80- I creatori della sorte
"C'è un confine irreale tra il bene e il male
Attento alla strada perché
Ce ne è una che va verso l'avidità
E la scelta dipende da te"
Le notti d'Oriente - Aladdin
P.O.V.
Richard
Ventotto anni prima.
Esiste un'antica credenza tra le persone che ricoprono il nostro ruolo secondo la quale numeri e lettere nascondano all'interno delle loro geometriche forme la chiave della felicità o della sfortuna.
Risiede tutto nella composizione a tre di questi due fattori e nella superstizione congiunta ai loro caratteri.
Il sei, ad esempio, si può definire un numero estremamente sfortunato. Averlo inciso nella propria targa non è mai un bene, ma in caso di sua presenza si deve prestare la massima attenzione alla guida. Al contrario il 7, il 3 o addirittura l'1 si caratterizzano per l'impagabile fortuna e la capacità di dare una svolta al destino dell'autista.
Per questo motivo non ho mai cambiato macchina o la targa che porta, poiché, per un fortuito motivo, possiedo in trappola il gioco dei tre numeri benedetti e non intendo sfidare la sorte. Attendo invece che mi raggiunga, affidandomi un futuro più prossimo che sono certo saprebbe vestire meglio i miei panni.
Oltre a questa esistono altre credenze, tante da non poter essere ricordate tutte.
È tradizione, per esempio, bagnare d'alcol la carrozzeria della propria auto a seguito dell'acquisto, inaugurandola come fa una bottiglia di rum su di una nave mercantile, oppure è abitudine credere di non poter riutilizzare la carrozzeria, ovvero parti e pezzi, di un'auto sottoposta a un'incidente stradale.
Non ritengo affidabili tutte queste dicerie, eccezione fatta al terno dei numeri, ma credo nella constatazione di un fatto che si fa leggenda da narrare: se investi un cane, sicuramente la volta successiva farai lo stesso ad una persona.
E il motivo del mio affermarlo è semplice: la distrazione nasce da uno stato mentale che non può essere abolito. L'animale, di grossa o piccola taglia che sia, si fa ben visibile contro l'asfalto nella sua pelliccia di pelo o nei lucidi occhi nel riflesso dei fari.
Non notarlo simboleggia la tua confusione e la rotta distorta dei pensieri mentre i miei sono estremamente lucidi.
Mente e riflessi agiscono insieme, operando all'immediato.
Non ho mai investito un cane.
Non ho mai fatto passare sotto le ruote un pallone da calcio, o le piume di un piccolo uccello, la plastica di un rifiuto o il pungiglione di un abbandonato vetro in superstrada.
Quello che ho sempre fatto è stato garantire una guida sicura e confortevole alle persone sedute alle mie spalle.
Per questo sono stato classificato come il migliore.
I clienti mi scelgono e il mio capo cede alle loro richieste chinando il capo.
Rivesto il ruolo di tassista ma anche di chaperon profumatamente pagato nelle serate di festa.
E tutto questo era bastato ad alimentare il mio ego.
Non sono un uomo malizioso, non cedo ai vizi dell'alcol, inibitore della guida, o permetto alla trappola del fumo di incatenarmi in una costretta abitudine, non sono alimentato dalla ribellione ma sotto pelle la passione che covo mi porta a sperare in un futuro sempre più lustro, privo di sforzi mai abbastanza ricompensati che mi esentano dal vivere il calore familiare che tanto desidero sostenere.
Tra le mura di casa ho una moglie, e un figlio di appena due anni. Il mio cuore è spartito tra i loro corpi, dorme la notte tra le loro braccia nascoste sotto le coperte nelle quali cerchiamo, stretti in uno, un comune rifugio.
Anelo vivere pomeriggi di quotidiana abitudine domenicale nei quali sostiamo tutti insieme di fronte allo schermo di una tv ad osservare il susseguirsi iconico di cartoni amati da nostro figlio, oppure ci dedichiamo ad una passeggiata in centro, tra le strade della nostra caotica e imprigionante città.
Vorrei respirare di loro, vivere il calore che una casa famiglia non è stata in grado di donarmi completando così l'iconico emblema della mia vita.
Sono un uomo che si è fatto da solo e che forse non è arrivato troppo lontano ma i numeri a cavò della fortuna sono ancora in gioco, e presto probabilmente modificheranno la sorte, premiandomi della perseveranza.
Una coppia sale a bordo della mia vettura e dallo specchietto analizzo i loro sorrisi complici, il loro parlottare basso in grado di offrire distrazione dal mondo, le perle al collo di lei, l'orologio al polso di lui prestando però l'attenzione minima richiesta per comprendere la destinazione verso la quale vogliono li porti.
I miei pensieri sono sempre lucidi ... tranne quando una coppia si fa passeggero della mia tratta.
Immagino, in questi momenti, di abbandonare il volante e di poter soggiornare su quei privilegiati sedili posteriori stringendo tra le mani quelle di mia moglie, mentre la fisso con tutto l'amore che quella donna merita, ringraziandola per aver cresciuto nostro figlio così bene in mia assenza.
Sogno di farla ancora più felice un giorno, di donarle la stabilità che la sua complicata famiglia non le ha mai offerto e forse ci riuscirò.
Il mio credo non decade in spenta cenere solo perché quest'acqua gli ha macchiato le vesti, piovendo goccia dopo goccia contro il vetro del mio tergicristalli.
Raggiunta la destinazione vengo pagato secondo tassametro per il servizio offerto. La coppia scende in un gioco di sorrisi sinceri, tra loro indirizzati, e mi abbandona ancora una volta da solo, ascoltando il rumore del vetro contro la pioggia.
Avendo raggiunto la stazione ferroviaria adesso sosto nella zona dei taxi, in fila secondo l'incastro perfetto a valorizzare come una macchia di impattante e bianco colore la cromatica natura della città.
Disgustato da dietro il vetro osservo questo assurdo sistema che ci rende tutti uguali, tutti servitori di un ordine sancito con distrazione, tutti con gli stessi specchietti, la stessa auto di servizio, le stesse ruote, lo stesso scopo, tanto da creare un nodo intorno alle gola soffocandomi con la sua stretta.
Inserisco le chiavi nel cruscotto e accesa la macchina ruoto il volante, scappando dall'alienante obbligo nato dal vivere senza distinzioni o scopi precisi.
Ma io non sono come tutti loro, io voglio di meglio, e forse sto per ottenerlo, presto.
La pioggia nel frattempo ha smesso di battere ed il clima particolarmente gelido ha creato la condensa sul mio vetro, tanto resistente da non riuscire a spannarsi nemmeno con il calore dell'auto.
Non ne ho mai capito la logica interna a questo sistema di ventilazione, ma una cosa la so per certo: se non si ottengono all'immediato risultati allora significa che il metodo utilizzato è sbagliato, e che è necessario passare a manovre più eccessive, quindi d'un tratto aziono, ruotandola nel completo giro, la rotella dell'aria fredda e il suo gelido respiro mi consente la vista. Il vetro si spanna mentre il bocchettone si fa gelido nell'abitacolo, ma io non tremo, è stato necessario, posso sopportarlo.
Presto attenzione al sentiero, sostando quindi da un lato della carreggiata nel più desertico luogo del mondo e quindi il più perfetto per poter staccare la testa e tornare a parlare con vecchi amici d'un tempo.
A questo pensiero scendo dalla vettura e i fari della sua mi raggiungono accecandomi bonariamente nella loro neonata nascita, all'interno della quale sono compresi molti altri pezzi appena sostituiti.
Analizzo ognuno di loro con un disappunto attribuito dalla loro provenienza ma tento di mascherarlo per fare in modo che lui non si preoccupi. So bene come reagisce preso dal terrore.
I fari si spengono e la macchina si arresta permettendo la visione del mio amico nel cupo grigiore della nebbia.
A passi stanchi si muove verso la mia direzione, sistemandosi i capelli con fare incerto, mentre ruota la testa in un tic nervoso verso la vettura alle sue spalle e poi a me, coinvolgendomi in un sorriso.
<Allora? Che ne pensi?> Domanda arrivato a destinazione.
<E' un bel rottame>
<All'officina non hanno saputo fare di meglio. I pezzi nuovi costano, non c'è stata altra soluzione. Quel cervo per strada ha fatto un bel danno>
Sposto con preoccupazione gli occhi sul mio amico riflettendo sulle sue parole, e come sempre sembra leggere la rotta del mio pensiero. Lui più di tutti mi conosce, persino alle volte più di quanto faccia io stesso.
<Un cervo, Richard, non un cane. Non abbiamo di che preoccuparci>
Un cervo è ancora più visibile del più grosso cane, ma faccio finta di credergli annuendo distrattamente con la testa.
<Lo so Monty, lo so ... ad ogni modo i meccanici hanno fatto un bel casino, semmai mio figlio lavorerà in un'officina mi procurerò di dargli lezioni personalmente>
<Il piccolo Francis? Non pensi che sia un po' prematuro preoccuparsi?> Mi chiede arricciando sempre più la bocca in un sorriso.
<Può essere, ma almeno non creerà mai questo Frankestein di latta. Da dove arrivano?> Gli domando indicando i vari articoli sostitutivi.
<Da quel giovedì sera sulla sessantaquattresima>
Un grosso incidente, la fortuna può giocare a sfavore del mio amico. Persino la targa contiene una coppia di sei.
<Scaccia quell'espressione superstiziosa, non hai mai creduto alle dicerie>
<Alle volte però è meglio non sfidare il destino, Monty, invece che andargli apertamente contro>
<Sono altri i problemi>
Si, sono altri, dal momento che il mio amico si è fatto più vicino e nel cupo buio della notte, macchiata di nebulosa condensa, riesco solo adesso a vedere il suo viso ferito e il sangue che scorre lungo l'occhio sinistro. Preoccupato accorro verso tale sfregio.
<Che cosa è successo? Non ti hanno pagato?>
Sono molte le volte in cui il South Side usa la moneta dei pugni per ringraziare del servizio, e non mi stupirei se questa città puttana non avesse perso il suo vizio, ma Monty scuote lento il capo, intrappolato dalle mie mani, e mi rende partecipe dello scontro avuto.
<Una carogna ben peggiore. Ho scoperto che mia moglie mi tradisce e questo è il risultato per essere andato contro al suo uomo. Quel pazzo aveva una bottiglia di vetro in mano e con quella mi ha minacciato di non farmi più vivo. Credo che la cicatrice mi rimarrà per sempre>
<Almeno sarai riconoscibile. E poi, sai che ti dico? Incuti un certo timore. Magari al prossimo amante farai più paura>
<Vaffanculo>, mi apostrofa con un sorriso e in un movimento fugge via dalla mia presa. Seguo con gli occhi i suoi passi prima di farlo con il corpo, raggiungendo l'unico punto vicino allo strapiombo dove è presente un tronco da cui godere della vista dei monti e dei tetti cittadini, in lontananza.
<Stai bene adesso?> Lo interrogo essendo rimasto a fissare il suo viso afflitto.
<Non molto. Credevo di poter essere davvero felice, con una moglie in casa ed un lavoro, ma niente di tutto questo mi appaga. Non senti anche tu il bisogno di qualcosa di meglio? Si, intendo ... di una vita migliore? Più libera dagli orari di lavoro e dal resto>
Se c'è una cosa ad accomunare particolarmente me e Monty è la caratteristica di essere sognatori.
<Siamo semplici poveri, Monty, a che cosa stai pensando?>
<Mi piacerebbe molto essere il proprietario di una terra da poter coltivare. Pianterei ulivi e vigneti e vivrei della rendita di quei prodotti. Non chiedo niente di troppo eccessivo. Lavorare la terra è pur sempre un lavoro umile, e poi mi ridarebbe la pace>
<Solo questo?> Il mio labbro superiore è arricciato da un capriccio, e Monty lo nota, ridendo.
<Beh, non ho mai detto di essere una persona modesta o tanto meno facilmente accontentabile. No, non sarebbe solo questo, amerei avere anche una stalla con dei cavalli, o qualsiasi altro animale da poter far gareggiare. Si fanno ottimi soldi dalle puntate delle corse, vedi di ricordartelo>
<Ci farò un pensiero>, commento divertito, forse immagazzinando un'informazione simile nell'archivio della mia mente e Monty annuisce con distrazione.
In un gesto di consumata abitudine tira fuori la catenella appesa al collo e accarezza il pendente, ovvero la rotonda lastra sottile e circolare con inciso il volto del Santo, mentre fissa di fronte a noi.
<Ancora con questa cosa? Vuoi vedere di togliertela?>
<Me l'ha regalata Mary Jane>
<La moglie che ti ha tradito dopo dieci anni di matrimonio? Lanciala oltre questo dirupo, probabilmente l'ha maledetta>
<Mi ama ...>
<Monty ...>
<Mi ama, d'accordo? Lo fa ... è semplicemente confusa. E' lecito esserlo no? In fondo ci conosciamo da tanto e litighiamo spesso. La capisco ma quello che ci è successo non mi spingerà a dimenticarla, quindi vedi di non insistere>
<D'accordo! Va bene, basta che non ti arrabbi>, gli concedo la vittoria, per quanto ancora una volta non arrivo a credergli. Per me l'amore deve essere totale, altrimenti non è amore ma solo paziente abitudine, non conosce pause, tradimenti o discordie, non rende vittima.
<Si tratta di San Cristoforo però, non è vero?>
<E questo cosa vuol dire?>
<E' il patrono dei viaggiatori, o dei pendolari, quindi degli autisti. Tua moglie non crede che tu possa avere un giorno la vita che ti aspetti. Almeno di questo vedi di rendertene conto>
<Sei il peggiore, Richard, te lo ha mai detto nessuno? Il peggiore!>
Sorrido tristemente avendo colpito nel segno e non so rispondere. Nessuno dei miei conoscenti mi ha mai detto una cosa simile, e nessuno sembra pensarlo. Mi sono sempre mostrato eccellente in tutto, perché volere è dovere ed io alla vita che mi era stata concessa avevo da rendere molto. Vivere di mediocrità non avrebbe saziato nessuno dei due, né me né tanto meno lei.
<Presta attenzione tornando a casa Monty, non scherzo>, minaccio puntandogli il dito contro mentre retrocedo verso la macchina dopo avergli lasciato il pacco contenente il cambio di vestiti per il quale ci siamo visti, premuto contro il petto in un'ulteriore raccomandazione. <E togliti quella specie di malocchio dal collo!>
<Si, si, certo>
Metto in moto la macchina focalizzando la sua figura nello specchietto retrovisore mentre prego che le leggende possano in parte rimanere tali.
La macchina parcheggiata e l'ora tarda affrescata nel circolare orologio illuminato della stazione identificano la conclusione del mio turno lavorativo giornaliero, ma a quanto pare il mio capo non la pensa come me.
<Richard! Dove stai andando? Un altro cliente ha chiesto di te>
<Ho una famiglia a cui tornare, capo>, spiego a spalle basse e sguardo afflitto, e lui sembra capirlo, ma non convincersi.
<Paga bene. Tanto da poter ottenere un bel ricavo, escluso l'interesse>
<D'accordo allora, un ultimo giro>, un ultima corsa per guadagnate ancora una volta spiccioli con cui comprare il pane alla famiglia che mi aspetta a casa e per soddisfare la mia innata curiosità verso quello strano visitatore.
Recupero le chiavi dalla tasca del giubbotto e risalgo alla mia postazione. Mi procuro dell'accensione e del controllo di tutte le spie per non avere sorprese la mattina dopo, analizzando il tutto nel silenzio quando il rumore della portiera aperta mi ridesta catturando l'attenzione.
Torno con la schiena dritta e la nuca contro il poggiacapo, le mani alle dieci e dieci e gli occhi diretti verso la strada.
Aspetto che si accomodi prima di porgergli la fatidica domanda.
<Buonasera. Dove siamo diretti?>
La voce profonda di un uomo mi indirizza lungo il tracciato mappale dando indicazioni di una strada desertica, isolata da tutto, e incredibilmente tanto distante da suscitare domande.
Sollevo gli occhi catturando il viso di lui nello specchietto retrovisore e vengo colpito dal suo volto austero.
<Signore ... è un posto molto lontano, il viaggio può non essere tanto breve>
<Allora partiamo al più presto. Mi è stato detto che sei il migliore nel tuo campo e la strada è particolarmente tortuosa ma se devo rischiare e cambiare persona ...>
<No, non ci sono problemi, facevo per avvertirla. Partiamo>, commento concitatamente nel terrore di perdere un cliente tanto importante e lui non sembra scosso dalla mia reazione.
Sotto il suo cappello Fedora in feltro nero osserva con tenebrosi occhi il South Side fuori dal vetro, rimanendo forse vittima della nuda povertà che ogni notte corre di quartiere in quartiere, traumatizzando turisti ignari.
La mia attenzione invece si altalena come un pendolo tra lui e la strada, tra i suoi abiti grigi e il filler dell'asfalto intervallato dalla tintura di strisce continue e bianche, a spezzare la colorazione unita così come fa la sua pallida camicia, al di sotto della giacchetta e del lungo cappotto, semplice ma alla moda.
Il portamento e l'espressione assunta dal suo viso però sono quanto vi è di sufficiente per indovinare la sua posizione sociale, altezzosa e appagante, per quanto questo uomo non sembri essere felice.
<E' qui per lavoro?>
<No, non si tratta di un viaggio di affari>
<Allora è per piacere>
<Sto tornando dalla mia famiglia. Sfortunatamente abbiamo subito un grave lutto, siamo ancora scossi>
<Mi dispiace molto>
<La ringrazio>
Lotto tra il voler conoscere e l'ottenere rimanendo in un obbligato silenzio dato dalla professionalità quando è proprio la sua voce a interrompere l'assenza di suono, volteggiando con gli occhi lungo il rivestimento interno dell'auto prima di commentarlo.
<E' proprio una bella macchina>
<La sola che concedono>
<Alle volte però è un bene vivere di cose semplici, non trova?>
Nel domandarlo si è rivolto direttamente al mio riflesso, dalla sua posizione diagonalmente opposta alla mia.
<Non saprei, sfortunatamente sono schiavo degli eccessi, non punto all'ordinario, ma mi esento da qualsiasi tipo di rischio per rimanere in salvo>
<Anche la brama è una dipendenza. Lo sa?> Chiede incurvando la bocca in un mascherato sorriso ed io lo fronteggio, rispondendo in egual modo.
<Forse. Può essere vero>
<Sa che cosa credo? Che l'umano è destinato ad essere costantemente infelice>
<Lei sembra avere una bella vita>
<Ma mi ha preso molto, tra cui la possibilità di poter ricominciare da zero un giorno. Più si è esposti più si è intrappolati nel personaggio creato ed io vorrei davvero liberarmene. Vorrei che fosse qualcun altro a donarmi la mia libertà ... non vorrebbe lo stesso?>
Ci fissiamo negli occhi prima che la strada mi obblighi nuovamente ad innalzare l'attenzione verso il percorso e per tutto il resto del viaggio rimaniamo nel più completo silenzio.
Arresto la macchina solo una volta raggiunto un'enorme cancello avente la funzione di confine.
<Grazie del passaggio, Richard Dowson, la sua guida è stata eccellente. Tenga questi soldi>, sento la sua voce pronunciare alle mie spalle mentre mi allunga le banconote, ed io le afferro senza nemmeno contarle.
<La ringrazio ...>, inizio, ma poi mi perdo non sapendo come continuare. L'uomo sorride.
<Ivan ... Ivan Lee>
<La ringrazio, signor Lee>
<Forse un giorno potrai ricambiare il favore, accompagnandomi nel mio viaggio di ritorno verso casa, magari?>
<Non è questa casa sua?> Indico con un dito l'enorme proprietà dinanzi a noi e l'uomo scuote mestamente la testa, in direzione di un no.
<Appartiene a mio fratello minore. La mia è decisamente più lontana>
<Sarà un'onore accompagnarla>
<Tra due settimane e mezzo dovrò ripartire. Vedrò di richiamarti e magari il viaggio di ritorno potrà essere più felice dell'andata>
<D'accordo signore, buon continuo di serata>
<Ciao, Richard>
La sua figura scompare nella notte tirandosi dietro con se i miei occhi.
I pochi lampioni che illuminano le strada verso casa fanno da segnaletici indicatori dei miei passi stanchi, indirizzandomi secondo la pavimentazione di queste frammentate mattonelle, a decoro della piazza.
Pochi metri mi distanziano dal portone d'entrata del condominio che si rivela più pesante del solito nell'aprirsi.
È tutta una questione di paragoni, la stanchezza di questa notte gioca brutti scherzi e peggiora il mio umore nel rapportarsi con altri ricordi, così come diviene ben peggiore la mia vita messa in rapporto con quella di altri. Di Ivan Lee, lui stesso scontento per qualcosa che forse non può più avere.
Mi domando cosa sia, cosa possa mai mancare a un uomo come lui mentre la luce che illumina le scale interne dell'edificio traballa rischiando di fulminarsi e lasciarmi al buio, ma fortuna vuole che riprenda la sicurezza garantita e continui a rischiarare le tenebre.
Si, mi domando proprio cosa ci possa essere che non vada, rispetto ai tanti errori presenti nella mia.
Tutti annullati però quando la porta di casa si apre e due braccia mi stringono a se, attirandomi dentro la morbidezza di un profumo noto e accogliente.
<Bentornato a casa, tesoro>
<Nora ...>, sussurro e al mio richiamano gli occhi di mia moglie mi cercano curiosi. Le sorrido improvvisamente di buon umore. <Il piccolo Francis sta dormendo?>
<Abbiamo giusto due ore prima che si svegli>, mi sussurra attirandomi dentro e tirandomi con una mano, oltre che con un tono di voce seducente. <Vedi di non fare troppo rumore>
<Nora, sono sfinito>, le faccio notare con il sorriso ancora agli angoli delle labbra.
<Non del tutto, sei ancora in piedi>, sussurra prima di posare la sua bocca sulla mia e trascinarmi verso la cucina.
Il cuore riceve una carezza da questo dolce contatto per poi correre più veloce non appena vengo costretto a mettermi a sedere a una delle sedie presenti, e lei prende posto sopra di me.
Sollevo le mani stringendole il viso e respiro la sua aria di pura sorgente, chiudendo gli occhi, godendo di questo contatto per un po'.
Il richiamo di Francis però ci desta entrambi. Due anni, una voce squillante e una propensione nell'interrompere momenti come questo, ma gli voglio bene lo stesso.
Sapevamo cosa avrebbe comportato e non vedevamo l'ora di crearci una famiglia.
Da parte mia possiedo ancora il forte desiderio di un altro maschietto ma non ne ho mai parlato con lei. Nora era strana durante i mesi di parto, quasi non fosse sicura di volerlo davvero. Un poco mi aveva ferito ma mi basta vedere l'amore che sempre gli offre per tornare a sentirmi bene.
<Vado a vedere come sta, e a leggergli un'altra storia>, commenta mentre è ancora seduta sulle mie gambe, con il viso a un palmo dal mio.
La sua bellezza è travolgente, non è invecchiata di un giorno.
<Sei bellissima, lo sai?>
<Con le occhiaie e un principio di calvizie dopo il parto?>
<Non essere sciocca, non diventerai mai pelata>
<Tu invece dovresti farti crescere i baffi sai? Saresti più affascinante, proprio come quando ti ho conosciuto>
<Vedrò che cosa fare signora>
Dei colpi ci raggiungono dalla porta e sospiro profondamente, tentando di riottenere la pace.
Nora sembra divertita.
<Io vado da Francis, tu apri la porta>
Ordina ed esegue, lasciandomi l'attimo dopo a percorrere la distanza dalla cucina all'ingresso.
Stancamente apro l'infisso e sul pianerottolo trovo Monty con ancora i vestiti che gli avevo prestato chiusi nella busta e stretti in mano.
<Che cosa succede adesso?>
<Non so dove andare>, commenta stringendosi nelle spalle. <La macchina aveva bisogno di benzina ed ha voluto occuparsene il capo>
<Quindi salta il piano di dormire nell'auto di servizio. A casa non puoi, per via di tua moglie e il suo amante ... capisco> Lo lascio in piedi sul pianerottolo per un po' prima di aprire la bocca in un sorriso. <Avanti ragazzone, entra in questa diavolo di casa>
Riconoscente mi osserva divertito e passa il confine permettendomi di chiudere ogni rapporto con l'esterno, raggiungendo la cucina proprio nell'istante stesso di Nora.
<Ciao Monty. Problemi a casa?>
<Non chiedere>, commento io, ed il viso del mio amico si fa afflitto.
<Come sta Francis?>
<Tutto bene ma si è svegliato. Probabilmente lo vedrai girare per casa per un po', è abituato a farlo quando non riesce a dormire>
<Instancabile>
<Si, diventerà un bel guerriero, proprio come vuole quel fanatico del padre>
<Nora, per favore>, la supplico di avere clemenza, e lei cede procurandosi di lavare i piatti. Torno con gli occhi su Monty, riprendendo a parlargli. <Casa nostra è la tua, sai dove è il bagno. Cambiati pure, tra poco ti preparo il divano per la notte>
<Ti ringrazio, Richard>
Dalla porta sopraggiungono altri colpi, e ci fissiamo tutti stupiti.
<Si può sapere cosa succede stasera?> Domanda retoricamente mia moglie mentre si pulisce le mani per poi accorrere verso il richiamo.
Veniamo raggiunto da un lungo silenzio prima dello scatto della serratura, poi un debole "ciao" ci raggiunge in un bisbiglio di suono.
Monty mi guarda ma io non dico una parola se pure sono riuscito a riconoscere questa voce. Lo lascio passare e avvicinarsi alla nostra postazione da cui si affaccia un attimo dopo.
Impeccabile nel suo fisico muscoloso e slanciato, vincolato da uno scadente e nero completo, Damien si fa personaggio della scena e la mia bocca si apre in un sorriso sincero.
<Ciao Damien. Va tutto bene?>
<Si, tutto bene. Ero passato per un saluto>
<Alle dieci e mezzo di sera?> Chiede spigliatamente Monty ma io fulmino con uno sguardo la sua audacia.
Se c'è una cosa che anni di matrimonio mi hanno insegnato è che i Logaryn non sono affatto persone semplici. Vengono da un passato complesso, intrigato come una matassa, e non è facile comprenderli. Damien soprattutto, ma questo non preclude il non poterci provare. Mio cognato ha una bella testa, e molte volte mi mette alla prova, mi diverte, e incuriosisce, tanto da spingerci verso un'amicizia atipicamente stabile.
<Ben trovato Damien>
<Ciao Richard>
<Vuoi sederti, rimanere con noi? Volevo preparare del caffè>
<Volentieri>
A tale consiglio mi alzo in piedi e mi avvicino verso i fornelli recuperando la moka, mentre noto gli occhi schivi di mia moglie correre sempre lontani dal fratello seduto a tavola.
Credo che abbiano litigato ma non posso esserne certo.
La seconda regola del matrimonio mi suggerisce di non impicciarmi.
<Due zollette di zucchero, Monty?>
<Si grazie>
<Damien?>
<Amaro, per favore>
<In arrivo>
Borbottando in un disappunto esaltato, la moka mi avverte di aver raggiunto il suo finale stadio, per cui non resta che versare.
Nella porcellana di un servizio puramente a marchio Logaryn, ramo di Nora, la schiuma dei caffè crea piccole bolle di vita breve.
Servo il tutto allungando le tazzine in direzione del tavolo, e nel sottofondo di questa mia mossa sento dei passi raggiungermi.
Sollevando gli occhi trovo Francis sulla porta, nel suo pigiama grigio e blu, alle spalle di Damien.
Notando la direzione del mio sguardo mio cognato si volta, e trova la sua insonnolita figura a pochi passi.
<Ehi ... ciao. Sei ancora sveglio tu? Non riesci a dormire?> Gli sussurra lui con preoccupazione.
Nora al mio fianco pulisce con frenesia i patti appena lavati, ma non emette una sola parola.
Il piccolo Francis invece si sbilancia verso un'affermazione silente, strusciandosi l'occhio destro con una mano, stancamente.
<Vuoi che ti metta a letto?> Prosegue nel chiedere.
Ricordo dopo poco la ferita di Monty proprio all'occhio e prima che mio figlio possa vederla ed impaurirsi accoro verso di lui, prendendolo tra le braccia.
<Non preoccuparti Damien, ci penso io. Torno subito>
La luce soffusa della camera letta rischiara il suo letto in modo da allontanare gli incubi che le tenebre gli destano.
Poso mio figlio sotto le coperte che poi tiro fino a raggiungergli il mento, quindi gli poso un bacio sulla fronte cercando di tranquillizzarlo con una carezza sulla testa. Lentamente si calma, ed io mi allontano un poco, quanto basta per osservare la stanchezza scritta a chiare lettere.
<Riposati un po', va bene? Chiudi gli occhi. Immagina di essere in un posto molto bello e di camminarci. Lo stai facendo? Bene. Adesso chiudi gli occhi ... chiudi gli occhi e riposa piccolo mio>
Francis esegue come il migliore dei soldati e mi viene da ridere.
Sicuramente Nora ha ragione. Diventerà un'ottimo guerriero un giorno.
Prestando attenzione a non provocare alcun tipo di rumore torno quindi in cucina dove il silenzio ci avvolge.
La situazione appare tesa forse a causa del litigio tra fratelli, quindi decido di prendere tra le mani il controllo, accomodandomi a un tavolo.
<Allora Damien? Che cosa ci racconti, come è andata a lavoro?>
Sbuffa stancamente, incuriosendomi.
<Problemi con le ipoteche e i mutui?>
<È ancora più complicato, Richard, si tratta di un atto di proprietà. La scorsa notte un'imprenditore particolarmente importante è morto e ha lasciato un testamento ai suoi tre figli. Si trattava di un mio cliente, per cui è stato lui stesso a ingaggiarmi per la lettura delle volontà. Era un uomo eccezionale, sono stato con lui fino alla fine>
<E dove sta il problema? Sei un notaio, no? Riunisci la famiglia e suddividi secondo i beni i voleri dell'uomo>
<Sta infatti proprio qui il problema. La famiglia. L'uomo aveva tre figli, uno più problematico dell'altro. Il minore sembra essersi ricreato una vita all'estero dopo una feroce litigata con l'intera famiglia, vuole rinunciare all'eredità. Il mezzano invece è disperso in una guerra del Golfo ... e l'unico che rimane sembra essere il maggiore, un uomo particolarmente complicato da dover gestire ma probabilmente l'unico ad essere veramente arrivato in città. Non so come far procedere l'intera faccenda se la famiglia non si presenta al completo>
<A quanto ammonterebbe l'eredità?> Si procura di sapere Monty, e Damien risponde poco dopo.
<Milioni di dollari>
Senza fiato ci guardiamo l'un l'altro e Monty si sofferma maggiormente su di me.
<Già ... era una azienda particolarmente importante>
<Cosa succede se non si presentano?>
<L'importo monetario rimarrà alla banca, con molta probabilità>
<Un vero peccato>
<Questa è la legge>
<E tu non puoi fare niente?>
<No, purtroppo. Vorrei che la famiglia prendesse l'eredità ma se questa non collabora non ho nessun potere>, commenta stancamente passando la mano in cerchio sulla tovaglia in plastica della tavola.
<Alle volte all'interno delle famiglie ci sono problemi che non si possono nemmeno immaginare>, sentiamo ad un tratto esordire la voce di Nora, ancora voltata a noi di spalle mentre si procura di rimettere a posto i piatti. <Macabri e vergognosi segreti da non poter essere svelati. Probabilmente nessuno di loro vuole tornare per non riportarli alla luce. Si vergognano di quello che hanno fatto e vogliono dimenticare, ma posso capirli ... Certe cose devono essere semplicemente vincolate dal sangue, come una busta viene sigillata dalla cera lacca. Niente più ricordi, niente più discorsi. Niente di niente>
Le parole di mia moglie migrano nell'aria depositando nidi nelle nostre orecchie e inevitabili nascite che però vengono stroncate.
Certi segreti devono rimanere tali, il sangue li zittisce, ed io permetto a quel maligno flusso di scorrere, esentandomi dalla conoscenza, così da vivere dentro questa specie di imbroglio che però mi tiene al sicuro. Libero e prigioniero al tempo stesso di una realtà che forse non mi compete.
La sveglia sul comodino segna in un accecante celeste chiaro le tre e mezza di notte quando dei rumori per casa interrompono il mio sonno.
Mi alzo lentamente dal letto per andare a controllare, facendo però attenzione a non svegliare Nora ancora addormentata nel nostro letto matrimoniale, e così raggiungo il soggiorno.
Tento di aprire malamente gli occhi, ancora resinosi dal sonno, e quando ci riesco noto il divano vuoto e la coperta rigirata verso terra.
Corro con lo sguardo e trovo Monty in piedi di fronte alla porta e vestito di tutto punto che ricambia il mio sguardo in maniera colpevole.
<Che cosa fai?> Gli domando, esaurito nel profondo e sentendo l'adrenalina, nata dal terrore di un ladro, diminuire di colpo, lasciandomi la sonnolenza.
<Non riuscivo ad addormentarmi. Penso ancora a Mary Jane e a quello che ci è successo>
<Domandi andrai da tua moglie e sistemerai tutto, ma ora ti prego, avanti torna a letto. Devo rimboccare le coperte anche a te come faccio con mio figlio?>
<Voglio fare due passi, ho bisogno di pensare all'aria aperta>
Sbuffo spostando il peso da un piede all'altro, trafitto dall'impazienza.
<D'accordo, come vuoi, ma prendi le chiavi di casa. Ad ogni modo ho il cellulare acceso accanto al comodino, se ci fosse necessità. Ecco prendi>, lancio il mazzo di chiavi nell'aria e la sua mano lo recupera al volo. <Però domani non voglio sentire più parlare di questa faccenda. Mi hai capito? Adesso vai fuori, ti schiarisci le idee, ragioni su cosa sia più giusto fare e poi vedi di chiuderla. Tua moglie non ti merita, togliti la sua collana e levatela dalla testa! Mi hai ascoltato?>
<Si, Richard. Va bene>, mi assicura sulla porta di casa ed io annuisco lentamente.
<Bene. Forza allora, vattene>
Esita qualche attimo ma poi il suo corpo risponde e in un solo gesto esce dalla stanza chiudendo la porta dietro se, e permettendomi di tornare a dormire.
Entrando di nuovo nel letto mi accomodo contro mia moglie e la prendo tra le braccia. Senza che lei si svegli mi addormento, confortato dal suo calore.
Sono le cinque e trenta sulla sveglia quando il mio telefono suona.
Non realizzo inizialmente, penso si tratti della sveglia ma poi, con un occhio aperto, vedo il nome di Monty scritto in stampatello, per cui sblocco la chiamata, tornando a parlare sottovoce.
<Dimmi, Monty, che succede? Hai problemi ad entrare?>
Credo di essermi immaginato tutto, la chiamata nel cuore della notte, l'orario impresso sulla sveglia perché la sua voce per lunghi minuti non mi risponde, poi mi raggiunge il suo pianto soffocato che mi desta d'un tratto.
Mi sollevo a sedere, premendo il telefono contro l'orecchio.
<Monty ...>
<È successo un casino, Richard. Sono andato in un bar, ho bevuto qualcosa per dimenticarmi di Mary Jane e non mi sono accorto dell'attimo in cui sono uscito dal locale. Ho preso le tue chiavi, sono salito sulla tua macchina>, geme, ed io ascolto con attenzione ciò che le sue parole sembrano non riuscire a dirmi. <È notte fonda, non sono riuscito a vederla, non ci sono lampioni! Non c'è un cazzo di lampione Richard, e lei ha attraversato di colpo!>
Un brivido mi percorre la schiena, e la gola mi si secca ma riesco comunque a chiedere: <chi ha attraversato la strada, Monty?>
<Una ragazza ... ed io l'ho investita. L'ho investita Richard!
È morta>
Chiudo gli occhi mentre sento il respiro regolare di Nora stesa al mio fianco, ancora persa tra le braccia di Morfeo.
<Mandami l'indirizzo e aspettami. Prenoto un taxi e ti raggiungo lì>
<Fai presto ti prego>
Il tassista si ferma nell'incrocio che avevo richiesto, in modo da non essere reso partecipe della macabra scena che sto per vedere.
Spero che questa cosa non venga fuori. Che questo ragazzo dalle origini africane non si rammenti dello strano tipo che nel cuore della notte gli ha chiesto di essere lasciato su una circonvallazione stradale in un punto particolarmente lontano dal centro.
Mi auguro che abbia giustificato il tutto a modo suo, notando il gruppo di prostitute sul lato opposto della strada. Non mi importa di come fissa la mia fede, non mi importa di niente se non raggiungere Monty.
Per cui tiro fuori dalla tasca retro dei pantaloni il portafogli ed estraggo quanto richiesto più un piccolo extra, poi scendo velocemente ma aspetto che se ne vada per correre nella direzione richiesta.
Rimasto solo spingo il mio corpo in una corsa a perdi fiato in direzione nord ovest, su una delle uscite cittadine del centro.
Corro per molto, corro fino a non avere più fiato, ma quando vedo Monty in lontananza capisco che ne è valsa la pena per riuscire a tenerlo al sicuro.
Le sue mani tremano ed il suo viso manifesta lo stato di shock a fargli da tortura, ma non ho il tempo di preoccuparmi per lui, prima dobbiamo occuparci del cadavere.
<Dove è lei?>
Il suo dito mi indica un punto tra la fitta vegetazione a bordo strada ed io mi muovo in tale direzione, osservando l'assenza di macchine nei paraggi.
Tra quella boscaglia vedo il viso della ragazza, sfigurato e sanguinante nell'impatto con l'asfalto e rimango immobile per lunghi istanti, intrappolato dalla sua vista.
Alle mie spalle Monty, tremante, è appoggiato allo sportello della mia macchina che ora riporta una targa grondante sangue e piccoli pezzi di vesti.
Il 7, il 3 e l'1 rispondo al mio sguardo, mi osservano mentre torno alla ragazza e capisco la mossa da compiere.
Non esiste alcun destino. Sono gli uomini a crearsi il proprio fato.
La fortuna.
La sorte.
Siamo noi ad arricchirci e redimerci come i peggiori credenti al mondo. Lo capisco a un tratto, chinandomi verso il corpo privo di fiato della ragazza che appesa al collo porta una catena dorata con una lastra in oro, dove è inciso il suo nome, tanto simile a quella grigiastra di Monty.
Violet.
Si chiama così.
Violet ... spero tu possa perdonarci un giorno.
Carico il suo corpo in braccio come avevo fatto poco prima con Francis per metterlo a letto, e mi incammino verso la mia macchina, lasciando alla bauliera il momentaneo compito di feretro per la nostra tratta.
<Che stai facendo?> Chiede la voce tremante di Monty, scossa da un pianto.
Chiudo lo sportello e mi rivolgo a lui, convincendoli delle mie parole.
<Dobbiamo andarcene Monty. Poco lontano da qui c'è una grande distesa di terra e non ha proprietari.
Seppelliremo il suo corpo lì e nessuno potrà trovarla>
<No ... non possiamo ...>
<Si invece>
<Preferisco il carcera, Richard>
<Non sai quello che dici. Sei un cittadino del South Side. Questo omicidio, senza una giusta difesa, significa l'ergastolo. Marcirai in prigione e nessuno potrà più salvarti, Monty, nemmeno io.
Sali in questa macchina ti prego, e smetti di parlare>
I suoi occhi lucidi sembrano darmi ragione. Lentamente torna a sedersi nella macchina stavolta però sul sedile del passeggero mentre io ingrano la marcia.
Nel tragitto facciamo finta di non notare i colpi subiti dal corpo di Violet a causa delle buche stradali. Riempiamo tali suoni con i nostri silenzi finché non raggiungiamo la destinazione.
Prendendomi a carico il corpo supero la piccola recinzione di questo posto, valicandone l'ingresso mentre esitante Monty mi segue, rimanendo un paio di passi indietro.
È lui il colpevole di questa notte, e probabilmente potrà non riuscire a perdonarsi mai, ma non mi importa il suo riscatto, qualsiasi forma di espiazione che trova o motivazione.
Voglio che resti vivo, presente al mio fianco.
Lui è la famiglia che non ho mai avuto ed è mio compito proteggerlo, così come facevo fin dall'orfanotrofio dentro al quale ci siamo conosciuti.
Siamo due persone sole che però riescono a proteggersi.
Non smetterò di farlo ora. Non smetterò di difenderlo mai.
<Non c'è una pala>, nota a voce bassa non appena deposito il cadavere della bambina a terra.
<Scaveremo con le mani. Non sarà troppo profonda la buca, ma se la fortuna ci assisterà, nel corso del tempo, verrà a depositarsi altra erba e nessuno si accorgerà della terra smossa. Ma per farlo ho bisogno che tu mi aiuti. Dammi una mano, Monty>
Lo vedo inginocchiarsi cadendo al mio fianco. L'attimo dopo stiamo entrambi scavando a mani nude dentro la terra.
La paura di essere visti, scoperti, mi smuove a ferocia, mi spinge ad ottenere sempre di più da questo terreno finché non è abbastanza da nascondere i nostri errori.
Resasi sufficientemente profonda la buca diviene una bara, e con lentezza accompagno Violet verso questo ultimo viaggio mentre immobile Monty rimane alle mie spalle osservando la scena.
<Può non essere la fine di tutto. Ho letto alcune persone, alla loro morte, desiderano che venga piantato il seme di un albero affinché con lui cresca anche il loro ricordo. La morte può essere l'inizio anche di una vita, amico mio. Puoi piantare, quando vorrai, quel germoglio e l'albero crescerà rigoglioso>
<Non sarà abbastanza, Richard. Togliere una vita non è equiparabile a donarne una nuova al mondo>
<Puoi provare però ... magari il destino può rispondere un giorno>
Dall'alto del feretro osservo il viso di Violet prima di far cadere su di lei la smossa terra, nascondendola alla vista.
Il fiato è spezzato da questi eventi smossi nella più completa solitudine, e mi rendo conto solo adesso, tolto il primo problema, delle situazioni del mio amico.
<Devo portarti in ospedale Monty, potresti aver subito dei danni> Non protesta, non dice una sola parola. Permette che lo accompagni spingendolo dietro la schiena con una mano in direzione dell'auto. <Avanti, vieni>
Al pronto soccorso un'infermiera di reparto nota subito sulla soglia dell'ingresso le ferite facciali del mio amico e il sangue coagulato e si muove subito all'azione, permettendomi di riprendere fiato e si fare i conti con tutto quello che è successo.
Le immagini corrono veloci nella mente mentre l'orologio nel corridoio di questo ospedale segna le sette e zero zero, incorniciato da un pastellato verde chiaro.
Recupero fiato, notando il nodo di tensione stretto in una fascina di nervi contro il petto, smorzandomi il respiro, dimezzando la concentrazione così come l'attenzione, drasticamente calata.
<Signore? Può tornare a casa adesso, il suo amico sta bene ma dovrà rimanere in ospedale per ulteriori verifiche.
Si riposi un po', può tornare a trovarlo già questo pomeriggio> Si procura di informarmi la stessa infermiera che ci aveva accolti ed io le rispondo con un mezzo sorriso, tornando quindi verso casa come suggerito da quell'angelo di dolcezza.
Sto pensando al mio letto matrimoniale rimasto in parte vuoto, a Nora, ad un risposo anelato come un sogno, a una doccia calda che nasconda le lacrime interne al mio corpo, percettibili nello scorrere e cadere, smuovendomi in un tremolio.
Idealizzo tutto questo quando vedo, sulla porta della mia casa, Damien chinato verso il viso di Nora, e le loro bocche impegnate in un bacio.
Il corpo si raggela ma nessuno può accorgersene. La notte di questa mattina mi ha preservato nella sua oscurità e adesso mi preserva nel suo nero manto.
Certe cose sono sigillate dal sangue.
È vero.
Certi segreti dovrebbero rimanere tali.
Sono leggi che devo imparare, così come devo arrivare a credere che non ci siano superstizioni in grado di governare la vita, numeri benedetti o fortuite coincidenze in grado di accoglierti nel mondo.
Esistono solo strani e beffardi imprevisti, fili di burattinai appesi nella cupola del cielo, e nient'altro.
Siamo noi stessi i creatori della nostra sorte.
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