preferisco piuttosto usare parte dei soldi del lavoro di cameriera per rispondere a questa esigenza.

La cura di mio figlio poi richiederà un'attenzione che sarò sola nel dargli, quindi devo risparmiare.
Lo attendo da un mese e mezzo, e non trascorrerà troppo tempo prima del sopraggiungere del nono.

<D'accordo allora, fai come vuoi, ma scendi giù a mangiare con noi?>

Annuisco, vittima di una fame consistente e chiudo la porta, permettendole di farmi strada.
Arrivati al bancone del servizio cucina, a piano terra, trovo tutte riunite, in piedi o a sedere, con in mano il piatto con dentro delle crêpes, forgiate da una signora tozza e anziana, forse gentile, alle prese con i fornelli.

Non c'è traccia di Natalie per cui suppongo che il capo di queste ragazze abbia diritto a ore di sonno più prolungate o in alternativa a un numero maggiore di ore dentro uno squallido locale che le rende prigioniere, dalla prima all'ultima.

<Ragazze lei è una nuova, è arrivata ieri sera ma per il momento è in pausa. Fatele ciao con la mano, ciaooo>

Divertite o afflitte tutte le ragazze imitano il saluto, ricambiando con gentilezza il mio arrivo. Mi accomodo tra di loro obbligata da Trilli, e d'improvviso vengo circondata da una tempesta di donne forti.
Temerarie, sicure di loro stesse quanto del prossimo mentre, da un lato all'altro, si scambiano battute su clienti o avventate azioni, ridendo di quella che per molti è una disgrazia ma per loro semplice lavoro.

Si fanno beffa del dolore, ridendo di lui e mi spingono a sorridere a mia volta.

<Vi giuro, ragazze, il peggiore della mia vita!> Esordisce una piccoletta a capotavola, tra altre due amiche, riferendosi alla parte anatomica di un ricco signore che profumatamente aveva pagato per riceverne attenzioni.

<Niente a confronto di Sir Viscido!> Esordisce un'altra, allungandosi per prendere una fetta biscottata e del miele al centro del tavolo. <Aveva pagato per un ballo nel privè e che cosa mi combina? Nemmeno il tempo di entrare che mi mette già una mano tra le cosce!>

<A certi uomini andrebbero tagliati mani e uccello>

<Si, concordo!>

Scuoto la testa mordendomi un labbro mentre il cibo viene filtrato nel mio corpo con una piacevolezza gradevole, sodisfando sia me che il mio bambino dopo le scosse tremende alle quali ci ha sottoposto.
Il mio sorriso però attira gli sguardi, e delle ragazze si voltano a cercare spiegazioni.

<Non la pensi allo stesso modo? Buon Dio, ragazza, per caso ti piace?>

<Forse è innamorata>, mi difende Trilli al mio fianco senza che possa dire nulla, ed un'altra delle dieci sparse per la cucina, sufficientemente distante dalla vecchia signora che è tornata alla reception, conferma una simile teoria.

<Beh non sarebbe l'unica. Avete visto con che sorriso gira Fairy?>

<Deve essere per quel cliente abituale che viene sempre a trovarla, quella specie di musicista pazzo>

Con una descrizione simile non mi riesce facile associare il viso di Nicolas, ma credo proprio che stiamo parlando di lui, per cui le lascio proseguire.

<Non è difficile da capire, anche io vorrei un venticinquenne tra i clienti al locale>

<Ma poi avete visto che fisico? Si capisce il sorriso di lei!>

<Si sono dati alla pazza gioia l'altro giorno in camera li avete sentititi?>

<Ma si che li ho sentiti, ero proprio al loro fianco!>

Risate collettive, poi un'ulteriore voce che li abbassa di tono.

<Ragazze, adesso state zitte, sta arrivando! Shh!>

L'ordine torna a serpeggiare insolito tra le fila di questa cucina mentre udiamo dei passi avanzare nella nostra direzione mostrandoci quindi l'arrivo di lei, sorridente e smagliante proprio come avevano raccontato.

<Oh! Le crêpes, che buone! Me ne avete lasciato un paio?> Domanda e subito una di loro solleva un piatto.

<Ecco qui!>

La complicità di un gesto simile mi fa sorridere, come l'allegria di Lorelan e il modo con cui rotea e stringe gli occhi dopo un mugolio di pura estasi a seguito di un morso.

<Che buone ... quella donna è unica, sul serio!>

<Avanti Lorelan, mettiti a tavola, oggi abbiamo un'ospite>

Ed è in questo istante, terminato il suo pasto, che i nostri occhi si incrociano, e Lorelan si immobilizza sul posto.

<Ciao>, esordisco calando di tono, in un confronto che coinvolge noi sole.

<Ciao>

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