79- Non ti muovere
"Where are you going? Don't leave me alone
How do I follow you
Into the unknown?!
Panic! At the disco – Into the unknown
P.O.V.
William
Il vento corre veloce nei nostri capelli alimentato dal chilometraggio dell'auto, sferzando con la sua aria i nostri abiti, i rivestimenti interni della macchina decappottata e senza dubbio un encomio passato che al momento riesce solo a far ridestare alla mente piccoli ricordi sparsi.
Intrappolato in un paio di manette, il corpo incosciente di Damien viene costretto all'unica posa in grado di tenerlo fermo, contro la portiera dell'auto e legato, oltre che dai ferri, da un sistema di corde intorno ai polsi già risultate utili in passato. Fermarlo si era rivelato necessario dal momento che la Glock 25 nascosta tra la cinta dei suoi jeans e la schiena non sembrava voler stipulare un accordo di pace, ma ho provveduto a nasconderla nello sportello del cruscotto scampando il pericolo e lasciando in bella mostra solo i due revolver appesi alla mia fondina ascellare, affinché si rendesse conto quanto le sue abili e imprigionate mani non possano eseguire le rapide volontà della mente, ormai in mio completo possesso.
Il mio desiderio è presto reale tangenza: Damien si risveglia dal suo sonno, disturbato dai miei pensieri infelici e fa correre gli occhi sull'intreccio dei miei nodi, sul cruscotto della macchina, e quindi sulla desertica strada di fronte a noi, e poi eccolo arriva fino a me.
Volto la testa nella sua direzione avendo le pupille celate dagli occhiali da sole, ma dietro essi lo fisso con interesse, nella placida attesa di questo attimo, assolutamente imprevisto.
Non avrei mai creduto di dover tornare a fare i conti con questa brutta storia ma la vita, alle volte, è più complicata di quanto si pensi. Crudeli fili gestiscono il teatro muovendo inanimati corpi, in una strategia ben peggiore di quanto riescano a fare le mie corde intrise di sangue. Non ho modo di fermare questa tragica danza dunque dirigo l'orchestra, rendendomi parte dello show in maniera volontaria, del tutto personale.
Mai avrei pensato di rivederlo, ma lui si era presentato al mio locale, alla festa del South Side dove si era scontrato, ne sono certo, volontariamente con il mio corpo, mi aveva sfidato, in più di un modo ed ora che la mente è riuscita a collegare la sagoma di quella figura veloce, costantemente in movimento, al suo passato non c'è più scampo.
Damien è destinato alle mie mani, alle mie parole, e sembra saperlo anche lui.
Ma non ha paura.
Trovando il suo sguardo vedo il passato riflesso di Francis, immobile e costantemente in silenzio, seduto sul sedile del passeggero di questa stessa macchina, quasi conoscesse già da tempo la verità, quasi come se sapesse che sarei arrivato a tradirlo, ma nonostante questo non provava ad allontanarsi.
<Che cosa hai intenzione di fare, William?> Domanda Damien senza agitarsi nel tentativo di ribellarsi e fuggire. Probabilmente mi conosce più di quanto io immagini, o di quanto potrei mai ricambiare, avendolo sempre percepito all'interno della vita come una figura costantemente di passaggio. Non è mai stato altro che un fantasma per me, ma è il momento di riportarlo al luogo da cui proviene. Il suo desertico mondo di morte, dove potrà stringere di nuovo suo figlio.
<Voglio mettere fine al passato. Non lo vuoi anche tu?>
<Sta per finire tutto, William. Tra poco sia tu che Richard verrete rovinati>
<Se anche fosse non mi importerebbe, ma non credo che riuscirai a vincere, non in tutto. Hai avvertito Carlail in merito a Monty e hai fatto bene, era proprio quello che desideravo. Mio padre senza il suo migliore amico si sentirà perso ... ma questo lo sai anche tu, lo conosci piuttosto bene, in fondo>
Il mio tono di voce risulta basso eppure abbastanza pesante da non essere trascinato via dal vento. Si sedimenta sulle sue labbra, vincolandole alla chiusura di un consenso che accetto, e comprendo.
<Niente mi vieterà di prendere il suo posto una volta che sarà caduto, e devo dirti grazie perché il merito sarà tuo, anche se non completamente, ho avuto la prova che mi serviva. Tu e Ian lavorate insieme>
Il mio avvertimento aveva questo doppio fine, volevo vedere le sue conseguenze, così sono rimasto in attesa fuori dalla centrale di polizia e le carte si sono rivelate in tavola.
Per poco non ho riso della beffa offerta dal destino dal momento che l'impero di mio padre stava per cadere a causa di una spia, proprio come erano cadute le accuse grazie al mio lavoro interno alla centrale, che aveva comportato la morte di Francis e le inevitabili conseguenze.
Mio padre può non aver mentito, Ian è davvero simile a noi. Simile a me, più di quanto creda, ma la sua scontata bontà lo rende incredibilmente noioso, e prevedibile fino ai limiti del possibile.
E adesso conosco il suo gioco anche io.
<La pagherai> minaccia ed io aggrotto la fronte continuando a fissare la strada.
<Per aver tradito tuo figlio?>
<Per averlo ucciso>
<Non l'ho ucciso io, Damien. Dovevo farlo ma non ci sono riuscito. E' stato un errore che adesso non ripeterei>
<Stai mentendo>, mi accusa ma capisco dai suoi occhi che infondo riesce a credermi.
<No, non lo sto facendo. Non ho sparato io quel colpo, è stato Richard. Sei sorpreso?>
I suoi occhi spalancati dall'orrore sembrano confermarlo, ma dietro quella specie di paura non riesco a non vedere le fiamme interne al suo animo.
Non lo credeva possibile eppure è ciò che era successo.
<Esattamente come ha fatto con Caleb>, proseguo, ricordandomi la scena a cui ho assistito della morte di Francis nel suo soggiorno di casa, molti anni fa.
Un solo colpo, preciso, diretto al cuore di Francis.
Dalla stessa pistola anni dopo poi il proiettile reseca l'aria, incastrandosi nel torace di Caleb, rimasto in vita per tutti questi anni, alimentato dal rancore di una storia irrisolta.
Seguendo il filo dei miei pensieri la macchina prosegue nella sua tratta e imbocca una strada nota, superando il confine della proprietà e affiancandosi a questa fila di alberi sempreverde, a tracciare una netta distinzione tra il bosco e la percorrenza.
<Credi di avere tutto in pugno adesso, non è vero? Ma ti sbagli, William, e non lo sai. Forze inarrestabili ti impediranno di proseguire ma ti accorgerai del loro cambiamento di volontà troppo tardi. Ne verrai sopraffatto>, si fa cartomante questo patetico pagliaccio mentre estraggo le chiavi dal cruscotto una volta fermata la macchina, per poi scendere e recuperare il serramanico dai sedili anteriori.
Compio l'intero giro intorno alla vettura ed estraggo la lama, tagliando le corte che lo obbligavano nella seduta e lasciando le manette.
<Sai quale è il problema che ti accomuna a tuo figlio morto? La troppa sicurezza>, gli faccio notare, arrotolando le corde per lanciarle ai sedili posteriori.
Damien fissa tutto con sguardo attento, rimanendo in attesa seduto sul sedile. <Non vi rendete conto quando una situazione si fa troppo grande per il vostro controllo ed è il momento di arrendersi. Lottate fino alla fine, compiendo un inutile sforzo>
Al termine di queste parole lo costringo a scendere e camminare nella direzione data da questa pendenza di ghiaia, finché questa non ci conduce al lago, affacciatosi sulla scena qualche minuto dopo, al casolare in legno e a questa distesa di sassi bianchi, irregolari sotto i nostri piedi.
<Non lo dovrai più fare, il tempo è finito Damien>
A pochi passi da me il suo corpo si volta ed io sfrutto il gesto per colpirlo in viso e farlo cadere carponi a terra, a me di fronte.
Le sue ginocchia si scontrano con i sassi mentre le mie mani afferrano una pistola e la puntano al suo viso, prendendo la mira.
<Adesso quello che ti rimane da fare è implorare>, sussurro, levando la sicura con il pollice e rimanendo immobile.
Il suo viso si rialza, mostrandomi il sangue scaturire dalla ferita al sopracciglio. L'espressione è immobile ma dal basso i suoi occhi mi guardano.
Gli occhi di questo Francis brillano delle fiamme dell'inferno e rimangono fermi, stabili nel nostro purgatorio dove Caronte, sullo zattera che accarezza lo specchio d'acqua, attende di traghettare la sua anima, e non c'è spazio per gli errori.
Il passato non dovrà ripetersi.
Oggi è l'alba di un nuovo giorno.
P.O.V.
Caleb
Il cuore a pezzi cerca ristoro nel sogno di un futuro più giusto, mentre il ricordo della bara calata nel terreno perseguita la mente, sostando dentro infiniti silenzi, resi più vuoti.
Per la seconda volta nella mia vita ho assistito alla morte di un mio fratello e non ho potuto fare niente per impedirlo.
Nella mente martellavano ancora le parole scambiate con Kevin, i nostri discorsi, i pomeriggi passati insieme, i suoi consigli, quando durante la lettura del Vangelo a quelle rimembranze si è sovrapposta la voce di Carlail, in piedi al mio fianco, pronta a offrirmi la verità dietro gli eventi.
Ma non ce ne era bisogno perché sapevo bene ciò che era successo, lo so anche ora, lo sappiamo tutti e sentir parlare degli errori compiuti da quella persona tanto onesta da suscitare invidia, tanto intelligente da infastidire, mi stava per condurre ad un gesto folle: urlare al centro dell'assemblea fino a perdere la voce ed esternare il dolore in modo che non fiorisse all'interno del mio corpo, prendendo stabili radici.
Ma non ho fatto niente di tutto questo, nel silenzio ho celato le mie intenzioni e lo stesso ha scelto di fare Megan, per tutto il tempo fredda statua eretta al mio fianco, o Celine che con il suo sguardo diretto verso un profondo vuoto si perdeva all'interno di un pensiero, fino ad annullarsi.
Carlail invece continuava a parlare, senza alcuna sosta.
Chiudendo la porta della mia casa vi poso la fronte contro, tentando di respirare e annullare ogni pensiero di dolore, immagazzinando altro fiato, ma non è facile da ottenere dal momento che la velocità data agli eventi tramortisce più di un supplizio.
Quanto può essere tremenda e ingiusta la vita?
Il suo viso mi perseguita, così come tutti i nostri discorsi e i suoi ideali, in una tortura eterna messa momentaneamente fine però da un suono concitato, proveniente da una delle stanze.
Mi volto e trovo mia madre con una valigia in mano ferma dinanzi a me. Indosso veste ancora i neri abiti del lutto, non ha avuto tempo di cambiarsi, probabilmente occupata nell'organizzarmi questa insolita sorpresa capace di farmi sospirare e sorridere, ben capendone il fine.
<Che cosa pensi di fare?> Ad ogni modo le domando, tenendo ancora la schiena contro la porta per ostacolare il suo traguardo verso la vittoria.
<Me ne vado, Caleb>
Scuoto lento la testa, abbandonata contro il legno dietro di me, e pronuncio la risposta a voce bassa.
<No>
Mia madre, Nora Dowson, mi fissa senza capire, e come potrebbe? Ci siamo odiati per anni, ma io, in fondo, non ho mai smesso di amarla. Fin da bambino non ho desiderato altro che lei mi considerasse al pari di mio fratello, ma non era mai stato così. Non ho ricevuto altro che il suo odio, così come era capitato a Megan, la cosa più bella che questa schifosa vita mi avesse potuto donare.
<Lasciami andare>
<No, prima ho delle domande da porti, e tu dovrai rispondermi>
<Sei ancora traumatizzato dalla morte del tuo amico. Ne riparleremo un altro giorno>, commenta veloce avvicinandosi alla porta, avendo quasi la speranza di spostarmi con questo patetico discorso, ma io non muovo un passo, sigillando l'uscita, e fisso il suo viso confuso voltando il mio di poco.
<Chi è Damien per te, mamma?>
I suoi occhi si spalancano feriti, certi di non aspettarsi affatto una domanda simile.
Rimaniamo entrambi immobili, studiando i reciproci cambiamenti.
Non emette una sola parola, finché non comprende quanto possa essere la sua chiave d'accesso per sfuggire a questo posto.
<E' l'uomo che amo>, ammette parlando sinceramente, forse per la prima volta nella sua vita.
Sorrido tristemente convinto di questo, avanzando le informazioni di cui dispongo, mostrandogliele.
<So che era il padre di Francis. Si è trattato sempre di questo, quindi? Il tuo odio nei miei confronti, l'amore per Francis ... ero il figlio dell'uomo che odiavi, per questo mi disprezzavi, non è vero?>
<No>, sussurra abbassando la testa e perdendo il contatto con la valigia che posa a terra, vinta dalla nostra battaglia che la porta alle lacrime. Non ho mai visto mia madre piangere. <E' esattamente il contrario>
Sbuffo, decidendo quasi di non volerla più seguire dentro i suoi discorsi assurdi.
<Non ti credo>
<E' così!>
<No, non è vero!> Le grido di rimando addosso allontanandomi dalla porta di un passo, quanto basta per farmi più vicino a lei e vederla tremare. <Ricordi l'infanzia che mi hai riservato? Il tuo odio, per me privo di qualsiasi fondamento?>
<Non volevo che tu pensassi questo, ti amavo molto, mi vergognavo di Francis>
<Quando esattamente lo hai fatto? Mentre lo esaltavi a tavola per le sue abilità in polizia? Per i suoi buoni voti a scuola o per l'eccellenza che aveva in tutto? Quando?!>
<Lo facevo e basta>, risponde con il tono più debole di una vergogna che dopo anni è riuscita ad uscire, e che mi fa ripensare in merito alle parole dette.
<D'accordo ... d'accordo, allora, ti vergognavi. Lo facevi perché era frutto di un amore all'infuori del matrimonio?>
<Anche ...>
<Parla chiaro per una volta!> Le grido addosso, ma la mia rabbia non sfocia che in un pianto che trova entrambi afflitti, tenaci in questa lotta che ormai non ha più niente, risultando priva di limiti.
<Non voglio provocarti altro dolore>
<Lo fai riempiendomi di bugie>
<Già in passato hai sofferto, io non voglio ... che si ripeta un evento simile>
Sospiro afflitto privo di fiato, immagazzinandone a sufficienza per invocare pietà.
<Mamma ... chi è Damien per te?>
Il viso di mia madre si solleva nella mia direzione intrappolandosi nei miei occhi, mentre la valigia giace ai suoi piedi ed il vestito nero, lungo, la assorbe fin dentro le fondamenta di questa casa che l'ha da sempre ospitata, intrappolandola nella certezza della sua prigione, mascherandola dagli altri.
<E' mio fratello>
Spalanco gli occhi e compio un passo all'indietro. Il volto di mia madre si macchia di rammarico, ed io non lo comprendo.
<Come ... come è possibile? Non mi ricordo di lui>
A disagio la sua mano corre ad accarezzarle il braccio steso, in un gesto che sembra esserle di conforto.
<Lo hai rimosso>
<Damien è mio zio, ed il tuo amante?>
<Caleb, ti prego ...>, ma io non la sto quasi più a sentire perché la mente corre veloce ad assimilare parti di un più grande schema, connettendole tra di loro.
Nonostante questo mia madre continua a parlare.
<Ho sempre sofferto per questo amore considerato da tutti sbagliato, ho sempre tentato di soffocarlo, ma quando Francis è nato ... quando ho ospitato il suo caldo fagotto tra le braccia non volevo che gli capitasse lo stesso! Da quel momento mi sono ripromessa di amarlo con tutta me stessa affinché non gli mancasse niente, ma non ho avuto la forza di includere anche Damien nella nostra vita o di prestarti le giuste attenzioni che meritavi, da piccolo così come da grande>
La imploro di avere clemenza. Tutto questo è assurdamente troppo, la testa mi scoppia.
In uno squallido déjà vu torna alla memoria il viso di Ryan, colpevole come molti altri personaggi di questa patetica fiaba, che mi rivela l'amore provato per mio fratello. Il fatto che Francis fosse gay.
La critica che provo nel mio cuore non si direziona al loro amore, ma a quanto poco conoscessi il fratello con cui ho vissuto. Quanta differenza ci fosse rispetto alla vita a cui mi avevano fatto credere da bambino, non rosa e fiori ma limitata nelle sue stranezze.
Venire protetto mi ha portato alla morte. Avrei preferito la realtà rispetto a tutta questa finzione.
<Mio zio ... tuo fratello ... suo padre!> Esclamo con ironia, sentendo una risata isterica nascere dal fondo della gola. Con entrambe le mani mi paro gli occhi, facendole scorrere sul viso, preso dalla disperazione.
<Caleb, ascoltami, solo per un momento>
<Perché?> Le chiedo a tono, tornando serio in un batter d'occhio. <Perché dovrei? Stavi per andartene di casa senza dirmi niente di tutto questo>
Vorrei davvero non subire la tortura delle lacrime ma non mi lasciano altra scelta.
Per la prima volta vedo il suo viso muoversi a compassione della mia reazione, forse le devo fare una gran pena.
<Caleb ... eri troppo piccolo, non potevo spiegartelo>
<Sapevi che Francis e Rayan si amavano?> Sparo, con una mitragliatrice che non risparmia colpi.
<Si>
<Papà lo sapeva?>
<Lo ha scoperto>
<E a Francis tutto questo stava bene? Viveva bene la sua storia con Ryan?> Ho bisogno di sapere almeno questo, che qualcuno, tra noi, è riuscito ad essere felice.
<Si vergognava>, geme piano, scuotendo il capo in un lento declino verso terra. <Dopo aver scoperto di me e Damien si sentiva sporco, come se avessimo trasmesso il germe della nostra malattia anche a lui>
<Mi voleva bene?> Proseguo, nella ricerca di un punto stabile a cui aggrapparmi.
<Certo che te ne voleva, con tutto se stesso, così come il resto di noi>, mi dice, puntando di nuovo gli occhi nei miei. Vedo riflesso nel verde dei suoi quelli di Damien e comprendo d'un tratto la nostra fisica somiglianza, quella cromia ripetuta in un copia e incolla dentro i nostri occhi che ci classifica come membri di un'unica famiglia, legati dalla stesso gene.
Io, Francis, mia madre, Damien. Tutti uniti in un viso solo. Tutti parte della stessa patetica casa.
<No ... no. Avevo un ricordo, di me e Damien davanti a un lago. Credevo che almeno lui mi volesse bene, che fosse dalla mia parte, ma mi ha mentito come tutti voi. Perché non me ne ricordavo?C'è dell'altro, madre?>
C'è eccome, me lo comunica il suo viso, d'un tratto, dopo tutti questi anni, estremamente leggibile al di sotto della cupa rabbia.
<Un giorno hai visto me e lui mentre ci baciavamo. Sapevi che si trattava di tuo zio, e la scena ti ha traumatizzato. Abbiamo dovuto portati dallo psicologo. Non hai parlato per giorni, e la tua mente per proteggerti ha deciso di cancellarlo dalla mente, in modo che non potesse ferirti>
Ma il ricordo di queste parole fa scorgere il profilo di eventi dalla cupa essenza della memoria.
Ricordo un tavolo dipinto di vernice blu. Un uomo davanti a me in un camice che osserva la postazione in cui sono seduto. Un'altro al mio fianco, con gli occhi più scuri e intensi del colore di quel legno tinteggiato.
Mettere fine a tutto questo potrebbe offrirmi pace, ma io non ho bisogno di quell'infima Dea, quanto di risposte, per cui mi faccio forza nel continuare a chiedere ... quello che non ho avuto il coraggio di domandare mai.
<Perché odi Megan? Che cosa ti ha fatto? E' ancora una volta collegata a quello che hai fatto a me?>
Anelo sapere quest'ultima piccola cosa, poi il passato può correre via. Mia madre lo comprende, e mi permette di ottenerlo.
<Il vostro legame così stretto per tutta la vita mi ha ricordato quello che ho avuto con Damien. Non lo vedevo come una cosa giusta, e non ho fatto che tentare di ostacolarvi>
Annuisco e provo ad andarmene ma la mano di mia madre mi frena.
<Caleb, ti prego ascoltami. So di non essere stata una buona madre, di averti ferito ma mi dispiace. Avrei voluto fare molto di più, per te, per tutto fratello ... quello che vi è capitato è anche colpa mia, avrei dovuto proteggervi meglio, ma non ci sono riuscita>
<Quello che avresti dovuto fare sarebbe stato amarci, e difenderci con tutta te stessa, ma non l'hai fatto. Capisco solo adesso come la tua intera vita si basi su un principio di codardia. Ti nascondi sempre, e speri che i problemi possano non arrivare a trovarti, ma non funziona così nella vita vera. È tempo che tu apra gli occhi e te ne renda conto. Nessuno può salvarti, nemmeno io.
Sei da sola mamma, come sono stato solo io per un'intera vita>
La sua mano tenta di nuovo di afferrarmi mentre retrocedo ma stavolta non ci riesce. Sono libero di uscire, di correre via verso l'aria aperta che non riesco a intrappolare a causa di questa stretta di cappio intorno al collo.
Vorrei liberarmene, rendere regolare il battito, provare a pensare lucidamente ma in piedi su questa strada, immobile a gambe aperte, il cuore batte veloce e non vuol sentire ragioni.
Un fischio di dolore raggiunge timpani e orecchie come un grido, trapassa il cranio e si rifugia nel sistema nervoso creandomi sismi all'interno del corpo.
Ho freddo e paura, rabbia e dolore, provo amore ... ma è senza coraggio. Dell'insani sentimenti lo tengono in gabbia proteggendolo nello stesso principio usato per i miei ricordi, vissuti attraverso retine giovani e innocenti, ignare prima e improvvisamente coscienti dopo.
Il mondo cambia e vacilla, il mio asse si inclina. La solitudine mi raggiunge come il peggiore degli incubi e mi richiama a se, nella sua linfa scura di etereo abbraccio, soffocandomi nella stretta della sua morte.
Non ho pensieri ma solo improvvisi ricordi che mi trafiggono come lampi.
Il dottore, le sue parole ... quel loro bacio, ai piedi delle scale.
Rammento quel bacio, rivedo le loro bocche, i loro visi, i loro abiti ed anche quell'istante instabile in cui il mio corpo stava per cadere.
Rivedo quei sassi della casa di lui, bianchi e candidi come la neve, la sfida che comportavano, il divertimento di quei pomeriggi passati in sua compagnia, lo specchio del lago.
Rivivo tutto e farlo mi trafigge dal dolore.
Non ho altro ... persino il mostro dentro il mio corpo trema del vestigio a cui è imprigionato ma con la forza che gli resta spinge il mio corpo a camminare, e subito dopo a correre verso una direzione nota.
La terra del South Side, il suo manto color nocciola di polvere, si attacca alle mie scarpe, ai miei vestiti e si fa scivolosa percorrenza, onda di un'impetuoso mare in grado di trascinarmi lontano con le sue correnti, finché il cemento dei palazzi non diviene macchia verde bosco di fitta vegetazione, il cielo in lontananza sostituisce il proprio confine con quello delle montagne e il pavimento del terreno non si tramuta in ghiaino, in grado di farmi vacillare.
L'acqua staziona nel suo ovale letto, confinata da pietrosi granelli bianchi su cui sono stabili due figure, una in piedi ed una in ginocchio, quest'ultima avente il viso percorso dal sangue.
Il fiato ancora interrotto fa tremare il mio torace nello spasmo di un respiro, e l'odore della foresta raggiunge le mie narici in un richiamo di terra. Il suono del mondo presente nelle orecchie risuona contro le montagne e colpisce le chiome degli alberi, rimbalzando fino a me e ferendomi con la sua realtà.
Alle spalle dell'uomo biondo, molti metri più distante e nascosto dal verde, sono immobile e perso dentro gli occhi di Damien che ora mi fissano.
La sua espressione si macchia di preoccupazione, la sua mano destra ha uno spasmo incontrollato ed i muscoli sono rigidi in questa posa di preghiera che lo spezza in un'imposta genuflessione.
Da dentro il manuale dei ricordi risorge la memoria del suo viso giovane, dei suoi occhi color dello smeraldo tanto diversi da quelli tristi di adesso con cui mi osserva, feriti da una vita che li ha diretti verso il cappio.
Riconosco la figura del suo boia ed il corpo agisce d'impulso. Compio un passo ma un piccolo minuscolo gesto mi paralizza sul posto.
La mano di Damien si è alzata nella mia direzione.
A palmo aperto sembra rivolgere una supplica al suo carnefice ma nella mia testa quel gesto ha un significato, ben preciso, e non mi riesce difficile coglierlo.
"Non ti muovere".
Non ti muovere. È quasi una supplica.
Il suo viso mi implora richiamando la legge verbale del nostro gioco, al seguito della quale ero costretto ad arrestarmi nella posa peggiore, da lui stabilita, affinché riuscisse a prendere il miglior sasso da tirare all'acqua.
"Non ti muovere".
Una richiesta, fatta da mio zio, dal mio compagno di giochi, ed io non posso non ubbidire.
<Sapevo che avresti supplicato>, sibilla la voce di William, poi il suo dito preme sul grilletto.
Dalla chioma di questi alti alberi gli uccelli volano via impazziti, librandosi in cielo al suono del colpo.
Poi l'immenso silenzio, dato dal vuoto.
Nelle orecchie, poco dopo, sento solo il suono della sicura, nuovamente inserita nella pistola, poi i passi di William mentre lentamente si ricongiunge alla macchina.
Non vedo altro che quel terreno di pallidi massi, sporcati di rosso scarlatto dal corpo giacente di Damien, mentre le gomme dell'auto di William si muovono in retromarcia, abbandonando la scena pochi istanti dopo.
L'inquietante morsa della solitudine adesso mi ha raggiunto e mi tiene stretto, mi obbliga a camminare lentamente nella direzione di questo disastro, per poi farmi inginocchiare una volta raggiunto, così da essere occhi negli occhi con i suoi, pronti ad abbandonare questo posto.
<Che strana ironia ... Poche settimane fa ci trovavamo nell'esatto opposto tu ed io. Ti ho stretto a me, al porto, proprio come stai facendo tu adesso, e pregavo, pregavo fino a non avere più fiato>, mi sussurra la sua voce bassa, mentre le mie braccia lo cingono tenendolo avvinte a se, permettendogli di sdraiarsi sul mio corpo trovando la pace.
<Sei mio zio>, rispondo io, e la sua bocca si incurva in un sorriso.
<Si, Caleb, sono tuo zio, e sono il padre di Francis. Sicuramente un'errore come uomo ma come sognatore ... credo di essere il solo che continua a sperare>
<Verranno i soccorsi, vedrai, andrà tutto bene>
<Non sto parlando di questo ... William mi ha colpito a morte, tra poco morirò dissanguato, non c'è più tempo>, geme, e con disperazione vedo la sua mano, premuta contro il fianco, tingersi nelle feritoie delle dita di sangue che sgorga ad ogni respiro.
<Mi ero ripromesso che avrei lasciato fossi tu a scoprilo perché altrimenti non mi avresti creduto ma su questo letto di morte, qualcuno mi abbia in gloria, ho paura>
<Ti voglio bene, Damien. Credo, in fondo, di avertene sempre voluto>, rispondo e sento dai miei occhi cadere lente lacrime pronte a precipitare sul suo petto, nella vana speranza che quel colpo caduto nell'origine dell'abisso basti a rimettere in sesto il ritmo del suo cuore.
Cullato nel mio abbraccio mio zio mi sorride, e con la mano non premuta contro la ferita mi stringe un braccio, arricciando il tessuto della manica nella sua stretta.
<Te ne voglio anche io Caleb, te ne vorrò sempre.
Ma non è questo il segreto, c'è una cosa che non sai e che devi assolutamente scoprire>
Nonostante le lacrime la mia vista nitida mi permette di mettere a fuoco il suo viso e ricordare l'immagine della sua testa abbandonata all'indietro contro la piega del mio braccio e contornata da questo paesaggio.
Un'ultimo ricordo che mette fine ad un'inspiegabile passato.
<Richard Lee, l'uomo a capo di questa mafia ... è tuo padre>
Spalanco gli occhi mentre le sue dita forzano la stretta intorno al mio braccio, supplicandomi di credergli, mentre il cronometro sta per raggiungere lo zenit.
<Che cosa?>
<È passato molto tempo e al molo deve aver fatto di tutto per non mostrarsi ma è questa la verità. E' lui, Caleb, l'inferno non è riuscito a inghiottirlo. Spero però accetti la mia richiesta, così da non essere solo dall'altra parte quando tutto questo sarà finito>
<Non può essere vero>
Sorride. <Non può, tu dici? Eppure è la verità ... l'ambizione conduce lontani, e la malignità spiana la strada>
Damien serra gli occhi, tramortito da una fitta di dolore prima di continuare a parlare.
<Ricordati quello che ti ho detto Caleb, ogni singola parola, e ricordati che la vendetta non è la via. La mia mi ha condotto alla morte, ma esiste la giustizia. Esiste la giustizia a questo mondo e se ancora vive non permetterà a quell'uomo di sopravvivere.
Scopri dove si nasconde Caleb, e poi porta Richard da me. In un'altra vita avremmo potuto essere amici.
Portalo da me, ho bisogno di parlargli.
Portalo da me e ti prometto ... che non lo lascerò scappare>
La sua voce si affievolisce e la mano al termine della frase perde la forza nella propria stretta.
Gli occhi si socchiudono ma il corpo non perde l'ordine di un'ultimo piccolo gesto: la sua mano cerca la mia e all'interno vi nasconde qualcosa di levigato, freddo e pallido come la morte non appena ci raggiunge alle sponde di questo lago e ruba la sua anima.
Reso immobile dal terrore osservo ogni fase della sua dipartita, dell'abbandono terreno a una terra amata e odiata nel corso dei decenni, ad un passato afflitto, un futuro incerto, un presente precario e accattivante nella provocazione degli eventi, e poi, una volta completamente solo, con ancora il suo corpo tra le braccia, abbasso gli occhi e fisso il palmo aperto della mia mano.
Damien mi ha lasciato un sasso, particolarmente levigato e sottile, un'ordine, al pari del comando dell'immobilità eppure opposto ad esso.
La voce incastonata nella pietra grida un'innovazione di dolore, prega di essere scagliata contro l'acqua infrangendone la tranquillità e spera che sia io a esaudirla. Che sia mia la mano a rompere la routine di una vita soccorsa per troppo tempo dalla grazia del destino, dalla fortuna di una Dea bendata, dalla sofferenza di molti, ed è per infrangere un tale equilibrio che rispondo.
La mia mano scaglia il sasso lontano e questo compie nell'acqua sei cerchi sempre più piccoli, battendo un record inviolato nel corso degli anni.
Carlail. Ryan. Mia madre. Damien. Mio padre. Monty. Francis.
Sei piccoli cerchi, che fanno parte di un'immenso lago di intrecciati destini.
Il sasso lanciato ha sgretolato la rifrangenza del loro specchio di vanità, paura e dolore, alternando il loro stato, prima che si ricompatti, eppure qualcosa è cambiato, nonostante la superficie sia di nuovo liscia e piatta, qualcosa nella natura è stato modificato perché il fondale adesso ospita anche il mio nome.
Risiedo nella sabbia, nascondendomi alla loro vista.
Esisto e sono tra di loro, in un quadro adesso reso completo da una cucitura di orrore e morte tessuta su ferite non rimarginate e ancora aperte. Portatrici di fresco sangue che si coagula a quello di mio zio, fino a scorrere in un'unica linea sottile verso l'acqua, macchiandole della nostra maledizione.
E la natura adesso non può più tornare al suo stato originale.
Il sangue ha preso il posto della trasparenza.
L'acqua ... è stata per sempre contaminata.
P.O.V.
Ian
Il buio dello stanzino permette la distinzione di poche forme grazie alla luce filtrata dal corridoio dopo il cigolio dell'apertura della porta, ma è quanto basta affinché i miei occhi possano trovare quello che cercano.
Nel mio petto il cuore si arresta ed il respiro si intrappola tra le costole quando noto quel qualcosa di dissonante dal resto degli oggetti, fogli, bagagli, ricordi, tanto particolare nella forma, nell'edizione, nell'età da distinguersi persino nel passare del tempo tanto da sancire con chiarezza una realtà che gli anni hanno cancellato.
Lo stereo troneggia sul basamento di altare di questo piccolo scrigno di tesori, e mi confessa impronunciabile parole pronte a farmi da eco dentro la testa.
Il fantasma di una giravolta ed una risata di donna assumono sembianze vive e si fanno beffa di me, dell'ignoranza dimostrata, di tutti quei segnali ... che non sono stato in grado di recepire.
Monty, la sua cicatrice, la collana di San Cristoforo, il nostro passato ... il suo viso sulla porta di casa Dowson in un pomeriggio di allegria.
E poi, quelle parole, pronunciate in una vita precedente dall'uomo che per tutto il tempo dell'attuale mi ha fatto da padrone, servendosi gli avanzi della mia infanzia come principali portate.
Abbeverandosi dal calice di una coscienza che fortunatamente non è riuscita a estinguersi del tutto, tornando a far parte di me.
"<Che cos'è, quello che avete fatto prima?>, domando invece, senza pensare di risponde alla sua domanda, in maniera del tutto inconscia.
L'uomo mi sorride, al di sotto dei suoi baffi, e mi risponde con pazienza.
<Intendi il valzer? Solo un tipo di ballo molto elegante per conquistare una donna>"
"<Vedi, a mio marito piacciono le cose che fanno i ricchi, o che comprano, come questa maledetta radio che ha voluto a tutti i costi mettere in casa.
Il valzer lo ha imparato da loro, faceva l'autista un tempo, scortava le persone importanti ai galà e delle volte entrava pure nel salone del ricevimento, dove ballavano. O almeno questo è quello che racconta lui, chissà se è la verità>"
"Quello che sembra essere a tutti gli effetti l'ultimo modello di una radio in mercato, nero e grigio metallizzato da una forma alquanto atipica vista la modernità, rilascia la dolcezza di questo poetico suono".
La mia mente frammentata si compatta in un unico blocco e mi offre la vera identità di un uomo da sempre incredibilmente mio simile.
Richard Lee, ovvero Richard Dowson.
L'uomo che mi ha insegnato a ballare.
L'uomo ... che un tempo a Caleb ha fatto da padre.
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